Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: Hoi    22/03/2020    1 recensioni
I fatti narrati si svolgono dopo gli eventi del primo film
“Pronto! Aiuto ho investito una persona. Sono in via...” Dove cazzo ero? Mi guardai attorno nel panico. Non c’era neanche un fottutto cartello. Merda! Ma quella era New York. Una New York mezza distrutta e ancora in piena ricostruzione, ma pur sempre New York. Di certo avrebbero rintracciato la chiamata e sarebbero venuti ad aiutarmi.
“il numero da lei selezionato è inesistente”
“Cosa?!?!?!” Piena di sgomento guardai lo schermo. 118. Idiota! Idiota! Idiota!
Genere: Avventura, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
N.B. Ho voluto concludere la storia, quindi sono stati aggiunti 2 capitoli in una volta (sia il 19 che il 20)  



             Appena uscita dalla chiesa, dopo aver detto di sì ed essermi ufficialmente sposata, iniziò a piovere a dirotto. Fu indubbiamente quello il momento più bello di tutto il giorno. Eravamo tutti riuniti sul piazzale della chiesa e il nubifragio arrivò in un istante. Cercai di correre verso l’auto, ma avevo i tacchi e Davide mi tenne stretta costringendomi a infradiciarmi. Il trucco mi colò su tutto il viso e l’acconciatura iniziò a crollare dopo pochi secondi, nel contempo la pioggia riempì fino a far luccicare i ricci di Davide e filtrò sotto la sua giacca nera, incollandogli la camicia addosso. Era bellissimo. Ero terribile.
“Sposa bagnata, sposa fortunata” Ridendo Davide mi prese il viso tra le mani, mentre io lo insultavo. Ci baciammo, sotto la pioggia, mentre tutti scappavano, mentre le ultime ciocche dei miei capelli abbandonavano il loro posto e il mio strascico si impregnava di fango. Poco tempo dopo le foto del matrimonio avrebbero testimoniato che ero davvero la sposa più brutta di tutta la storia, ma in quel momento, mentre Davide mi accarezzava il viso, spezzando le strisce di mascara colato, mi sentii la donna più bella del mondo. E continuai a sentirmi così anche quando vidi la vedova nera che era maledettamente bella anche dopo che “per sbaglio” gli versai il vino rosso addosso. Contro ogni pronostico, il mio incidente non la fece nemmeno arrabbiare, penso che per qualche strano motivo quel giorno fosse felice anche lei, quasi quanto me. La vidi ballare molto, e bere molto e mangiare molto e fare moltissimo da traduttore a Cap, che non parlava nemmeno una parola di italiano, ma che in compenso aveva imparato a memoria le parole di “Can't Help Falling In Love”. Mio nonno quasi pianse quando vide Capitan America e lo stesso posso dire di mia cugina, anche se per un motivo totalmente diverso. Non so se così lontano da casa Cap si sentì per un po’ meno disperso, ma in tutta sincerità, lo spero.
Natasha e Cap furono gli unici degli Avengers a venire e per questo ricordo perfettamente che quella fu l’ultima volta che li incontrai. La cosa comunque non mi rattrista. L’ultimo ricordo che ho di loro è un ricordo bellissimo, in cui siamo stati tutti profondamente felici.
