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Autore: LadyPalma    02/04/2020    9 recensioni
Prima classificata al contest "Scriptophobia" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP
“Signora Oleandro, la ringrazio davvero per questa opportunità. Vivo in Italia da quando avevo cinque anni, ma è difficile spiegarlo in questo clima di psicosi. La famiglia dove mi trovavo prima mi ha licenziata ed è chiaro che il motivo è questo maledetto coronavirus… non posso permettermi di rimanere senza lavoro, ho una figlia piccola e…”
“Puoi anche starnutirmi in faccia, tesoro, per quel che m’importa” esordisco con una leggera risata. “Posso anche morire adesso, l’importante è saperlo”.
// È incredibile quello a cui può spingere la paura, specialmente se è una paura legata a qualcosa di inevitabile: il sonno.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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No one's here to sleep

 




“Signora Oleandro, la ringrazio davvero per questa opportunità. Vivo in Italia da quando avevo cinque anni, ma è difficile spiegarlo in questo clima di psicosi. La famiglia dove mi trovavo prima mi ha licenziata ed è chiaro che il motivo è questo maledetto coronavirus… non posso permettermi di rimanere senza lavoro, ho una figlia piccola e…”
Mentre la giovane cinese parla, elencando i suoi disagi, la scruto sperando di risultare comprensiva. In verità non mi interessa che ha solo ventiquattro anni e nessuno al mondo, che tutti l’allontanano come un’appestata mentre cammina per le vie di Chieti Scalo o che non è riuscita a portare a termine i suoi studi di scienze infermieristiche per problemi economici. I pregiudizi, il razzismo e le scarse agevolazioni dell’Università D’Annunzio non sono di certo un mio problema. Il mio problema è di tutt’altra natura, e un’anima  disperata come questa ragazza – come ha detto di chiamarsi, a proposito? – è proprio la persona giusta per risolverlo.
Dopo aver vuotato con calma il mio bicchierino di sherry, alzo una mano per interrompere il suo inutile flusso di parole. Sono inevitabilmente nervosa dopo tutti i caffè che ho preso negli ultimi due giorni e non ho proprio tempo da perdere in simili inezie.
“Puoi anche starnutirmi in faccia, tesoro, per quel che m’importa” esordisco con una leggera risata. “Posso anche morire adesso, l’importante è saperlo”.
Sun – sì, ha detto di chiamarsi così, come la cinese di Lost – spalanca gli scurissimi occhi a mandorla. Devo averla sorpresa con la mia schiettezza: beh, è meglio che cominci ad abituarsi.
“Duemila euro per trenta notti: dovrai semplicemente guardare la paziente dormire e controllare che non le succeda nulla. Il lavoro è tuo, se lo vuoi” proseguo in fretta, lanciando intanto un’occhiata soddisfatta al suo sherry ancora intatto. Non mostra tendenze ad alzare il gomito, molto bene. “Tutto quello che chiedo è completa attenzione e vigilanza costante!”
Un largo sorriso le si apre sul volto ma subito si inizia ad incrinare. Vorrebbe dire di sì, ma si frena, esita e alla fine farfuglia qualcosa di diverso.
“Quali sono le condizioni della paziente? C’è qualcosa che devo sapere?”
“Non ha nessuna patologia fisica, se non una leggera anemia. Ed è completamente autosufficiente”.
Annuisce un paio di volte e torna a sorridere, evidentemente sollevata. Cosa si aspettava, che le facessi curare per davvero un malato di coronavirus?
“Perfetto. Mi piacerebbe conoscerla allora. Sua madre è in casa?”
Chiudo per un istante gli occhi a quella domanda, perché non posso proprio alzarli al cielo. Questa abduzione è talmente banale che ci cadono tutti. Non posso dire di essere sorpresa dal fraintendimento dopo la quinta infermiera che cambio, ma l’irritazione per la mancanza di immaginazione delle persone mi secca ogni volta.
“Mia madre, pace all’anima sua, è sottoterra da quando avevo dieci anni” replico, con forse troppa brutalità.
Sun batte le palpebre e tace. Non riesco a capire se sia mortificata o confusa, ma neanche questo importa. È ora che si dia una svegliata.
“Mi dispiace, avevo pensato che l’anziana signora da assistere fosse sua madre. Ma certamente potrebbe essere anche sua nonna, o sua zia, o…”
“Non hai capito un tubo, tesoro” la interrompo, con un sospiro pesante che esprime tutta la mia stanchezza. “La paziente sono io. E ti assicuro che a quarantadue anni sono tutto tranne che anziana!”



