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Autore: Barbra    04/04/2020    1 recensioni
Questa fanfiction è un crossover tra l'Universo di Pokémon Adventures (il manga) e l'Universo di "Avatar, the Legend of Aang"/ "Legend of Korra". La storia si svolge, secondo la cronologia Pokémon, dopo gli avvenimenti di Sole e Luna. Secondo la cronologia di Avatar, dopo la morte di Korra e la nascita della sua successiva reincarnazione.
DAL TESTO: Il Maestro dell'Aria Meelo scese dalla tribuna dei giudici e si diresse verso la sedicenne senza una parola.
Era stato chiamato per controllare che la sua allieva non “sporcasse” la Prova dell'Acqua applicando tecniche del Dominio dell'Aria per tenere d'occhio gli avversari. Sapeva bene che la cieca, nel cui mondo non esistevano né forme né ombre, avrebbe usato il Senso del Sangue al posto del super-udito che i montanari le attribuivano. Tuttavia, non si aspettava uno scivolone così clamoroso da parte sua. || NOTA: canon-divergent || PERSONAGGI PRINCIPALI (non in elenco): protagonista OC, Sird (pg esclusivo del manga), Lunala, Giratina (Pokémon); Raava e Vaatu (Avatar). TERMINATA
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arceus, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avatar e Pokémon'
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AVVISO: questo è l'ultimo capitolo. C'è una probabilità alta che ci siano delle imprecisioni e degli errori.
Probabilmente passerò a correggerlo quando avrò la testa più libera, adesso sto pensando ad altro.
Chiedo scusa a tutti i lettori, abbiate pazienza...








 

ARCEUS











Morti i tre Guardiani dei Laghi, il compito di generare e replicare i frammenti della Rossocatena per comporne due copie era ricaduto su Mewtwo, la cui memoria era stata cancellata proprio da Uxie. Mentre la sua psiche maturava di nuovo, lui non era sicuro di nulla su sé stesso, tranne di non poter più sopportare una ferita così profonda senza cercare vendetta.
Il gruppo di umani che si identificavano come Comandanti Galassia aveva incoraggiato la sua convinzione.
Mewtwo aveva indossato una dopo l'altra le maschere delle forme umanoidi di Mesprit, Uxie e Azelf.
Aveva generato un centinaio di frammenti e terminato entrambe le sequenze. Era pronto a tuffarsi, con le due catene strette attorno agli avambracci e salde nella sua presa, nel centro nevralgico di quel Siatema di Universi: la Vetta Lancia.
L'aereo a pilotaggio remoto di cui era l'unico passeggero, guidato a distanza dal Comandante Saturno con Jupiter come copilota, dispose le eliche in verticale e scese di quota come un elicottero. Il portellone si aprì per permettere a Mewtwo di lanciarsi nella notte per atterrare tra le colonne greche ormai distrutte del Tempio di Arceus.
Il Leggendario non aveva ancora toccato il pavimento di pietra, quando le due catene schizzarono come serpenti verso il cielo. Si agganciarono a qualcosa di invisibile nella notte e rimasero in tensione. Mewtwo fu costretto a sforzare i muscoli per non farsi strappare gli arti.
Il buio fu turbato da due barlumi, da cui fuoriuscirono le enormi teste di Dialga e Palkia, agitati come due belve. Le catene si erano avviluppate attorno ai loro corpi.
Dialga, che gli umani credevano corazzato come Solgaleo, era in realtà composto interamente di metallo. A infastidirlo era la luce rossa che interferiva coi suoi circuiti.
Palkia era fatto di carne sotto le squame perlacee, ed era la catena stretta al suo lungo collo a soffocarlo.
Arceus li aveva creati come prototipi delle sue creature biologiche, in gran parte composte d'acqua, e di quelle cibernetiche autocoscienti, la cui principale componente era il metallo.
Giratina, primo nato del Trio, rappresentava il puro spirito1.
L'Originale si era poi sbilanciato verso il modello incarnato da Palkia, lascinado una nicchia minoritaria agli altri due.
Mewtwo lottava con entrambi i titani, mentre la terra priva di gravità ondeggiava sotto i suoi piedi e il mondo attorno a lui ruotava come un caleidoscopio confuso di scene passate o possibili e i dubbi sulla legittimità della sua violenza contro altri due Pokémon si facevano strada nella sua mente.
Era sul punto di lasciarli andare quando, ad una distanza indefinita davanti a lui, apparve Azelf.
Camminò nella sua direzione, scomparve e riapparve di nuovo dov'era all'inizio. Un attimo dopo, era a un passo da lui, anche se il suo corpo era semitrasparente e la sua prima immagine non l'aveva seguito. Fece come per spingerlo all'indietro, ma le sue mani affondarono nel suo petto. Scivolò nel corpo dell'ospite senza lasciargli segni apparenti.
Da lì in poi, Mewtwo e i suoi dubbi non ebbero più voce. Le catene si strinsero attorno a Dialga e Palkia con una forza tale da farli svenire.
Ora, Spazio e Tempo erano nelle mani di chi controllava la Rossocatena. Il mondo tornò apparentemente al suo vecchio ordine.
Azelf alzò il braccio di Mewtwo verso la volta celeste e muovendo lentamente un dito allineò i pianeti.
Così iniziava ogni Convergenza Cosmica.



