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Autore: Soul of Paper    22/03/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 22 - La Fedeltà


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Allora, dottoressa, nell’ultima udienza, che sarà il momento decisivo, testimonieranno sia Saverio che Eugenio Romaniello. Naturalmente c’è da sperare che il primo mantenga la versione dei fatti a lei fornita, e che il secondo non faccia brutti scherzi. Per ora è stato nelle retrovie e non si è esposto, sembra un uomo molto bonario. Ma molto spesso è proprio dalle persone in apparenza così innocue che bisogna diffidare di più.”

 

Un po’ come da lei? - pensò Imma, ma non lo disse, perché a lei l’aureola che aveva la Ferrari non piaceva per nulla.

 

“Sicuramente Eugenio Romaniello è molto più abile del fratello a coprire le sue tracce. Io stessa per mesi non ho sospettato di lui. E non ho mai avuto occasione di interrogarlo. L’ho conosciuto solo una volta, quindi non saprei esattamente come aiutarla riguardo a lui, dottoressa. Invece, per quanto riguarda Saverio Romaniello, purtroppo ho avuto il dispiacere di dover avere a che fare con lui molte volte. Ama provocare, soprattutto facendo allusioni a doppio senso sessuale, non dubito lo farà pure con lei, essendo una donna e oltretutto molto avvenente.”

 

“Non so se ringraziarla del complimento, dottoressa.”

 

“Ma è soltanto la verità, e sono certa che pure lei ne sia consapevole, dottoressa. Comunque, il punto debole di Saverio Romaniello è il senso di sudditanza e di rivalsa che ha nei confronti del fratello e della famiglia e che ha sempre sfogato… in altri modi. Punti su quello e avrà la sua carta vincente.”

 

“D’accordo, dottoressa, la ringrazio, mi è stata preziosissima,” rispose la Ferrari con un altro di quei sorrisi iper amichevoli che le davano solamente sui nervi, “ha altri consigli per me?”

 

“No, al momento no, se avesse bisogno ovviamente sono pronta a testimoniare e così immagino lo sia anche il maresciallo.”

 

“Perfetto, la ringrazio moltissimo, dottoressa. Anzi… possiamo darci del tu e chiamarci per nome? Visto che collaboreremo insieme per un po’, almeno spero.”

 

“D’accordo… Irene, giusto?” chiese, come se non lo sapesse benissimo, da quando Calogiuri l’aveva chiamata per la prima volta così. 

 

“Esatto, Imma. Allora ti lascio e grazie ancora per l’eccellente lavoro che avete fatto sul maxiprocesso e per aver avuto fiducia in me nell'affidarmelo.”

 

“Per quello devi ringraziare soprattutto Vitali: è lui che ti ha raccomandata caldamente.”

 

E le venne pure un dubbio se Vitali avesse un debole per la Ferrari. Ma cercò di scacciare quel pensiero sessista da dove era venuto.

 

“Lo farò a tempo debito. Ho un ottimo ricordo di lui: ha un po’ le sue manie, ma è davvero una persona incorruttibile, nonostante la prudenza a volte eccessiva e la paura che ha sempre di pestare piedi sensibili.”

 

E, almeno su questa descrizione le toccava proprio concordare con la Ferrari. Era sveglia e le persone le sapeva leggere molto bene la collega.

 

La cosa non le piaceva affatto.

 

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“Ohi, Cinzia! Come va? Che hai portato di buono?”

 

“Una lasagna fatta da me, visto che mi hai detto che ti piacciono tanto.”

 

“Grazie… sei troppo gentile!”

 

Andarono a tavola, già apparecchiata, e Pietro versò il vino rosso e taglio la lasagna, ancora calda da forno.

 

La assaggiò e… ed era buona. Ma gli mancava quella che gli preparava Imma, nonostante tutto.

 

“A che pensi?” gli domandò Cinzia, manco gli avesse letto nel pensiero.


“No, niente, che è buonissima, complimenti!” mentì e Cinzia sorrise, versandosi ancora un po’ di vino.

 

“Senti Pietro…” disse infine, dopo un attimo di esitazione, “ormai è qualche mese che ci frequentiamo, no?”

 

“Beh, sì, certo. Perché, c’è qualche problema?”

 

“No, ma… so che… che la tua ex sa di noi, ovviamente ma… ma quando lo dirai a tua figlia? Quando lo diremo qui a Matera? Non mi piace dovermi continuare a nascondere come una ladra quando vengo a casa tua fuori orario o quando vado via la mattina. O quando c’è tua figlia.”

 

“Non… non lo so, Cinzia. Sai, è che Valentina la separazione l’ha presa proprio male e… non voglio farla stare peggio, temo reagirà malissimo. Ho bisogno ancora di un po’ di tempo. Puoi concedermelo?”

 

“Eh va bene… come vuoi tu, Pietro," sospirò, addentando la lasagna, ma con uno sguardo decisamente deluso.

 

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“Dottoressa, c’è una chiamata per voi, potrebbe essere importante!”

 

Vide Calogiuri entrare, cellulare in mano e la cosa la sorprese: perché se la chiamata era per lei, telefonavano a lui?

 

Doveva essere qualcuno da Matera, per forza.

 

“Si tratta di Oksana, ve la ricordate? La ragazza trovata a casa di-”

 

“Latronico, ma certo! Ma perché chiama noi e non la Ferrari? Lei si occupa del caso.”

 

“Quando le parlerete, capirete.”

 

“Pronto, Oksana?”

 

“Pronto, dottoressa. Scusate se io disturbo, ma volevo dire che… ho visto televisione… ragazza morta di droga. Ho visto che lei fa indagine.”

 

“Sì, sì, esattamente, Oksana. Ma come mai ti interessa? Conoscevi la vittima per caso?”

 

“Sì, lei venuta con me da Ucraina. Bella, molto bella. Lei scelta per… per feste di ricchi e non per strada, dottoressa.”

 

“Ma sai come si chiamava? Se ha qualche parente?”

 

“Alina. Ma non so altro, loro toglievano documenti appena prendeva noi: lei diceva me che aveva sorella piccola in Ucraina, a cui doveva mandare soldi. Ma altro non so.”

 

“Grazie mille lo stesso, Oksana, sei stata preziosissima. Cioè mi hai aiutato tanto. Grazie ancora!”

 

“Non c’è problema, dottoressa! Piacere mio! Grazie lei di tutto!”

 

E mise giù il telefono.


“Calogiuri, a questo punto dobbiamo avvisare la Ferrari perché i nostri due casi potrebbero essere collegati. Ci pensi tu?”


“Certo, dottoressa, ai comandi!” rispose, efficiente come sempre, sparendo oltre la porta.

 

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“I mobili arriveranno quasi tutti domani, Calogiù, mi toccherà prendere una giornata di permesso.”

 

“Verrei ad aiutarti ma non possiamo o si insospettirebbero. Ma questo weekend montiamo insieme quelli che non sono già montati.”

 

“Agli ordini, maresciallo!” proclamò, ironica, addentando la bistecca: stavolta aveva cucinato lei, “poi almeno finalmente potrò disdire la pensione e finirla con la pantomima di dover ogni volta andare a disfare il letto.”

 

“E dove vorresti stare? Da me o da te? Da te c’è più spazio e-”


“E dipende dagli impegni del giorno dopo, Calogiù: se ti cercano e non ti trovano nel tuo appartamento… secondo me faremo i turni comunque. E poi ti dirò… questo monolocale non mi dispiace, pure se c’è poco spazio.”


Ma ci sei tu ed il tuo profumo, ed è questo che conta! - pensò, ma non disse ad alta voce, stringendogli però la mano accanto alla sua.

 

In quel momento, un cellulare squillò. Quello di Calogiuri. Lo guardò incuriosita.


“Chi ti cerca a quest’ora?”

 

“La Ferrari. Scusa ma potrebbe essere di lavoro,” rispose, afferrando il cellulare e iniziando a smanettare.


Almeno non si era allontanato, in compenso però leggendo uno dei messaggi sorrise e questo le causò un morso allo stomaco.

 

“Buone notizie o gli omicidi ti mettono allegria?” commentò, sarcastica, senza poterlo evitare.

 

“Ma no! Mi ha invitato a vedere uno spettacolo che allestiscono delle sue amiche, per dopodomani sera. A te non dispiace se ci vado, vero?”

 

“Spettacolo a teatro?” chiese, pensando che sì, le dispiaceva eccome, ma non poteva certo presentarsi pure lei, che per Calogiuri, ufficialmente, non era niente.

 

“Sì. Ha molte amiche nell’ambiente del teatro, ma pure dei musei. Avevamo preso l’abitudine di andare insieme a teatro, a musei, a convegni, una volta alla settimana circa uscivamo a fare qualcosa e-”

 

“Ah, bene!” sibilò Imma, la bistecca che le rosolava sullo stomaco.

 

“Sì, ma, ti ripeto, sempre solo in amicizia. E ho imparato un sacco di cose, veramente. Irene dice che è importante anche per fare conversazione agli eventi, se voglio fare carriera.”

 

E su questo Irene aveva ragione, le toccò ammetterlo, anche se la faceva imbestialire. Ma questo suo remake di My Fair Lady con Calogiuri nei panni della fioraia non la convinceva per niente.

 

“Più che altro, se inizio a dirle di no così all’improvviso… non sarebbe sospetto? E ti avviso che una volta alla settimana uscivo pure con i ragazzi di solito, soprattutto Mariani e Conti e-”


“Calogiuri. Tu sei giovane e non voglio certo impedirti di avere la tua vita sociale. Ricordati solo che sei impegnato e che uscire una volta alla settimana con una bellissima donna single può magari farle venire certe idee… ci capiamo, no?”

 

“Ma se ci avesse voluto provare, lo avrebbe già fatto in tutti questi mesi, no? Invece ha sempre tenuto le distanze.”

 

“Io ho un’altra definizione di distanze, Calogiuri,” pronunciò, sarcastica, pensando a tutte le toccate di mano che la Ferrari gli faceva, “ma diciamo che capisco perché non ti puoi rifiutare. Ma attento a te, maresciallo, e se ci provasse mai in qualche modo mi devi promettere che me lo dirai, subito!”

 

“Promesso, dottoressa! Ma non succederà, vedrai!” la rassicurò, con una mano sul cuore, prima di aggiungere, guardandola dritto negli occhi, “però anche tu mi devi promettere lo stesso, Imma.”

 

“Ma chi vuoi che mi corteggi, Calogiuri?”


“Beh, io non sono proprio nessuno, direi, no?”

 

“No, ma sei stato l’unico in vent’anni. Comunque, va bene, te lo prometto! Se qualcuno sarà così folle da corteggiarmi e avrà gusti strani quanto i tuoi, ti avvertirò subito!” promise, più che convinta che tanto non sarebbe mai capitato.

 

"Non sono strani i miei gusti. Sono strani gli altri che non sanno apprezzare ciò che hanno di fronte agli occhi.”

