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Autore: FairyCleo    22/03/2020    2 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un bambino e il suo cane

 
Era accaduto tutto in fretta, ed era stato quasi indolore.
Goten era a letto quando quell’immensa energia sconosciuta si era propagata tutt’intorno. Il boato che aveva udito lo aveva destato dal suo sonno, e il piccolo aveva fatto in tempo a vedere quella folgorante luce dorata prima di ricadere nell’oblio.
Al suo risveglio, non era certo di quello che fosse accaduto, né di quanto tempo fosse effettivamente trascorso. Ormai era mattina, il sole filtrava dalle tende della sua camera e il piccolo Ouji, delicato e anche un po’ timoroso, leccava dolcemente la sua mano.
 
“Ehi…” – aveva detto, con la voce ancora impastata dal sonno – “Che stai facendo, piccolo? Perché piangi? No…”.
 
Ouji, uggiolando, si era sollevato sulle zampe posteriori, lasciando così che Goten lo prendesse in braccio e lo mettesse sotto le coperte, proprio accanto a lui.
 
“Se ci vedesse la mamma…” – gli aveva detto, accarezzandolo dolcemente sul capo – “Ma che hai, piccolo mio? Perché fai così… Mi fai spaventare…”.
 
Lo aveva stretto a sé, e il piccolo aveva nascosto il musetto sotto l’ascella del suo piccolo padroncino, continuando a uggiolare.
Goten non capiva cosa gli fosse accaduto, cosa potesse averlo spaventato fino a quel punto. Poi, all’improvviso, si era ricordato del boato e del bagliore che lo aveva svegliato nel cuore della notte e aveva collegato l’episodio allo spavento che stava palesando il suo cagnolino.
 
“Ouji… Mi dispiace tanto… Non mi sono reso conto di quello che stava succedendo… Scusami tanto piccolo mio… Scusami…”.
 
Si era messo seduto e aveva preso Ouji tra le braccia, stringendolo forte e cercando così di consolarlo.
 
“Poverino… Avrai pianto per tutta la notte… Possibile che nessuno ti abbia sentito? La mamma sente qualsiasi cosa…”.
 
Con cautela, Goten aveva afferrato più saldamente il cagnolino e aveva posato entrambi i piedi sul freddo pavimento, alzandosi.
 
“Mio Dio! Ouji! Ma quanto pesi? Sembra che tu abbia ingoiato un sasso! Che hai combinato, stanotte?”.
 
Era pesante. Era estremamente, terribilmente pesante. Ma com’era possibile? Aveva sempre sollevato Ouji con facilità, ed era impossibile che il suo amico a quattro zampe avesse messo tutto quel peso in circa nove ore. Eppure, stava facendo così tanta fatica da aver iniziato a sudare e da aver avvertito forti dolori alle braccia, alle spalle e alla schiena.
 
“Proprio non riesco a capire”.
 
Nonostante le difficoltà, era giunto finalmente alla finestra, lasciando che Ouji si posizionasse al meglio sul davanzale. Tremava ancora, anche se con minor vigore, ma era ancora irrequieto. Goten pensava davvero che volesse invitarlo a guardare fuori dalla finestra, ma poteva anche essere che tutte quelle stranezze fossero una conseguenza del fatto che non fosse ancora del tutto perfettamente sveglio.
 
“Dovrei prendermi a schiaffi, forse…”.
 
E, nel dirlo, aveva scostato di poco la tendina gialla della sua camera, lasciando che la luce del sole penetrasse all’interno.
Sembrava tutto tranquillo: il prato davanti al giardino era ben tosato come sempre, il bucato si stava asciugando al sole e la porta di casa (che da quell’angolazione vedeva alla perfezione) era chiusa, proprio come avrebbe dovuto essere.
Eppure, Goten doveva proprio essere ancora assonnato per non essersi reso conto della mancanza di due elementi fondamentali in quel paesaggio idilliaco: non si udiva né il canto degli uccellini, né la voce di sua madre che intonava alla meno peggio la solita vecchia canzoncina.
 
“Scendiamo al piano di sotto… Ho una fame… La mamma avrà sicuramente preparato qualcosa di buono!”.
 
Ma no, la mamma non aveva preparato niente di buono. La mamma non aveva neanche pulito il piano cottura e lavato i piatti della sera precedente, che campeggiavano trionfanti dalla vaschetta dell’acquaio.
 
“Ma-mamma?”.
 
L’aveva chiamata quasi sottovoce, come se avesse avuto paura si svegliare qualcuno, o di disturbarla. Ouji stava attaccato al suo polpaccio sinistro, tremante e timoroso. Perché Chichi non si trovava lì? Perché la cucina era un disastro e perché sembrava che in casa, non ci fosse nessuno? Aveva come l’impressione che tutti – tranne lui – avessero abbandonato casa all’improvviso, lasciando tutto così come si trovava in seguito a una catastrofe o a un bombardamento, e la quiete che regnava lì dentro non faceva altro che rendere la situazione ancora più sinistra e surreale.
 