L’unico che incontrai di nuovo, fu Stark. Non venne alle nozze, ma mi mandò il suo regalo: un letto matrimoniale con la messa a terra. Una cosa indecorosa e fuori luogo, che abbiamo usato tantissimo. Io e il signor Stark ci sentimmo il giorno dopo che mi fui sposata, pochi giorni prima di Natale, mi telefonò perché voleva che facessi abbattere una parete di casa sua per far entrare un gigantesco coniglio, o qualcosa del genere. Rattaccai. Non era quello il progetto grandioso che mi aveva promesso e io ero ancora in luna di miele. Due settimane più tardi mi ritelefonò per chiedermi di ricostruirgli la casa, che era riuscito a farsi demolire interamente e questa volta accettai ben volentieri. Il signor Stark non era proprio in formissima a quel tempo, ma la signorina Potts era al suo fianco e sembrava del tutto intenzionata a rimetterlo in sesto, quindi non mi preoccupai poi molto, infatti tornò presto ad essere la solita testa di cazzo. A testimonianza di questo fatto c’è che attualmente sto nuovamente lavorando alla costruzione di un laboratorio di ricerca a Oslo, non dormo più di 4 ore a notte da almeno 2 settimane, ma fortunatamente devo solo stringere i denti perché domani pomeriggio prenderò l’aereo per tornare in Italia. Questa parte di tortura è quasi finita, certo, dovrò comunque tornare per supervisionare l’avanzamento dei lavori, ma non me la sento di stare per troppo tempo lontana dalla mia bambina e da mio marito, già così è fin troppo dura. A rendere ancora peggiore la permanenza qui c’è che il mio albergo è praticamente dall’altra parte del mondo rispetto al cantiere. Così mi sono trovata costretta a noleggiare un’auto. Anche se le strade sono davvero ben tenute, guidare alle 9 di sera con la pioggia battente fa comunque davvero schifo. Dal mio primo incidente ho però imparato che non bisogna mai guardare il cellulare mentre si guida, così sono totalmente concentrata su quello che sto facendo. Sistemo lo specchietto, metto la retromarcia, abbasso perfino la radio, anche se stanno suonano “mamma mia” e mi preparo a parcheggiare. Ok, forse riuscire a non canticchiare durante il ritornello è davvero impossibile, rialzo il volume della radio. Tanto il volume della radio non c’entra niente con la capacità di parcheggiare e poi è un parcheggio facile, devo solo entrare in retromarcia, fermandomi prima di andare a sbattere contro quel palo… in movimento…. Che si avvicina… Non è un palo! Non è un palo! Inchiodo. È un uomo. Oddio, non di nuovo. La cantante degli Abba mi fa eco gridando “here I go again”. Le ruote scivolano sull’asfalto bagnato. Scivolano poco. Pochissimo. Quel poco che basta a farmi fermare una manciata di centimetri prima del cortese gentiluomo. Che dimostra tutta la sua eleganza sbattendo il pugno contro il cofano della mia auto, in un gesto di rabbia. Ma che diavolo! Salto giù dall’auto all’istante, per controllare il danno. Insomma non che io pensi davvero che con un pugno si possa rovinare la carrozzeria di un’auto… E invece si può! Si può eccome! C’è un gigantesco bozzo nel cofano della mia auto. È un’auto a noleggio, non posso riportarla così. Faccio un respiro profondo. Ok, quel tizio ha reagito male, ma magari è solo perché si era spaventato, adesso si dimostrerà ragionevole se io mi dimostrerò ragionevole.
“Mi scusi… Cosa cazzo ha combinato? Pensa di potersene andare così? Ehy!”
È incredibile, lui non si gira nemmeno. Mi pianta lì, sotto la pioggia e senza dire niente, se ne va sotto al suo ombrello. Impreco ad alta voce, mentre gli corro dietro. Poi mi fermo. Ho lasciato l’auto aperta con le chiavi inserite e un parcheggio mezzo fatto, non proprio l’atteggiamento più responsabile del mondo. Così ringhiando torno indietro e finisco il parcheggio.
Fatto questo afferro la borsa, chiudo l’auto e mi fiondo nel ristorante dell’albergo. Avrei voluto mettermi dei vestiti asciutti prima di cenare, ma è tardi e sono piuttosto sicura di aver visto quel deficiente che mi ha ammaccato l’auto entrare qui. Lo individuo subito tra la folla di gente che si trova nel salone, è seduto ad un piccolo tavolo da solo, è alto, con i capelli biondi, gli occhi verdi e i lineamenti affilati, nonostante la pioggia battente è perfettamente in ordine e totalmente asciutto, deve avere un ombrello miracoloso. Al contra io nella mia foga non ho lasciato la giacca all’ingresso, così da poter sgocciolare per tutto il ristorante e mi sono lanciata verso il tavolo con le scarpe antinfortunistiche coperte di fango. Arrivata di fronte a lui mi siedo, anche se il tavolo è apparecchiato per una persona sola.
“Salve, si ricorda di me? Mi ha appena distrutto l’auto. Cosa intende fare?”
L’uomo alza lo sguardo dal menù, giusto il tempo di lanciarmi un’occhiata scocciata, poi con una mano richiama l’attenzione del cameriere che arriva rapidamente.