 

“Nel tuo caso invece apprezzano tutte. Fin troppo!” ribatté con un sorriso, avvicinandoglisi e dandogli un bacio, “ma tu sei prenotato maresciallo, finché lo vorrai almeno.”


“E allora sono proprio fuori mercato a vita,” ribatté, ricambiando il bacio, finendo per limonare come due ragazzini, attaccati al muro dell’appartamento.

 

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“Ed ecco qui, signò, tutto montato!”

 

Annuì, ispezionando ancora il lavoro fatto e dovendo ammettere che non era affatto male e l’appartamento iniziava finalmente a prendere forma.

 

“Va bene, vi ringrazio.”

 

Si congedò dai montatori e iniziò a sistemare e pulire il più grosso di quanto lasciato in giro.

 

E a quel punto suonò il campanello.

 

“Vi siete dimenticati qual-” esordì, ma poi si ritrovò davanti Calogiuri, con un sorriso e un paio di sporte in mano, “che ci fai qui?”

 

“Sono riuscito ad uscire un paio di ore prima, così ti posso dare una mano a pulire e magari inizio a montare qualcosa.”

 

“Tu sei matto, Calogiuri! E se ti hanno notato?”

 

“Ma no: ho saltato la pausa pranzo ed ero in giro, le mie ore le ho fatte. Dai, dottoressa, o vuoi farmi restare sulla porta per ore?”

 

“Va bene, va bene,” gli concesse con un sorriso.

 

E così iniziarono a pulire e Calogiuri era a volte perfino più veloce di lei. In questo sugli uomini aveva sempre avuto una gran fortuna, doveva ammetterlo.

 

E poi fu il turno di montare le lampade, che prima erano da assemblare, e risero come due scemi quando, a causa delle istruzioni poco chiare, una venne fuori come una specie di accrocchio inguardabile.

 

“Mi sa che è da rifare… anche se sembra quasi un’opera d’arte moderna.”

 

“Che hai visto in un museo con la Ferrari, per caso?” lo punzecchiò e lui, per tutta risposta, rise di nuovo e si sentì abbracciare stretta

 

“Lo sai che mi piace quando fai la gelosa? Ma a patto che non stai male, perché non ce n’è proprio motivo.”

 

“Sento di avere bisogno di qualche dimostrazione in più, maresciallo,” rispose con un sorriso, iniziando a slacciargli la camicia.

 

“Ma mo, qui?”

 

“Beh, dovremo ben inaugurare questa casa e testare la resistenza dei mobili nuovi, no? Da quale preferisci partire, maresciallo?”

 

“E perché scegliere, dottoressa?” le sussurrò malizioso, iniziando a baciarla già lì, sul pavimento.

 

Forse le giunture avrebbero protestato il giorno dopo, ma non se ne sarebbe mai lamentata.

 

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“E quindi pensi che questo caso sia collegato al maxiprocesso?”

 

“Temo proprio di sì. Non solo ma… chiamalo intuito, se vuoi, ma ho l’idea che ci potrebbe essere qualche collegamento anche con il caso Lombardi. Se ci pensi le modalità sono simili. Lombardi era stato trovato prono sul letto. L’unico motivo per cui è ancora vivo - se così si può dire - è che la sua segretaria l’ha trovato in tempo e ha chiamato i soccorsi. Bisogna analizzare innanzitutto le partite di coca, per vedere se sono compatibili, anche se ne dubito e poi-”

 

“Beh, sì, capisco, Imma. Lombardi è collegato al maxiprocesso. Alina è collegata al maxiprocesso da Oksana e Latronico. Per proprietà transitiva un collegamento tra i tre eventi ci potrebbe essere. Ma pensi che Alina fosse presente al famoso… festino di Lombardi.”

 

“Lo ripeto, è solo un’intuizione ma… magari sì.”


“Ma perché aspettare ora a farla fuori, se avesse visto qualcosa di scomodo all’epoca?” obiettò la Ferrari sebbene non con un tono scettico, più riflessivo.

 

“Non lo so… magari non osavano… magari ha minacciato solo ora di rivelare qualcosa…  magari…”


Magari l’hanno trovata solo ora… - le suggerì una voce, chissà da dove. Ricordava i lividi e le ecchimosi sulle braccia e come era scappata quella mattina. Ma sperava ancora di non doverlo rivelare a nessuno.

 

“Imma, io del tuo intuito mi fido, del resto mi basta vedere come hai condotto il maxiprocesso. Ma convincere Santoro a considerare questo elemento per le sue indagini lo vedo più complesso. Santoro ha un carattere… particolare, diciamo così…” commentò la pitbull e le bastò il tono per capire che anche lei non avesse gran stima del collega.

 

Le persone le sapeva valutare bene, la donna di fronte a lei, pure troppo, se si pensava a Calogiuri.

 

“Ma le indagini su Lombardi si sono del tutto arenate, nonostante gli abbia fornito tonnellate di prove. C’è pure ancora il presunto amante della signora Tantalo e un sacco di altri elementi. Non puoi occupartene anche tu? La Tantalo è coinvolta nel maxiprocesso.”

 

“E pensi che non ci abbia provato? Santoro è molto geloso delle sue indagini ma forse ora che siamo due contro uno… potremmo provare ad andare dal procuratore capo. Ma a Santoro non piacerà, ti avverto. Il caso Lombardi per lui è una manna dal cielo, come visibilità, lo avrai capito da sola, immagino.”

 

“Sì, immagini bene.”

 

“Va bene, allora se non c’è altro, se non ti dispiace io mi avvierei, che stasera ho un appuntamento e se no rischio di fare tardi,” proclamò la Ferrari con un sorriso ed un ruggito salì nel petto di Imma.

 

“Un appuntamento galante?” chiese, così, come se fosse per fare conversazione, tra donne.

 

“Non pensavo fossi il tipo che si interessa della vita privata dei colleghi,” commentò, con un mezzo sorriso che non capì del tutto, “ma no, vado a teatro con… amici. Amo molto il teatro, quando ero giovane ho fatto pure un corso, mentre andavo all’università. Aiuta in questo lavoro.”

 

Imma non seppe che pensare: da un lato la Ferrari aveva appena ammesso di essere capace di recitare, magari non di essere un’attrice superlativa, ma di sapere recitare sì. Dall’altro lato, per l’appunto, lo diceva senze problemi.

 

“Va bene, allora buona serata e buon divertimento con i tuoi amici!”

 

“Grazie, buona serata pure a te!” rispose, iniziando a preparare la valigetta.

 

La Ferrari era uno dei più grandi misteri che avesse mai incontrato nella sua carriera: da un lato la vedevano uguale su molte cose, era evidentemente intelligente e capace ed, in alcuni momenti, le faceva perfino quasi simpatia. D’altro canto detestava la sua vicinanza a Calogiuri e c’era qualcosa in quella sua gentilezza e disponibilità che le urtava il sistema nervoso e la metteva in allerta.

 

Sperava di scoprire quale fosse la vera Irene Ferrari, prima che potesse diventare potenzialmente pericolosa.

 

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“Allora? Com’era lo spettacolo?”

 

“Ma sei ancora sveglia? Ormai è mezzanotte passata!”

 

Aveva acceso la luce, mentre lui faceva pianissimo, per non farsi sentire.

 

“Non sono mica ottantenne, Calogiuri, e a mezzanotte passata ancora sono sveglia. Allora, com’era sto spettacolo?”


“Bello! Le attrici recitavano in mezzo al pubblico praticamente, molto suggestivo. Poi Irene è voluta andare a mangiare qualcosa con le amiche sue e allora… sono andato pure io, visto che non avevo ancora cenato. Ti avrei mandato un messaggio ma erano già le undici passate.”

 

“Non ti preoccupare, Calogiuri, ma la prossima volta avvisa lo stesso, che io tanto a quell’ora sono sveglia,” rispose, anche se una parte di lei sperava non ci fosse una volta successiva.

 

“Agli ordini, dottoressa!” proclamò, con un sorriso, prima di annunciare, “vado in bagno a sistemarmi e arrivo tra un minuto.”

 

“Dove pensi di andare, maresciallo?” lo bloccò, afferrandolo per il collo della camicia ed iniziando a mordicchiargli il lobo dell’orecchio.

 

“Imma… Imma.”

 

“In bagno ci puoi andare pure dopo,” gli soffiò nell’orecchio.

 

Lo buttò di peso sul letto, non perdendo tempo e mettendosi sopra di lui, iniziando a liberarlo dalla camicia con tanta forza da far saltare un paio di bottoni, Calogiuri che, per tutta risposta, la guardava in quel modo, come se fosse una dea. E poi lo sguardo gli si fece quasi animalesco ed iniziò pure lui ad usarle le mani e le sapeva usare molto, ma molto bene.

 

Qualcuna poteva pure fare My Fair Lady, ma lei avrebbe fatto 9 settimane e mezzo e contava di proseguire a farlo per ben più di un paio di mesi.

 

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“Direi che finalmente ci siamo!”

 

La famosa lampada era stata smontata e rimontata correttamente e Calogiuri aveva appena finito, non senza una certa apprensione da parte di Imma, di connetterla alla rete elettrica.

 

Imma stava montando una piccola libreria, che in teoria doveva essere semplice da assemblare. In pratica, ogni tanto Calogiuri interveniva e le dava una mano ma era una soddisfazione riuscire a fare quasi tutto da sola.

 

Ormai c’erano quasi: le lampade erano tutte installate, mancava giusto la libreria e poi da disporre tutti gli accessori e le suppellettili.

 

“Direi che per stasera avremmo finito. L’allaccio te lo fanno lunedì, giusto?” chiese per conferma e lei annuì.

 

“Sì, così da lunedì sera smetto di pagare per niente la pensione. Non ce l’avrei mai fatta a fare tutto così in fretta senza di te. Grazie mille, Calogiù!”

 

“Ma ti pare? L’ho fatto volentieri e lo sai… e poi mi piace lavorare con te, pure se si tratta di montare mobili.”

 

“Anche a me piace, Calogiuri,” ammise con un sorriso, la mente che tornava ad un giorno di un paio di anni prima, quando parlavano della ormai famosa Maria Luisa e del fatto che lui la trascurasse. E lui aveva ammesso che gli piaceva lavorare con lei. Ma la cosa più straordinaria era che pure lei aveva ricambiato. Si era data della cretina per un sacco di tempo successivamente, per quell’ammissione, seppure fosse la sola e unica verità. Ma lei al debole che aveva per Calogiuri non era mai stata molto capace di resistere.

 

Sentì la sua presenza alle sue spalle

 

Calogiuri si inginocchiò di fianco a lei ed iniziò a darle una mano e in due, come sempre, fecero molto più in fretta.

 

Sorridendosi, piazzarono la libreria - i libri li avrebbe dovuti acquistare mano a mano, perché i suoi li aveva dovuti lasciare a Matera - e Calogiuri la fissò al muro e poi cominciarono a piazzare i vari oggetti che avevano acquistato.

 

Quando Calogiuri piantò i chiodi per appendere il dittico della zebra venne ad entrambi da ridere.

 

“Mi prenderanno per matta, lo so, ma a me piace.”

