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Autore: Soul of Paper    29/03/2020    6 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi

 

Capitolo 23 - Bugie


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

Valentì, ascolta, lo so che sei arrabbiata con me, ma è passata una settimana e ti rifiuti di rispondermi. Dobbiamo parlare, è importante. Io ti voglio bene e non c’è nessuno più importante di te per me. Se non vuoi chiamarmi almeno mandami un messaggio. Mamma.

 

Non ci sperava in una risposta, ma lo inviò lo stesso, perché che altro poteva fare?

 

Niente, non ci poteva fare niente, quella era la verità. Aveva pure pensato di aspettarla fuori dall’università, ma temeva avrebbe fatto peggio e voleva giocarsela come ultima spiaggia.

 

Era stanchissima, dopo notti quasi insonni, mitigate solo dagli abbracci di Calogiuri e da qualche sonnifero quando non ce la faceva più.

 

Sentì bussare.


“Dottoressa.”

 

“Calogiuri, dimmi.”

 

“Sono arrivati i risultati dell’autopsia del signor Spaziani.”

 

“E allora?”

 

“E allora gli è stata trovata una dose elevata di insulina nel sangue. Ma Spaziani non era diabetico. Questo gli è stato fatale. Gli è stata iniettata, da qui la puntura d’ago.”

 

“C’è la possibilità che si sia trattato di un errore medico?”

 

“A sentire Proietti è improbabile: Spaziani prendeva praticamente tutte le medicine per bocca, per vena aveva solo un’iniezione a settimana. Il giorno era quello, ma secondo lui i fori sono due, pure se ravvicinati, e quindi…”

 

“E quindi perché fare due fori per una sola iniezione? Salvo un infermiere abbia sbagliato.”

 

“Comunque a detta sua non ci sono molti pazienti diabetici e gli infermieri conoscono bene i pazienti, rimanendo ricoverati a lungo. Questo rende molto improbabile un errore umano. Anche se…”

 

“Anche se?”

 

“L’insulina rimane nelle analisi, dottoressa. Se volevano ucciderlo e farla sembrare una morte naturale, perché usare quello invece che altro?”

 

“Questa è una bella domanda, Calogiuri, ma forse non pensavano ci sarebbe mai stata un’inchiesta. Spaziani era malato da tempo, la maggior parte dei familiari avrebbe constatato il decesso, pur con dolore, e non avrebbe chiesto di fare ulteriori accertamenti. Qui sono stati fatti principalmente per via della faida tra il figlio e la nuova moglie.”

 

E quell’ultima frase le causò un dolore al petto, per motivi fin troppo chiari.

 

“Il figlio però aveva ragione ad essere sospettoso. Certo, non è detto che si sia trattato realmente della moglie.”

 

“Beh, Calogiuri, dalla morte di Spaziani due avevano da guadagnarci, almeno in teoria. Dobbiamo vedere il testamento: verifica se è già stato aperto e fattene avere una copia. E diciamo che Spaziani figlio dovrebbe essere o molto stupido o molto spregiudicato a chiedere un’inchiesta, se fosse lui il colpevole.”


“Per sviare i sospetti da se stesso, in caso qualcuno avesse notato qualcosa di strano?” le chiese e quell’orgoglio nel petto si mosse, nonostante tutto.


“Esattamente, Calogiuri, ma ci vuole fegato e quello urla e sbraita ma non so se ce l’abbia per davvero. Fammi sapere una volta che avrai più notizie sul testamento. Nel frattempo chiedi pure i tabulati, i movimenti bancari e mettiamo sotto intercettazione moglie e figlio.”


“D’accordo, dottoressa, come volete. Se non c’è altro, io andrei, che ho un interrogatorio con la Ferrari tra un’ora. Per la rapina in banca dell’altro giorno.”

 

C’era stata una rapina in una banca del quartiere Capannelle pochi giorni prima e purtroppo i banditi avevano perso la testa e uno degli impiegati ci aveva lasciato la pelle. Da allora era caccia agli uomini, specialmente a quello che aveva sparato.

 

“No, Calogiuri, non c’è altro. Buon interrogatorio!” proclamò, anche se non ne era tanto entusiasta.

 

Ma la gelosia per la collega era di gran lunga sovrastata dalla preoccupazione per la figlia.

 

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“Vale, ma che cos’hai? Sono giorni che te ne stai sempre per conto tuo.”

 

“Niente, Laura… ho… problemi con mia madre.”

 

“Beh, mi sembra una tipa tosta da avere come madre ma-”

 

“Ma non è per quello!” la interruppe, furibonda, incrociando le braccia.

 

“A proposito, hai poi saputo niente del maresciallo e se è impegnato?” le chiese Laura innocentemente e Valentina avrebbe voluto strozzarla anche se non era colpa sua. Come poteva l’amica immaginare che sua madre fosse così scema?

 

“Sì, è impegnato. Ed è quello il problema.”

 

“Perché? Piace pure a te?” chiese Laura, sorpresa, “va beh che se è impegnato… ma io al limite mi faccio da parte, visto che lo conosci da più tempo e-”

 

“Non piace a me. Piace a mia madre. Ed è impegnato. Con lei! Mo lo capisci qual è il problema?!” sbottò, perché stava esplodendo e a qualcuno lo doveva dire, a costo di essere derisa.

 

“Cioè… tua madre… tua madre se la fa con quel pezzo di manzo?!” domandò Laura, incredula, ma sembrando più ammirata e gelosa che sconvolta.

 

“Non dirlo in quel modo! Vorrei vedere se stesse con la tua di madre!”

 

“No, per carità, che poi vorrei portarglielo via e faremmo Beautiful. Ma sei sicura?” le chiese, ancora incredula.

 

“Sì, me lo ha detto lei… quando le ho chiesto se fosse impegnato. Ma quello già ci stava a Matera. Chissà quante corna ha fatto a mio padre mia madre, per chissà quanti mesi! Mi dici come faccio a perdonarle una cosa del genere?!”

 

“Non si può, immagino, ma… ma insomma resta sempre tua madre e-”

 

“E una che per un… per un toyboy ha buttato nel cesso vent’anni di matrimonio e ha pure cambiato città. Ti rendi conto?”

 

“Beh, per quel toyboy pure io cambierei città,” scherzò, ma poi forse vedendo la sua occhiata omicida, “Vale, seriamente, pure io sarei sconvolta se si trattasse di mia madre, ma… ma i matrimoni finiscono. Pure i miei si sono separati e io sono ancora qua. Non è facile, ma prima o dopo bisogna accettarlo.”

 

“Ma i miei… sembravano diversi dagli altri. Tu non li hai mai visti ma… per vent’anni avevano un matrimonio che mi sembrava perfetto. Mio padre amava e ama alla follia mia madre, infatti ci sta da cani. Le faceva perfino le serenate quando lei era via, dopo vent’anni di matrimonio. E… insomma… erano pure ancora molto fisici, fin troppo, che mi toccava mettere la musica per non sentirli a volte.”

 

“Oddio!” esclamò Laura con una faccia semi schifata.

 

“E poi all’improvviso, mia madre ha iniziato a cambiare e mo ho capito perché. Ma ha perso la testa per un deficiente di quasi vent’anni di meno, che come minimo tra poco la mollerà e chi si è visto si è visto.”

 

“E in quel caso saranno problemi suoi, non credi?”

 

“No, sono problemi miei e di mio padre che nel frattempo abbiamo sofferto perché mia madre è impazzita!”

 

“Chi è impazzita?” chiese una voce alle sua spalle e si voltò e vide Ludovica, sedersi accanto a loro.

 

“La professoressa: ci ha dato troppo lavoro,” tagliò corto: Ludovica la conosceva molto meno bene di Laura e non si sentiva di confidarsi con lei.

 

“E io stasera devo pure uscire con quel figo dell’assistente di privato,” si lamentò Ludovica, accavallando le gambe.

 

“Cioè… tu esci con l’assistente?” chiese Laura, con tanto d’occhi. In effetti era giovane e veramente bello l’assistente, e un sacco di ragazze del corso gli morivano dietro.

 

“Eh, certo! Sai com’è… sono andata a ricevimento e… da cosa nasce cosa…” sorrise Ludovica, orgogliosa, con quell’aria da vamp che aveva sempre.

 

Del resto era davvero bella, la più bella del corso: era pure stata alle finali di Miss Italia come Miss Lazio ed ogni tanto faceva delle pubblicità.

 

“Che vi devo dire? A me gli uomini non resistono. Devo ancora trovarne uno che mi dica di no,” proseguì, il sorriso che divenne felino, mentre ticchettava le unghie smaltate sul banco.

 

“Nessuno, nessuno?” chiese Laura, un po’ scettica.

 

“Nessuno, un due di picche ancora non l’ho mai preso, ma sai quanti ne ho dati!” rise Ludovica, agitando la lunga chioma castana.

 

In quel momento entrò la docente.

 

Ma a Valentina un’idea cominciò a frullare in testa. Prima indefinita, quasi nebulosa, ma poi sempre più chiara.

 

Avrebbe dovuto parlare con Ludovica alla fine della lezione.

 

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“Avanti!”

 

“Buongiorno dottoressa.”

 

“Ah, Mariani, buongiorno, mi dica, ci sono novità?”

 

“Sì, dottoressa… la scientifica ci ha messo un po’ perché di DNA in quell’appartamento ce n’era ovunque ma ha confermato che il DNA della ragazza è presente. Nella stanza di Lombardi. Su alcuni bicchieri e… nel letto.”

 

“Quindi lei e Lombardi potrebbero avere avuto un rapporto sessuale?” chiese, sorridendo dell’imbarazzo della ragazza.

 

“Potrebbero… o comunque ha avuto rapporti sessuali con qualcuno in quel letto prima che ci andasse Lombardi.”

 

“Altre tracce in giro per l’appartamento?”


“A parte qualche impronta digitale qui e lì no, da un punto di vista di… prestazioni, sembra si sia concentrata su quella stanza in particolare.”

 

“D’accordo, Mariani, la ringrazio. C’è altro?”

 

“Sì, la cocaina rinvenuta nei due appartamenti è tagliata in modo simile, ma non è della stessa partita. Del resto sono passati diversi mesi. E stiamo cercando di comparare i DNA e le impronte dell’appartamento a Prati con quelli della festa di Lombardi. Per vedere se troviamo corrispondenze.”

 

“La segretaria di Lombardi per caso l’avete sentita? Ha riconosciuto la ragazza? Anche se ormai è una formalità.”