“Eppure, dovranno pur essere da qualche parte… Vediamo un po’…”.
 
E si era concentrato, ma inutilmente. Solo in quel momento si era reso conto di non riuscire ad avvertire le aure dei presenti. Si era sforzato, aveva preso un profondo respiro, ma niente: in quella casa non c’era nessuno, e sembrava che non ci fosse nessuno neanche lì fuori.
 
“Ma dove… dove sono, Ouji?”.
 
Preso dal panico, il piccolo saiyan aveva percorso le scale a ritroso, aprendo con foga la porta della stanza dei suoi genitori, scoprendola vuota.
 
“Oddio…”.
 
Poi, aveva fatto la stessa cosa con quella della camera di Gohan, scoprendo la stessa, identica realtà. Era da solo, in casa, solo con Ouji, e non aveva la più pallida idea di dove fossero finiti tutti quanti.
 
*
 
Era sconvolto, Goten. Aveva cercato tanto tutti quanti, li aveva chiamati a gran voce, ma non erano venuti allo scoperto. Aveva cercato meglio in tutte le stanze, aveva guardato nella dispensa, nel granaio*, ma di loro non c’era alcuna traccia finché, sconvolto ed esausto, non aveva provato a librarsi in volo per cercare di scorgerli dall’altro, ed era rimasto paralizzato dalla paura.
Ouji se ne stava lì accanto a lui e uggiolava, abbaiava e ululava, cercando di dirgli chissà che cosa, ma Goten non riusciva a udire i suoi lamenti.
 
“Non ci riesco…” – aveva detto, incredulo – “Non riesco a volare!”.
 
Quasi in trance, aveva sollevato la mano destra dritta davanti a sé, preparandosi a lanciare una piccola sfera di energia. Si era sforzato nuovamente, ma il solido luminoso e scintillante non si era formato all’interno del suo palmo, lasciandolo lì, immobile come una statua di sale e spaventato a morte.
Allora, Goten aveva provato a dare un pugno al muro, ma quell’insano gesto non aveva avuto l’esito sperato: un dolore accecante aveva attraversato la mano e tutta la lunghezza del braccio sino a raggiungere la spina dorsale. Il piccolo, svegliatosi da quella sorta di ipnosi, aveva urlato, ritraendo la mano al petto e stringendola forte con l’altra, scoprendo, poi, di aver lasciato una chiazza rossa sul muro.
Nell’udire quelle urla strazianti, Ouji aveva rizzato il pelo, cominciando ad abbaiare e a ringhiare con ferocia: chi aveva osato fare dal male al suo padroncino?
 
“Ma che cosa sta succedendo qui? Perché non riesco più a volare? Perché ho perso la mia forza? Gohan, mamma… dove siete?”.
 
Terrorizzato, in preda al panico e al dolore, Gohan era corso in casa, si era chiuso la porta alle spalle e si era accasciato sul pavimento, in lacrime, lasciando che Ouji gli leccasse le gocce salate dalle guance. La mano ferita pulsava e doleva immensamente, ma a dolere più di tutti erano il suo cuore e il suo spirito.
 
“Dove siete?”.
 
Piangeva a dirotto, Goten, sperando che qualcuno lo sentisse, sperando che qualcuno venisse lì, lo consolasse e lo rassicurasse, ma l’idea che sarebbe rimasto da solo, per sempre, ormai si era impossessata di lui. Disperato, aveva preso Ouji con la mano buona, lo aveva avvicinato a sé il più possibile, affondando affondato il viso nel suo folto e morbido manto, cercando conforto dal suo calore e dal suo respiro.
Chissà che fine avevano fatto, tutti…
Chissà che fino avevano fatto anche Trunks e Vegeta?
 
“Figliolo… Perché sei nascosto qui? Che ti succede?”.
 
Era la voce di Goku quella che lo aveva destato da quei tristi pensieri. Suo padre, quello vero, quello che aveva contribuito a metterlo al mondo, quella che Gohan e sua madre amavano incondizionatamente, quello venerato dagli amici di sempre, quello che aveva rifiutato ma che, in quel momento, avrebbe quasi voluto abbracciare, era piombato lì nell’istante in cui lui aveva cominciato a pensare a Vegeta. Era un caso, era sicuramente un caso, ma era sinceramente contento di vederlo, talmente contento da non essersi reso conto di aver smesso improvvisamente di piangere.
Goku se ne stava lì, seduto sui talloni, con le mani penzolanti e uno strano sorriso stampato sul viso gentile.
Come aveva fatto ad arrivare senza che lui lo sentisse? D’accordo, non aveva più le sue doti da guerriero, ma le sue orecchie funzionavano ancora… Possibile che non avesse minimamente avvertito il suo arrivo?
 
