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Autore: FDFlames    18/03/2020    3 recensioni
La Valle Verde era sempre stata un luogo pacifico, abitata da persone umili e semplici - contadini, pastori e mercanti. Ma è proprio la loro ingenuità che il malvagio Lord Vyde intende sfruttare.
Stabilitosi all'estremo ovest, è riuscito ad unire i clan belligeranti sotto l'unico simbolo e nome di Ideev. E ora gli Ideev, come edera su un albero, si arrampicano sulla Valle Verde, soffocando la vita e la libertà.
Aera non intende sottomettersi. Spinta dal suo coraggio, dall'amore per il suo clan, e dal desiderio di giustizia, decide di intraprendere un pericoloso viaggio, che la porterà dritta nella tana del suo nemico. Ed è disposta anche al sacrificio, pur di restituire al suo mondo la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo Uno


Il clan Knej procedeva il suo esodo verso l’Oriente, a un passo sempre più lento, con l’unico scopo di allontanarsi al più presto dalla fortezza di Lord Vyde e dalla Valle Verde. Avrebbero dovuto portarsi fino ad oltre le terre esplorate, affrontando l’ignoto e il rischio, o sarebbe stata la fine. Probabilmente la fine sarebbe arrivata comunque, ma superando le Montagne c’era, forse, una speranza in più, e anche un semplice forse, seppur doloroso, non fa mai male quanto un no, perché le illusioni sono create con il solo scopo di spingerci avanti, nonostante significhi cadere inaspettatamente in un vuoto ancora più nero.
Il gruppo era stremato; quando erano partiti, pochi giorni prima, sembravano il clan destinato a resistere, mentre ora si vedeva una trentina di persone, tra uomini, donne e bambini, che si trascinava a fatica lungo i tortuosi sentieri che serpeggiavano tra gli alberi e i rovi delle Foreste di Wass.
Davanti a loro si stagliavano i rilievi chiamati Montagne, oltre i quali si trovava il Mondo Non Conosciuto Orientale, spesso detto semplicemente Oriente, o Est. In quel momento, le nevi e i ghiacci perenni sulle cime di quelle alture costituivano, per il clan Knej, l’unica, seppur quasi irraggiungibile, via per la salvezza. Valicare uno dei passi non sarebbe costato loro più di un giorno di cammino, ma erano rallentati dal freddo, dalla fame, e dal numero molto limitato di collegamenti tra le Foreste di Wass e la zona montuosa, divise dagli strapiombi.
Esistevano solo dei ponti in legno, e alcuni erano troppo vecchi, il legno delle assi marcio e le corde sfilacciate, ma era un rischio che il clan Knej era disposto a correre. Altri ponti erano invece controllati da clan che esigevano del denaro per lasciare oltrepassare. Ma probabilmente ora quei clan non esistevano più. E non era un bene.
La Valle Verde, il loro amato regno, era ormai stato distrutto dagli Ideev, dei mercenari ai quali Lord Vyde aveva assegnato il compito di sterminare tutti i clan del regno. I primi a diventare Ideev erano stati i membri dei clan nell’estremo ovest, sempre impegnati in guerriglie di cui Lord Vide aveva approfittato, unendoli con la forza contro tutti gli altri. E il gruppo di clan, ormai un piccolo esercito, si era arrampicato come edera dall’ovest all’est della Valle Verde, prima risalendo le coste settentrionali e meridionali, e poi ricongiungendosi proprio nell’area degli strapiombi, per non lasciare a nessuno possibilità di fuga, richiudendosi come un varco oltre il quale vi era la luce di una salvezza che non spettava più a nessuno dei Valliani.
Non era importante che fossero maggiori in numero; gli Ideev venivano pagati, e questo era sufficiente perché i membri dei vari clan decidessero di unirsi al gruppo, pur di sfuggire alla Morte. Per paura o per necessità, la difficile scelta veniva presa in modo sempre più immediato, seguendo l’esempio dei numerosi Ideev; il peso del senso di responsabilità e del giuramento prestato al proprio clan passavano in secondo piano rispetto alla brama di sopravvivenza, la vita di sé stessi e dei propri cari; erano infatti molte le donne incinte che si erano unite al gruppo pur di salvare i loro bambini, e questi erano i cosiddetti nati tra gli Ideev.