 

“Sì, ma ha detto, e cito testualmente, quelle sono tutte uguali. Ha detto che di ragazze alte, bionde e mezze nude da quella festa ne sono uscite parecchie.”

 

“Va bene. Grazie Mariani, state facendo un buon lavoro, continuate così. Il dottor Santoro come la sta prendendo?” le domandò e Mariani arrossì vistosamente.

 

Il debole c’era ancora. Che ci avrà trovato Mariani in quel tipo. Doveva avere pure lei la Sindrome di Stoccarda, come avrebbe detto sua suocera.

 

“Non benissimo, dottoressa, ma finché lei indaga principalmente sul caso di Alina non ha problemi…” rispose con un mezzo sorriso.

 

“D’accordo, grazie Mariani, può andare!”

 

“Grazie a lei, dottoressa!”

 

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“Quindi tu non avresti mai ma proprio mai avuto un due di picche?” chiese a Ludovica, con tono volutamente scettico, una volta che la lezione fu conclusa.

 

“No, mai. Che c’è, non mi credi?”

 

“Beh… non so… sai magari almeno uno. Però… e se facessimo una scommessa?” le chiese, con un sorriso di sfida, vedendo che la ragazza sembrava punta sul vivo.

 

“Una scommessa? Del tipo?” domandò Ludovica, sembrando stavolta incuriosita.

 

“C’è un ragazzo molto ma molto bello. Un tipo timido, hai presente, di quelli che sembrano un po’ imbranati?”

 

“Vale…” provò ad intervenire Laura, ma Valentina la zittì con un’occhiataccia.

 

“E allora? Io i tipi così me li mangio a colazione, figurati! Già non riescono a dire di no normalmente a qualsiasi cosa chiedi loro, figurati con una bella ragazza. Ma che scomessa è?”

 

“No, ascolta. Questo tipo a quanto pare ha gusti strani…”


“Gli piacciono gli uomini? Perché se è gay, va beh tutto ma miracoli non ne posso compiere!”

 

“No, ma gli piacciono le donne più grandi. Diciamo sulla quarantina.”

 

“Le vecchie?” chiese Ludovica con una risata, “aspetta che veda la differenza tra me e loro a livello di fisico… non c’è paragone.”

 

“E si dice che insomma… questo non ceda facilmente, non è uno che ha molte storie,” spiegò. Aveva fatto un po’ di indagini sul maresciallo dai social in quella settimana e aveva pure provato a contattarlo con un profilo fake, ma niente. E dai suoi social non sembrava avere una fidanzata ufficiale dai tempi di una certa Maria Luisa di Grottaminarda, una bella ragazza, giovane, ma con lo sguardo da arpia.

 

Il carattere di merda doveva proprio piacergli in una donna.

 

Però magari nel frattempo se l’era spassata con mezza Roma, in modo non ufficiale. Come poteva saperlo con certezza?

 

“Quindi ci stai? Tu ci provi con lui e, se ci riesci a conquistarlo… ti invito una sera al sushi, quello che ci dicevi ti piace tanto ma è molto caro e pago tutto quello che vuoi,” disse, pronta a svenarsi pur di far ragionare sua madre.

 

E fargliela pagare e vendicare suo padre. Ma quello era un altro discorso.

 

“Mi fai vedere una foto di questo tipo, prima? Giusto per capire se vale il sushi doverci provare con lui.”

 

Valentina scaricò una foto di Calogiuri dal suo facebook - non voleva fare sapere a Ludovica come si chiamava, né che fosse un carabiniere, e gliela mostrò.

 

“Ok, è figo davvero, lo devo ammettere. D’accordo, non c’è problema, sarà un gioco da ragazzi. Prepara il portafoglio che già mi sento il sapore del sashimi e dei gunkan!” esclamò con una risata, “e se perdo?”


E se perdi è una tragedia - pensò, ma non lo disse, aggiungendo un, “offri tu a me.”

 

“D’accordo, affare fatto! Poi mi devi dare tutti i dettagli però!”

 

“Ah, ultima cosa. Ovviamente voglio una registrazione, come prova,” disse Valentina, perché da sua madre ci voleva andare con le prove in mano, da sbatterle in faccia.

 

“Cioè tipo filmino??!! Io ste cose non le faccio, mi dispiace ma che-”

 

“Ma no, che schifo! Una registrazione audio, ovviamente! Poi mi basta che si capisca che con te ci starebbe, se poi tu ci vuoi andare o non ci vuoi andare, vedi tu, insomma.”


“Beh se è così figo magari il sacrificio lo posso fare fino in fondo…” rise, maliziosa, continuando a picchiettare le unghie sul banco.

 

“Va beh… in ogni caso non ci serve la registrazione con tutti i dettagli. Ma, se no, come dimostri che la scommessa è vinta?”

 

“D’accordo, ho capito. Userò il registratore che uso qui a lezione, che registra molto bene. Qualcosa mi inventerò. Prepara il portafoglio, De Ruggeri!”

 

E Valentina non aveva mai desiderato così tanto perderla una scommessa, anche se Laura, accanto a lei, la guardava con disapprovazione. Se perché fosse gelosa dell’opportunità avuta da Ludovica o se perché disapprovasse il suo piano non avrebbe saputo dirlo.

 

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“Tutto bene, Calogiù?”

 

“Sì, sì, scusami, le solite notifiche…” rispose, disattivando il display del telefono e riprendendo a mangiare.

 

Ma non se l’era sognata quella richiesta di amicizia da parte di Valentina De Ruggeri.

 

La figlia di Imma. Chissà cosa voleva da lui.

 

Era indeciso se dirlo ad Imma o meno ma, in caso la ragazza lo avesse contattato solo per riempirlo di insulti, non voleva farla rimanere male ulteriormente. Decise di aspettare e vedere cosa sarebbe successo.

 

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Accettò la richiesta di amicizia.

 

Con la scusa di andare in bagno si era allontanato un attimo da Imma. Del resto, a parte alcune ore al lavoro, ormai vivevano sempre attaccati praticamente.

 

Stava per uscire dal bagno, quando gli arrivò un messaggio.

 

Ciao. So che hai una relazione con mia madre. Ti voglio parlare faccia a faccia, solo noi due, per chiarirmi un po’ le idee. Quando puoi? Non dirlo a mia madre che non la voglio appresso.

 

Dritta al punto Valentina, come sua madre. Ci pensò un attimo: non gli piaceva nascondere le cose ad Imma e aveva promesso di non farlo più. Ma se poteva aiutare in qualche modo la sua situazione con la figlia… lo vedeva quanto ci stava male. E almeno era un primo tentativo di avvicinamento di Valentina.

 

Va bene. Di solito da mezzogiorno alle due posso sempre, se mi libero per tempo. Dimmi tu dove e quando.

 

E a quel punto attese una risposta che però non arrivò. Stava pensando che fosse stato solo uno scherzo o un test, quando infine, dopo una decina di minuti, arrivò la risposta.

 

Domani. Alle 12.30, vicino alla mia università, c’è un bar che si chiama BarOne. Lì di fronte. Ciao.

 

Non perdeva proprio tempo in convenevoli, come Imma.

 

Calogiuri mandò la conferma ed uscì finalmente dal bagno.

 

“Calogiuri, ma che stavi a fare in bagno? Mi stavo preoccupando! Ma non stai bene?”

 

“No… è… va beh… tutto a posto mo… tranquilla.”


“Ma sei sicuro? Vuoi che ti faccia qualcosa? Una camomilla?”

 

“No, davvero, tutto a posto, ma magari la camomilla ce la beviamo insieme e ci guardiamo qualcosa, che ne dici?”

 

“Non so se sono dell’umore giusto…” la vide sospirare, con gli occhi bassi.

 

“Almeno ti distrai un attimo. Continuare a rimuginare sui problemi non serve a niente.”

 

“Forse hai ragione… allora proseguiamo a vedere cosa combina quel deficiente del presidente degli Stati Uniti?” acconsentì, piazzandosi sul divano.


“Guarda che lui è quello sposato. Dovresti stare più dalla sua parte.”

 

“Ma resta un deficiente, Calogiuri, e non perché è sposato, ma perché da solo non riesce a combinare niente. A parte fare casini.”

 

Non potè trattenere una risata: adorava i commenti al vetriolo di Imma su tutti i personaggi, anche se poi per la storia d’amore si commuoveva, probabilmente pensando a loro due.

 

Le passò un braccio intorno alle spalle ed iniziarono la visione.

 

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“Allora Mariani, ci sono novità?”

 

“Sì, dottoressa. Oltre al DNA di Alina, altri due DNA femminili corrispondono con quelli trovati a casa di Lombardi. E forse siamo fortunati: all’epoca non era stata trovata corrispondenza nei database, ma riprovandoci ora una delle ragazze è schedata. Fermata a inizio anno in possesso di droga, visto il quantitativo se l’è cavata con l’uso personale, ma sappiamo chi è. Certo, rintracciarla potrebbe essere più complicato ma… è una certa Maja Varga. Ungherese e quindi-”

 

“E quindi non aveva bisogno del permesso di soggiorno e non ha avuto il rimpatrio forzato.”

 

“Esattamente. Difficile dire dove si trovi ora, ma è un inizio.”

 

“Abbiamo la foto quindi?”

 

“Eh, certo, dottoressa.”


“Bene, allora ascoltami Mariani, forse questa è una cosa che farebbero più volentieri i tuoi colleghi maschi, per questo per intanto il compito lo lascio a te. Se questa ragazza è ungherese, molto probabilmente rimane qui volontariamente, aveva i documenti no, quando l’avete fermata?”


“Sì, esattamente.”

 

“Quindi magari non è come Alina e le altre, che sono obbligate a fare le escort. Magari le feste ed i clienti questa ragazza se li sceglie pure, se non ha un protettore, ma pure se ce l’ha. Bisogna andare sui siti di escort e vedere se si trova corrispondenza con la foto. Sicuramente non sarà col suo vero nome, ma magari qualcosa si trova.”


“D’accordo, dottoressa, ho capito. C’è altro?”

 

“No, non c’è altro. Mi raccomando, Mariani! Conto su di te!”

 

“Sì, dottoressa, grazie!”

 

Col cavolo che quel lavoro lo avrebbe assegnato a Calogiuri! La storia di Lolita le era bastata per una vita.

 

A proposito, chissà dov’è finito? - si chiese: era tutta la mattina che non lo vedeva. Afferrò il cellulare.