Sento il mio commensale dire qualcosa in quello che penso sia Norvegese, di tutta risposta il cameriere segna qualcosa sul suo taccuino e poi si volta a guardarmi, sembra imbarazzato. Io gli sorrido e ordino la cena. Ho cenato qui tutte e due le settimane e ho già prenotato per il prossimo mese, quindi non solo so perfettamente cosa c’è nel menù, ma so anche che non mi cacceranno. Il cameriere esita, ma per una volta le cose vanno come dovrebbero e dopo aver segnato la mia ordinazione corre a prendermi le posate e i bicchieri. Mi tolgo la giacca e la appendo dietro alla sedia, mentre il ragazzo che ci sta servendo dispone tutto davanti a me, poi nel più sgraziato possibile dei modi incrocio le braccia e mi appoggio al tavolo.
“Quindi, dicevamo?”
Si sta creando una piccola pozza d’acqua sotto ai miei piedi e noto che il pavimento deve essere leggermente in pendenza, perché un rivolo d’acqua cola fino ad incontrare le scarpe del mio commensale. Il tizio di fronte a me chiude il menù e lo consegna al cameriere, guardando la tovaglia bianca che ormai è bagnata con la bocca semi aperta. Quando ormai il cameriere ha voltato le spalle ed è scomparso il mio commensale fa una specie di risata trattenuta, poi si sistema sulla sedia, appoggia i gomiti sul tavolo e intreccia le dita. Anche se mi presenta un atteggiamento disinvolto i suoi occhi trasudano ira. Per prendere a pugni un’auto con tanta forza da rovinarla penso ci voglia una rabbia che supera nettamente quella che può creare la mia scortesia. Sicuramente ha altro per la testa, ma forse ritiene di potersi sfogare su di me.
“Ed esattamente cosa vorrebbe come risarcimento per avermi investito?” Il completo elegante e le mani curate mi fanno escludere che lui sia passato dal cantiere, eppure questo tizio ha davvero qualcosa di familiare.
“Quasi. Quasi investito” Gli rispondo acidamente. Nel sorriso con cui mi guarda, che prima sapeva solo di   superiorità e spocchia, adesso si è insinuata una goccia di puro fastidio, i suoi occhi pieni di rabbia, che prima sembravano attraversarmi, ora si fissano su di me. Probabilmente riteneva che non fossi in grado di dargli filo da torcere. Ommioddio, ora lo so a chi somiglia. Insomma, la sua faccia è totalmente diversa e lo è anche la sua altezza e il suo taglio di capelli, ma ha lo stesso sorriso che aveva Loki. Probabilmente la mia epifania deve essere trapelata dalla mia faccia perché l’uomo mi guarda in maniera confusa. Insomma non posso essere sicura che sia lui e se lo dicessi e mi sbagliassi sembrerei un’idiota anche perché ufficialmente mi è stato detto che Loki è morto, mi sono persino sentita triste per questo. Molto triste. Ho anche pianto. Parecchio. Inizio a balbettare. Non so bene come gestire la cosa. Dovrei provare a lavorarmelo. Ho visto la vedova nera all’opera e quindi posso replicare la cosa. Lei era melliflua e faceva un sacco di complimenti, certo, se lo facessi io sarei inopportuna, visto che sono sposata quindi serve una tattica simile, ma meno da gatta morta. Cerco di chiudere la sequenza infinita di espressioni strane che sto facendo, dissimulando il tutto con un sorriso e un’idea geniale.
“Per sdebitarti potresti iniziare con l’offrirmi la cena, Scott”
L’uomo non si scompone, ma il suo sorriso diventa improvvisamente gelido. Se la mia faccia non mi ha tradito, l’averlo chiamato in quel modo ha scoperto tutte le mie carte.
“Scott? Non conosco nessuno Scott.”
Lui mi guarda sempre più indispettito. Ormai mi è andata, quindi non ha senso provare a ritrattare.
“Io conoscevo uno Scott. Scott Fitzgerald. Era un tipo simpatico… un po’ stronzo, ma simpatico” Quello che da ora in poi chiamerò Scott, mi serve un’altra espressione a metà tra il sorpreso e il disarmato.
“Scott Fitzgerald, come il poeta?” Non riesco a resistere, mi viene da ridere, a sentirlo dire così sembro ancora più stupida, ma ormai sono passati anni, quindi ho avuto tempo per passare dall’imbarazzo all’autoironia.
“Già, che coincidenza… è la prima notte che passi qui? Non ti avevo mai visto” Provo ad incalzarlo, ma lui non si scompone minimamente.