Lord Vyde li preferiva agli altri Ideev, sia perché erano al massimo diciassettenni, e quindi giovani, forti e agili, sia perché, non avendo mai fatto parte di un clan, ne ignoravano i valori e le morali, per cui li poteva plasmare a suo piacimento, e assegnare a loro i più sporchi incarichi, senza che si tirassero indietro; i nati tra gli Ideev svolgevano compiti che andavano dall’essere piccoli ladri, a diventare spie o assassini, ed era impossibile, per chi se li ritrovava davanti, pensare a dei ragazzi tanto giovani come a dei sicari. Non si associano la bellezza e la gioventù all’omicidio.
 
Knej si stava inoltrando nel Bosco delle Frecce, così chiamato perché gli alberi di Wass – gli unici in grado di crescere in una zona tanto poco umida – avevano foglie di una forma sagittale, rivolte verso l’alto, in modo da raccogliere più acqua possibile e portarla alle radici, nei rari giorni in cui pioveva. I clan della zona orientale della Valle Verde avevano, proprio per questo, un rapporto diverso con la pioggia: le nuvole all’orizzonte non erano considerate presagio di sventura, ma al contrario portatrici di vita.
Continuando in quella direzione il clan Knej si sarebbe alzato velocemente di quota; Ikaon, il capo del clan, sperava che il gruppo si sarebbe potuto nascondere in una delle grotte sulle Montagne, per poi superarle. Una volta raggiunte le vette, inoltre, la zona sarebbe stata più ricca d’acqua.
Mentre camminavano a un passo che voleva essere svelto sotto i rami dei giovani alberi di Wass, Aera era persa nel suo costante bisogno di trovare una soluzione ad ogni problema che le si presentasse. Doveva esserci un modo per risolvere la situazione, il loro destino non poteva essere quello di abbassarsi senza lamentarsi al volere di Lord Vyde. Se l’esercito degli Ideev era stato creato ci doveva pur essere un modo per distruggerlo, perché tutto ciò che ha un inizio ha una fine, perché così è giusto, perché alla fine ciò che trionfa è la giustizia.
O, per lo meno, questo era il suo modo di pensare, derivato dal modo in cui le era stato illustrato il suo piccolo mondo. Arrivò infatti a una conclusione, o meglio a un’idea, e cominciò a chiedersi perché i clan non si unissero per contrastare Lord Vyde e i suoi Ideev.
«Dovremmo agire nello stesso modo in cui ha agito Vyde,» consigliò, «Unire qualche clan qui nell’est e poi convincere sempre più Ideev a tornare ai vecchi clan. Forse anche per questo ci vorrebbero quindici anni, ma non sarebbe di certo tempo perso.»
«È troppo tardi,» le rispose Ikaon, con il quale la ragazza aveva un rapporto simile a quello che una figlia ha con il padre, «E nessuno si fida del prossimo, dato che le spie Ideev si infiltrano persino tra gli stessi membri dei clan.»
Diede un’occhiata al corteo che li seguiva in silenzio; e se ci fossero stati dei traditori, lì nel mezzo? Di chi avrebbe dovuto sospettare? Su chi stava facendo affidamento? Su se stesso.
Erano proprio gli altri membri di Knej a riporre tutta la loro fiducia in lui, e senz’altro qualcuno sospettava che fosse un traditore.
Ma non lo era. Ikaon avrebbe fatto di tutto per quel clan – era il suo clan. Era riuscito a portarlo fino al Bosco delle Frecce senza venire fermato dagli Ideev, non avrebbe potuto arrendersi proprio ora.
«Ma quanto poco tengono al giuramento fatto al clan, unendosi agli Ideev senza pensarci due volte?» domandò Aera,
«Di sicuro ci pensano, anche più di due volte, ma non devi credere che ritengano piccolo il valore del giuramento fatto al clan. Sforzati piuttosto di riflettere su quanto grande debba essere la disperazione, per portarli a prendere una decisione come quella.»
La ragazza ci rifletté davvero, senza però riuscire ad accettare fino in fondo tanta ipocrisia. Per lei era sempre stato troppo importante avere una dignità, ed era per questo che era sempre stata fedele alle promesse fatte, anche alle più piccole – non aveva altro.
Ogni volta che stringeva un patto, fosse anche solo per difendere un bambino del clan che aveva giocato qualche scherzo innocente, Aera si portava alle labbra la sua collana, il Ciondolo dell’Aquila, e diceva: «Lo prometto.»
Era stata adottata dal clan Knej; le era stato detto di essere stata trovata abbandonata in riva al mare dopo un giorno di pioggia; forse era una bugia, ma non le dispiaceva crederci.