:::



 

Huā aveva accettato, per tirare avanti, un ruolo che in altri tempi avrebbe pensato di interpretare solo in una parodia. Dopo che il piccolo pub che più spesso ospitava le sue “serate” era stato chiuso senza preavviso, si era messa in cerca di un altro lavoro adatto alle sue caratteristiche.
Così era finita a Spikemuth, un tugurio di cittadina costiera, a fare una specie di provino per cantare con un losco figuro conciato come un pazzoide. Era l'ex Capopalestra di Tipo Buio, Piers. La pecora nera della Lega di Galar.
Anche se non intendeva prestarsi ai riflettori, il ragazzo si riteneva un cantante. Cercava una voce femminile da accostare alla sua per un singolo “concerto” di prova. Non era stonato, né privo di spunti, né incapace di migliorarsi, né immaturo per i suoi ventun anni mal portati. Ma la sua limitata estensione vocale e la scarsa potenza della sua voce poco allenata lo inchiodavano al punk-rock di medio livello.
Hua, che per colpa di sua madre non era del tutto estranea all'ambiente e sapeva cosa aspettarsi, gli si era presentata davanti vestita come una donna della media borghesia. Se Spikemuth fosse stata Poh e Piers fosse stato Guzma, l'avrebbe fatta accerchiare e pestare dei suoi scagnozzi per l'affronto.
Gli Yell, nella loro gioiosa anrchia, si limitarono a gridare come scimmie e fischiarle con varie intenzioni.
La chiamarono “Hong Kong Garden2” per i suoi occhi a mandorla prima di chiederle il suo nome. Per così poco, dopo un attimo dal suo arrivo e senza aver aperto bocca, lei era già dentro.
Ma difficilmente avrebbe visto un soldo: quelli non erano altro che una ciurma di ragazzini e ragazzoni inadatti alla scuola, irresponsabili e squattrinati, e Hua non avrebbe scommesso sulla parola del loro eccentrico leader.
Piers non aveva sogni di successo né desiderava un pubblico numeroso. Cantava soltanto per la sua ristretta cerchia di fan. Cantava per divertirsi, non era un professionista.
Cambiato look e stile di canto, così da adeguarsi alla fauna locale, Hua si era ritrovata da sola al microfono in meno di una settimana, con Piers tra il pubblico e una scaletta scelta da lei. Gli Yell avevano bisogno di un idolo, di qualcuno per cui fare il tifo, come dell'aria che respiravano.
La sorella minore di Piers, Marnie, si era allontanata da loro come una divinirà irraggiungibile. Nessun altro avrebbe potuto sostituirla nei loro cuori.
Ma, adesso che lei non aveva più bisogno del loro sostegno, a Spikemuth era sorta una nuova stella. E si era rivelata, almeno ai loro occhi, altrettanto abile nelle lotte Pokémon.
Forse, se lei si fosse convinta a presentarsi alla Sfida delle Palestre, sarebbero persino riusciti a farla diventare Campionessa.
Il gruppo di cui era diventata vocalist era composto da giovani dilettanti. Ma il pubblico non era affatto esigente.
Nascosto alla vista, sul tetto di un vecchio edificio, Hoopa guardava storto tanto lei quanto la sua schiera di fan urlanti.
Non conosceva la contro-cultura, non capiva il bisogno di apparire brutti e distanti dai modelli imposti dalla società moderna, e nel complesso li trovava disgustosi.
Hua, che normalmente aveva una bella voce melodiosa e ben impostata, adesso cantava come se non avesse mai imparato a cantare.
«“Water was running, children were running...”».  E poi, un urlo che graffiava le orecchie: «“You were running out of time!/ Under the mountain, a golden fountain/ Were you praying at the Lares shrine?/ But, oh, your city lies in dust, my friend/ Oh, oh your city lies in dust, my friend”».
Il djinn non capiva nemmeno che cosa intendesse descrivere3.