 

“E allora prenderanno per matto pure me, perché ti dirò che l’effetto che fa non mi dispiace per niente. Rende l’ambiente più… più caldo.”

 

“Quello in realtà lo fai tu, Calogiù,” commentò, ammirandoselo con la t shirt bianca ed i pantaloni, leggermente sudato, che sembrava uscito da uno spot di una bevanda.

 

“Ah sì? Se è per quello pure tu…" rispose, mollando il martello e girandosi verso di lei, agguantandola per la vita e non mollandola mentre lei si dibatteva, per poi sussurrarle, baciandole la nuca, “ma posso fare di meglio.”

 

“Calogiuri!” urlò, sentendosi sollevare di peso e prendere in braccio.

 

“Sbaglio o il letto dobbiamo ancora inaugurarlo? Il materasso non lo abbiamo ancora testato!”

 

Era vero: due giorni prima erano finiti per fare l’amore tra il pavimento e il divano.

 

“E allora rimediamo a questa imperdonabile mancanza, maresciallo!” ironizzò, lasciandosi trasportare in camera.

 

Si sentiva maledettamente, tremendamente, schifosamente felice: talmente tanto che le faceva quasi paura.

 

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“Scusate ma, in base agli elementi che mi state fornendo, non capisco come possiate essere tanto sicure che il caso della dottoressa Tataranni sia collegato anche al mio.”

 

“Infatti gli elementi non li abbiamo, dottor Santoro, ma con le dovute analisi forse li potremmo avere.”


“Del tipo?”

 

“Comparazione della droga usata, verifica se le impronte di Alina siano sulla scena del crimine, o del malore, se preferisce, di Lombardi, domandare alla segretaria di Lombardi se per caso riconosce la ragazza, visto che era appostata fuori dall’appartamento.”


“E se vi concedessi di fare queste cose e il risultato fosse negativo, poi mi lascereste in pace tutte e due?” chiese Santoro, squadrando in cagnesco sia lei che la Ferrari, che stava al suo fianco.

 

“Poi resterebbe la pista della Tantalo e del suo amante, Santoro. Come sta procedendo con l’interpol? Lo sai che il maresciallo Calogiuri e la dottoressa avevano un’ipotesi che Lombardi e moglie avessero affari a Panama tramite Miami.”

 

“Lo so, ma l’interpol ha i suoi tempi e non si scomoda certo per un presunto affare di corna, visto che la relazione tra la Tantalo e il ragazzo è basata solo su testimonianze e-”


“Ma gli affari a Miami non lo sono, sono basati su biglietti aerei. Santoro, questo è l’unico punto oscuro che resta nel maxiprocesso, ti rendi conto che non ci stai facendo una bella figura, visto che è l’unico caso gestito da te?”

 

Imma guardò la Ferrari, sorpresa che fosse così diretta, lei che era sempre così diplomatica. Santoro, per tutta risposta, prima diventò paonazzo, poi sembrò incazzarsi, poi iniziò a elencare scuse tipo che, “non è colpa mia se magari non c’è un bel niente da scoprire!” e alla fine, dopo qualche altra scusa balbettata, quando la Ferrari gli intimò un, “e allora dimostracelo, o almeno dimostraci di aver fatto tutto il possibile! Se no chiederò al procuratore capo di assegnarlo a me il caso Lombardi, visto che ho pure il maxiprocesso!”, sporgendosi in avanti sulla scrivania, con uno sguardo mezzo omicida, concesse su tutta la linea.

 

Sia a lei di fare ciò che voleva riguardo ad Alina, sia sul sollecitare l’interpol.

 

Mo ho capito dove sta sto pitbull! - pensò tra sé e sé Imma, uscendo dalla stanza con la collega.

 

“Grazie ma… spero di non averti creato problemi.”

 

“Con Santoro? Con tutte le volte che ci siamo presi sotto, i problemi li dovrei avere da una vita. Fa tanto il borioso ma è solo perché è molto insicuro. Non mi mollerà mai il caso, salvo sia obbligato a farlo, e non vorrei arrivare a tanto, ma magari la minaccia sarà sufficiente. Io ora vado, che ho un’udienza nel pomeriggio.”

 

Era brava la Ferrari. Era brava davvero. E aveva carattere da vendere.

 

E, anche se finora non aveva fatto altro che aiutarla, la cosa non le piaceva per niente.

 

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“Dottoressa, allora, volete che vi accompagno in pensione? Già che ci siamo?”

 

Erano appena usciti dalla procura, dopo aver fatto un salto in obitorio, per il caso di Alina. La morte si confermava come un’overdose, ma i lividi, come sospettava anche lei, risalivano sia a poco prima della morte, sia a parecchio tempo prima. I segni sui polsi erano stati fatti qualche ora prima della morte. Ma se fosse stata legata per drogarla o per un gioco erotico o per entrambe le cose, chi poteva dirlo? Il tatuaggio, come temeva, non aveva dato risultati.

 

“Va bene, Calogiuri, ma non sto più in pensione, da stasera ho il mio appartamento,” gli disse, ad uso e consumo delle guardie che stavano appostate di vedetta, come se Calogiuri non lo sapesse.


“Ah, bene, dottoressa! Allora però mi dovete dare l’indirizzo,” rispose con un sorriso, con una nonchalance che aveva quasi del preoccupante, salendo sull’auto di servizio, mentre lei si piazzava al suo fianco.


“Sei diventato un po’ troppo bravo a dire le bugie, Calogiuri, mi devo preoccupare?” gli chiese, quando la vettura si fu avviata.


Calogiuri, per tutta risposta sorrise e disse un, “a te non ho mai mentito, Imma e non ho intenzione di farlo.”

“Tranne sui motivi del trasferimento!” gli ricordò e Calogiuri arrossì.


“E va beh… ma lì… lì lo sai perché l’ho fatto, no? Ma ti ho promesso che non ti avrei più mentito e ti garantisco che non lo farò più!”

 

“Sarà meglio per te… maresciallo!” gli intimò, dandogli un pizzicotto su un braccio e poi mettendo la mano sulla sua, sulla leva del cambio.

 

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“Alla tua nuova casa!”


“E a noi due!” aggiunse lei, facendo toccare i loro bicchieri e bevendo lo spumante.

 

Non poteva desiderare un party di inaugurazione migliore: erano da soli, dopo una cenetta che aveva cucinato velocemente lei con specialità di Matera, pure se gli ingredienti non erano gli stessi a Roma, e ora stavano quasi al dessert.

 

Che non era calorico e, anzi, faceva benissimo alla salute.

 

“Aspetta, ho qualcosa per te,” annunciò, aprendo la borsa ed estraendone un mazzo di chiavi nuovo, con un semplice portachiavi di pelle nero, lo stesso colore delle sue moleskine preferite, “per quando staremo da me. E poi… da noi.”

 

Calogiuri, per tutta, risposta, mollò il calice, le prese il viso tra le mani e la baciò teneramente, una mano che afferrava le chiavi dalla sua.

 

“Da noi… mi pare assurdo ancora anche solo dirlo.”

 

“Ma ben presto non sarà più assurdo, Calogiuri. E questa casa è mia quanto è tua, lo sai.”

 

“E… e mi pare che sia venuta proprio bene… che ne dici?” le chiese, guardandosi intorno, e lei gli sorrise: certo che era venuta bene, anzi benissimo.

 

Lo stile di lui e quello di lei non c’entravano niente l’uno con l’altro, almeno in linea teorica. Ma in pratica si combinavano alla perfezione, compensandosi. Un po’ come loro due nella vita di tutti i giorni.

 

“Sì, e poi pure la vista non è niente male…” commentò lei, guardando fuori dalla finestra al famoso cupolone illuminato.

 

“No, infatti, non è niente male,” si sentì sussurrare in un orecchio, e poi lui cominciò ad accarezzarla ovunque, da sopra l’abito che aveva indossato per l’occasione, mentre le baciava il collo.

 

“Calogiuri…” sussurrò, sentendo dita ancora fresche dal bicchiere di spumante gelato alzarle la gonna, le mani che correvano sulla pelle nuda.

 

Non solo sembrava non bastargli mai - non che per lei non fosse lo stesso - ma col passare del tempo diventava più audace, più sicuro di cosa poteva o non poteva osare.

 

E a lei questo faceva impazzire.

 

“Direi che non è il caso che diamo spettacolo alla finestra, che dici, Calogiù?”

 

“Che dovremo comprare anche le tende, dottoressa,” rispose, prima di trascinarla con sé, fino a sollevarla sulla tavola, per fortuna già mezza vuota.

 

“In effetti questo tavolo ci mancava ancora di inaugurarlo, Calogiuri!” lo schernì, fino a che lui, con un bacio esigente, le tappò la bocca.

 

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“Direi che è stata una festa d’inaugurazione memorabile…”

 

Lo guardò e lo vide sorridere soddisfatto, ma allo stesso tempo un poco imbarazzato: avevano veramente inaugurato la casa, in tutti i sensi. Erano quasi le due di notte ma, ogni volta che avevano smesso, la passione in qualche modo si riaccendeva e ricominciavano da capo, da qualche altra parte.

 

“Faccio ancora fatica a crederlo… che questa tra pochi mesi sarà casa nostra… e potremo stare così tutte le notti…” lo sentì sussurrare dopo un po’.

 

“Magari non faremo proprio queste maratone tutte le notti, se no la mattina come ci arriviamo al lavoro? Non che mi lamenti eh, anzi,” ironizzò, stampandogli un bacio su una guancia, la lieve barba della sera che iniziava a farsi sentire, “ma devi crederci perché manca poco ormai, anche se lo diciamo da mesi.”

 

“Lo so…” sussurrò lui, baciandola di nuovo. E poi la sua espressione cambiò e le disse, “aspetta un secondo.”

 

Sorpresa, lo vide alzarsi dal letto ed allontanarsi - roba che tra un po’ le veniva voglia dell’ennesima replica alla sola visione - e poi lo vide avvicinarsi a lei, con un pacchettino in mano.

 

“Regalo per la casa nuova,” le spiegò e Imma aprì, incuriosita, e ci trovò una cornice, di quelle digitali.

 

“Così, quando potrai esporla, ci metteremo tutte le nostre foto insieme, oltre alle altre foto che vorrai. Per intanto c’è quella al Pincio,” le spiegò, accendendola, e vide le foto scattate dai gentilissimi turisti giapponesi.


“Come si aggiungono altre foto?”

 

“Bisogna caricarle con un cavetto USB dal cellulare o da chiavetta ma… ma al momento non ne abbiamo altre.”

 

“In realtà sì…” confessò, sentendosi un poco in imbarazzo e, prendendo il cellulare, fece scorrere la galleria fino ad arrivare al famoso selfie di loro due al ponte dei santi.

 

“Ma veramente lo hai conservato?” le chiese, incredulo, con un tono commosso e gli occhi che gli si fecero lucidi.

 

“Non sai quante volte l’ho guardato nei mesi nei quali… nei quali io ero a Matera e tu a Roma… non lo avrei mai buttato, Calogiù, pure se sembriamo due deficienti,” rise, stampandogli un bacio e lui, per tutta risposta, la strinse in un abbraccio fortissimo.