 

Dove sei? Ci sei per la pausa pranzo?

 

No, mi spiace, non riesco a tornare per tempo. Ci vediamo stasera da te?

 

Va bene. A stasera!

 

Era un po’ delusa, lo doveva ammettere: la sua presenza era come una droga per lei e ci si stava riabituando fin troppo in fretta, nonostante i mesi di assenza totale o forse proprio per quelli. E, in quel periodo, con Valentina che non le parlava, ne aveva bisogno più che mai. Ma non ci poteva fare molto, se non aspettare

 

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Rimise il telefono in tasca, anche se era tentato di mandare un messaggio a Valentina.

 

Stava aspettando da mezz’ora ormai: era l’una. Gli stava venendo il dubbio che Valentina lo avesse fatto andare lì apposta per fargli perdere tempo e poi dargli buca.

 

Del resto, che fosse il tipo da ripicche era abbastanza evidente ed aveva un caratterino bello tosto, dal poco che aveva saputo di lei.

 

Alla fine si decise a mandarle un messaggio.

 

Sono al BarOne, dove sei? Stai arrivando? Hai avuto qualche problema?

 

Ma niente, nessuna risposta, non aveva nemmeno letto.

 

Le avrebbe concesso ancora un quarto d’ora e poi se ne sarebbe andato.

 

In quel momento il telefono trillò.

 

Scusa, ma mi hanno trattenuta a lezione: il professore ha deciso che dovevamo recuperare un’ora che avevamo perso, non ce la faccio per oggi. Facciamo per un’altra volta? Ti faccio sapere quando.

 

Poteva pure dirglielo prima e il dubbio che fosse fatto di proposito gli rimase, ma non gli restò che rispondere con un laconico.

 

Va bene. Buona lezione.

 

Fece giusto pochi passi lontano dal bar, quando una ragazza mora, che camminava guardando il cellulare, incespicando su tacchi vertiginosi, inciampò a pochi metri da lui e volò in avanti.


Fece appena in tempo ad afferrarla e a reggerla in piedi. Ma perché le donne si ostinavano a mettersi su quei trampoli? Pure la sua Imma, anche se lei era ben felice di prenderla al volo pure ottocento volte, ma poteva essere pericoloso.

 

“Tutto bene?” le chiese, tenendola ancora per le spalle mentre recuperava l’equilibrio.

 

“Si, grazie mille, io, AHI!” gridò d’improvviso, incespicando in avanti e se la trovò praticamente spalmata addosso.

 

“Che ti succede?” le chiese, cercando di rimetterla in piedi e lei sollevò il piede destro, toccandosi la caviglia.

 

“Credo… credo di essermi presa una storta.”

 

“Ma riesci a camminare?”

 

“Non credo… come appoggio il piede ho una fitta tremenda, proprio qui!” esclamò, indicando di nuovo la caviglia.

 

“Vuoi che ti accompagno al pronto soccorso? Io purtroppo sono venuto in metro e non ho l’auto ma possiamo chiamare il 118.”

 

“Ma no, per una storta! Io abito qui a due passi. Se mi dai una mano me ne torno a casa e mi metto a letto. Poi al limite chiamo il fisioterapista se non mi passa.”

 

“Ma se avessi qualcosa di rotto? Non è meglio togliersi il dubbio andando in pronto soccorso?”

 

“Non dovrebbe essere più gonfio e farmi più male, se fosse rotta?” chiese lei, spaventata.

 

Calogiuri ci pensò un attimo: da un lato il protocollo sarebbe stato farla andare al pronto soccorso. Ma non era in servizio in quel momento, era in pausa, e alla fine in effetti andare al pronto soccorso per una cosa del genere forse era eccessivo.

 

“Ascolta, ho fatto un corso da infermiere, posso provare a vedere com’è messa, poi in caso chiami il fisioterapista che ne sa più di me,” propose infine, passandole un braccio sulla spalla, in modo da farle da stampella, “così riesci a camminare?”

 

“Credo… credo di sì…” disse lei e, incespicando si incamminarono per poche decine di metri, finché lei indicò un portoncino, poco più avanti sulla destra, "ecco, abito lì."

 

"Va bene…" sospirò Calogiuri, aiutandola a raggiungere il portone e ringraziando il cielo che ci fosse l'ascensore.

 

Salirono fino al terzo piano, poi lei gli fece strada nell'appartamento, un monolocale di poco più grande del suo. Il divano letto era ancora aperto e mezzo sfatto.

 

"Scusa il disordine ma vivendo da sola… stavo andando in università e la mattina non c'ho mai voglia di riordinare!"

 

"Figurati!" disse, camminando insieme a lei e cercando di farla sedere sul letto. Ma lei praticamente precipitò giù, tanto che per poco non cascava sopra di lei. Per fortuna riuscì a tenersi con le mani al materasso.

 

Se la trovò a pochi centimetri dal viso, il fiato sulle labbra e si sentì il viso infuocato dall'imbarazzo, affrettandosi a ritirarsi in piedi.

 

"Scusami… non volevo, ma ho perso l'equilibrio!"

 

"Figurati!" lo rassicurò lei con un sorriso.

 

"Hai bende a casa? Così magari ti faccio un bendaggio. Qualche pomata per il livido?"

 

“Le medicine sono in bagno, nel primo cassetto,” indicò, facendo segno verso l’unica porta dell’appartamento.

 

“Va bene…”

 

Andò in bagno e, con un po’ di imbarazzo, visti gli indumenti intimi stesi sopra la tenda della doccia, aprì il cassetto e, dopo un po’ di ricerca, ne estrasse quanto necessario.

 

“Ecco qui…” disse, tornando e sedendosi vicino a lei sul letto, “puoi togliere la scarpa che così non rischio di farti male, facendolo io?”

 

“Ok,” rispose e fece come chiesto e poi, senza preavviso, si mise mezza distesa sul letto e gli piazzò il piede in grembo, aggiungendo, forse al suo sguardo sorpreso e un po’ imbarazzato - aveva una minigonna e con le gambe aperte in quel modo per un attimo aveva visto fin troppo - “beh, se mi devi fare la fasciatura… anzi, com’è che ti chiami?”

 

“Ippazio,” ammise, anche se detestava il suo nome e la reazione sorpresa che aveva di solito la gente sentendolo.

 

E infatti anche la ragazza si mise a ridere.


“Che nome strano! Ma di dove sei?”

 

“Di Avellino,” rispose, non volendo dare troppi dettagli personali, “e tu come ti chiami?”


“Ludovica.”

 

“Bene, Ludovica. Allora, io mo ti devo tagliare la calza e-”

 

“No, macché, con quello che costano, aspetta!” ribatté lei e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, infilò le mani sotto la minigonna e iniziò a sfilarsi l’autoreggente destra.

 

Calogiuri sentì tutto il sangue andargli in viso, mentre abbassava gli occhi, cercando di guardare solo il piede, finché la calza le arrivò alla caviglia.

 

“Mi puoi dare una mano?” gli chiese lei e lui annuì, ancora paonazzo, togliendole delicatamente la calza.

 

“Ti faccio male?”

 

“No, no, figurati, anzi, sei molto… delicato… le sai usare proprio bene le mani,” replicò in un modo che lo fece sentire a disagio.

 

Non disse niente e cercò di fare il più in fretta possibile con la pomata ma ad un certo punto la sentì gemere.

 

“Ti faccio male?” chiese, preoccupato, sollevando gli occhi.

 

“Un po’...” si lamentò lei, continuando ogni tanto a mugolare e non avrebbe saputo dire perché ma pure quello lo mise a disagio.

 

“Comunque a vederlo così non sembra messo male, non è nemmeno gonfio per ora, magari si gonfierà tra un po’ ma dovrebbe essere solo una distorsione.”

 

Finì con la pomata ed iniziò con la fasciatura, partendo da metà piede e arrivando a metà polpaccio, cercando di stringerla ma non troppo, come gli avevano insegnato al corso.


“Fatto, ora prova a muovere leggermente il piedi in avanti ed indietro, per vedere se contiene abbastanza.”

 

“Così?” gli chiese e mosse sì il piede in avanti e indietro, ma pure la gamba, e si sentì toccare proprio .

 

“Ma che fai?” fece in tempo a dire, il viso che ormai era un forno, quando si sentì afferrare per la camicia.

 

“Come che faccio? Provo a vedere se il piede funziona ancora e… ti ringrazio per il salvataggio,” proclamò lei e, nel giro di due secondi, le mani gli finirono sul viso e si ritrovò trascinato in un bacio.

 

Giusto il tempo di un paio di istanti di shock e la spinse via con forza, forse troppa, visto che la ragazza cascò all’indietro sul letto, le gambe mezze in aria, con un’altra visione che lasciamo perdere, e si affrettò a tirarsi in piedi.

 

“Ma perché fai così? Non ti va se ci divertiamo un po’? Ho sentito che le endorfine aiutano a sopportare meglio il dolore e… quale modo migliore? Lo so che ti piaccio,” proclamò, rimettendosi lentamente a sedere con un sorriso che avrebbe forse dovuto essere seducente ma lo fece solo innervosire.


“Veramente no, non mi piaci.”

 

“Guarda che l’ho visto come mi guardi… e dove guardi…” proclamò, mettendosi in ginocchio e provando a riagguantarlo, ma lui si tirò indietro.

 

“Perché è impossibile non guardare quello che mi piazzi di fronte agli occhi, mica sono cieco! Ma ciò non significa che ciò che vedo mi piaccia. Non sono interessato e poi sono già impegnato, felicemente,” ribadì deciso, facendo un altro passo indietro e chiudendosi la giacca di pelle, manco fosse uno scudo.

 

“Felicemente? Mi vuoi dire che la tua ragazza è bella quanto me?” gli chiese di nuovo lei, con un’espressione incredula, come se non potesse nemmeno concepire l’idea che lui non fosse interessato.

 

Ma che problemi aveva?

 

“No, non è bella quanto te,” rispose netto, aggiungendo poi, sprezzante, “è molto più bella, dentro e fuori, anche perché non molesta perfetti sconosciuti che hanno solo cercato di darle una mano. Metti il ghiaccio sul piede e pure… e pure sul resto che mi sa che te ne serve parecchio!”

 

Ludovica, per tutta risposta, divenne dello stesso color fuoco del suo rossetto e lui ne approfittò per uscire e levarsi di lì, mentre si ripuliva la bocca con il retro della mano, colto da un senso di nausea.

