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Autore: _Trixie_    28/03/2020    6 recensioni
Onestamente? Emma non aveva idea di come fosse successo.
Ancora più onestamente? A Emma non importava, come fosse successo.
Aveva vissuto la sua intera esistenza cacciandosi in situazioni che, nella migliore delle ipotesi, erano imbarazzanti o in cui rischiava di lasciarci la vita. O, peggio, di umiliarsi di fronte a Regina. Così, quando Emma si rese conto che lei e Regina non facevo che comportarsi come se fossero sposate l’una con l’altra, Emma non si fece alcuna domanda.
[Swanqueen fluff, tutto qui]
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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IX
L’amore che ho dentro
 
 

Secondo il modesto parere di Emma Swan, Storybrooke aveva un grande, grandissimo problema: era eccessivamente popolata. Da quando aveva condiviso con Regina quel bacio mancato, perché ormai le era chiaro che, se sua madre non l’avesse chiamata, a quell’ora sarebbe stata la donna più fortuna dell’intero Universo per avere baciato Regina Mills, lei e il sindaco non erano più riuscite a rimanere abbastanza a lungo da riprendere quel particolare discorso da dove lo avevano interrotto.
Non che avessero parlato di quello che non era successo, tra loro.
Certo che no.
Piuttosto, erano scivolate in una dolce routine fatta di gentilezze, sguardi languidi e sorrisi a distanza che stava facendo saltare i nervi all’intera città, Granny in particolare. La donna non vedeva l’ora che quelle due la smettessero di occupare i tavolini del suo locale per ore, ordinando solo un caffè e una cioccolata, e trascorrendo il tempo a parlare del nulla solo per avere la possibilità di stare con l’altra. Sul serio, aveva delle stanze al piano superiore e avrebbe guadagnato molto di più in quel modo.
Persino Henry le trovava insopportabili. Emma si era fermata a cena al numero 108 di Mifflin Street almeno tre volte, la scorsa settimana, e Regina le aveva servito piatti così abbondanti che lui era riuscito a malapena a fare il bis. Per non parlare di Emma, che era diventata maniacale nell’apparecchiare la tavola, e più volte il ragazzino aveva temuto che avrebbe preso un righello solo per assicurarsi che le posate fossero perfettamente allineate e alla medesima distanza l’una dall’altra, costringendo Henry a sistemare e risistemare stoviglie che erano già perfettamente in ordine. «Lo sai che tua madre ci tiene» gli aveva fatto notare Emma, con sguardo sognante. E Henry avrebbe potuto vomitare in quell’istante esatto.
E poi c’era Snow. Snow era il principale problema di sovrappopolamento di Storybrooke, secondo Emma Swan. Snow era quella famosa goccia che fa traboccare il vaso della capacità demografica cittadina. Snow era sempre, costantemente presente.
E a Emma non era nemmeno chiaro perché, all’improvviso, sua madre avesse sentito questo irrefrenabile desiderio di passare tempo con lei o chiamarla tre volte al giorno solo per sapere se fosse con Regina, se avesse visto Regina o come stesse Regina. E perché dannazione Snow non lo chiedesse direttamente a Regina lo sapeva solo lei.
Persino quella mattina, mentre percorreva con passo quasi saltellante il familiare vialetto di casa- della casa di Regina, Emma Swan aveva appena concluso una telefonata con sua madre, assicurandola che sì, certo, era riuscita presto per fare colazione da Regina e Henry anche quella mattina. E dove stava il problema? Non era certo colpa di Emma se il sindaco faceva i pancake più buoni dell’intero Universo conosciuto.
Lo sceriffo suonò il campanello e, dopo mochi secondi, le aprì Henry. «Ma’, puoi entrare e basta. Hai la chiave» le disse stancamente, passandosi una mano tra i capelli ancora arruffati dal sonno.
«Buongiorno, ragazzino!» esclamò Emma, prima di dargli un bacio sulla guancia. Henry gemette sconfortato. Avrebbe dato tutto, tutto perché quella tortura finesse.
«La mamma è in cucina?» domandò poi Emma.
«Patio» rispose Henry, iniziando a ciabattare, ancora in pigiama, verso il soggiorno.
«Colazione all’aperto?» domandò Emma, superando il figlio, quasi correndo verso Regina.
 
*
 
«Oh, Emma, non c’è bisogno di mangiare tanto in fretta. Questi pancake non vanno da nessuna parte!» esclamò Regina, rimproverando Emma dolcemente.  
Emma deglutì il cibo che aveva in bocca, prima di parlare. «Giusto. Hai ragione».
Henry lasciò cadere la forchetta sul piatto. Perché, davvero, c’era un limite a tutto e le sue madri lo avevano appena superato. Cosa era quel tono amabile nella voce di Regina? E, aveva sentito bene, Emma aveva appena detto, di sua spontanea volontà e senza costrizione, hai ragione a Regina?! Il mondo aveva appena iniziato a girare al contrario e lui non aveva intenzione di tollerarlo un minuto di più. Quella tensione tra le sue madri, che Henry non voleva definire ulteriormente per non perdere ciò che restava della sua innocenza in un solo istante, doveva finire. E doveva finire adesso.
«Cosa c’è, ragazzino?» domandò Emma, attirata dal rumore della forchetta sul piatto.
«Non ti senti bene, tesoro?» incalzò Regina, allungando la mano sopra il tavolo per appoggiargliela sulla fronte e assicurarsi che non scottasse.
Henry si massaggiò le tempie, poi, prese un respiro profondo. «Non ho idea di cosa sia successo o non sia successo, tra voi due. Ma vi scongiuro, in nome dell’amore che provate per il vostro unico, adorabile e perfetto figlio, vi scongiuro, parlatene. Perché non vi sopporto più e sto lentamente impazzendo e non… non… No» concluse Henry, facendo scivolare indietro la sedia per poi alzarsi per andare in camera sua.
«Henry!» esclamò Regina, alzandosi a sua volta per fermarlo. «Non parlare così alle tue madri!»
«Lascialo stare, Regina» intervenne Emma. «Deve essersi svegliato con il piede sbagliato, questa mattina».
 