 

Imma…” le sussurrò, in quel modo che le dava i brividi, “ti amo.”

 

“Anche io, Calogiù, ti amo da morire.”

 

E si sentì stringere ancora di più, forse perché stavano pensando entrambi la stessa cosa: che l’uno per l’altra quasi erano morti sul serio.

 

E Imma lo avrebbe rifatto ancora mille volte, senza esitazioni.

 

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“Calogiuri, allora controllami anche le persone su questa lista. Movimenti bancari, telefonici, il solito.”

 

Annuì e prese il foglio. Stavano indagando su una rapina finita male ed al momento erano appena all’inizio delle indagini.

 

“C’è altro, dottoressa? Se no io andrei che mi aspetta la dottoressa Tataranni per il caso di Alina.”

 

“No, cioè… sì, Calogiuri, aspetta!” lo bloccò, non appena stava per tirarsi in piedi e si rimise seduto.

 

“Ascoltami… non sono affari miei e qui in procura sono peggio delle comari e lo sappiamo tutti. E immagino tu conosca le voci che girano su te e me, no?” gli chiese e Calogiuri si sentì avvampare.

 

“Cioè… avevo sentito qualcosa ma… se vi dà fastidio, io-”

 

“No, Calogiuri, a me da qui entrano e da qui escono, non è un problema. Però… ho sentito che cominciano a commentare anche su come… su come accompagni spesso tu a casa, o in albergo, o dovunque stia a dormire, la dottoressa Tataranni. Su come passate molto tempo insieme. E quindi iniziano a parlare pure di voi. Ora, a me non è che dispiaccia se l’argomento del giorno per una volta non sono io, ma… insomma… volevo avvisarti di farci attenzione. Tutto qui.”

 

“Dottoressa… io…” balbettò, andando in panico e sperando che non gli chiedesse il perché la accompagnasse sempre lei.

 

“Non mi dire niente, era solo un’informazione, Calogiuri. Buon lavoro con la dottoressa!” proclamò, sembrandogli leggere nel pensiero, in quel modo che un po’ lo inquietava.

 

Ma si congedò e si affrettò ad andare nell’ufficio di Imma.

 

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“Allora, Calogiù, direi che per oggi abbiamo finito. Sull’appartamento di Alina non scopriremo altro: purtroppo i documenti forniti a chi affittava sono fasulli e su internet i controlli sono relativi. Non ci resta che attendere i risultati della scientifica. Certo, se Oksana avesse saputo il cognome di Alina sarebbe stato più semplice e purtroppo essendo immigrata clandestinamente le sue impronte non sono schedate. Ma, se riusciamo a collegare i tre casi, sono certa che arriveremo da qualche parte, Calogiù, me lo sento proprio.”

 

“Il dottor Santoro ha chiesto a Mariani di prepararvi il dossier su quanto scoperto dalla scientifica nell’appartamento di Lombardi e di far confrontare le impronte di Alina con le centinaia trovate in quell’appartamento. Secondo me avremo notizie a breve, se in qualche modo c’è qualche coincidenza e-”

 

Proprio in quel momento, bussarono alla porta.

 

Lupus in fabula.

 

“Mariani, buonasera, mi dica,” la esortò, invitandola con un gesto della mano a sedersi accanto a Calogiuri e la ragazza lo fece.

 

“Buone notizie, dottoressa! Aveva ragione lei: le impronte di Alina corrispondono a delle impronte trovate nell’appartamento dove si è sentito male Lombardi. E non indovinerà mai dove.”

 

“Nella stanza da letto di Lombardi?” chiese, con un sorriso, anche se ne era praticamente certa.

 

“Esattamente dottoressa. Erano vicine al letto, sul comodino, ora confronteremo anche il DNA della ragazza con quelli rinvenuti nel letto, ma ci vorrà un po’ di più, perché la scientifica deve ancora finire con l’analisi.”

 

“Perfetto, Mariani, perfetto! Non poteva darmi notizia, migliore, grazie!”

 

“Ma si figuri, dottoressa, piacere mio! Allora io andrei! Posso solo chiedere una cosa personale al maresciallo, che poi almeno vado a casa?”


“Certo, faccia pure.”

 

“Allora, per dopodomani sera ci sei? Ormai non ti si vede praticamente più!”

 

Calogiuri lanciò per un attimo un’occhiata a Imma che dissimulò la sua vera risposta con un, “Calogiuri, non hai mica bisogno del mio permesso per risponderle. E poi su, vai e divertiti, alla tua età! Che fate di bello, Mariani, se posso chiedere?”

 

“Ah, niente, un’uscita al solito pub. Ma dovrebbe suonarci una band niente male.”

 

“D’accordo, d’accordo,” acconsentì Calogiuri, avendo colto quanto voleva dirgli Imma.

 

“Bene, Mariani, allora buona serata a lei e divertitevi dopodomani!”

 

“Grazie, dottoressa!” sorrise la biondina, congedandosi in fretta.


“Grazie…” sussurrò Calogiuri, non appena furono soli.

 

“Non mi devi ringraziare. Tu ti devi fare la tua vita sociale, te l’ho sempre detto.”


“E tu? Perché non cerchi di fare amicizie?” ribatté, con uno sguardo per la serie - predichi bene e poi razzoli male.

 

“Perché col mio carattere fatico a fare amicizia, Calogiuri. E poi dove le trovo? Ma se le troverò, ci uscirò, promesso.”

 

“Va bene…” sorrise lui, scuotendo il capo e facendo per alzarsi.

 

“Andiamo a casa mia allora, Calogiuri?” gli chiese, alzandosi a sua volta.

 

“No, cioè sì… però… forse è meglio che non ti accompagni io. Ho sentito voci su noi due e sul fatto che torni sempre a casa con me. Ti va bene se ci vediamo là? Tanto a piedi ci arrivi, giusto?”

 

Imma si sorprese, perché lei non aveva ancora sentito nulla, se non voci su Calogiuri e la Ferrari che l’avevano fatta ingelosire non poco, ma sospirò, comprendendo che fosse la cosa più prudente.

 

“D’accordo, Calogiuri, allora ci vediamo a casa. Stasera sei di turno tu a cucinare,” gli ricordò, scherzosamente.


Agli ordini, dottoressa,” replicò, facendole l’occhiolino e sparendo oltre la porta.

 

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Stavano mangiando un’ottima arrabbiata, quando il telefono di Imma prese a squillare con la suoneria delle emergenze.

Valentina.

 

Da quando era andata a vivere a Roma, si erano viste giusto una volta, su sua insistenza peraltro. Valentina sembrava nuovamente un po’ risentita con lei per la decisione del trasferimento.

 

“Pronto, Valentì, tutto bene? Ma è successo qualcosa?” chiese, in ansia, visto quanto poco sua figlia la chiamava.

 

“Tranquilla mamma, tutto bene. Ascolta una cosa… una delle mie compagne di corso al corso di diritto privato fa giurisprudenza e… lei ha pure penale e tutti quegli esami lì, come puoi immaginare. Dovrebbe fare una ricerca per diritto penale, su un caso, soprattutto su tutta la fase processuale e, se possibile, andare in procura e fare qualche domanda a chi se ne occupa, sia per la documentazione, sia al pubblico ministero. E sa che sei un magistrato quindi…”


“Ma questa è un’amica tua, Valentì?” le chiese, un mal di testa che già cominciava a salirle: detestava gli studenti di giurisprudenza e le gran perdite di tempo che comportavano con le loro ricerche.


“Beh, diciamo che è una delle ragazze con cui passo più tempo, mà,” rispose ed Imma sospirò, perchè che altro poteva fare?

 

Valentina già aveva poche amiche e lei non era certo in ottimi rapporti con la figlia al momento. Per una volta che le chiedeva una mano, non poteva dirle di no.


“Va bene, dille pure di venire, quando pensate di passare?”

 

“Venerdì mattina per te va bene?”

 

“Ok, Valenti, a venerdì allora. Tu come stai?”

 

“Io sto bene mà, te l’ho già detto. Buona serata!”

 

“Tutto a posto?” chiese Calogiuri, sorseggiando un goccio di vino, probabilmente vedendo l’espressione di lei.

 

“Sì, a parte il fatto che venerdì Valentina verrà in procura, direi tutto bene!”

 

“Ma che problema c’è se viene in procura?”

 

“Nessuno, ovviamente, se non che potrebbe vederti e capire tutto.”

 

“Ma manco si ricorderà di me, mi ha visto due volte. E comunque eviterò il tuo ufficio venerdì mattina allora.”

 

“Grazie, Calogiù!” esclamò, abbracciandolo forte, “lo sai perché… insomma… spero che tu capisca perché non glielo voglio ancora dire.”

 

“Lo capisco, Imma, lo capisco. Ma tra qualche mese lo diremo a tutti, vero?” le chiese, guardandola dritto negli occhi.

 

“E certo che sì! Ma che pensi che pure a me non pesi dover fare tutte ste pantomime per non far capire che praticamente già viviamo insieme?”

 

E non mi pesi che tutte credano che tu sei single e disponibile? - pensò ma non lo disse, l’immagine di una certa PM che le apparve davanti agli occhi più nitida di tutte le altre.

 

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“Scusi, abbiamo appuntamento con la dottoressa Tataranni, sono la figlia.”

 

La guardia all’ingresso squadrò lei e Laura, la sua amica, per qualche istante, prima di fare loro cenno di passare.

 

Non una parola di più.

 

E mo dove la trovo mamma? - si chiese Valentina, guardandosi intorno, spaesata in quell’edificio talmente grande.

 

Aveva già afferrato il cellulare e stava per telefonare, quando le passò davanti un ragazzo, carico di fascicoli, evidentemente uno che lavorava lì e dall’aria stranamente familiare.

 

“Mi scusi!” lo chiamò e lo vide voltarsi, sorpreso, tanto che i fascicoli traballarono e li riprese all’ultimo secondo, praticamente al volo.

 

“Mi scusi, cercavo lo studio della dottoressa Tataranni. Ho, anzi, abbiamo un appuntamento con lei: è mia madre,” chiarì e vide che l’espressione gli divenne strana, anche se non avrebbe saputo definire come.

 

C’era qualcosa di terribilmente familiare in lui, più lo vedeva e più ne era convinta.

 

“Se cercate la dottoressa Tataranni, è al piano di sopra, vi posso accompagnare e-”

 

“Ma noi non ci siamo già visti?” chiese, di botto, il voi che le riportava a galla una memoria, “ma lei non è… il maresciallo, quello che stava a Matera? Quando mamma si è fatta male al ginocchio!”

 

Lo vide spalancare ancora di più gli occhi, “beh… sì, sì… lavoravo a Matera prima. Ma è quasi un anno che mi sono trasferito qui a Roma.”

 

A Valentina venne da ridere per la timidezza di lui, che le faceva sinceramente un po’ di tenerezza: era imbarazzatissimo e, seppure fosse più grande di lei, questo lo faceva sembrare giovanissimo.