 

Si sentiva in colpa verso Imma, anche se sapeva di non avere fatto niente di male, ma si sarebbe dovuto allontanare prima, ai primi segnali, anzi, forse avrebbe dovuto portare la ragazza in pronto soccorso e basta.

 

Ed Imma stava già male per la figlia ed era così insicura e gelosa di lui, che potesse interessarsi a qualcuna più giovane. E come poteva dirle cos’era successo, mo, senza farla preoccupare ancora di più?

 

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"E allora? Com'è andata?"

 

Ludovica era finalmente riapparsa, dopo aver saltato le prime due ore del pomeriggio e questo portava Valentina a ben sperare che il piano avesse funzionato. 

 

Almeno fino a che vide l'espressione delusa, quasi ferita, della ragazza. 

 

"Com'è andata?! Che quello è un matto o deve avere una specie di top model come fidanzata. O veramente gli piacciono soltanto le vecchie. Non sono mai stata trattata così in vita mia!" esclamò e sì, la voce era decisamente ferita.

 

"Ma che ti ha fatto? Ti ha fatto del male?" chiese Valentina, ancora speranzosa che dal piano ne sarebbe uscito qualcosa di buono. Anche se forse davvero gli avrebbe dovuto mandare un'altra quarantenne invece di una ventenne.

 

"No, ma mi ha respinta bruscamente e mi ha detto delle cose orrende…"

 

"Mi fai sentire la registrazione?" chiese Valentina, volendo capire che fosse successo.

 

"E a che serve?! Tanto la scommessa ti ho già detto che l'hai vinta!"

 

"Dai, è importante, voglio capire come ha reagito lui. Se ti ha trattata così male posso… va beh… me lo fai sentire? Tanto da qua non esce."

 

Ludovica sospirò e le passò il registratore e delle cuffie e Valentina iniziò ad ascoltare.

 

All'inizio sembrava tutto normale, anche se i tentativi di seduzione di Ludovica erano talmente palesi da sembrarle quasi comici.

 

E poi si sentì arrossire quando intuì cosa aveva fatto l'amica, sentì il bacio e poi quelle parole dette in modo cosi deciso, con veemenza. 

 

Hai capito il timido maresciallo?!

 

Non solo aveva detto a chiare lettere a Ludovica di non essere interessato e che era impegnato felicemente - sul definire sua madre più bella fuori di Ludovica doveva avere seri problemi di vista o mentali - ma l'aveva pure rimessa al suo posto in un modo che le ricordava qualcuna che conosceva ahilei fin troppo bene. 

 

Forse era stato troppo a lungo a contatto con sua madre.

 

E, anche se il dubbio che avesse un fetish per le donne più su d'età le rimase, una parte di lei sentì istintivamente che avrebbe reagito allo stesso modo chiunque gli avesse messo di fronte.

 

Forse il modo nel quale aveva pronunciato quel felicemente impegnato, o il tono della voce quando parlava di sua madre.

 

Era veramente strano il maresciallo ma forse era realmente ed inspiegabilmente preso da sua madre.

 

Doveva parlargli e capire che tipo fosse e cosa volesse da sua madre, e stavolta sul serio.

 

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“Calogiù, tutto bene?”

 

“Perché?”

 

“Perché stasera sei tu che sei più silenzioso del solito. Che ti succede? Ma non è che non stai bene? La pasta l’hai appena toccata. Se invece non ti piace la mia carbonara…”

 

“La tua carbonara è buonissima… è che non devo aver digerito bene il pranzo, scusami.”


“Ma che mi chiedi scusa, Calogiù! Ma sono un paio di giorni che mi sa che c’hai problemi di digestione. Non è che ti sei preso qualche malanno?”

 

“No, tranquilla… è che ho mangiato un panino di corsa e ho digerito male. Tutto qui,” rispose e poi vide che gli trillò il telefono e fece un’espressione strana.


“La Ferrari?” gli chiese, sapendo che lui avesse ormai capito che ne era gelosa.

 

“Sì, ma non è una cosa urgente, posso rispondere pure dopo, tranquilla,” la rassicurò, mettendo in bocca un altro poco di carbonara.

 

“Se non è urgente, non è di lavoro,” gli fece notare lei, puntuta.

 

“Sì, infatti, è per un invito a teatro,” rispose, mangiando un altro poco di pasta.


“Guarda che se non ti va non la devi mangiare, che ti fa solo peggio,” lo riprese, chiedendogli poi, “e che dovreste vedere stavolta?”

 

“Mi aveva accennato che era uno spettacolo su delle donne che ballano, non ho capito bene.”

 

Pure le donne che ballavano mo, ci mancava solo quello! Ma sta Ferrari proprio della vita sentimentale di Calogiuri si doveva interessare?

 

"Va beh, rispondile pure, eh, se vuoi andare a vedere ste donne ballare," ribatté, non riuscendo a trattenere del tutto la gelosia dalla voce.

 

"C'è una sola donna che vorrei veder ballare…" rispose lui con uno di quei sorrisi che mannaggia a lui gli avrebbe perdonato quasi qualsiasi cosa.

 

"Se ti riferisci a me, non sono mai stata molto capace, Calogiuri. Anche perché non ho avuto molte occasioni di fare pratica, ma meglio così."

 

A scuola alle feste era sempre a fare tappezzeria con la Pisicchio, visto che i ragazzi neanche la guardavano. E dopo… Pietro suonava ma non era mai stato appassionato di ballo, nemmeno al loro matrimonio lo avevano fatto. Giusto qualche tentativo terrificante di lento ai primi tempi della loro relazione ma avevano smesso subito di provarci.

 

"E allora creiamola l'occasione," ribatté lui con un altro di quei sorrisi.

 

"Se vuoi andare in discoteca, scordatelo che sono troppo vecchia per quella musica infernale. Meglio se ci vai con Mariani, Conti e gli altri ragazzi. E per la balera siamo un po' troppo giovani che dici?"

 

"Non serve mica andare in giro per ballare."

 

Lo vide prendere il cellulare e iniziare a smanettare e dopo poco una musica iniziò a diffondersi dalle casse del telefono. Era un lento, anche se un po' flebile visto da dove proveniva il suono. 

 

"Dobbiamo assolutamente comprare delle casse bluetooth ma per intanto…" disse, piazzando il telefono sul tavolo e porgendole la mano.

 

"Ma e lo stomaco?"

 

"Digerirò meglio se faccio un po' di movimento," non si arrese, continuando a porgerle la mano.

 

"Lo sai che se ci vede qualcuno ci prende per matti, sì, Calogiù?" rispose, infine, afferrandogliela con un sospiro.

 

"E allora oltre alle casse dovremo proprio deciderci a comprare pure le tende. Così possiamo sfruttare ancora meglio tutta la casa…"

 

"Calogiù!" esclamò, fintamente scandalizzata, dandogli un colpo sulla spalla.

 

Ma poi lui le prese le mani e una se la piazzò sulla spalla mentre l'altra la tenne tra le sue.

 

"Devi solo muovere i piedi con la musica, segui me," le spiegò, iniziando a muoversi.

 

Ma Imma non sapeva dove mettere i piedi, si sentiva completamente incapace, tanto che gli pestò un piede, inciampò e gli finì addosso.

 

"Non è che mi lamento ma… devi smetterla di pensare e lasciarti andare… e lasciarti condurre da me e dalla musica."

 

"Mi sa che non sono brava a farmi condurre, Calogiuri, nemmeno nella vita," ammise e lo sentì ridere di rimando, con un'espressione affettuosamente esasperata.

 

"E allora conduci tu, io ti seguo. Poi quando ti senti a tuo agio proviamo a fare anche il contrario," le propose e ad Imma sembrò, ironia della sorte, un po' una metafora di tutta loro relazione.

 

"D'accordo… ci provo…" sospirò, cercando di muoversi in qualche modo, giusto con dei piccoli passetti ma Calogiuri la seguiva senza problemi.

 

Dopo un po' iniziò a prenderci la mano ed i passi si fecero più sicuri, finché non doveva più sempre guardarsi i piedi. E poi, quando non ebbe più paura di cascare o di fargli male, lo abbracciò più forte, le braccia strette al collo gli sussurrò un "mo guidami tu, Calogiù."

 

E lui non se lo fece ripetere due volte, iniziando a condurla e lei si lasciò andare del tutto, appoggiandogli la testa sul petto e, straordinariamente, funzionava, funzionavano insieme, senza che lei dovesse concentrarcisi più, in modo naturale.

 

"Sei sempre stato bravo a guidare, Calogiuri," gli sussurrò, ironica, ad un certo punto, "e sei pure bravo a ballare, ma quando hai imparato? In discoteca?"

 

"Ma no, sai… alle feste di paese ancora si ballano i lenti e il liscio e queste cose qui…"

 

"E tu ci andavi spesso? Con Maria Luisa?" gli chiese e lo sentì irrigidirsi un po'.

 

"Imma…"

 

"Tranquillo, Calogiù, io non sono gelosa del passato. Del futuro parecchio, ma del passato no."

 

"Sì, ci andavo anche con lei… da quando ci siamo messi insieme. Del resto avevamo diciassette anni e non è che ci fosse molto da fare in paese, se non queste feste, d'estate soprattutto "

 

Insomma, un fidanzamento storico in cui lei era entrata a gamba tesa. Ma forse sarebbe finito comunque e Calogiuri sarebbe rinsavito pure senza la sua presenza.

 

"L'hai più vista dopo che…"

 

"Che ci siamo lasciati? No. Mia madre ci ha pure provato, eh, ma non la volevo più vedere. È stato un po' un casino, con mezzo matrimonio già prenotato. Ma ti ringrazierò sempre per avermi fatto capire quanto quella relazione mi facesse male. Chi ti ama deve credere in te e fare il tifo per te, non sminuirti per tenerti legato a sé. E fino a quando ti ho conosciuta non lo capivo."

 

"Calogiù…" sussurrò, stringendolo più forte, prima di pronunciare, decisa, "comunque se vuoi andare allo spettacolo con la Ferrari, per me non è un problema."

 

"Ma ne sei sicura?'

 

"E certo! Lo sai che sono un po' gelosa, però di te mi fido!"

 

Sentì Calogiuri bloccarsi un attimo, poi le sussurrò, "però devi promettermi che una sera mi permetterai di portarti a ballare."

 

"Se in discoteca scordatelo! Mi è bastato il concerto di Achille Lauro!"