 
**



Al mio invito, Sun si alza dal divano e mi segue con evidente titubanza. La conduco nella camera da letto, non per presentarle la paziente ma per mostrarle gli strumenti da lavoro, o meglio lo strumento: un macchinario mastodontico che ormai da qualche settimana tengo al posto del comodino.
“Non credo di capire…” mormora la ragazza e io non posso fare a meno di fare una leggera risata. Reagiscono tutte così al primo impatto.
“È un affare che permette di monitorare pressione sanguigna, battito cardiaco e cose così anche durante il sonno… Ti stupiresti delle cose che si trovano su Ebay, cara!”
“E quindi vorrebbe che io controllassi i dati sul monitor e…”
“…E se riveli qualcosa di strano mi svegli all’istante. Tutto qui!”
La vedo spostare freneticamente lo sguardo nella stanza, tra il macchinario e il letto – ovunque tranne che verso il mio viso. So cosa sta pensando, ancora una volta la situazione torna a ripetersi nell’eterno ritorno della prevedibilità umana. Devo sembrarle pazza, questo lo so bene.
“Signora, ma… ma questo è illegale. Non può tenere un apparecchio sanitario del genere in casa e…”
“… Ed è forse illegale lavorare come fai tu? Non hai avuto contratti finora giusto?” domando, interrompendola di nuovo. Uso un tono tagliente, per la prima volta palesemente aggressivo. Sospiro quando me ne rendo conto e mi passo una mano sul viso. Sono troppo stanca per controllare l’intensità delle mie reazioni.
Sun finalmente mi guarda in faccia, gli occhi spalancati sono due mandorle sul punto di scoppiare. Volevo minacciarla, non lo nego, ma per farlo avrei dovuto usare un tono più sottile, cazzo. Cerco di recuperare allungando una mano verso di lei, senza tuttavia toccarla. Punto sulla pietà, mi gioco ora la carta della disperazione che tanto temo di mostrare.
“Forse per lei sarebbe più opportuno rivolgersi a uno psicologo piuttosto che a un’infermiera” suggerisce debolmente, ultimo appiglio di razionalità di Alice in quella che ha capito essere la casa del Cappellaio Matto.
Sollevo la mano in alto come per scacciare la sua stupida idea. “Andiamo, cara, io ho bisogno di dormire e tu di soldi. Vuoi davvero che li dia a uno strizzacervelli qualunque piuttosto che prenderli tu?”
Non capisce, non ancora, forse non capirà mai. Vedo però la sua paura svanire sostituita dal freddo calcolo del Dio Denaro. Dove non riescono minacce, sentimenti e ragionamenti logici, sono sempre i soldi a spuntarla. Sta considerando sul serio la proposta ora, e quel guizzo di indecisione mi basta per sapere di aver vinto anche questa volta. Mi butto sul letto e mi sbottono qualche bottoncino della camicetta.
“Andiamo, attaccami questi fili al petto. Sto morendo di sonno!”
Sun mi fissa ancora per un lungo attimo, fino a muovere infine qualche passo nella mia direzione. Sorrido mentre chiudo gli occhi per la prima volta dopo cinquantasei ore e mezza. Del resto, so riconoscere le povere anime disperate.