 

“Insomma… ti è andata male come a me. Anche tu pensavi di essere riuscito a liberarti di lei e invece te la sei ritrovata pure qua!” ironizzò e anche lui rise, seppure in modo più nervoso, “mi puoi accompagnare da-”


“Calogiuri!”

 

La voce di sua madre la raggiunse, da davanti a lei. Il maresciallo si voltò e lei si spostò di lato e la vide. Come la notò, sua madre si bloccò sui suoi passi, sembrando sorpresa e stranamente agitata.

 

“Valentì, ma non dovevi venire tra un’ora?” le chiese, avvicinandosi.


“Eh, alla fine abbiamo fatto prima. Stavo giusto chiedendo al maresciallo qui dove fosse il tuo ufficio.”

 

“Va beh… visto che vi siete ritrovate, io andrei che devo rimettere a posto questi fascicoli. Buona giornata ed è stato un piacere rivedervi,” disse il maresciallo, levendosi da lì a grande rapidità.

 

“Ma è sempre così timido?” chiese a sua madre, che continuava con quell’espressione strana.


“Abbastanza,” rispose con un sospiro, prima di rivolgersi alla sua amica con un, “tu devi essere Laura, immagino?”


“Come? Ah, sì, sì,” rispose lei, fissando ancora il punto in cui Calogiuri se ne era andato.


Conoscendo l’amica, il carabiniere doveva piacerle e parecchio. In effetti, imbranataggine a parte, era proprio un bel ragazzo.

 

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“Grazie, dottoressa, sono sicura che con tutte le informazioni che mi ha dato la ricerca verrà benissimo.”


“Bene,” rispose sua madre, con l’aria di chi voleva solo levarsela di torno e Valentina decise di non tentare oltre la sorte.

 

“D’accordo, noi ora andiamo.”

 

“Valentina, ascolta, ci verresti a cena da me una di queste sere?” le chiese improvvisamente sua madre.

 

Valentina era ancora un po’ irritata per la storia del trasferimento, anche se dall’altro lato era toccata dal fatto che sua madre si fosse spinta a tal punto per starle più vicino.

 

Sapeva di non poterla evitare per sempre e poi quel weekend avrebbero dovuto stare insieme, in teoria.

 

“Va bene, mà, vengo domani sera se vuoi. Tanto Samuel ha da lavorare.”

 

Tanto per cambiare, si vedevano sempre pochissimo.

 

“Perfetto. A domani sera allora! E ciao pure a te Laura!”

 

E sua madre richiuse la porta dell’ufficio.

 

Si riavviarono verso l’uscita quando intravidero di nuovo il maresciallo. Laura si bloccò di colpo.

 

“Che dici se faccio un paio di domande anche a lui? Collabora con tua madre, no?”

 

“Beh sì, ma… perché vuoi parlare pure con lui? Non hai già abbastanza materiale?”

 

“Ma come perché, Valentina? Ma l’hai visto bene? Non so se mi spiego… per una volta che c’ho una scusa buona!” proclamò Laura, guardandosi il carabiniere con occhi trasognati.


“Va beh… va beh… fà come vuoi. In caso io faccio finta di non conoscerti,” proclamò, ironica, vedendola avviarsi di corsa verso il maresciallo, che sembrò sorpreso e quasi spaventato a vederle.


“Sì?”

 

“Volevo farle delle domande su un caso che ha seguito con la dottoressa Tataranni. Per l’università. Ha due minuti da dedicarmi?”

 

Calogiuri alternò lo sguardo tra loro due e poi annuì con un sorriso, “va bene, ma non più di quindici minuti che poi ho un appuntamento di lavoro e non posso tardare.”

 

“D’accordo, grazie mille!” proclamò Laura, afferrandoselo per un braccio e facendolo accomodare sulle sedie nel corridoio.

 

Era in imbarazzo lei per l’amica, ma non disse niente e si sedette accanto a loro.

 

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“Calogiù, sei sicuro che non ti dispiaccia? Comunque quando Valentina se ne va ti mando un messaggio, così hai il via libera per rientrare. Sempre che non voglia restare qui stasera, ma non credo, in caso ti avviso.”

 

“Tranquilla, lo so che tua figlia è più importante e sono contento che si sia decisa a venire a cena da te. Io ne approfitto ed esco con Mariani e Conti, così non mi daranno il tormento anche in settimana e possiamo starcene soli io e te.”

 

“Va bene, maresciallo! Ma fai il bravo, mi raccomando! E bevi poco!” gli intimò, ironica, ma con una punta di reale avvertimento.

 

“Guarda, sono mesi che l’alcol l’ho bevuto praticamente solo con te. E comunque… sapendo quello che so mo, potrei essere pure ubriaco fradicio ma non rifarei lo stesso errore. Mi credi?”

 

Il modo in cui glielo sussurrò nella cornetta, quasi disperato, che sembrava un bambino bisognoso di conferme, le sciolse il cuore manco fosse fatto di burro.

 

“Diciamo che ti credo fino a prova contraria, maresciallo. Quindi, ti ripeto, occhio a te!” ribadì e questa volta era veramente ironica.

 

Del resto, aveva passato mesi ad esserle fedele quando avevano una relazione clandestina e basta e pure a Roma non si era rifatto una vita, nonostante tutte quelle che gli ronzavano intorno.


“Va bene. Allora aspetto un tuo messaggio! A dopo!”

 

“A dopo, Calogiù!”

 

Fece in tempo a mettere giù e dare un’ultima girata al sugo alla poverella, il preferito di Valentina - anche se i funghi cardoncelli li aveva dovuti sostituire, non essendoci lì a Roma - quando il campanello squillò.

 

Si levò il grembiule e si guardò di nuovo in giro per accertarsi che tutte le tracce visibili di Calogiuri fossero sparite - aveva già fatto un’accurata rimozione in bagno e in camera da letto - ed andò ad aprire la porta.

 

“Valentì!” la accolse con un abbraccio e Valentina si irrigidì per un attimo ma poi si fece abbracciare e ricambiò la stretta.


“Ti ho portato il dolce, una torta di frutta,” proclamò Valentina, porgendole un pacchetto, “l’ha fatta Samuel che si sta esercitando sulla pasticceria.”

 

“E bravo Samuel!” commentò con un sorriso, “vieni, Valentì, vieni, accomodati. Vuoi fare il giro della casa magari?”

 

Valentina rimase per un attimo in silenzio, poi si guardò intorno, poi la guardò, poi osservò di nuovo la stanza, poi rimase in silenzio.

 

“Che c’è?”

 

“Ma i mobili li hai scelti tu o ti ha aiutata qualcuno? Perché sono stranamente… di buon gusto e… moderni… per essere stati scelti da te!” commentò, sarcastica, guardandola in un modo che per un attimo le fece venire un colpo.

 

“Diciamo che mi sono fatta consigliare. Sai che non c’ho tempo, Valentì, e io ho scelto più gli accessori.”

 

“Si vede!” sollevò gli occhi Valentina, indicando il famoso dittico della zebra e i cuscini leopardati.

 

“E va beh… dai… qualche stravaganza concedimela. Insomma, ti va bene o no che io sia stravagante?”

 

“Tanto non ci devo vivere io qui!” commentò Valentina, per poi aggiungere, "comunque un giro al resto della casa lo faccio volentieri, di sicuro hai una vista bellissima: te la invidio! Ma come hai fatto?”

 

“Un colpo di fortuna, Valentì, un colpo di fortuna!” commentò con un sorriso, come del resto era stato quasi tutto in quei mesi.

 

E così fecero il giro di casa e Valentina alla fine commentò con un, “devo dire che è molto meno peggio di come me l’aspettassi. Non mi dispiace.”

 

Che, detto da lei, era un enorme complimento.

 

“Se ogni tanto vuoi restare a dormire, qui il posto c’è ovviamente. E il divano è un divano letto, se servisse,” le chiarì, non seppe nemmeno bene lei il perché.

 

“Perché? Vuoi che inviti altre due mie amiche e facciamo un pigiama party in quattro, come quando avevo dodici anni?” ironizzò Valentina, ma non commentò oltre.

 

Imma buttò la pasta e, dopo il tempo canonico, si misero a tavola.

 

“Allora, com’è? Mo che sei abituata con un quasi chef!”

 

“Eh, ma il quasi chef per me non cucina mai, che non ha tempo…” sospirò Valentina e Imma si rese conto che era l’ennesimo sospiro quando si parlava di Samuel, “comunque niente male, anche se coi funghi cardoncelli è un’altra cosa.”

 

“Lo so, Valentì, ma qui ci dobbiamo accontentare,” rispose con un sorriso, “ne vuoi ancora?”

 

“No, grazie, che poi c’è anche il dolce,” rispose Valentina, che come sempre cucinava assai ma mangiava come un uccellino.

 

“Va bene…”

 

Portò in tavola la torta e la tagliò, servendone una fetta ciascuno.

 

“Molto buona, Valentì, fai i complimenti a Samuel!” disse con un sorriso e Valentina, per tutta risposta, fece un altro sospiro ed annuì.

 

“Le cose con Samuel non vanno bene?” chiese e si rese immediatamente conto, dall’espressione di Valentina, di avere appena pestato una mina.

 

“Scusa, scusa, se non ne vuoi parlare non ti chiedo altro,” alzò le mani e stavolta Valentina la fissò sì, ma stupefatta.

 

“Chi sei tu e cosa hai fatto di mia madre?”

 

“Ma niente, Valentì, è che ho capito che è inutile forzare le persone a parlare, almeno nella vita privata. E poi sei grande ormai. Ma se avrai voglia di confidarti o bisogno di qualcosa, io ci sono, va bene?”

 

“Va bene…” sospirò Valentina, addentando un altro pezzo di torta.

 

Mangiarono per un po’ in silenzio, finché Valentina non sollevò gli occhi verso di lei e sganciò la bomba.

 

“Mamma… quel maresciallo che lavora per te… quello che c’era pure a Matera… com’è che si chiama?”

 

Imma sentì già lo stomaco che diventava una lavatrice, la torta e i funghi che si mischiavano in una poltiglia disgustosa.

 

“Calogiuri?” domandò, il fiato in gola, un pezzo di torta ancora in bocca.

 

“Ecco, sì, Calogiuri, che poi immagino non sia il suo nome. Comunque…” fece un attimo di pausa e poi domandò, sembrando in tremendo imbarazzo, “sai se è impegnato? Insomma, se c’ha già qualcuna?”

 

Imma per poco non si soffocò con il boccone, che le andò completamente di traverso, iniziando a tossire come una disperata.

 

“Mà, ehi mà, tutto bene?” le chiese, preoccupata, alzandosi e dandole dei colpi sulla schiena, finché Imma finalmente tornò a respirare.

 

“S- sì, p- più o meno,” esalò, a fatica, gli occhi pieni di lacrime, la gola che bruciava per lo sforzo e una morsa nel petto che nulla aveva a che fare col mezzo soffocamento.