 

"Tu sei stata ad un concerto di Achille Lauro?!" domandò con un tono talmente incredulo che le scappò una risata.

 

"Sì, per… per fare felice Valentina e-"

 

La voce le si ruppe, il pensiero della figlia e delle ultime parole orrende che si erano scambiate che tornò prepotente.

 

"Scusami, sono uno stupido!" le sussurrò e lei per tutta risposta gli puntò un dito nel petto. 

 

"Non dirlo nemmeno per scherzo! Lo so che stai facendo di tutto per distrarmi e in questi giorni non so come avrei fatto senza di te."

 

"Imma…" le sussurrò e si sentì stringere più forte. 

 

Passarono un po' in silenzio a ondeggiare al suono della musica.

 

"E allora ci vieni con me a ballare? Cerco un posto tranquillo e lontano dalla procura, promesso."

 

"E va bene, Calogiù, anche se preferisco farlo qui, e sai perché?" gli sussurrò all'orecchio, sollevandosi sulle punte dei piedi.

 

"No, perché?"

 

"Perché lì non potrei fare questo."

 

Iniziò a mordicchiargli il lobo dell’orecchio, poi soffiò fino a sentirlo rabbrividire ed iniziò a tormentargli il collo, come amava fare, sentendosi stringere più forte, il desiderio che si riattivava prepotente dopo giorni in cui i suoi pensieri erano stati altrove e si erano limitati ad abbracci e coccole.

 

Ma mo intendeva recuperare, con gli interessi.

 

“Imma… Imma…” lo sentì mormorare, mentre lo spingeva al muro, continuando a baciarlo, le mani che andavano sotto al maglione per levarglielo.

 

Ma lui gliele prese e se le bloccò dietro la schiena, mentre si trovò travolta in un bacio appassionato, vagando alla cieca per la cucina. Alla fine sentì qualcosa contro la schiena e si trovò, senza nemmeno bene capire come, distesa sul tavolo, mentre un frastuono assordante segnalava che la pentola di carbonara era appena cascata a terra.

 

Sentì Calogiuri sollevarsi leggermente da lei ma lo bloccò, afferrando il maglione con entrambe le mani.

 

“Se provi a staccarti sei morto, Calogiù,” gli intimò e lui le sorrise in quel modo da impunito che aveva ogni tanto e stavolta fu lui ad avvicinarsi all’orecchio e darle un rapido morso.

 

“Non ci penso nemmeno, dottoressa, ma avevo altro in mente…” le sussurrò, afferrandole le mani e bloccandogliele tra le sue, per poi baciarla sul collo scendendo giù, sempre più giù, “di molto meglio della carbonara.”

 

“Calogiù!” esclamò tra le risate, afferrandogli il viso con le mani finalmente libere, le dita che gli finivano tra i capelli, mentre si sentì sollevare la gonna, il fiato di lui che le solleticava la pelle.


E poi non solo quello.

 

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Imma stava dormendo, finalmente, come sempre mezza abbracciata a lui, il respiro lento e regolare come non lo sentiva da tante notti.

 

Era quasi l’una e dopo l’ondata di passione evidentemente era stata presa dal sonno arretrato.

 

Con cautela afferrò il cellulare dal comodino e ritrovò la notifica del messaggio di Valentina De Ruggeri, che prima a tavola non era riuscito a leggere.

 

Per fortuna la Ferrari lo aveva già invitato a teatro quel pomeriggio e almeno aveva avuto una scusa pronta.

 

Era rischioso, ma era troppo curioso di sapere che volesse, dopo avergli dato buca quel giorno.

 

Senti, visto che in orario di lezioni è un po’ un casino, ti va se ci vediamo una di queste sere? Tipo in un pub? Verso le otto che poi voglio rientrare ad un’ora decente. Quando potresti? Ovviamente sempre senza dirlo a mia madre.

 

Niente ulteriori scuse per la buca datagli. Valentina era quasi più brusca di Imma con le persone che non le andavano molto a genio, tipo lui.

 

La sera era rischiosa… le passava sempre con Imma e se Valentina non voleva che lo dicesse alla madre… si sarebbe dovuto inventare una scusa.

 

Ma, d’altro canto, se poteva servire ad avvicinare Imma e Valentina… in fondo era un’omissione a fin di bene.

 

E non sarebbe nemmeno stata l’unica di quel giorno.

 

Alla fine aveva deciso di non dire niente ad Imma dell’assalto subito da quella specie di pazza vicino all’università: tanto che senso aveva farla preoccupare? Lui non ci era stato e comunque non l’avrebbe - si spera - mai più rivista.

 

E per Valentina… poteva inventarsi un’uscita con dei colleghi, tanto Imma non avrebbe mai verificato.

 

Ragionò se fosse il caso di rispondere a quell'ora o meno, ma vide che Valentina era online. Sperando che Imma non si risvegliasse, compose il messaggio.

 

Va bene. Facciamo dopodomani sera. Dimmi tu dove preferisci, basta sia raggiungibile in metro o col motorino.

 

Aspettò giusto un paio di minuti e gli arrivò la risposta.

 

C’è un pub vicino all’università, il Foxhound. Dopodomani alle otto allora?

 

Va bene.

 

Staccò i dati, appoggiò il cellulare al comodino e si abbracciò meglio ad Imma, sperando davvero che quell'incontro potesse servire e non fosse solo l'ennesima buca.

 

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"Calogiù che ci fai ancora qui?"

 

Se la vide apparire davanti in PG, dove ormai era rimasto solo lui, invece che andare a casa, rigorosamente in modo separato, come al solito.

 

"Scusami ma ho un lavoro urgente da finire per domani. E poi alcuni dei ragazzi mi hanno invitato a bere qualcosa. Ti spiace se stasera arrivo più tardi?"

 

"No, certo che no, ma… magari dimmelo prima la prossima volta."

 

"È che… è stato tutto all'ultimo anche per me. Ma quando arrivo a casa prometto che mi faccio perdonare," proclamò anche se si sentiva in colpa tremenda a mentirle così.

 

Ma era per una buona causa.

 

Aveva deciso di dirglielo all'ultimo proprio per avere meno chance di essere scoperto.

 

"Ah sì? E come?" gli domandò con un sorriso e si avvicinò di più a lui.

 

"Se mi aspetti sveglia lo scoprirai," rispose, guardandosi intorno prima di piantarle un rapido bacio sulle labbra, "ma comunque cerco di tornare presto."

 

"Va bene, maresciallo. Ma sappi che sarò un giudice molto severo e ho aspettative altissime."

 

"D'accordo, dottoressa."

 

La vide sparire dietro la porta con un sorriso che era cosa rara da vedere in quei giorni. Ma sperava davvero che presto non lo fosse più.

 

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Entrò e si guardò intorno, chiedendosi se prendere un tavolino o aspettare Valentina. E invece la vide dopo poco, già seduta ad un tavolinetto alto, di quelli con gli sgabelli.

 

Beh… almeno non gli aveva dato buca stavolta e anzi, era arrivata pure in anticipo.

 

“Ciao, è da tanto che aspetti?” le chiese, sedendosi sull’altro sgabello.

 

“No,” rispose, secca, senza elaborare oltre.

 

“Allora… mi hai invitato qui per parlare. Vuoi prendere qualcosa da mangiare o da bere mentre parliamo?”

 

“Poco, che credo che avrò la nausea a parlare di te e mia madre,” ribatté, tagliente, afferrando il menù.

 

“Va beh… ordiniamo quello che vuoi e poi parliamo,” abbozzò, un po’ a disagio per l’evidente ostilità, anche se se l’era aspettata.

 

Valentina ordinò un hamburger senza panino ma con le patatine fritte.

 

Lui, che del cibo da pub aveva ancora un ricordo traumatico, la imitò ma da bere ordinò solo una coca cola.

 

“Non bevi alcolici?” gli chiese Valentina, incuriosita, che invece aveva ordinato una birra piccola.

 

“Molto raramente e di solito solo a casa ormai,” spiegò, mentre lei lo guardava in modo sospetto.


“Sai che Baudelaire diceva che chi non beve ha qualcosa da nascondere?” insinuò, fulminandolo con un’occhiata inquisitoria stranamente familiare.

 

“Purtroppo non ho fatto il classico come te, ma solo l’istituto tecnico, quindi temo di non essere molto ferrato in letteratura. Ma non è che ho qualcosa da nascondere, semplicemente dopo devo guidare il motorino e credo che per questa conversazione è meglio che sia lucido, no?”

 

“Sai che ho fatto il classico?”


“Sì, tua madre mi ha spesso parlato di te, soprattutto ultimamente, come puoi immaginare.”

 

“Quale onore essere un vostro argomento di conversazione!” proclamò, sardonica, per poi chiedere, con tono inquisitorio, “l’istituto tecnico? Che specializzazione?”


“Meccanica. I miei genitori sono contadini… e non sono mai stato un asso nello studio, almeno da giovane, sono migliorato negli anni, quindi dovevo fare studi pratici, per trovare un lavoro.”

 

“E poi com’è che ti sei arruolato?”

 

“Ho provato a fare un po’ di lavori dopo la maturità, ma per lavorare in fabbrica avrei dovuto trasferirmi al nord e non volevo fare il contadino, se possibile, e poi c’era già mio fratello che lo faceva e non abbiamo abbastanza terre per mantenerci tutti. Ho provato a fare un corso di pronto soccorso e mi è piaciuto, mi piaceva aiutare gli altri ma per lo studio appunto non ero portato e fare infermieristica mi sembrava troppo difficile. Poi un giorno ho visto il bando dell’Arma e mi sono detto che, male che fosse andata, avrei avuto vitto e alloggio gratis per la durata del corso. E poi mi sono trasferito a Matera per il mio primo incarico e il lavoro mi è piaciuto molto e-”

 

“E non solo quello!” lo interruppe, sempre più pungente, e Calogiuri si sentì avvampare, “senti, mi puoi risparmiare la storia da Cenerentolo di campagna, che non è che mi impietosisce se hai origini umili o me ne fregherebbe se fossi ricco sfondato. Ma voglio capire che ci trovi in mia madre e che intenzioni hai con lei. Sei giovane e sei bello, chissà quante ne hai che ti corrono dietro e mia madre… va beh… diciamo che ha uno stile tutto suo. E ha… quanti anni hai tu?”

 

“Ventinove quest’anno.”

 

“Quindi avete… sedici anni di differenza? Sono tantissimi, te ne rendi conto?”