Tutto ciò che la sua famiglia le aveva lasciato erano state una collana e una preghiera: che non la togliesse mai. E così Aera aveva fatto. Era fiera di potersi dire una figlia obbediente, anche senza mai ricevere in cambio lodi dai suoi genitori. Aveva cominciato a pensare, negli ultimi tempi, che la stessero osservando, dal cielo.
«Credi che potrò incontrare i miei genitori, quando supereremo le Montagne?» chiese la ragazza a Ikaon, accarezzando i contorni del Ciondolo dell’Aquila, come a tranquillizzare quel prezioso oggetto, rassicurandolo che presto sarebbero tornati a casa.
«Be’, l’Oriente è grande, e anche se vi incontraste non vi sapreste riconoscere.» rispose il capoclan.
Era un modo meno crudele di dire no.
«Sono l’unica a portare questo particolare gioiello, e poi so bene che voi adulti del clan siete già entrati in contatto con i miei genitori, tredici anni fa. Solo che pensavate di potermelo tenere nascosto per sempre.»
Anche quello di Aera era un modo un poco più gentile per dire qualcosa d’altro, ossia: Non sono più una bambina, e non credo più alle vostre bugie.
A quel punto, Ikaon decise di mollare la presa. Sentiva che al clan Knej non rimaneva molto tempo, e non voleva dire addio ai suoi compagni dopo averli nutriti con tante false speranze. Tanto meno aveva intenzione di mentire ad Aera ancora.
Si fermò, lasciando che parte del corteo li superasse, e posò una mano sulla spalla della ragazza, come avrebbe fatto un padre.
«Hai ragione, Aera,» iniziò a dire, «Ed è vero che non ti abbiamo sempre detto la verità, ma devi capire che ci era stato ordinato prima di tutto dai tuoi stessi genitori. Loro volevano proteggerti, e lo volevamo anche noi.»
«Ma le bugie crollano, Ikaon, e quando lo fanno, feriscono.» ribatté Aera, ricambiando il senso di colpa nei suoi occhi, senza distogliere lo sguardo, solo in attesa della sua prossima giustificazione, che sapeva non sarebbe stata una scusa.
«Lo so bene, Aera, ed è anche per questo che ora voglio illustrarti la situazione senza più giri di parole, per quanto possa essere disastrosa.» disse infatti Ikaon, deciso ad essere onesto con lei, forse per l’ultima volta, sapendo che Aera non aveva mai avuto paura della verità, ma solo delle bugie.
La ragazza annuì; era pronta al peggio.
«La speranza a cui ci aggrappiamo è molto sottile, Aera. Durante questo lasso di tempo, gli Ideev si sono organizzati in un vero e proprio esercito di mercenari pronti ad attaccare i pochi clan rimasti. E noi siamo uno di quelli. Per quanto preghiamo, per noi e per i nostri compagni, devi sapere che è certo che ci saranno delle vittime, tra di noi. Forse solo alcuni di noi, ma se gli Ideev ci stanno tendendo un’imboscata e noi stiamo cadendo nella loro trappola, sarà impossibile sfuggire a tutti loro. Quindi preparati a perdere tutto, Aera, e a combattere per la tua vita e per quella dei tuoi amici. Devi essere pronta a rinunciare a qualcosa di molto importante per te.»
Ikaon passò qualche momento a studiare Aera, con occhio paterno – in fondo, la considerava davvero sua figlia, ormai. L’aveva cresciuta, le aveva insegnato tutto ciò che sapeva, l’aveva formata, e sapeva che i suoi veri genitori gli sarebbero stati riconoscenti per averle mostrato le vie del perdono e della giustizia. Aveva fatto il possibile, e forse anche l’impossibile, senza mai aspettarsi nulla in cambio. Era fiero di sé ed era fiero di Aera, e anche se lo straziava sapere che presto tutto sarebbe finito, sapeva di dover tener duro ancora solo per poco, in modo che l’ultimo ricordo che Aera avrebbe avuto di lui sarebbe stato identico a tutti quelli che aveva collezionato fino ad ora – ricordi del giusto, forte, coraggioso, affidabile Ikaon.
L’uomo abbassò lo sguardo, per camuffare l’ombra di tristezza che era calata sul suo viso, ma poi si sentì colpevole di stare tentando di nascondere ancora una volta quella che non era la sua debolezza, ma semplicemente la sua umanità.