“Io… Io…”.
 
Non aveva idea di cosa dire. Come avrebbe potuto averla? Goten soffriva per il dolore alla mano e per la paura, voleva un abbraccio, ma non era ancora pronto ad aprire il suo cuore a quell’uomo, non era pronto a lasciarsi stringere da lui. Non lo conosceva bene, continuava a essere un perfetto estraneo ai suoi occhi, e non gli interessava nemmeno che si stesse preoccupando per lui, in quanto la persona che avrebbe voluto vedere, in quel momento, era un’altra. Ma non era così credulone da pensare che Vegeta sarebbe realmente comparso da quella porta e lo avrebbe portato via con sé. Il principe non lo avrebbe mai raggiunto, non lo avrebbe mai protetto come si fa con i neonati. Lo aveva addestrato per cavarsela da solo, per essere coraggioso, e lui che stava facendo? Stava piangendo come un lattante e si autocommiserava come un perdente.
 
“Come-Come sei entrato?”.
 
Glielo aveva chiesto a fatica, tirando su col naso e mettendosi a sedere.
Goku aveva continuato a sorridergli per tutto il tempo, tendendogli la mano. Voleva aiutarlo, voleva proteggerlo, e sua madre e suo fratello sarebbero stati contenti nel vedere un loro avvicinamento, ma lui proprio non riusciva a fidarsi. Cosa sarebbe accaduto se avesse preso la sua mano e se fosse sparito all’improvviso, come aveva già fatto in passato, come avevano fatto tutti, adesso?
Era troppo facile comportarsi in quel modo. Dov’era stato, lui, quando aveva pianto, quando si era sentito meno degli altri bambini, quando aveva capito cosa significasse essere orfano di padre? Goku non era stato lì. Al suo posto, c’erano stati nonno Giuma, sua madre, Gohan e lui, Vegeta, l’unico padre che avesse mai desiderato avere. E sì, in quei giorni trascorsi insieme avevano creato qualcosa, si erano in qualche modo capiti, ma non voleva che lui fosse lì. O forse, almeno in parte, lo voleva, ma era troppo confuso e orgoglioso per ammetterlo.
 
“Goten… Non devi avere paura”.
 
Ouji ringhiava. Il cucciolo era talmente inferocito da fare impressione, e Goten non riusciva a capire che cosa avesse.
 
“Ouji… Ma cosa fai?”.
 
Solo ora che lo guardava meglio, Goten si era reso conto che Goku fosse diverso. O meglio, che avesse qualcosa di diverso.
 
“Ma tu… tu…”.
 
Tremando, aveva indicato con la mano incolume la sommità del capo di suo padre, svelando più a se stesso che al diretto interessato la mancanza di un elemento fondamentale, di quell’elemento che indicava la sua non appartenenza al mondo dei vivi: Goten aveva notato la mancanza dell’aureola dorata.
 
“Ah, questo…”.
 
Aveva una strana espressione, Goku, mentre fingeva di aver notato solo allora quel singolare cambiamento, e poi aveva cambiato argomento.
 
“Devi venire con me, Goten” – aveva proseguito, diventando serio all’improvviso – “Ti medicherò la mano e ti porterò al sicuro”.
“Al sicuro? Ma, allora, è successo qualcosa! Dio mio… Tu sai che cosa è capitato! Sai perché non posso più usare i miei poteri, sai che…”.
“Io non so niente, figliolo… So solo che qui, da solo, non sei al sicuro”.
“Ma che significa da solo? Dove sono la mamma e Gohan? Dimmelo se lo sai! Dimmelo!”.
“Non lo so, ma tu non puoi più stare qui… Le cose sono cambiate, e devo sistemarle prima che sia troppo tardi… Lo capisci, Goten? Ho solo bisogno che tu faccia una cosa…
Ho bisogno che tu, per la prima volta, possa fidarti di me”.
 
Continua…

 
Ciao a tutte/i!
Scusatemi per il solito ritardo… Ho perso la cognizione del tempo… Non ci capisco più niente, purtroppo.
Non voglio tediarvi con la vita reale, voglio solo parlarvi del capitolo.
Anzi, voglio che me ne parliate voi, se vi va, voglio che mi diciate cosa pensate della confusione di Goten e della novità che riguarda Goku.
Vi adoro, lo sapete?
Restiamo uniti e teniamoci in contatto con ogni mezzo.
 
A presto!
Un bacino
Cleo

 
   
 
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