 

“Sì, lo so che c’è una grande differenza d’età ma… ma per me non conta, non la sento. Cioè, lo so che tua madre su molte cose probabilmente sarà più matura ed avrà più esperienza di me ma… ma in altre ne ho più io di esperienza e ci compensiamo, non so spiegartelo.”


“Non voglio sapere in quali…” commentò Valentina, sarcastica.

 

“No, non credere. Io prima di tua madre a parte qualche storia da ragazzetto e poi va beh… pochissime storielle così, ho avuto un solo fidanzamento molto lungo, dai 17 ai 27 anni. Quasi mi sono sposato e poi-”

 

“E poi è arrivata mia madre e sei impazzito?”

 

“No… tua madre mi ha fatto aprire gli occhi, Valentina. La ragazza con cui stavo, Maria Luisa, mi trattava come fossi un cretino che non avrebbe mai concluso nulla di buono nella vita. Mia madre pure mi trattava così. Tutte le persone a me vicine mi consideravano stupido e io mi ci sentivo. Ma poi tua madre… tua madre mi ha insegnato un mestiere - e no, non avevamo una relazione, io la vedevo come una specie… di mito allora… il tipo di persona che avrei voluto diventare, ma sapevo che non sarei mai stato al suo livello. Di intelligenza, di bravura. Invece lei ha creduto in me e mi ha spinto a studiare, a fare carriera, mi ha fatto capire che ero capace e meritavo di meglio. E così è finita la storia con Maria Luisa e… e dopo un po’ ho capito di essermi innamorato di tua madre, anzi, di amarla proprio e ti garantisco che non ho mai amato nessuno come amo lei.”

 

Valentina rimase per un attimo in silenzio, pensierosa.

 

“Ma a parte il fatto che ti ha spronato sul lavoro, che ci trovi in mia madre? Questo non lo capisco.”


“Non lo so come spiegartelo ma… con lei mi sento la versione migliore di me stesso, tira fuori il meglio di me e non solo sul lavoro. E poi mi capisce sempre, senza parole, basta uno sguardo, e questo fin da quando ci siamo conosciuti. Ed è sempre così energica, divertente, appassionata in ciò che fa, mi piace pure la sua testardaggine, quando non esagera. Non lo so come spiegartelo, ma c’è un qualcosa di lei che sento simile a me, anche se sembriamo tanto diversi, e che ci lega, e che va al di là dell’età e di tutto il resto. Con lei mi sento… a casa… e questo da tantissimo tempo, dovunque siamo. E poi è intelligentissima, ha un cuore grande, anche se lo nasconde a tutti, ma si fa in quattro per gli altri, senza darlo a vedere. È forte, fortissima, ma ha anche questi momenti di fragilità nei quali sembra una bambina. Ed è bellissima, nonostante i look stravaganti e-”

 

“Cioè, fammi capire, tu la vedi davvero bellissima?” gli chiese, sembrando stupita.


“Sì, certo!”

 

“Ma da quando l’hai conosciuta o la cecità selettiva è subentrata dopo?”


“Quando l’ho conosciuta non avrei mai osato pensare a lei in quei termini… ma da quando ho cominciato a vederla come una donna… l’ho sempre trovata bellissima. Ha un fascino incredibile per me.”

 

“Io non so che dire…” mormorò Valentina, ma notò che il tono ostile non c’era più e gli occhi le sembravano un poco lucidi, ma magari erano le prime sorsate di birra.

 

Per un po’ rimasero in silenzio, arrivò il cibo e iniziarono a mangiare, sempre senza parlare.

 

Ma non si sentiva a disagio, per qualche strana ragione.

 

“Quando è iniziata tra voi?” gli chiese, di botto, e per poco non si strozzò con un boccone.


“Valentina…”

 

“Voglio la verità.”


“Di questo non sarebbe meglio parlarne con tua madre?”


“E che differenza fa? La storia ve la siete fatta in due, no? Quindi posso chiederlo anche a te. Tanto l’ho capito che eravate amanti a Matera, non ci vuole un genio e l’ho detto pure a mia madre. Non è possibile che sia iniziata mo a Roma, non da come ne parli e poi… se lei si è trasferita qui-”

 

“Guarda che lo ha fatto davvero anche per starti vicina, lei ci tiene tantissimo a te. In questi giorni è distrutta, tu non hai idea di quanto ha pianto. E non voglio impietosirti ma è la verità.”

 

“Poteva pensarci prima, invece di fare quella che chiagne e fotte, come si suol dire.”

 

“Ma… ma guarda che tua madre ha cercato in tutti i modi di… di salvare il suo matrimonio e di allontanarsi da me. Io mi sono pure trasferito a Roma perché… perché pensavo fosse anche quello che lei volesse, che il nostro rapporto si interrompesse e… e non ci fosse la tentazione di mezzo. Ma poi il resto devi fartelo raccontare da lei, non sarebbe giusto che parlassi io di cosa prova o non prova tua madre e di cosa è successo tra noi. Posso dirti che a me dispiace e mi rendevo conto quando ho iniziato ad avvicinarmi a lei che era sbagliato ma… a volte certe cose non si controllano ed io non sono riuscito a controllarle. Tua madre ha sempre cercato di porre un freno, quindi al limite la maggioranza delle colpe ce le ho io.”

 

“Ma mia madre era più grande ed era lei quella sposata, quindi la colpa è soprattutto sua! E se questo è un modo per farmi parlare di nuovo con lei-”

 

“No, è che credo davvero sia la cosa più giusta da fare. Anche perché io non posso parlare per lei e dei suoi sentimenti. Però lei ti vuole davvero un bene dell’anima, Valentina, non l’ho mai vista distrutta come quando hai… hai scoperto di noi e… va beh… è successo quello che è successo.”

 

“Mi ha dato uno schiaffo. Sai che non me l’aveva mai dato prima? Anche se ci era arrivata vicino. E me l’ha dato per te! Questo mi fa imbestialire e-”

 

“E se pensi che io sia più importante per lei di te, sbagli, e di grosso pure. Ha aspettato che tu studiassi qui a Roma per venire da me e dirmi che si era separata e… va beh poi è successo di tutto, ma abbiamo ricominciato a vederci davvero solo da ottobre, dopo mesi che non ci sentivamo. Per lei la tua serenità è sempre venuta prima di tutto e viene prima di tutto, ce lo siamo detti tante volte.”

 

“Ma intanto si è comunque messa con te.”

 

"Per mia fortuna l'amore non si controlla, Valentina. E non voglio parlare del rapporto tra i tuoi genitori perché non ne ho il diritto e non so come fosse prima della separazione. Ma ti garantisco che non è una decisione che tua madre ha preso d'impulso o a cuor leggero, anzi. Poi io lo capisco che sei arrabbiata e che ce l'hai con me, pure io ce l'avrei con me al posto tuo. Però non si sceglie chi si ama. L'ho visto con Maria Luisa. E ti garantisco che con tua madre ho intenzioni più che serie, che abbiamo parlato del futuro e sono e siamo consapevoli dei problemi che ci potranno essere per la differenza d’età. Ma io con tua madre voglio stare finché lei mi vorrà e, se la fortuna mi assiste, spero mi vorrà sempre."

 

“O sei matto o sei masochista,” esclamò Valentina, scuotendo il capo, “ma contento te….”

 

“Valentina…”

 

“No, ma… è che… quando parli di mia madre, a tratti mi sembra di sentire parlare di un’altra persona, che non conosco. Però non dubito che tu la vedi in questo modo, si vede da come ne parli. Ma… diciamo che ho bisogno di un po’ di tempo per pensare, a tutto quanto, sia a quello che mi hai detto tu, sia a cosa voglio fare dopo.”

 

“Se parlassi con tua madre almeno… per lei sarebbe davvero importante poterti spiegare il suo punto di vista. Pure se non sarà magari condivisibile o se avrà sbagliato. Ma a te ci tiene veramente.”

 

Valentina lo guardò con un’occhiata indecifrabile ma che di nuovo gli fu stranamente familiare. Non somigliava molto a Imma nei tratti, eppure nel modo di fare qualcosa in comune c’era davvero.

 

“Ci penserò… almeno hai avuto coraggio a venirmi a parlare, questo te lo riconosco. Non lo hai detto a mia madre, vero?”


“No, e ci è voluto più coraggio per nasconderle qualcosa, credimi.”

 

“Ah, non ne dubito. Ci ho passato l’adolescenza con lei in modalità PM a casa, hai presente?” gli chiese e gli venne da sorridere.

 

E poi pure lei sollevò un angolo della bocca, di pochissimo, ma era già qualcosa.

 

“Immagino che non vedi l’ora di tornare da mia madre?”


“E tu dal tuo ragazzo?” domandò di rimando, ma l’espressione di Valentina si rabbuiò completamente.

 

“Tanto torna tardi: ha il turno al ristorante stasera.”

 

"Allora vuoi prolungare l'interrogatorio ancora per un po'? Io non bevo ma potremmo prenderci il dolce."

 

"Sul serio staresti ancora qua con me? Tu non stai bene. Sei più che masochista!" ironizzò, sarcastica ma non in modo sprezzante, semplicemente stupito.

 

"Ti garantisco che sto benissimo! E poi sono abituato agli interrogatori, a farli ed a riceverli, quindi...”

 

"Tipo quello che ti farà mia madre quando torni stasera?”

 

“Tipo,” replicò con un sorriso.


“Va bene, prendiamo il dolce. Ma solo perché ho ancora fame e qui fanno un tortino al cioccolato buonissimo. E poi ti volevo chiedere una cosa, visto che ne stiamo parlando.”

 

“Che cosa?”

 

“Come hai fatto a capire che… insomma che non amavi più la tua fidanzata e che ti eri innamorato di mia madre? Va beh che con un’arpia del genere... io l’avrei mandata a quel paese molto prima, pure senza bisogno di conoscere mia madre.”

 

“Lo so… hai ragione ma… ma quando tutti quelli che ti circondano ti dicono in continuazione che non vali niente, finisci per crederci,” spiegò, prima di domandarle, un po’ in imbarazzo, “ma perché lo vuoi sapere?”

 

“Curiosità su come si è evoluto il tuo masochismo negli anni…”

 

Ma il tono, di nuovo, non sembrava più così ostile, anzi, lo vedeva che era veramente curiosa.