 
**



Dormo per sette notti di fila e mi pare incredibile. Ho la pelle riposata, nessun cerchio attorno agli occhi e i miei scatti di rabbia sono decisamente sotto controllo. È merito di Sun che ha eseguito il suo lavoro al meglio… finora. Mi dispiace rinunciare al comfort di quest’ultima settimana ma devo farlo se si è appena rivelato un’immensa bugia. Rido istericamente all’improvviso per non urlare come una pazza, ma la ragazza accanto a me trema lo stesso, così come trema la tazzina di caffè appena fatto nella sua mano.
“Allora, come lo spieghi questo?” domando puntando il dito sul monitor. La cronologia mostra un’aritmia alle 3.24 della notte appena trascorsa. “Perché non mi hai svegliata?”
La sua prima reazione è di spalancare la bocca in piena sorpresa; dura solo un attimo prima di cedere il posto a un’aria di finta professionalità, ma mi è bastato per avvalorare il mio sospetto: esattamente come tutte le altre infermiere che si sono succedute prima di lei, Sun mi ha ingannata e non ha svolto il lavoro con l’attenzione che credevo.
“Non mi è sembrato il caso di disturbarla, era un’aritmia solo leggera e… beh, dormiva così bene che…”
Blatera finte scuse che non voglio sentire e che di fatti non ascolto, mentre accendo invece il computer.
“Secondo me, Sun, la verità è che ti sei distratta, ti sei forse addormentata?” le chiedo in un sibilo nervoso, inserendo il mio dispositivo di controllo nel portale USB, per poi farle cenno di avvicinarsi.
Sun esegue allibita, ma diventa presto mortificata non appena le immagini scorrono in velocità x16 sullo schermo. Muovo fino alle 3.24 e metto pausa. La Sun nel video non dorme, fa qualcosa di peggio: legge.
“Sei forse stupida, Sun? Credi fosse facile aggirare i miei ordini? Ho installato una telecamera per controllarti – e per vedere me dormire, naturalmente. Non dovevi dormire, ma neanche fare altro. Dovevi solo fissarmi per otto ore di fila, è chiedere troppo? È chiedere troppo per duemila schifosi euro, eh? Rispondi!”
Davanti alla sua faccia da pesce lesso, perdo ogni controllo. Balbetta qualche scusa ma non mi interessa. Agguanto la sua borsa poggiata sul mio comò e la apro. Non devo frugare per trovare il libro maledetto e quando lo vedo – un formato tascabile mezzo ingiallito dalla copertina rosa confetto – non posso trattenere ancora una volta un ghigno cattivo.
“…Non mi sono distratta, lo giuro, io…”
“Zitta! Devi solo stare zitta, cinese del cazzo! Io mi sono fidata di te e tu mi hai pugnalato alle spalle!” Il sibilo diventa urlo e il ghigno pian piano si unisce a un principio di lacrime. Perché ho paura ora e con la mente sto già pensando a come fare dopo che avrò mandato questa ragazza via a calci nel sedere fuori da casa mia. “Tu leggevi mentre io dormivo, tu leggevi mentre io sarei anche potuta morire! Morire senza saperlo… lo capisci, questo? Ah e vuoi sapere una cosa? Beth muore nel sonno!” esclamo, lanciandole con furia il suo Piccole Donne Crescono addosso.
Mi accascio al suolo e piango. Mi copro il viso per non partecipare più a una conversazione di cui non mi interessa nulla. Non mi interessa più niente e a malapena sento la porta d’ingresso sbattersi, mentre rivedo invece davanti agli occhi solo il sorriso etereo di mia madre spirata dolcemente al mio fianco.
Non so quanti minuti passano prima di riuscire a prendere di nuovo il computer e ad aprire il browser. Vorrei cominciare la ricerca di una nuova infermiera, ma prima che possa farlo una notizia sulla home colpisce i miei sensi riducendoli in poltiglia: per via del coronavirus, la zona rossa si è estesa a tutta Italia e non si può più uscire di casa.
Vorrei piangere dalla disperazione, vorrei ridere dall’ironia. Dove la trovo ora un’infermiera a mia disposizione per tutta la notte? Ma stranamente non ho nessuna reazione, mi alzo stancamente e vado in cucina per prepararmi un’enorme dose di caffè amaro.
Lo sanno quelli del Governo che per salvare la gente dai contagi stanno condannando me alla morte? Sorseggio il caffè, ridacchiando da sola. Una sola domanda nella mia mente: morirò prima per privazione di sonno o per qualche aritmia una volta che senza accorgermene finirò per addormentarmi?
Intanto, muoio di paura. Come cazzo ci arrivo io al tre aprile?




 
Una tomba bianca. Anna Dimitri in Oleandro 1960 – 1988.
“Piccola, mamma è volata via. Ma almeno non ha sofferto: è morta nel sonno senza neanche rendersene conto”.
È iniziata così la mia mania. Quella notte, quella del funerale di mia madre, è stata la prima che ho passato con gli occhi spalancati.




















NDA: La somnifobia (la paura del sonno) l'ho declinata in questa storia alla paura di morire nel sonno (anche se ovviamente può avere diverse sfumature). So che ci sono alcuni elementi di esagerazione, ma sono voluti: volevo proprio puntare all'assurdità a cui può spingere la paura. Un'altra scelta narrativa è stata quella di mostrare la fobia più che soffermarmi sull'introspezione: non so quanto l'esperimento sia riuscito ma posso dire di essermi divertita a scriverlo.
I riferimenti al coronavirus non sono casuali, ovviamente. Ho iniziato a scrivere questa storia proprio appena l'emergenza era comparsa sul suo italiano e l'ho terminata oggi che siamo ancora in quarantena forzata. mi sembrava carino riflettere questa situazione nella storia, specialmente perchè andava ad acuire la condizione della protagonista.
Ultima nota per il titolo: è preso da una canzone omonima di Naughty Boy feat i Bastille.
   
 
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