«“We found you hiding, we found you lying/ Choking on the dirt and sand/ Your former glories and all the stories/ Dragged and washed with eager hands/ But, oh oh, your city lies in dust...!”».
Hoopa doveva portarla via da lì. Lei si stava umiliando e lui non capiva a quale scopo. Attraversò uno dei suoi anelli per materializzarsi sul palco.
La afferrò per il polso che reggeva il microfono e fece per tirarla verso di sé.

Poi, la sua espressione cambiò. I suoi occhi terrorizzati fissarono l'orizzonte.
Hua alzò gli occhi dal suo viso umanoide e vide il mondo incurvarsi e ondeggiare come una tela, mentre il cielo e terra si mescolavano e si confondevano in un lento vortice ad asse orizzontale.
Una sola occhiata, un grido di allarme, e Spikemuth piombò nel panico. Gli Yell correvano ognun per sé, cercando di allontanarsi dall'apocalisse imminente.
Ma se la vedevano, la Distorsione era già arrivata a loro, e nessuno dava segni di soffrirne.
Ma Hoopa non era tanto ingenuo da illudersi che fosse un avvenimento innocuo.
La terra non tremò, ma si inclinò come la tavola di un flipper e si contrasse portando con sé l'umana e il Pokémon con la luce del giorno.
Poi il sole scivolò oltre la curva visibile dell'orizzonte, tornando indietro nella sua marcia. Hua fu sul punto di cadere in mare e Hoopa la resse per un braccio.
Adesso erano immersi nella notte, mentre le stelle sopra di loro correvano verso est.
Il paesaggio accelerò fino a trasformarsi in un susseguirsi confuso di luci, poi rallentò, e l'erba e la roccia lasciatono il posto ad un antico pavimento di pietra.
Ora si trovavano tra le colonne greche di un antico tempio ormai distrutto, sulla cima di una ripida montagna, malgrado non si fossero accorti di averla risalita.
L'umana poté finalmente posare i piedi a terra. La valle cadde verso il basso e il paesaggio ruotò. Un'altissima colonna di luce univa la terra alla volta celeste. Contro quella luce azurra, la sagoma di una sorta di ibrido tra Mew e un Kadabra, ma molto più grande di entrambi, teneva in catene gli enormi corpi esanimi dei Draghi Dialga e Palkia.
Reggeva un enorme cucchiaio come se fosse uno scettro.
«Mewtwo!» esclamò Hua.
Ma ormai non era più lui.
Il Leggendario guardò Hoopa con un'espressione distante, e con un dito indicò il terreno.
Sotto il djinn, si stava aprendo il portale oscuro del Mondo Distorto. Hua, con le sue borchie e le sue catenelle, si precipitò a mettersi fra lui e Mewtwo, perché non potesse colpirlo e metterlo fuori combattimento. «Che cosa ha fatto?!» gridò.
Hoopa si riscosse, dilatò uno dei suoi anelli magici e vi spinse la donna.
Il tempio era diventato troppo pericoloso per i comuni mortali.
Il livello del terreno saliva come acqua. Hoopa non riusciva, inspiegabilmente, a volare più in alto. Ma non si sarebbe lasciato imprigionare nell'Ombra senza vendere cara la pelle.
Cambiò forma, crebbe fino a trasfigurarsi nel mostro dai denti aguzzi e il viso da orco che aveva imparato a temere. Con la foraza di tutte e sei le sue braccia tentò di opporsi alla gravità aumentata, ma continuava a scivolare verso il basso. Per ripicca, ne liberò uno e cercò di aggantare Mewtwo. Ma il grande felino dilatò le distanze e scivolò lontano, pur senza uscire dalla sua vista.
Hoopa, ormai immerso fino a metà del petto, era ormai ridotto ad una bestia. Provò a satare in avanti con il risultato di scivolare ancora verso il basso.
Gridò di rabbia con la bocca spalancata, il viso da orco deformato dalla collera e gli occhi rossi che mandavano lampi. Lanciò in aria uno dei suoi anelli appena prima che il varco del Mondo Distorto si richiudesse sopra di lui.
Dall'anello uscì la fonte di tutto il suo potere oscuro: Vaatu, Grande Spirito del Caos, non aveva più motivo di attendere nella sua prigione, e aveva scelto la via più rapida per uscire.
Ma non era ancora pronto a scontrarsi con la sua eterna avversaria.