 

“Mah… non lo so… diciamo che… per quanto riguarda Maria Luisa, avevo sempre meno voglia di tornare il fine settimana a trovarla al paese. Mi dicevo che era perché ero stanco - e a tua madre ancora non pensavo in quel modo, o non capivo forse di stare iniziando a pensarci - ma non avevo più tanta voglia di stare con lei. E quando poi ero con lei mi annoiavo, o mi sentivo sempre inadeguato, o mi arrabbiavo per come mi trattava. E poi… e poi appunto ho capito che mi meritavo di meglio e l’ho lasciata. E tua madre… in quel periodo è successo il suicidio dell’architetto, non so se te lo ricordi, ma credo di averla vista per la prima volta come una persona e non questo mito invulnerabile. E poi sono andato a Roma per qualche mese e mi mancava molto, la pensavo in continuazione, le ragazze che mi si avvicinavano le trovavo tutte… poco interessanti e le paragonavo a lei, insomma le solite cose….”

 

Valentina annuì, sembrandogli stranamente sovrappensiero. E non parlò più nemmeno quando arrivò il dolce, iniziando a mangiarlo in perfetto silenzio.

 

*********************************************************************************************************

 

Imma sospirò, mentre si ingollava un’altra forchettata di spaghetti al tonno. Il piatto da single per eccellenza, anche se lei single non lo era più.

 

L’appartamento era silenzioso e Calogiuri le mancava, per quanto fosse assurdo: erano stati sei mesi senza vedersi e cinque senza sentirsi e mo, invece, quando alla sera non c’era, anche solo per un paio d’ore, non vedeva l’ora arrivasse a casa. Ma sapeva che doveva contenersi perché Calogiuri non doveva rinunciare alla sua vita sociale per lei, non sarebbe stato giusto, oltre al fatto che avrebbero attirato sospetti.

 

Con un altro sospiro accese la tv, almeno per distrarsi un po’ e beccò il TG della sera. Dopo qualche notizia abbastanza inutile, improvvisamente l’anchorman apparve più agitato.

 

“Abbiamo un’ultimora: a Roma, sparatoria durante un’irruzione per catturare i responsabili della rapina in banca finita nel sangue alle Capannelle. Ci sono ancora notizie confuse ma si parla di almeno un morto e diversi feriti, che informazioni hai, Roberta?”

 

La forchetta le cadde nel piatto, un nodo in gola quando si rese conto che era il caso di cui si stava occupando Calogiuri con la Ferrari. Ma doveva stare calma: Calogiuri non era in servizio a quell’ora sicuramente, anche se aveva finito tardi e non era detto che quelli della PG fossero coinvolti.

 

“Sì, confermo, sono arrivate le ambulanze, e ho sentito parlare di almeno un morto e di diversi feriti, anche tra gli agenti intervenuti. Non ho notizie più certe ma- aspettate! Ecco che passa la PM incaricata del caso. Dottoressa, ci sono notizie? Dichiarazioni? Che è successo?”

 

Ed Imma vide la Ferrari, ancora più elegante del solito, come se la sua serata fosse stata bruscamente interrotta dall’irruzione e, accanto a lei....

 

“La dottoressa non intende rilasciare dichiarazioni, fateci passare!”

 

Riconobbe la voce concitatissima di Conti, che stava attaccato alla Ferrari manco fosse un cane da guardia ed Imma si sentì mancare del tutto il fiato.

 

Se c’era Conti… Calogiuri aveva pure finito tardi quella sera, li dovevano avere richiamati tutti all’improvviso, per intervenire. E sia che fosse in procura ancora, sia che fosse già insieme a Conti… doveva essere lì pure lui, per forza.

 

Il cuore in gola, afferrò il telefono e compose il numero di Calogiuri. Ormai la sparatoria era finita e doveva rispondere.

 

Il telefono squillò libero e tirò un sospiro di sollievo. Lo lasciò squillare fino in fondo, ma niente.

 

Riprovò ancora due volte, non le importava se sarebbe sembrata una povera pazza, ma il risultato era sempre il medesimo.

 

Si alzò e cominciò a camminare compulsivamente per la stanza, agitata come non mai. Nei confronti del mondo, lei per Calogiuri non era nessuno e, pure se gli fosse successo qualcosa, nessuno avrebbe mai pensato di avvisarla.

 

Si impose di aspettare quindici minuti, il tempo di solito necessario a Calogiuri per accorgersi di una qualsiasi telefonata se era in servizio, o per liberarsi da qualsiasi impegno e poi richiamò.

 

Niente.

 

Dopo mezz’ora, quando ormai era sull’orlo di un attacco di panico, provò un’ultima volta ma ancora nulla.

 

Che poteva fare? Non sapeva nemmeno in quale ospedale avessero portato i feriti e i canali di news 24 ore non davano ulteriori notizie.

 

C’era un’unica soluzione, un unico modo per sapere, anche se forse si sarebbe tradita, ma a quel punto non le importava di niente, solo di sapere che lui stesse bene.

 

Compose il numero della Ferrari.

 

Squillò libero per un po’ e temette che fosse impegnata e non le avrebbe risposto, ma alla fine sentì la sua voce familiare, anche se le suonò stanca e preoccupata come non l’aveva mai sentita.

 

“Imma? Che succede? Dimmi. Hai saputo della sparatoria, immagino?”

 

“Sì, sì, esatto. Dimmi… è vero che… è vero che è morto qualcuno e che ci sono dei feriti? Chi… chi sono?” domandò, non riuscendo a trattenere l’ansia dal tono di voce.

 

“Il morto è un appuntato della caserma vicino a Capannelle, Imma, non lo conosci,” spiegò ed Imma tirò un sospiro di sollievo, le gambe che le cedevano mentre cadde sul divano, “mentre i feriti… sono Rizzo e Palermo, più un agente di Capannelle. Ma al momento non sembrano in condizioni critiche. Per fortuna Conti, Mariani e Rosati stanno bene.”

 

Imma rimase un attimo di stucco. E Calogiuri? Era incredibilmente sollevata di non sentirlo nella lista dei morti e dei feriti, ma la Ferrari aveva praticamente menzionato tutta la PG tranne Carminati - che era in ferie - e Rizzuto - che stava in malattia.

 

Forse se l’era semplicemente scordato ma… di solito era lui il suo braccio destro, mentre… mentre al TG era apparsa con Conti.


Per un attimo le venne il dubbio che non volesse dirle che era ferito, per non farla preoccupare o che lo avesse omesso apposta, per costringerla a chiedere direttamente di lui.

 

In altre circostanze non lo avrebbe fatto, ma in quel momento la prudenza poteva andare dritta dritta a farsi un bel giro, “ma Calogiuri?”

 

“Calogiuri?”

 

“Sì, non lo hai nominato. Sta bene?”

 

Sentì silenzio per un attimo dall’altra parte e temette il peggio, il cuore che le andava a mille, il panico che saliva, mentre ipotizzava che la Ferrari si stesse preparando a darle una brutta notizia.

 

Ed in effetti così era, solo che non era quella che si sarebbe aspettata.

“Calogiuri… non c’era in questa irruzione. Abbiamo provato a chiamarlo per sentire se era disponibile, visto che la soffiata ci è arrivata all’ultimo, ma il cellulare squillava sempre a vuoto. Non so dove sia, immagino sarà da qualche parte dove non sente il telefono e che stia bene. Da un lato è stato fortunato,” le disse, con un tono strano, prima di aggiungere, rapidamente, “se non c’è altro andrei che qui, come immaginerai, è un delirio e devo poi raggiungere i feriti in ospedale.”

 

“Va bene, grazie,” replicò, quasi meccanicamente, il nodo in gola che ormai era un sasso ma per motivi completamente diversi.

 

Non ci poteva credere, non ci voleva credere ma… ma Calogiuri le aveva raccontato una palla, un’enorme palla, era evidente.

 

Ricordò i messaggi degli ultimi giorni, in strani orari, quella sosta prolungata in bagno, il modo sfuggente in cui aveva risposto alle sue richieste di informazioni.

 

Eppure lei le corna le aveva fatte per mesi, doveva riconoscerli i segnali, porca miseria!

 

Non si era mai sentita tanto umiliata, tanto ferita: gli erano bastati neanche sei mesi di relazione e due di quasi convivenza per stancarsi di lei ed iniziare a guardarsi intorno.

 

La verità, anche se le faceva male ammetterlo, è che avevano avuto ragione tutti a metterla in guardia, a dirle che si era rincretinita e se ne sarebbe pentita a rivoluzionare tutta la sua vita per un uomo tanto più giovane. Pure a Pietro le toccava dare ragione, mo.

 

Calogiuri l’aveva desiderata tanto solo finché non poteva averla, probabilmente attratto da una visione idealizzata di lei, da qualcosa di irraggiungibile. Ma poi… ma poi, una volta che l’aveva raggiunta, si era stufato in fretta e si era sicuramente cercato qualcuna di più bella, di più giovane, di più adatta a lui.

 

E lei che temeva la Ferrari, mentre invece… lui già intorno si guardava e non in tribunale stavolta. Almeno quella lezione l’aveva imparata, lo stronzo.

 

Ed una rabbia cieca esplose insieme al dolore e a tutto il resto, una voglia di fargli male, di fargliela pagare.

 

Prese a pugni uno dei cuscini del divano fino a farsi male alla mano, beccando per sbaglio il bracciolo.

 

E poi arrivarono le lacrime.

 

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Richiuse dietro di sè la porta di casa lentamente, temendo di fare troppo rumore.

 

L’appartamento era buio pesto e non si vedeva praticamente niente.

 

Arrivò a tastoni fino in camera e al letto e lo vide già occupato.

 

Provò ad avvicinarsi per un bacio ma Samuel continuò a dormire e si rigirò pure dall’altra parte, come se lo avesse disturbato.

 

Era sfinito e lo sapeva pure lei e lo capiva ma....

 

Ma non per la prima volta si chiese se non avesse fatto il passo più lungo della gamba con lui.

 

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Aprì la porta lentamente, temendo di svegliarla: erano già le undici di sera, tra quando aveva lasciato Valentina ed il tempo di rientro, e non sapeva se fosse già a letto o meno, nonostante avesse promesso di aspettarlo sveglia.

 

Ma era una precauzione inutile: Imma era seduta sul divano, a testa bassa.

 

“Eccomi!” fece in tempo a dire e lei sollevò lo sguardo e ciò che ci vide lo fece bloccare bruscamente sui suoi passi.

 

Aveva gli occhi non rossi, di più, il viso pieno di lacrime rapprese e un’espressione furibonda.