 

Si asciugò gli occhi e bevve un sorso d’acqua, per poi annuire che andava bene.

 

“E allora?” chiese Valentina.

 

“E allora cosa?”


“Il maresciallo, è impegnato o no?” ribadì e ad Imma prese il panico. Non era gelosia, era proprio panico.


Se a Valentina piaceva Calogiuri - dio santo, non ci poteva nemmeno pensare!

 

“Valentì, va bene che le cose con Samuel va beh… vanno come non vuoi dirmi che vadano, ma da lì al maresciallo, io credo che-”

 

“Ma che hai capito, mà! Mica è per me, no! Che per carità, bello è bello, ma è talmente imbarazzato e imbranato che mi pare un quindicenne!” commentò Valentina, sarcastica, ed Imma si dovette mordere la lingua dal difendere Calogiuri.

 

Del resto, non poteva certo spiegarle perché Calogiuri, soprattutto con lei, fosse così tanto in imbarazzo, mentre con il resto dell’umanità era ormai decisamente più sicuro di sé.

 

“E allora per chi è?”

 

“Per la mia amica Laura: da quando l’ha visto è rimasta come folgorata! Continua a parlarmi di lui e insomma… mi ha chiesto di chiedere informazioni in giro. Non lo avrei fatto, ma se no continuerà a tormentarmi finché non le dico qualcosa e-”

 

“Ho capito, ho capito, Valentì,” la interruppe, con un sospiro, un macigno sul petto.


“E allora? Sai se è impegnato o no?”

 

Imma sapeva di essere ad un bivio. Ad uno di quei bivi che la vita ti pone davanti a volte, inaspettatamente.

 

Poteva dire di sì, poteva dire di no, poteva fingere di non saperne nulla. Ma la verità era che il colpo che le aveva fatto prendere la sola ipotesi che a Valentina piacesse Calogiuri l’aveva fatta riflettere.

 

Non solo su quanto fosse pericoloso che Valentina non sapesse di loro due, potenzialmente - oggettivamente l’età per invaghirsi di Calogiuri ce l’aveva più Valentina di lei - ma sul fatto che, se avesse mentito in quel momento, che sarebbe successo da lì a qualche mese, quando lei e Calogiuri sarebbero usciti allo scoperto?

 

Valentina si sarebbe sentita ancora di più presa per il culo.

 

E, anche se temeva il polverone che avrebbe suscitato Valentina, anche se temeva da morire di perderla, mentirle guardandola negli occhi no, quello non lo poteva fare. Un’omissione ci poteva stare, ma una bugia - dalle gambe così corte, oltretutto - no.

 

“Sì, è impegnato, con me,” rispose, in quello che era poco più di un sussurro, ma la voce più di così non le veniva fuori.

 

Valentina, per tutta risposta, aggrottò la fronte con uno sguardo interrogativo.

 

“Come cosa?”

 

“Eh?”


“Hai detto che è impegnato come… come che?” chiese di nuovo Valentina.

 

“Non come. Con me,” ripeté, stavolta scandendo bene.


Valentina strabuzzò gli occhi e poi scoppiò a ridere.

 

Imma rimase paralizzata, di stucco: o era una risata isterica o non sapeva che pensare. Di tutte le reazioni che avrebbe potuto avere Valentina non si aspettava quella.

 

“Sì, certo!” esclamò poi Valentina, tra le risate, “e io sono impegnata con Chris Hemsworth. Dai, seriamente, con chi è impegnato, se è impegnato?”

 

Imma si sentì come se le avessero appena mollato due ceffoni in pieno viso. Non si era sentita mai tanto umiliata in vita sua, mai, nemmeno da quella cretina della commessa. Per sua figlia il fatto che Calogiuri si interessasse a sua madre era probabile quanto il fatto che un bonazzo di Hollywood, di cui aveva il poster in camera da ragazzina, si interessasse a lei.

 

Le spuntarono le lacrime agli occhi, senza riuscire a trattenerle.

 

E fu allora che Valentina smise di sorridere, il suo sguardò che mutò prima verso l’incredulità, lo shock e poi verso la rabbia.

 

“Mamma, stai scherzando, vero?! Dimmi che stai scherzando!” le chiese, tirandosi in piedi ed alzando sempre di più la voce.

 

Imma scosse il capo, le lacrime che le rigavano le guance, la voce che se ne era andata del tutto.

 

“Ma sei scema?! Ti sei bevuta del tutto il cervello?! Ma non ci posso credere, mamma! Quanti anni avrà quel… quel… non c’avrà nemmeno trent’anni!” gridò Valentina, completamente fuori di sé.

 

“Valentì, calmati, ascoltami, non è come pensi tu, è che-”

 

Valentina si fermò, di botto, a pochi passi da lei, come colta da un’illuminazione, mentre un’espressione di disprezzo che non le aveva mai visto prima le si fece largo sul viso.

 

“Ma certo. Lui c’era già a Matera!” sibilò, con un tono quasi calmo, basso ma gelido, “da quanto va avanti tra voi, eh?!”


“Valentina, non è come credi tu, è che-”

 

“Ah, no?! Vuoi dirmi che magicamente tra voi è cominciata dopo che tu ti sei lasciata con papà, qui a Roma??!! Ma che pensi, che sono nata ieri??!!” gridò, incazzata come veramente non l’aveva mai sentita, nemmeno quando le aveva annunciato la separazione.

 

Poi si bloccò di nuovo, realizzando un’altra cosa. 

 

“Ecco perché sei venuta a trovarmi a Roma! Ecco perché ti sei trasferita qui!! Mica per me, no, per lui!! A fare la… la madre eroica, mentre invece a te non è mai fregato niente di me, o di papà, a te è sempre fregato solo di te stessa!”

 

“Valentina, non è così! Tu sei la persona più importante della mia vita. Io mi sono trasferita qui anche per recuperare il rapporto con te e-” 

 

“E te lo puoi scordare! Mi fai schifo!! Schifo, hai capito??!” urlò talmente forte che quasi le si ruppe la voce, gli occhi praticamente fuori dalle orbite, “hai distrutto papà e la nostra famiglia per due scopate con un cazzo di toyboy!”

 

Lo schiaffo le partì prima che lo potesse trattenere e se ne pentì all’istante, ma ormai quello che era fatto era fatto.

 

Rimasero per qualche attimo così, il tempo che sembrò dilatarsi all’infinito: Imma con la mano alzata a pochi centimetri dal viso di Valentina e la ragazza che si teneva la guancia.

 

“Ti odio! Hai capito?! Ti odio e non ti voglio più vedere!!” gridò Valentina, in lacrime, afferrando il cappotto dal divano e scappando fuori dall’appartamento senza nemmeno infilarselo.

 

Imma rimase per un istante paralizzata e poi si accasciò sulla sedia, che per poco non mancò e non cascò per terra.

 

Le lacrime uscirono a fiumi, senza poterle trattenere: aveva sbagliato tutto, tutto quanto e Valentina non glielo avrebbe davvero mai perdonato questa volta.

 

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“Ippazio, tutto bene? Mi sembri distratto stasera!”

 

“Sì, Mariani, non ti preoccupare,” le urlò, sopra la musica assordante del pub.

 

La verità era che ormai era quasi mezzanotte e non aveva ricevuto alcun messaggio da Imma. Magari la cena stava andando benissimo e Valentina aveva deciso di fermarsi lì a dormire, ma Imma gli aveva garantito che lo avrebbe avvertito in ogni caso, in modo che si potesse regolare. E invece niente.

 

Tutto ok? Dove dormo stanotte? Ti penso.

 

Voleva scrivere ti amo, ma gli sembrava banalizzarlo scriverlo per messaggio, dopo tutta la fatica fatta per poterselo dire a voce. Non voleva diventasse un’abitudine, di quelle cose che si dicono e si scrivono in automatico, ma che ogni volta avesse il senso che si meritava di avere.

 

Aspetto cinque, dieci, quindici minuti ma niente. L’ultimo accesso era di ore prima. Strano, molto strano: Imma col suo cellulare era un mezzo avvoltoio, stava sempre in allerta, in caso arrivassero messaggi di lavoro.

 

Una telefonata a quell’ora, se ci fosse stata sua figlia presente, non poteva farla, ma iniziava seriamente a preoccuparsi.

 

Alla fine decise di fregarsene e chiamare, al massimo avrebbe inventato su due piedi di un cadavere ritrovato.


Uscì e telefonò ma niente, il telefonino continuava a squillare a vuoto e lui stava seriamente iniziando a preoccuparsi.

 

“Tutto bene?” ripeté Mariani, che lo aveva seguito dopo un po’.

 

“Sì, ma devo andare, salutami tu gli altri,” rispose, prendendo le chiavi del motorino e montando in sella.


C’era una specie di istinto che gli diceva che qualcosa non andava.

 

Arrivò sotto l’appartamento e vide che le luci del salotto erano ancora accese. Provò a suonare al campanello esterno ma nessuno rispose.

 

Allora estrasse il mazzo di chiavi e salì. Provò di nuovo a suonare anche al secondo campanello ma niente. Con un sospiro, usò il mazzo di chiavi ed entrò, facendo meno rumore possibile.

 

E fu allora che la vide: accasciata sulla sedia, vicino al tavolino, con una specie di sguardo catatonico, il viso rigato da lacrime ormai asciutte.

 

“Imma, Imma che è successo?!” le domandò, preoccupatissimo, precipitandosi al suo fianco ed inginocchiandosi davanti a lei, “che succede?! Parlami, dì qualcosa!”


E lei, per tutta risposta, gli gettò le braccia al collo ed iniziò a piangere e a singhiozzare disperatamente, quel corpo esile che tremava contro al suo.

 

Continuò a stringerla e ad accarezzarle viso e capelli, anche se si stava realmente allarmando.


“Imma… ti prego, dimmi qualcosa, qualsiasi cosa…”

 

“Mi odia, Calogiù, mi odia!” urlò, all’improvviso, alzando il viso per pochi secondi dal suo petto, gli occhi iniettati di sangue, per poi tornare a riabbassarlo e a piangere disperatamente, “mi… mi ha detto che non vuole più vedermi, mai più. Mi odia, mi odia, è finita!”

 

Cercò di farla tranquillizzare ancora un attimo, stringendola più forte che poteva: ormai era seduta in braccio a lui sul pavimento, finché sentì che i respiri un attimo si calmarono.


“Ma… ma com’è successo?” le chiese infine, perché non capiva: con Valentina finalmente le cose stavano andando meglio.

 

“Le ho… le ho detto di noi due,” sussurrò e per Calogiuri fu come una stilettata dritta al cuore.

 

Era da tantissimo che voleva che Imma parlasse anche con la figlia, ovviamente, ma… ma non a questo prezzo. Era evidente che la ragazza l’aveva presa ancora peggio del previsto.


“Ma… ma non volevi aspettare?” le chiese, sorpreso, dandosi del deficiente da solo quando quella fu la prima domanda che gli uscì.

