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Autore: TheSlavicShadow    20/03/2020    1 recensioni
Giugno 2001.
Il loro primo incontro.
I loro mesi felici.
I had all and then most of you
Some and now none of you
Take me back to the night we met
I don't know what I'm supposed to do
Haunted by the ghost of you
Take me back to the night we met
{The Night We Met - Lord Huron}
{Earth 3490; Steve/Natasha; prequel}
{{Visto che sono vecchia e mi piacciono le tabelle di prompt, prendo in prestito questa tabella https://mezza-tabella.livejournal.com/profile }}
Genere: Angst, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Too Much to Ask'
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Febbraio 2002

 

C’era una cosa che aveva imparato molto presto nella propria vita. Quando qualcosa sembrava andare per il verso giusto non doveva mai fidarsi. Mai. Quelle tre lettere doveva tatuarsele da qualche parte in modo tale da non dimenticarselo in alcun modo. 

Sembrava tutto perfetto. Era tutto perfetto. La sua relazione con Steve funzionava alla grande. Il suo lavoro presso le Stark Industries andava a gonfie vele. Aveva quasi finito di scrivere la tesi per il dottorato. Addirittura il suo rapporto con Howard sembrava essere migliorato. Tutto stava filando liscio per una volta.

Ed era proprio questo che avrebbe dovuto spaventarla.

Aveva con terrore guardato il bastoncino di plastica su cui aveva appena urinato. Non pensava che mai in vita sua avrebbe fatto una cosa del genere. Men che meno a quell’età. Men che meno così all’improvviso. 

Non aveva mai desiderato dei figli. Certo, era ancora giovanissima e a quell’età solo poche persone ci pensano seriamente. Lei di certo non era tra quelle. Aveva altre cose per la testa in quel momento. La tesi soprattutto. Il progetto da realizzare come dimostrazione della sua tesi. Aveva un lavoro e dei progetti da consegnare anche in quel momento. 

Non aveva tempo di pensare ad una cosa simile. 

Per questo era rimasta seduta sul water del suo bagno privato, nella grande casa dei suoi genitori, a fissare con terrore quel bastoncino comprato per qualche dollaro la sera prima. 

E il terrore si era concretizzato, trasformandosi in puro orrore quando ancora prima dei cinque minuti di attesa il test di gravidanza si era mostrato positivo. 

Non poteva essere vero. Non ci voleva credere. Erano sempre stati attenti. Steve molto più di lei. Steve voleva una famiglia. Glielo aveva detto più volte. Ma era anche abbastanza assennato da rendersi conto che erano troppo giovani per fare quel passo e non ne avevano mai parlato seriamente. Anche perché lei gli aveva detto che non avrebbe mai fatto da incubatrice ambulante per un piccolo essere umano. Non era qualcosa che la entusiasmava. Non era neppure qualcosa che desiderava. Un bambino era una grandissima responsabilità. Aveva visto diverse ragazze del campus abbandonare gli studi per dedicarsi a figli capitati per caso. E non poteva essere così stupida anche lei.

Non capiva neppure come era potuto succedere davvero. 

Steve era davvero sempre stato attento. Eppure il suo ciclo quel mese non si era fatto vedere. Certo, non aveva mai avuto un ciclo regolare. Mai una volta nella vita. Ma quasi 20 giorni di ritardo non erano concepibili. 

Era rimasta seduta su quel water per diverso tempo. Stringeva ancora in mano il bastoncino di plastica e non sapeva cosa fare. Poteva essere un falso positivo. Sapeva che poteva succedere. Avrebbe dovuto fare gli esami del sangue. Avrebbe dovuto telefonare a Steve e dirglielo. Avrebbe dovuto decidere cosa fare. Avrebbe dovuto contattare un medico. Avrebbe dovuto fare troppe cose in quel preciso istante, eppure non riusciva a muoversi.

C’erano un ammasso di cellule che si stava formando dentro il suo utero. C’era qualcosa che già da qualche settimana stava crescendo in lei e lei non aveva fatto nulla di salutare. Solo qualche giorno prima aveva bevuto così tanta birra da non ricordare lucidamente la serata. E il caffè. Oddio, quanto ne aveva bevuto. Quello non faceva bene, no? Così aveva sempre sentito dire. Eppure lei ne abusava. Anche adesso agognava la sua dose mattutina di caffeina.

Doveva dirlo a Steve. Doveva parlarne con lui e decidere cosa fare. Sapeva già cosa voleva fare. Quello che doveva fare. Quello che forse sarebbe stata la cosa più giusta in quel preciso istante della sua vita. 

Non era il momento di avere un figlio. Non poteva permettersi di mettere al mondo un bambino quando era una bambina della peggior specie pure lei. Suo padre su questo sarebbe stato d’accordo sicuramente. In questo almeno avrebbe avuto il totale appoggio dei suoi genitori. Aveva del resto solo 17 anni, non poteva rovinarsi così la vita, no? Era questo che avrebbero detto i suoi genitori mentre la facevano accompagnare da Jarvis in una qualche clinica privata pagata un fior fiore di quattrini solo per non spifferare nulla alla stampa. Perché alla fine per loro era solo una questione di salvaguardare ad ogni costo il buon nome della famiglia. 

Aveva preso coraggio mentre prendeva il cellulare con la mano libera. Non aveva ancora lasciato andare il bastoncino di plastica che teneva stretto in mano. Avrebbe dovuto. Poteva tranquillamente buttarlo ora che aveva visto il risultato. Ma non ci riusciva. Teneva stretto il bastoncino in una mano e con l’altra mandava un messaggio a Steve. 