 

“Imma, che succede?” le chiese, preoccupato, facendo qualche passo verso di lei.

 

“Non. Ti. Avvicinare!” gli gridò contro con una rabbia ed una veemenza che non le aveva veramente mai sentito e, per una come lei, era davvero tutto dire.

 

“Come? Ma che succede, io-”

 

“Dove sei stato?” sibilò, tirandosi in piedi dal divano, i pugni chiusi accanto ai fianchi e vedeva che tremava tutta.

 

“Fuori con i ragazzi e-”

 

“Ah, ma davvero? E quali ragazzi, sentiamo!” pronunciò, con un sarcasmo che non comprese, oltre ad una durezza tremenda.

 

“Beh, i soliti… Conti, Mariani, Palermo e-”

 

“E deve essere stata proprio una seratina molto interessante, visto che Palermo sta in ospedale con ferita d’arma da fuoco e Conti e Mariani sono sul posto, insieme a praticamente tutta la PG, tranne te!”

 

“Che… che cosa?!”

 

“C’è stata un’irruzione per il caso a Capannelle ed è morto un agente, ci sono diversi feriti, sta su tutti i tg! Ho provato a chiamarti non so quante volte e non rispondevi. Pensavo… pensavo che tu fossi morto, maledizione!” gli urlò di nuovo contro, avvicinandosi lei stavolta per tirargli due pugni sul petto e poi allontanandosi bruscamente prima che potesse toccarla, mentre una mano gelida gli si serrava sullo stomaco, “e invece… e invece ho chiamato la Ferrari e che ti scopro? Che tu eri irraggiungibile e quindi all’irruzione non c’eri proprio. E io come una cretina qui a preoccuparmi per te, mentre tu… mentre tu chissà con chi eri, eh! Con chi eri? E voglio la verità o ti giuro che-”

 

“Con Valentina,” la interruppe, prima che urlasse ancora di più di quanto già non stesse facendo.

 

“E chi è sta Valentina, mo?!” gridò, ancora più forte, tirandogli un altro colpo sul petto.

 

“Tua figlia Valentina.”

 

La vide bloccarsi di botto, come se fosse stata di sasso.

 

“Mia… mia figlia Valentina?” ripeté, con un tono indefinibile, tra lo sbigottito e qualcos’altro.

 

“Sì. Mi ha chiesto di vederci da soli per parlare a quattr’occhi e… e non voleva che te lo dicessi. Io… io volevo solo darti una mano, Imma, a riavvicinarti a lei e-”

 

“E per questo ti sembra normale che tu mi nascondi che ti vedi con mia figlia?! E se questo incontro avesse peggiorato le cose? Queste cose le devo decidere io, sono io sua madre, tu non sei suo padre e soprattutto non sei un suo amico!” gridò, tornando incazzata nera, “già c’è Pietro che mi nasconde le cose su Valentina ma lui… lui almeno è il padre, porca miseria!”

 

“Ma non ho peggiorato le cose, anzi, abbiamo chiacchierato tanto, sono rimasto con lei anche più del previsto, finché non era quasi ora che tornasse il fidanzato, secondo me ci siamo capiti ed è andata bene!”

 

“E meno male che è andata bene!” esclamò, alzando le braccia al cielo, prima di puntargli un dito al petto, “ma se non fosse andata bene? Eh?! Che succedeva allora?! Porca miseria, Calogiuri, UNA cosa ti avevo chiesto, UNA, cioè di non nascondermi le cose e che i problemi bisognava affrontarli insieme. E invece tu… riparti al salvataggio, come con il trasferimento. Se io ti trattavo come un ragazzino, tu come mi stai trattando, eh? Come una povera demente alla quale bisogna nascondere le cose?!”

 

“No, Imma, no, è solo che sapevo quanto eri in pensiero e-”

 

E proprio per quello avresti dovuto dirmi tutto! Sarebbe stato grave su qualsiasi argomento, ma su Valentina, era proprio l’ultima cosa su cui dovevi raccontarmi una palla, Calogiuri!”

 

Era incazzata quasi quanto quando credeva di essere stata tradita e il panico gli montò ancora di più. Capì di aver sbagliato tutto, di averla combinata grossa e proprio sulla e con la persona a cui Imma teneva più al mondo.

 

“Imma, ho capito, ho sbagliato, perdonami io… sono stato uno stupido, ma ti garantisco che ero in buona fede. Ma non succederà più, te lo prometto!” la implorò, la paura che gli bloccava quasi il fiato, perché non poteva perdere Imma e soprattutto non poteva perdere la sua fiducia. Era quella la cosa che gli faceva più male.

 

“Questa frase l’ho già sentita, Calogiuri. A casa mia a Matera per la precisione. E hai fatto tale e quale a prima, se non peggio. Altre cose che mi hai nascosto nel frattempo, prima che le scopra da sola?” gli intimò, con un sibilo ed uno sguardo che non si sarebbe mai scordato, mai, “perché come avrai notato, anche se io a raccontare palle in qualche modo sono riuscita per mesi, con me le bugie purtroppo per te hanno le gambe corte, cortissime e gli uomini che stanno con me hanno la sfiga di farsi beccare subito, evidentemente, appena mi raccontano una storia. Quindi prima che ci siano altri eventi tragici per farle uscire allo scoperto, dimmi la verità!”

 

“Beh… io… io…” balbettò, pensando a quella ragazza, che manco più si ricordava il nome, e se fosse il caso di confessarglielo o meno.

 

Ma alla fine decise che, se le avesse mentito, Imma se ne sarebbe accorta: lo conosceva troppo bene e lo stava guardando con troppa attenzione perché le potesse sfuggire.

 

“Beh… insomma… diciamo che l’altro giorno c’è stato un episodio ma non ti devi preoccupare, perché non è successo niente e-”


“E se non fosse successo niente me lo avresti raccontato e non mi diresti di non preoccuparmi. Che è successo?” lo interruppe, puntandogli di nuovo il dito nello sterno.

 

“L’altro giorno… tua figlia mi aveva già dato appuntamento di fronte all’università ma poi mi ha dato buca perché doveva stare a lezione e-”

 

“Ah! Ma benissimo! E allora-”

 

“E allora l’episodio non è quello. Quando me ne sono andato, una ragazza ad un certo punto è inciampata e mi è quasi caduta addosso. L’ho presa al volo ma si era distorta un piede e… e io le ho offerto di portarla al pronto soccorso ma lei mi ha detto che abitava lì vicino e preferiva tornare a casa. Va beh… in poche parole sono andato a casa sua, le ho fatto una fasciatura e lei… insomma… diciamo che ci ha provato e… e ha tentato di baciarmi, ma io l’ho respinta subito, gliene ho dette quattro e me ne sono andato.”

 

La vide paralizzata, come per un istante, e seppe che non era un buon segno.

 

“Calogiuri…” soffiò nuovamente, l’espressione di essere sull’orlo dell’esplosione, “oltre al prometterci di non nasconderci più le cose, mi avevi ESPRESSAMENTE promesso che, se qualcuna ci avesse provato con te, me lo avresti detto. E invece… ma complimenti di nuovo!”

 

“Imma… era solo che… veramente non era successo niente e so quanto sei gelosa e… non volevo farti preoccupare e-”

 

“E mo invece non sono solo preoccupata, Calogiuri! Sono… sono… ma mi spieghi come posso fidarmi di quello che mi dici e di quello che fai da ora in poi, eh?! Per carità, pure io non sono stata uno stinco di santo ma… se non c’è fiducia in una relazione non può funzionare e io mo.. sono più che arrabbiata, sono delusa, Calogiuri. Delusa.”

 

Fu come ricevere uno schiaffo tremendo dritto in viso. Non le aveva mai sentito quel tono, mai, come sconfitto e..

 

Ormai più che impanicato era terrorizzato.

 

“Ma poi porca miseria, sei un maresciallo! Almeno non eri in divisa ma… andare da solo a casa di una perfetta sconosciuta! E se a questa gira e ti denuncia, eh? Che succede! Ma che ti dice il cervello?! A me sembra che a volte o fai finta di non capire o non vuoi capire quanto piaci alle donne, pure se mi prendi per paranoica, tipo con la Ferrari. Che mi è pure toccato chiamarla per chiedere di te e mo chissà che penserà, se non è scema, e mi pare fin troppo furba.”

 

“Imma, ascolta, lo so, ho sbagliato, sono stato un cretino e ho capito mo, ho capito tutto e ti giuro che non ti nasconderò mai più niente, per quanto possa farti male saperlo. E su tua figlia soprattutto ti dirò ogni singola cosa che la riguarda, se riproverà a contattarmi, ma io-”

 

“Puoi andartene per favore? Ho… ho bisogno di riflettere e… e stasera non ci riesco a farlo e non ti voglio vedere finché non l’ho fatto,” gli chiese, in quello che però sapeva benissimo essere una specie di ordine.

 

E quella strana calma lo inquietava più di tutto il resto.

 

“Imma-”

 

“Per favore, Calogiuri. Se sai un minimo quello che è meglio per te e se a me ci tieni anche solo un poco, lasciami da sola mo.”

 

Gli occhi che gli bruciavano, sentì due lacrime sul viso e le mani che gli tremavano.

 

“Va… va bene…” sussurrò, a fatica, perché sapeva che non c’era alternativa purtroppo e che avrebbe solo fatto peggio ad insistere.

 

Lanciando un’ultima occhiata in quel viso che tanto amava e che era contorto in un’espressione che era peggio di una pugnalata, ritornò sui suoi passi e si richiuse la porta alle spalle, prima di cedere alle lacrime.




 

Nota dell’autrice: Ed eccoci qui, al primo grande problema da affrontare per Imma e Calogiuri. Calogiuri da un lato l’ha fatta grossa, non dicendo niente a Imma, Imma d’altro canto su Valentina è iperprotettiva ed è molto gelosa e… nel prossimo capitolo vedremo che succederà e se e come riusciranno a trovare un chiarimento. E anche come procederanno le cose tra Imma e sua figlia.

Spero la storia continui ad essere interessante e piacevole da leggere e vi ringrazio per avermi seguita fin qui e se vorrete lasciarmi una recensione, oltre a farmi tanto piacere ed essere una gran motivazione a proseguire, mi sono davvero utilissime per capire in cosa posso fare meglio, cosa vi convince e vi piace di più e cosa meno.

Il prossimo capitolo arriverà puntuale il cinque di aprile.

Grazie mille ancora!

 
   
 
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