 

“Sì, ma… la sua amica, quella dell’altro giorno… le piaci molto, Calogiuri e… e Valentina mi ha chiesto se fossi impegnato e… e non mi sono sentita di mentirle ancora… solo che…” si interruppe, ricominciando a piangere, rintanata nella sua giacca di pelle.

 

Lui rimase in silenzio, lasciandola sfogare.

 

“Valentina ha… detto delle cose orribili su di me… su di te… e… e non so che mi è preso, ma… ma le ho dato uno schiaffo e…” si interruppe di nuovo, la voce che le si spezzava, “mi ha detto che… che mi odia e non mi vuole più vedere e-”

 

“Imma, ascoltami, mo sarà arrabbiata, furiosa, sconvolta. Già quando ti sei separata da… da tuo marito l’ha presa malissimo, no? Ma devi darle un po’ di tempo e sono sicuro che-”

 

“Ma non l’ho mai vista così, Calogiuri, veramente… né con sua nonna, né quando le ho detto della separazione. E… non le avevo mai dato uno schiaffo prima, anche se glielo avevo minacciato tante volte. Non… non so se mi perdonerà più.”

 

“Ma certo che ti perdonerà! Ti vuole bene! Ora è delusa ma le passerà.”

 

“Non lo so… Calogiù. Stavolta temo davvero di averla persa per sempre. E io… io senza Valentina non posso vivere, lo capisci?”

 

“Non succederà, Imma, non succederà, vedrai,” la rassicurò, prendendole il viso tra le mani e guardandola negli occhi, “non succederà: vi volete bene e tua figlia è una ragazza sveglia e di buon cuore. Capirà o prima o dopo.”

 

Imma annuì ma riprese a piangere e Calogiuri pregò che le sue rassicurazioni non fossero vane, perché la verità era che pure lui era terrorizzato. Non solo per il dolore di Imma, che lo uccideva, ma anche perché, se Valentina non l’avesse realmente perdonata e l’avesse costretta a scegliere tra lei e lui… Imma avrebbe ovviamente e giustamente scelto sua figlia.

 

E non poteva perderla, non proprio ora che si erano finalmente trovati per davvero.

 

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Lo squillo insistente della sveglia la costrinse a muoversi, alzandosi dal petto di Calogiuri a cui era rimasta abbracciata tutta la notte. Le aveva accarezzato i capelli mentre piangeva fino a tardissimo, quando infine le lacrime avevano smesso di scorrere.

 

O almeno ci provò ad alzarsi, perché un braccio forte glielo impedì.

 

“Non hai dormito niente: oggi ti prendi una giornata di permesso e-”


“Sono appena arrivata qui a Roma e non posso già chiedere permessi Calogiuri.”


“Sì, che puoi, se è per la salute. Ti prendi una giornata di malattia. Io vado e-”

 

“Non se ne parla nemmeno! Sai quante notti insonni ho passato a Matera, ma non sono quasi mai mancata. E poi il lavoro mi distrae, lo sai. Se tu vai, vengo con te.”

 

Calogiuri scosse il capo e sospirò, piantandole un bacio sulla fronte.

 

“Non cambierai proprio mai… ma se sei troppo stanca torni a casa, me lo devi promettere, dottoressa.”

 

“Va bene, Calogiù, va bene. Ora prepariamoci che se no facciamo tardi.”

 

Si alzò, notando in che condizioni pietose era la maglietta di lui: piena di strisciate di lacrime ormai seccate.

 

Non sapeva come avrebbe fatto senza di lui ma non sapeva nemmeno come fare senza Valentina. Doveva solo sperare che Calogiuri avesse ragione e che Valentina l’avrebbe perdonata perché se no… non ci poteva nemmeno pensare.

 

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Valentina, capisco che tu sia sconvolta e mi scuso per lo schiaffo che è stato imperdonabile, ma dobbiamo parlare. Tu per me sei la persona più importante, indipendentemente da con chi io possa stare. Per favore, rispondimi e parliamo. Ti voglio bene più di quanto immagini, anche se non ci credi. Mamma

 

Mandò il messaggio, sebbene non ci sperasse nemmeno in una risposta. Ma avrebbe continuato finchè Valentina non le avesse dato retta, era l’unico modo e lo sapeva per esperienza.

 

Bussarono alla porta.

 

“Avanti!”


“Buongiorno dottoressa,” la salutò Mancini, vitale e scattante come al solito, per poi aggiungere, quando la vide in faccia, sembrando preoccupato, “ma si sente bene? Non ha una bella cera.”

 

“Non si preoccupi, dottore. Una notte insonne. Ogni tanto succede. Allora, mi dica, aveva bisogno di aggiornamenti sul caso di Alina o su come sto procedendo col maxiprocesso?”


“No, in realtà avrei un nuovo caso da affidarle. Si tratta di un paziente di una casa di cura, quelle di lungodegenza, ha presente?”

 

“Come no, dottore. Immagino sia morto, quindi? E immagino ci sia qualcosa di sospetto nelle circostanze, se era un malato cronico.”

 

“Esattamente. Soffriva di una malattia degenerativa ed era costretto a letto ormai da molti mesi. Ma non era malato a tal punto da compromettere le funzioni vitali, così dicono i medici. Normalmente non avrebbero avviato un’inchiesta ma il figlio ha molto insistito. Sostiene che ci sia qualcosa di sospetto e che la nuova moglie del padre, molto più giovane rispetto a lui, avrebbe avuto interesse a toglierlo di mezzo. Dalla struttura sanitaria ci hanno detto che sono disposti ad aprire un’inchiesta ma devo mandare qualcuno. Santoro si è rifiutato, ritenendola una perdita di tempo, ma… diciamo che nella stessa struttura c’è qualcuno di sua conoscenza, dottoressa.”

 

“E chi?” chiese stupita, fino a che lo sguardo del procuratore capo più il termine lungodegenza e la menzione a Santoro non le accese una lampadina, “Lombardi?”

 

“Esattamente, dottoressa,” rispose Mancini con un sorriso, “vedo che lei mi capisce al volo. Magari sarà una perdita di tempo ma intanto… può dare un’occhiata in giro alla struttura, non crede?”

 

Evidentemente la Ferrari e lei non erano le uniche per nulla entusiaste dei progressi di Santoro sul caso Lombardi.


“Ma non teme questo creerà problemi con Santoro?”

 

“Dottoressa, io gliel’ho proposto e lui si è rifiutato, senza voler conoscere il nome della struttura. A questo punto… sono libero di assegnare il caso a chi voglio e se si troverà nelle vicinanze di Lombardi, casualmente, io non posso impedirglielo, non crede?”

 

“Dottore, lei non teme di pestare piedi sensibili, oltre a quelli di Santoro, andando a indagare su Lombardi?”

 

“E di chi sarebbero questi piedi sensibili? Lombardi ormai è fuori dal partito e dai giochi da tempo e, dai dossier suoi e della Ferrari, appare sempre più evidente che il delitto non ha nulla a che fare con la politica e molto con le vicende personali. A me interessano i risultati, Tataranni, e chi li può portare. E vorrei chiudere il maxiprocesso senza ulteriori ombre o strascichi. Lei mi capisce, non è vero?”

 

Lo guardò sorpresa: veramente non avrebbe potuto essere più diverso da Vitali e dalla sua prudenza estrema.

 

“Sì, dottore, lo capisco.”

 

“Bene, allora buon lavoro!”

 

“Anche a lei, dottore!”

 

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“Cosa abbiamo qui?”

 

“Maschio, caucasico, sessantaquattro anni d’età. Soffriva di Parkinson in uno stadio abbastanza avanzato e per questo era ricoverato qui da sei mesi circa, a giudicare dalle cartelle cliniche. Non riusciva più a deambulare e faticava molto ad utilizzare gli arti superiori.”

 

“Capito, dottore. Segni sospetti sul cadavere?”

 

“Al momento, come vede, un segno d’ago su un braccio ma la maggioranza delle medicine gli veniva data per via orale, a causa degli spasmi involontari. A parte questo, non ha segni particolari di traumi, a parte alcuni lividi sul retro degli avambracci, ma potrebbe esserseli procurati da solo per via della malattia. Nient’altro di sospetto ma dobbiamo fare l’autopsia per essere certi. Non aveva un quadro clinico tale da giustificare una morte improvvisa, ma è anche vero che potrebbe avere avuto uno spasmo particolarmente violento e magari essere soffocato, sebbene non sembri morto di soffocamento. Le saprò dire di più dopo l’esame autoptico.”

 

“D’accordo, dottore, la ringrazio molto,” rispose, dando un’ultima occhiata a quell’uomo che sembrava molto più anziano dell’età effettiva che aveva, evidentemente per effetto della malattia, “c’è qui qualche parente?”

 

“Sì, dottoressa. C’è la moglie del defunto e l’unico figlio, che è quello che ha fatto la denuncia.”

 

“Va bene, Calogiuri, allora andiamo a interrogarli,” ordinò e Calogiuri le aprì la porta ed uscirono insieme dalla stanza.

 

Li riconobbe subito, per l’atteggiamento che avevano: da un lato del corridoio una donna sulla trentina - almeno in apparenza - bionda, dagli occhi verdi grandi quasi quanto le pesanti occhiaie che li circondavano. Piangeva sommessamente con un fazzoletto appena sotto gli occhi. Dall’altro un uomo moro, occhi scuri, presumibilmente anche lui tra i trenta e i quaranta, le braccia incrociate ed un’aria truce ed incazzata nera, le dava volutamente le spalle.

 

“La signora Spaziani, immagino?”

 

“Ricci, che il cognome di mio padre quella non se lo merita!” esclamò il figlio con una voce talmente carica d’odio che le stette immediatamente sull’anima, pure se la Ricci o Spaziani fosse stata effettivamente un’assassina. Dopo la notte insonne e tutto quello che era successo la sua pazienza era a zero.

 

“Senta, signor Spaziani, a me qui non me ne frega niente di chi merita il cognome di famiglia o meno. Lei parla solo quando la interpello, le è chiaro? Che questa è un’indagine e peraltro l’ha voluta pure lei!”

 

“Pensavo fossimo in democrazia.”

 

“E lo siamo e infatti democraticamente sono stata nominata sostituto procuratore e altrettanto democraticamente le dico di starsene in silenzio, cosa che è mio diritto fare secondo le leggi democratiche di questo paese, e parlare quando la interpello. Qualche cosa d’altro non le è chiaro?”

 

E a quel punto lo Spaziani sbuffò e si rimise a braccia conserte. Il classico figlio di papà che pensava tutto gli fosse dovuto e tutti stessero ai comodi suoi, e che per questo non temeva le autorità. Quanti ne aveva visti così.

 

“Signora Spaziani,” ripetè, giusto per spirito di contraddizione, “mi può dire come si sono svolti i fatti dal suo punto di vista? Innanzitutto chi si è reso conto della morte di suo marito?”

 

“Uno degli infermieri, quando è passato stamattina presto per la colazione. Mio marito non era collegato alle macchine e non aveva quindi un segnale di emergenza se… se non respirava…” ricominciò a piangere, disperatamente, “ho ricevuto la telefonata che ero a casa e mi sono precipitata qui.”