*
 
Henry aveva deciso di andare a scuola a piedi, quella mattina, invece di farsi dare un passaggio da Emma con il suo Maggiolino, perciò, una volta che ebbe salutato le sue madri con un bacio sulla guancia e uno sguardo minaccioso, le due donne rimasero sole.
Emma aiutò Regina e ripulire il tavolo su cui avevano fatto colazione, lavò i piatti mentre il sindaco finiva di prepararsi al piano superiore e poi prese il sacchetto con il proprio pranzo che il sindaco le aveva preparato, dando un bacio sulla guancia di Regina come aveva preso l’abitudine di fare ogni mattina, prima di uscire dal numero 108 di Mifflin Street e andare al lavoro. Tuttavia, diversamente dalle altre mattine, Henry non c’era.
E perciò la signorina Swan esitò, rimanendo troppo vicina a Regina perché questa avesse la forza di fare un passo indietro. I loro sguardi si incrociarono e, di nuovo, sentirono quella… magia, dentro di loro e intorno a loro, la stessa che avevano sentito alla stazione di polizia, ma non solo. La stessa, Emma se ne rese conto in quel momento, che aveva sentito non appena il suo sguardo aveva incrociato per la prima volta quello di Regina, a pochi metri di distanza l’una dall’altra sul vialetto del numero 108 di Mifflin Street. La stessa che aveva sentito infinite e infinite volte negli anni seguenti, ogni volta che si erano salvate la vita a vicenda, ogni volta che si erano sfiorate anche solo accidentalmente, ogni volta che avevano detto, sapendo in fondo di mentire, di odiarsi, ogni volta che avevano taciuto quello che pensavano davvero e avevano lasciato cadere tutte le parole nel vuoto.
Fu Regina a spezzare il silenzio, con un sussurro. «Cosa stiamo facendo, signorina Swan?»
E Emma scosse la testa, si strinse nelle spalle. «Qualcosa che avremmo dovuto fare molto tempo fa, sindaco Mills?» azzardò, titubante, cercando una risposta nello sguardo dell’altra.
Regina sorrise. «Ma davvero, Emma? E quanto tempo fa credi che avremmo dovuto farlo, esattamente?»
Emma sorrise a sua volta, appoggiò il proprio pranzo sull’isola della cucina accanto a lei. «Ti sembra il momento?» domandò, facendo un altro passo verso Regina e prendendo la borsa della donna, per appoggiarla accanto al suo pranzo.
Regina fece un altro, piccolo passo verso Emma, chiudendo lo spazio tra loro, una décolleté nera a punta tra gli stivali marroni della signorina Swan, i jeans di Emma contro la gonna nera di Regina, le mani del sindaco che stringevano il bavero della giacca di pelle rossa dello sceriffo da una parte e dall’altra. «Il momento per cosa, Emma?» domandò infine, lo sguardo che per un momento soltanto si posò sulle labbra dell’altra prima di tornare ai suoi occhi verdi.
Emma era sicura che sarebbe caduta a terra, svenuta, se non avesse avuto Regina accanto a sostenerla, in quel momento. Prese un respiro profondo, sollevò la mano per accarezzare il volto di Regina, dalla tempia, lungo lo zigomo, tracciò leggera con l’indice la cicatrice di Regina, prima far scivolare la mano lungo il collo del sindaco. Con l’altra, cinse il fianco della donna, stringendola di più a sé.
Regina annuì appena in risposta alla muta interrogazione negli occhi verdi di Emma.  
E così, non appena Emma baciò Regina e Regina baciò Emma, entrambe sentirono quella magia che le aveva legate e attirate l’una attraverso l’altra fino a quel momento circondarle con più forza di quanta ne avessero sentita prima di allora, invadendo l’oro il cuore e l’anima, facendo loro conoscere quella particolare sensazione che sa fare di un secondo un’eternità.
Nessuna delle due si accorse del cellulare di Emma che si mise a squillare e che smise solo quando si separarono, le fronti appoggiate l’una all’altra. Non lasciarono la presa che avevano l’una sull’altra, ma rimasero ferme ancora per un po’ a guardarsi senza dire una parola.
«Dovremmo andare al lavoro, Emma» bisbigliò infine Regina.
Lo sceriffo baciò di nuovo le labbra del sindaco. «Oppure potremmo darci malate. Per oggi. Per domani. Per tutta la settimana. Scommetto che hai un sacco di ferie arretrate».
Regina rise, scosse la testa. Circondò il collo di Emma con le braccia e la tenne stretta a sé. «Potremmo, ma non lo faremo».
«No?»
«No».
Emma sospirò. «Ma metteremo in punizione il ragazzino, vero? Non può parlarci così».
«Decisamente» confermò Regina. «Ma dobbiamo andare, Emma. O arriveremo in ritardo».
«E quindi? Sono anni che aspetto questo momento, Regina. Storybrooke può aspettare qualche ora o due».
E Regina, di nuovo, baciò Emma.
 
 
 


NdA
Buon giorno e buon sabato <3
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, così come questa piccola FF.
Il titolo di questo ultimo capitolo è tratto sempre da Sono anni che ti aspetto.
Grazie per aver letto, commentato e seguito <3
Alla prossima, spero presto,
T. <3
   
 
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