“Direi che è l’ultima, sai com’è… mi piace la tranquillità” Sta tagliando ogni possibile conversazione, dimostrandomi il suo disprezzo, è ovvio che stia insinuando che sia io la disturbatrice, il che significava che ho fallito con la mia tattica per lisciarlo. Mi serve un piano B, ma non riesco proprio ad idearne nessuno. Non sono in grado di manipolarlo facendolo cadere in una trappola e di certo dal momento che mi ha vista ha iniziato a filtrare ogni parola. Sempre ammesso che sia lui, cosa di cui inizio a dubitare.
“Bhé, sei nella nazione giusta, qui non succede quasi mai nulla… A parte il mio cantiere. Sto costruendo un edificio fantastico”
Scott tende le labbra, poi con insofferenza soffia un grugnito disinteressato. Come un gemito di agonia. Se pensa che la sua sofferenza mi fermerà si sbaglia, ho capito che non otterrò niente, lui mi ha rovinato l’auto, quindi merita di soffrire e io adoro parlare dei miei cantieri, quindi penso che farò questo per il resto della cena.
“Sto progettando un nuovo centro di ricerca. È uno dei primi della Stark industries all’estero e questa volta non è un grattacielo, è una struttura complessa. Sono 5 padiglioni che lavorano in simbiosi. Sono stati ideati per costituire tre livelli diversi di privaci. In questo modo mentre alcune sedi sono totalmente riservate alla ricerca alcuni spazi sono pensati per essere posti a disposizione della città, ad esempio…” Tiro fuori il cellulare e metto sotto agli occhi di Scott la foto della pianta. Contro ogni mia aspettativa, lui allunga lo sguardo “Questo spazio esterno filtra nel padiglione 3 che diventa…”
“Sono in mattoni.” Sembra sorpreso. È inaudito. “Non sono in mattoni, sono in laterizio. Non siamo a New York, mica si progetta tutto in ferro e vetro. L’architettura deve avere relazioni con il luogo.” Lui alza il sopracciglio.
“Non dovrebbero essere in legno allora” Faccio una pausa. Questa conversazione sta prendendo una piega inaspettata. Se sta cercando di vendicarsi facendomi innervosire con osservazioni insensate ha beccato il nervo giusto.
“In legno? Non siamo in mezzo al bosco, siamo in città! Hai fatto un giro qui attorno?” La mia indignazione estorce al mio commensale una risata. Forse trova assurdo che io me la stia prendendo tanto per una cosa simile, ma per me questo è un argomento importante.
“In effetto forse ci sono stato troppo poco” Non mi aspettavo una frase comprensiva. Credevo che stesse cercando di litigare, ma ora non so più che intenzioni abbia.
“Scherzi? Dovresti fare un bel giro! Anche se siamo ai confini del mondo è una bella città, ma forse facendo escursione hai visto posti ancora più belli.” Mi prende una sottile nota di invidia, qui la natura è qualcosa di immenso e bellissimo, per una volta varrebbe davvero la pena di allontanarsi dalla città. Vorrei aver avuto il tempo per fare un bel giro, ma il lavoro mi prende completamente.
Il cameriere arriva in quel momento, portando con sé i piatti. Tra di noi cala nuovamente il silenzio. Per qualche minuto ceniamo senza dire niente. Poi improvvisamente mi viene in mente una cosa e non riesco a tenermela per me.
“Tu perché pernotti qui?” Se è chi penso che sia potrebbe fare avanti indietro, pernottare in un hotel non è per niente una cosa da master pianificatore, a meno che non stesse puntando ad incontrare non-poi-così-casualmente me. Lui si versa un bicchiere di vino e sorprendentemente risponde senza pensare.
“Avevo bisogno di una pausa” Sembra una risposta sincera. Non mi fido delle risposte sincere, non quando vengono da lui, ma ora che lo guardo meglio sembra stanco. Quella di sembrare vulnerabile è una tattica che con me ha funzionato fin troppo bene, quindi non mi dovrei fidare. Non mi dovrei fidare di questo tizio che non so se è il tizio che penso che sia. Dannazione, sono fin troppo confusa. Non so cosa sto facendo, non so con chi lo sto facendo e non so nemmeno perché. Direi che è il momento di finirla e iniziare a godermi la cena.
“È un bel posto per una pausa. Sia l’hotel che tutta la Norvegia voglio dire… oh e… cucinano davvero bene”
Lui fa un sorrisetto superbo, poi con noncuranza dà un colpetto con la forchetta al contenuto del suo piatto e con distacco alza il viso verso di me.