Doveva vederlo. Doveva dirglielo. Ne era totalmente terrorizzata, ma sapeva che doveva farlo. 

 

❀❀❀

 

Se ne stava seduta sul divano di Steve e non riusciva a trovare le parole giuste. Gli stava parlando del nulla eterno mentre cercava il momento giusto per sganciare la bomba. Ma come si faceva a sganciare quella notizia così a cuor leggero? A Steve sarebbe venuto un infarto. Avrebbe urlato. Sarebbe scappato. Del resto avrebbe fatto bene a scappare. Ognuno nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali lo avrebbe fatto. Lei lo avrebbe fatto senza pensarci troppo. Aveva vagliato la possibilità di farlo. Di scomparire senza una parola. Era brava a farlo. Lo aveva fatto diverse volte quando qualche ragazzo voleva qualcosa di più serio con lei. 

Ma Steve la guardava come un cucciolone troppo cresciuto di Golden Retriever e lei non riusciva a fare la stronza. Non con lui. Non con un ragazzo così, che l’amava davvero ed era sempre attento, e dolce, e magnifico. 

Anche in quel momento la stava guardando e sembrava preoccupato, perché davvero lei non era stata zitta da quando era arrivata in quel piccolo appartamento di Brooklyn. 

Si era seduta sul divano, aveva discusso come sempre con Barnes, questi se n’era andato mandandola al diavolo, Steve aveva scosso la testa e si era seduto accanto a lei. Una normale routine che si ripeteva molto spesso e che le dava molta calma in realtà. Le piaceva tutto sommato una routine come quella. E non voleva perderla. Non poteva perderla.

“Tasha, stasera sei più strana del solito. Cos’è successo?”

Doveva pensare velocemente ad una risposta. Doveva rispondere e sembrare convincente. Poteva davvero non dirgli nulla e risolvere da sola il problema. Non sarebbe stato difficile. Aveva abbastanza soldi da trovare una qualsiasi clinica che non avrebbe fatto troppe domande. Sarebbe pure potuta andare all’estero pur di mantenere l’anonimato totale. 

“Perché dovrebbe essere successo qualcosa? Sono stata in officina quasi tutto il pomeriggio oggi come ti stavo dicendo. Dum-E è stato inutile come al solito.”

“Sì, questo me l’hai ripetuto almeno quattro volte da quando sei entrata. Per questo te lo chiedo di nuovo: cos’è successo? Qualcosa con tuo padre?”

“No.” Avrebbe dovuto essere sincera e dirglielo subito. Doveva solo aprire la bocca e dirlo. Ma aveva paura. Si sarebbe tutto sgretolato davanti ai suoi occhi come se fosse stato un castello di carte. Succedeva sempre così.

“Allora cosa? Tua madre? L’università? Il lavoro?”

“Potrei essere incinta.”

Lo aveva guardato mentre Steve spalancava gli occhi e la guardava con orrore. Era quello che aveva previsto. Aveva distrutto tutto. Con tre semplici parole aveva rovinato per sempre quel rapporto che era stato perfetto fino a quel momento.

“Ma siamo stati attenti.” Lo aveva sentito dire con un filo di voce e le stava venendo da ridere. Le veniva anche da piangere. E voleva buttarsi dalla finestra in quel preciso istante.

“Lo so. Non capisco neppure io come sia potuto succedere. O meglio sì. So cos’abbiamo fatto. Non so dove abbiamo sbagliato. Ma ho fatto un test questa mattina. Potrebbe essere un falso positivo. Domani mattina ne farò un altro. E poi andrò a fare un test serio, dal medico. E poi ci penserò io al resto. Non serve che tu faccia nulla. Non ti sto chiedendo nulla. Non potrei farlo.”

“Ehi.” Le aveva stretto una mano. Ed era rassicurante quando lo aveva fatto. “Se è davvero così ci penseremo insieme.” 

“Non serve, Steve. Me ne posso davvero occupare di tutto io. Non serve che ci pensi tu. Forse non dovevo neppure dirtelo.”

“Non lo dire neanche per scherzo.” Aveva aggrottato le sopracciglia e sapeva di averlo fatto arrabbiare con quelle parole. Era ovvio che si sarebbe arrabbiato. Era Steve. Era una persona seria. “Domani ti accompagno subito a fare tutti gli esami che vuoi e poi decidiamo insieme cosa fare. Siamo insieme dentro a questa cosa.”

“Dovevo sapere che avresti detto una cosa simile…” Aveva abbassato lo sguardo e si era vergognata di sé stessa per aver anche solo pensato che Steve potesse tirarsi indietro. Non era davvero come nessuno dei ragazzi che aveva frequentato in precedenza. 

“Per chi mi hai preso, Tasha?” Le aveva sorriso e l’aveva costretta ad alzare lo sguardo verso di lui. “Stiamo insieme e decideremo insieme cosa fare. Non ti lascio da sola in questa situazione. Non potrei mai farlo. Vuoi che mia madre ritorni dai regno dei morti e mi faccia a pezzi?”

Aveva sorriso a quella domanda. Steve era riuscito a farla sorridere e lei era sicura che qualsiasi cosa avesse deciso di fare Steve sarebbe davvero rimasto al suo fianco fino alla fine.

   
 
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