 

“Cosa ha fatto da ieri sera a stamattina?”

 

“Niente… ero… ero a casa nostra, cioè… a casa mia.”

 

“Quella non è casa tua e-”

 

“Signor Spaziani, se non sta in silenzio la faccio allontanare. Allora, dicevamo, era a casa. Qualcuno che può confermare?”

 

“La cameriera, Luisa, potrebbe confermarlo ma solo per stamattina. Arriva alle sette di solito: era con me quando ho ricevuto la… la chiamata,” disse, con un singhiozzo.

 

“E ieri sera a che ora se n’è andata Luisa?”

 

“Mah… saranno state le diciotto: prepara la cena e poi se ne va.”

 

“Quindi di fatto dalle diciotto alle sette lei non ha alibi, giusto?”

 

“Giusto… forse… forse solo le telecamere di sorveglianza della villa, che potrebbero avere ripreso quando sono entrata e uscita.”

 

Non era così sprovveduta la signora per pensare a una cosa simile.

 

“Verificheremo. Da quanto eravate sposati?”

 

“Da cinque anni. Lui era molto… molto più grande di me ma ci siamo innamorati e… e la differenza d’età non contava. Non pensavamo si sarebbe ammalato, gli ultimi due anni… è stato tremendo vederlo soffrire così!” proclamò, piangendo un’altra volta.

 

Imma sentì una fitta dritta in gola e guardò Calogiuri, chiedendosi se pure lui pensasse la stessa cosa. Ma Calogiuri stava semplicemente annotando sul taccuino.

 

“Vi siete innamorati?! Tu dei suoi soldi eri innamorata, questa è la verità! Trent’anni di differenza! Ma chi ci crede! Volevo vedere se fosse stato un povero operaio dove finiva questo grande amore!” esclamò il figlio, sprezzante, facendo per avvicinarsi, ma Calogiuri gli si parò davanti.

 

“Adesso basta signor Spaziani. O si dà una calmata o l’accompagno fuori.”

 

Sempre solerte Calogiuri.

 

“A me non importava dei suoi soldi! Io lo amavo davvero! Avevo una carriera pure io ma l’ho mollata per stargli vicino negli ultimi anni.”

 

“Sì, tanto i soldi ormai li avevi…”

 

“Che lavoro faceva, signora Spaziani?”

 

“Facevo l’infermiera. Ho conosciuto… mio marito quando sua madre si ammalò, l’assistevo in una struttura simile a questa. E ci siamo innamorati. Per un po’ ho mantenuto il lavoro ma poi quando si è ammalato… sono stata a casa per assisterlo. Ma quando è peggiorato e non ce la facevo più da sola, ha insistito per essere ricoverato qui.”

 

“Dì pure che avrà capito che non ce la facevi più e volevi liberarti di lui!”

 

“Signor Spaziani, l’avevo avvertita. Calogiuri, accompagnalo in una delle stanze d’attesa che poi lo interrogherò separatamente. Grazie.”

 

Calogiuri annuì e prese l’uomo per un braccio che però protestò con un “non mi toccare!” e sparirono insieme oltre al corridoio.

 

“Senta… io lo so come può sembrare… è vero, lui aveva trent’anni più di me ed era molto più ricco di me. Ma noi eravamo veramente innamorati. Poi… poi io da sola non riuscivo ad assisterlo giorno e notte, ha voluto lui essere ricoverato per darmi modo di riposare un po’. Non pensavo che… insomma… che se ne sarebbe andato così presto. Ieri quando l’ho visto mi sembrava stesse bene. Per quanto potesse stare bene,” esclamò, ricominciando a piangere.

 

“Ascolti, al momento dobbiamo ancora fare l’autopsia e non sappiamo nemmeno se la morte di suo marito sia realmente sospetta. Queste sono domande di routine. Sa se suo marito aveva un testamento e com’era strutturato?” le chiese, domandandosi se fosse veramente disperata o se non stesse piangendo troppo.

 

In ogni caso quella storia le faceva male al cuore per altri motivi.

 

“Sì, ha fatto testamento dopo che si è ammalato, con il suo notaio. Io non l’ho mai visto ma… mi ha sempre detto che avrebbe lasciato la casa a me e l’azienda al figlio. E il resto non lo so. Io non volevo farli quei discorsi… non mi sono mai interessata a vederlo di persona.”

 

Chissà se era vero….

 

“Va bene, signora, per intanto può andare ma resti a disposizione.”

 

Raggiunse Calogiuri nella sala di attesa.

 

“Finalmente, se ha smesso di parlare con quella-”

 

“Signor Spaziani, se siamo qui è su sua segnalazione, che mi auguro sia fondata e non sia solo una terribile perdita di tempo. Faremo l’autopsia e accerteremo la causa di morte di suo padre. Nel frattempo, mi dica che ha fatto lei da ieri sera a stamattina.”


“Come? Chiede un alibi? A me?! Sono io che l’ho voluta questa inchiesta.”

 

“Appunto. E mo se la prende, col bello e col brutto. Dove stava in quegli orari, signor Spaziani.”

 

“E dove stavo? Fino alle ventitré ero dalla mia fidanzata, può controllare, poi però sono tornato a casa.”

 

“Quindi non ha dormito dalla sua fidanzata, come mai?”

 

“Cos’è, un reato?”

 

“No, ma è curioso, essendo stati insieme fino alle ventitré.”

 

“Non abbiamo l’abitudine di dormire insieme perché abbiamo entrambi il sogno leggero e ci disturbiamo a vicenda, se proprio ci tiene a saperlo. Comunque sono tornato a casa e ci sono rimasto fino alla chiamata di stamattina dalla clinica.”

 

“E qualcuno può testimoniarlo?”

 

“No, vivo solo e la colf viene solo qualche volta alla settimana, quando io sono via. Come le ho già detto ho il sonno-”

 

“Leggero, sì, ho capito bene, signor Spaziani. E del testamento di suo padre, che mi dice, sapeva se ne aveva uno?”

 

“Io ho insistito molto nelle ultime settimane perché parlasse con un notaio e sistemasse le cose come si deve. Ma lui niente, testardo come un mulo. Credo avesse fatto testamento tempo fa. Mi ha sempre detto che a me sarebbe andata l’azienda. Ma le pare giusto, dottoressa, che… che una che è arrivata dal niente, che è stata sposata con lui tre anni si prenda almeno metà dei beni? Quella si è approfittata di mio padre! Questa è la verità!”

 

“Che ne è di sua madre, signor Spaziani?”

 

“Morta, quando io avevo quindici anni. Tumore, è stata ammalata per molti anni.”

 

“Beh… mi sembra suo padre ci abbia messo parecchio prima di rifarsi una vita, no? Lei quanti anni c’ha mo?”

 

“Trentacinque. Ma che c’entra! La verità è che mio padre con gli anni… sa com’è… si diventa più deboli e quella lo ha circuito con due moine, mentre faceva l’infermiera a mia nonna. Altro che infermiera! Ha due anni meno di me, si rende conto?!”

 

“Non è un reato sposare una donna più giovane o un uomo più maturo, signor Spaziani. Faremo le dovute indagini e in caso emerga qualcosa ovviamente faremo tutti gli accertamenti del caso per arrivare alla verità. Per intanto buona giornata e si tenga a disposizione.”

 

Uscì da quella stanza sentendosi come una cappa opprimente addosso.

 

“Imma…” sussurrò Calogiuri e si voltò verso di lui, “ti vedo ancora più pallida. Ce la fai a reggere?”

 

E che poteva dirgli? Poteva spiegargli perché era pure più pallida? Non sapeva se sperare che lo capisse da solo o meno.

 

“Andiamo a vedere dove sta Lombardi. Tranquillo, Calogiuri,” disse con un sorriso tirato, cercando la stanza dell’ex onorevole.

 

E alla fine lo trovò. Era solo, non c’era nessuno con lui. Era attaccato a varie macchine, stradimagrito, l’ombra dell’uomo che avevano conosciuto.

 

“Se volete vedere l’onorevole, la moglie ha dato ordine di non far passare nessuno,” proclamò un infermiere abbastanza massiccio, uscendo da una porta lì vicino.

 

“Immacolata Tataranni, Procura della Repubblica di Roma,” disse, mostrando il distintivo e le fece uno strano effetto pronunciarlo ad alta voce, “conosco di persona l’onorevole Lombardi e mi sto occupando del caso che lo riguarda. Posso farle qualche domanda?”

 

“Pensavo del caso Lombardi si occupasse un uomo, non ricordo il nome ora dopo tutti questi mesi…”

 

“Santoro? Sì, ma ci sono varie inchieste collegate e di due di queste mi sto occupando anche io. Ascolti, lei stava dicendo che la moglie non lascia avere visitatori?”

 

“No, non li permette. Lo visitano solo lei e la sua infermiera o colf, insomma, una signora che viene con lei.”

 

“E ogni quanto lo visita?”

 

“Più o meno? Mah… una volta al mese, forse… è da tanto che non si vede. Magari viene più spesso eh, ma di solito se qualcuno viene a trovare sovente i pazienti prima o poi al turno di giorno li vediamo.”

 

“E posso chiederle come sta l’onorevole?”

 

“Non so se posso darle quest’informazione.”

 

“Suvvia… che le costa. Da mesi sta qui, non credo ci siano informazioni nuove, no?”

 

“No, infatti. Rimane stazionario. Arrivati a questo punto è assai probabile che rimarrà in stato vegetativo permanente.”

 

“D’accordo, grazie. Altre cose che le vengono in mente?”

 

“Al momento no, sinceramente.”

 

“Grazie lo stesso,” sospirò, lanciando un’ultima occhiata a Lombardi e non sapendo se sperare o meno che lo Spaziani veramente fosse stato ucciso, che almeno avrebbero giustificato il tempo perso, “Calogiuri, andiamo!”

 

“Va bene, dottoressa.”

 

Uscirono insieme dalla clinica e, giunti in auto, Calogiuri le chiese, “che ne pensi?”

 

“Di Lombardi che la moglie è assai sospetta, ma lo sapevamo già. Di Spaziani che prima di pensare a qualsiasi cosa e perdere tempo è meglio avere l’autopsia.”

 

“Va bene…” sospirò lui e si mise alla guida.

 

Rimasero in un silenzio totale fino all’arrivo in procura.


Nota dell’autrice: Ed ecco che è scoppiato il primo grande casino che metterà a dura prova il rapporto tra Imma e Calogiuri.

Spero che la storia sia ancora interessante e non risulti noiosa, vi prometto che nei prossimi capitoli ci saranno diversi colpi di scena.

Come sempre, ogni vostra opinione positiva o negativa mi motiva tantissimo a proseguire a scrivere ed è utilissima per capire come sto andando, oltre a farmi tanto piacere sentire che ne pensate, quindi vi ringrazio di cuore se vorrete lasciarmi una recensione.

Il prossimo capitolo arriverà domenica prossima, il ventinove di marzo.

Grazie mille ancora e un abbraccio seppur a distanza!


 
   
 
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