Così alzò la testa, a guardare Aera, e lei gli ricambiò lo sguardo con quei suoi occhi azzurri e sconsolati.
Il vestito celeste che portava, l’unico che le fosse stato consentito portare con sé dopo che il clan era dovuto fuggire, donava femminilità e fragilità alla sua figura, rendendo impercettibile la leggera robustezza della sua costituzione.
E poi c’era quella massa di capelli castani, ricci e indomabili, che alcune ragazze del clan invidiavano, molto amata dai bambini, e di cui Aera avrebbe talvolta voluto liberarsi. Forse erano proprio i più piccoli a convincerla a non tagliarli; la ragazza aveva infatti raccolto due ciocche di capelli, come molti altri ragazzi del clan, in due treccine, colorate da alcuni fili di lana e talvolta abbellite da una perlina all’estremità. E i sorrisi dei bambini mentre si divertivano ad annodarle erano qualcosa che le procurava più gioia di qualsiasi ciocca fuori posto o nodo indistricabile.
Come avrebbe potuto essere preparata a rinunciare a quei giorni sereni? Da un lato, Aera avrebbe voluto dire di essere pronta, forse per far sentire meglio Ikaon, ma dall’altro, anche lei era stanca di mentire.
Trattenne a stento il pianto, e si preparò a dire addio a tutti i membri di quella che considerava la sua famiglia. Allungò il passo, rallentò, finché non ebbe riservato qualche parola di amore e di speranza per tutti. Poi aspettò che due persone in particolare la raggiungessero.
Erano i suoi due amici, con i quali condivideva tutto – Aniène e Zalcen. Anche quel giorno, come sempre, erano vicini; parlavano del futuro, che vedevano incerto e spaventoso.
«Se gli Ideev arriveranno, noi scapperemo insieme a nord, promesso?» chiese Aniène, sapendo già che cosa avrebbe risposto Aera.
«Promesso.» disse, appunto, ripetendo il suo consueto rituale.
«Aniène, quando gli Ideev arriveranno.» la corresse Zalcen, «Comunque, sì, lo prometto.»
«A me interessa che noi tre stiamo insieme, non mi interessa se o quando.» ribatté la bambina, fraintendendo.
Aniène era la più piccola del clan, aveva soltanto nove anni, e aveva bisogno di una sicurezza che nessuno era in grado di dare nemmeno a se stesso: erano le bugie dei due ragazzi più grandi a spingerla a continuare, a farle compiere un passo dopo l’altro, anche se le gambe le facevano male.
Zalcen era il maggiore dei tre: aveva diciotto anni, ed era stato come un fratello per Aera, che aveva quattro anni in meno. Insieme parlavano di qualsiasi cosa, e c’era stato un periodo in cui avevano cercato in ogni modo di scoprire la verità sul passato di Aera; Zalcen le aveva rivelato di sapere che i suoi genitori venivano dall’Est, oltre le Montagne, e lei, all’inizio, si era rifiutata di crederci, perché le era stato detto che nessuno era mai riuscito a superarle. Era una bugia, ed erano stati i suoi stessi genitori ad ordinare al clan Knej di raccontargliela. Aera e Zalcen non riuscirono mai a capire il motivo per cui la ragazza venne abbandonata, un anno dopo la sua nascita, e affidata proprio a quel clan. Si sbizzarrirono immaginando le più fantastiche teorie sul regno chiamato Oriente.
La mentalità della Valle Verde era tremendamente chiusa: gli abitanti conducevano una vita mediocre, e questo a loro bastava, quindi nessuno aveva mai sentito il bisogno di spingersi oltre le Montagne, e proprio per questo ciò che si trovava più a est veniva chiamato Mondo Non Conosciuto.
Era stato proprio un nobile proveniente da questo Mondo Non Conosciuto ad approfittare della chiusura mentale dei Valliani – Lord Vyde.
Si era stabilito nell’estremo ovest, in una fortezza sulla sponda del Lago Rosso, e da lì i suoi Ideev avevano marciato verso est, arrampicandosi sulla Valle Verde come edera sugli alberi – il significato del nome Ideev era infatti edera. E ora non ci si poteva più ribellare all’ondata di follia che gli Ideev avevano portato; spingeva i clan ad una tale disperazione da venir meno al giuramento, e privi di una dignità, quelli che una volta erano davvero uomini venivano trasformati in assassini, pronti ad uccidere per il denaro che offriva Vyde.
Da prede a predatori. Da uomini a mostri.
   
 
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