“Mediocre” Mi viene da ridere. Non ho idea di quali siano almeno metà degli ingredienti di quel piatto, ma so di per certo che è ottimo. Certo non è come mangiare in un ristorante stellato o a casa di mia madre, ma è comunque molto meglio di tutto ciò che ho mangiato a New York. Sorprendentemente dopo questo scambio non cala il silenzio, è Scott a continuare la conversazione, mi dice che al contrario questo paese non è mediocre, mi racconta della Norvegia e di alcuni dei posti che preferisce. Mentre parla, la sua voce trasuda un amore e una passione per questo posto che forse sono paragonabili a quelli che provo io per l’architettura. Al contrario mio però, lui sembra anche un po’ nostalgico. Scopro che è appena arrivato e che se ne andrà domani, ma conosce bene questo paese perché veniva spesso in viaggio qui da ragazzo, con la sua famiglia. Anche se mi rendo conto che cita solo mete molto turistiche, finisco persino per prendere qualche appunto. Più parla, più il suo umore migliora. Credo che in fin dei conti volesse sfogarsi e che questa conversazione gliene abbia dato la possibilità. Stiamo mangiando il dolce e mi sta parlando delle isole Lofoten quando dico qualcosa che lo spiazza.
“Mi piacerebbe andarci, ma penso che aspetterò un paio di anni, vorrei che mia figlia si ricordasse l’aurora boreale” La sua faccia rigida mi confonde, è stato lui il primo a nominare la famiglia, quindi non penso di essere stata inopportuna. “Ha solo 3 anni, a quest’età ricordano davvero pochissimo” Cerco di spiegarmi ma lui sembra ancora rigido.
“Hai una figlia” Finisce per dire lui, come per sottolineare quella nozione che fino ad allora aveva perso. Se pensava che ci stessi provando deve aver preso un abbaglio bello grosso.
“Certo che ho una figlia. Sono una mamma e una moglie oltre che un ottimo architetto” Alzo la mano sinistra, mettendo in mostra la piccola fede d’oro. “è una bambina bellissima ed è già molto sveglia” Non voglio essere il tipo di madre che si vanta dei suoi figli, quindi non gli dirò che la mia pulcina parla già discretamente bene, si sa vestire da sola e fa amicizia con tutti. Lui appoggia la forchetta al piattino, muove leggermente le spalle, come per sistemarsi e poi mi risponde.
“È una cosa molto bella. Deve essere difficile lavorare così lontano e per così tanto tempo”
Non sembra, ma è una frecciatina. Alzo lo sguardo dalla mia cena e mi preparo ad affrontarlo. Quando incrocio i suoi occhi capisco che non era una frecciata, non per quello che pensavo io. È peggio. Ci sta provando. In un momento perdo tutta la mia sicurezza e finisco per balbettare goffamente qualche sillaba prima di rispondere.
“Io adoro il mio lavoro, ma adoro di più la mia famiglia” Il suo sorriso si piega leggermente, sta per chiedermi perché sono così lontana da casa se amo più la mia famiglia del mio lavoro. “Anche se non sono presente 24 ore su 24, 7 giorni su 7, non muore nessuno.” Oddio così sembra che non me ne freghi niente “Cioè mi mancano molto certo, ma è anche importante che io porti avanti il mio lavoro” Oddio se ora gli lascio aprire la bocca mi riporterà all’inizio della conversazione. “Insomma io e mio marito pensiamo che sia un bene per nostra figlia vedere che sua madre è appagata dal suo lavoro e lo fa con passione” Ora c’è il rischio che sembri che tutto questo è un’idea di Davide e che io lo faccio solo per obbedienza. “Posso fare entrambe le cose, insomma posso seguire il mio lavoro ed essere presente in famiglia” La mia voce trema un po’, perché è chiaro che io sono terrorizzata dall’idea di non essere una madre presente. Come cavolo ho fatto ad arrivare fin qui senza che lui abbia aperto bocca nemmeno una volta? La sorpresa si deve leggere sul mio viso perché lui si mette a ridere.
“Con la famiglia è sempre complicato” è lui a dirlo, ma non posso che dargli ragione. L’ultima volta che io e Loki ci siamo incontrati lui mi era sembrato così solo, adesso invece parla di quanto sia complicata la famiglia. Mi sembra un progresso, anche se piccolo e non so nemmeno perché, ma questa cosa mi rende felice, più di quanto possa spiegare. Dovrei andarci piano, ma le parole mi sfuggono dalle labbra.
“È per questo che sei qui: Visita ai parenti?” Lo dico con un tono sorpreso e pieno di speranza. Lui fa un sorriso sicuro. Uno di quelli che fa chi è appena stato beccato, ma pensa comunque di riuscire a cavarsela. Si sta mettendo sulla difensiva e non capisco perché, è una cosa splendida, a meno che non lo sia. A meno che non sia una cosa Top Secret. Tipo un intrigo segreto per esiliare suo fratello. No, il signor Stark mi ha parlato di Thor e ha detto che è in giro per i mondi felice come una pasqua a fare l’eroe, che poi è quello che ha sempre voluto fare, quindi non è un intrigo quello di mandarlo in giro, ma un premio. Quindi se non è venuto a trovare Thor chi è venuto a trovare? Che io sappia l’unico altro membro della sua famiglia è il padre. Quindi l’intrigo deve riguardare lui, una cosa come esiliarlo e prendere il suo posto.
“Sì, era un impegno di famiglia” Silenzio. No, è impossibile che sia un intrigo. Come avrebbero fatto a non accorgersi che non hanno più un re? Sarebbe una cosa troppo assurda. Decisamente non è lui.
“Ed è andata bene?” Lui riprende la forchetta e torna a concentrarsi sul suo dolce. Poi si ferma e mi rilancia indietro la battuta.
“È complicato” Mi sorride e io ricambio. Non sembra felice, ma non sembra nemmeno triste come lo ricordavo. Forse perché ora so che non è lui, ma vorrei che fosse lui. Vorrei che fosse in procinto di sistemare ogni cosa. Vorrei che fosse ad un passo dal fare la cosa giusta e vorrei essere io a dargli la piccola spinta che gli serve per far andare bene le cose. Ma lui non c’è più e io non potrò dirgli addio oggi, come non ho potuto farlo sotto alla torre dei vendicatori. Non ha senso far finta che le cose siano diverse da come sono, ma questo non mi impedisce di usare questo piccolo dubbio che mi attanaglia il cervello per finire la serata bene e mettere una croce sul mio lutto.
“Insomma… la famiglia è sempre la famiglia, difficilmente si smette davvero di amarla. Mi dispiace che sia complicato, per fortuna c’è tempo per far diventare le cose semplici.” Lui si mette a ridere. Non ci crede per niente. Io continuo facendo una voce buffa, un po’ esagerata.
“Basta andare e dire una cosa tipo: ti voglio ancora super bene, facciamo super pace.” Ridiamo.
“Ha davvero mai funzionato?” lo vedo dare l’ultima forchettata e prendere l’ultimo sorso di vino.
“Certo. Con mia figlia.”
“Perché ha tre anni” Apro le braccia, per dimostrare che non fa differenza e nuovamente ci mettiamo a ridere. Scott scosta la sedia, facendomi intendere che anche se ho ancora metà dolce, la cena è finita. Lo vedo fare qualche passo verso l’uscita, prima che scompaia però lo fermo.
“Ricorda di pagarmi la cena, mi hai comunque ammaccato l’auto.” Lui risponde senza nemmeno voltarsi.
“Non mi importa di quell’aggeggio, ma le cose che hai detto mi hanno colpito, quindi mi comporterò con onore. Buonanotte Francesca.”
Non posso fare a meno di scuotere la testa. Che frase da spaccone. Come se volesse dire qualcosa poi, non mi sembra proprio di aver detto niente di particolarmente arguto sta sera e quanto all’agire con onore… Bhè, sono stanca, è tardi e non ho intenzione di corrergli dietro per assicurarmi che lo faccia davvero, quindi lo lascio andare. Lo vedo pagare il conto e andare verso l’uscita. Ero convinta che fosse intenzionato a pernottare qui, invece lui esce. Aveva un ombrello quando è arrivato, ma deve averlo dimenticato. Credo che domani andrò a recuperarlo, io non ho l’ombrello e sono certa che il suo mi saprebbe riparare bene. Una fitta di tristezza mi prende, alla fine non gli ho detto addio, ma forse non ce n’era bisogno, questo saluto ha già il sapore di un addio. Sono distante e fuori è buio, ma per un momento, prima che scompaia, lo vedo camminare con la schiena dritta sotto la pioggia ed è bellissimo.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Hoi