:::

 

Dalla sede centrale, i Comandanti Jupiter, Saturn e Oberon cercavano di ripristinare la connessione remota, che era saltata appena i titanici Dialga e Palkia avevano infranto la barriera dimensionale.
Saturno era sempre il più agitato, quando uno dei loro droni finiva disperso. Il suo amore per le macchine, e in particolare per gli aerei militari, era secondo solo a quello di Cyrus per la tecnologia in generale.
D'un tratto, lui e Jupiter riconobbero il fischio inconfondibile di una ventina di fucili laser. Era il segnale che stavano caricando il colpo. Le Unità Rosse alle loro spalle li avevano inbracciati e li puntavano contro ognuno dei Comandanti, nell'indifferenza degli altri androidi Galassia.
Fobos, Mars e Terra avevano già le mani in alto.
I due cugini, l'uno accnto all'altra, avevano rivolto le palme all'indietro, perché il compurer sapeva dei laser inseriti nei loro polpastrelli.
La prima idea che passò nella mente dell'ingenuo Xerosic, fu che il programma Venus si fosse spontaneamente ribellato.
Poi, al centro della stanza, apparve la forma umanoide di Mesprit.
«Fermi tutti! Fermi!» esordì. «Per oggi, ho bisogno soltanto di lei».
E indicò teatralmente la Comandante cieca.
«Raccomandata...!» si lamentò Mars. «Sfigatissima, ma super-raccomandata!».
Poiché entrambi tendevano a dare la stessa, sfacciata confindenza tanto agli sconosciuti quanto agli avversari, il Leggendario le rivolse un cenno di intesa.
«Brava, ragazza! Ma adesso, nemici come prima».
Mentre parlava, si era avvicinato a lei e a Silver. «Tu, invece, non servi più. Sta' fermo. Se ti tocco, è la fine: mia figlia mi ammazza!». 
Avvicinò due dita grigie al suo collo senza sfiorarlo. Silver sentì un forte ma fugace bruciore scendergli lungo la giugulare sinistra.
Attratti dalla telecinesi, i due chip gelatinosi entrarono a contatto con l'aria e assunsero lo stato solido. Mepsrit li attivò e se li lasciò penetrare sottopelle per portarseli via senza occupare una mano. Perciò, non era più soltanto uno spirito.
Come un uomo poteva avere più di uno smoking, lui aveva più di un corpo. Rispolverava il secondo per le grandi occasioni.
Raggiunse la postazione di Gong cammnando, così che la cieca potesse percepire i suoi passi. Si fermò a mezzo metro da lei.
L'invasione dello spazio altrui era la sua principale tecnica intimidatoria. Gli sarebbe bastato allungare un braccio per toccarla e condannarla a trasformarsi in un vegetale apatico dopo tre giorni. Ovviamente, l'avrebbe uccisa prima. Nessuno sapeva realmente cosa sarebbe successo dopo tre giorni dal tocco di Mesprit.
La cieca gli si mostrò impassibile.
«Non voglio usare la forza...» esordì lui. Dal suo tono, era chiaro come la guardasse dall'alto in basso. «Perciò, scendi da sola nello scantinato, se lo possiamo chiamare così. Anzi... Barà, Momoji, Akebi... accompagnatela. Io odio le vie lente. Ci vediamo di sotto».
Mesprit scomparve con il teletrasporto. Le tre ragazze robot costrinsero Gong ad eseguire il suo ordine.



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Lunala, ormai quasi al termine della sua gravidanza, era rimasta da sola nello Spazio Origine. Era un posto sicuro, più impenetrabile del Mondo Distorto.
Mentre sonnecchiava sospesa a testa in giù, udì uno scricchiolio simile a quello prodotto da una crepa nel ghiaccio.
Un attimo dopo quell'avvisaglia, tutto andò in frantumi, mandandole il cuore in gola. Mentre Lunala cadeva verso la luce e batteva disordinatamente le ali per recuperare portanza, la fuggiasca Raava le passò accanto.
Volava verso l'alto, verso quello che semrbava un cielo notturno. Le luci, che si stavano dissolvendo, non erano stelle, ma piccoli ammassi di energia imprigionati nello strato più esterno di quel piccolo universo privato, che a sua volta era andato in frantumi.
Lunala lasciò il volo per la levitazione e la inseguì. Malgrado tutta la sua fatica, perse terreno. Si sentiva pesante.
Poi, vide qualcosa che la costrinse a fermarsi. Una torma di creature dell'Ombra, Pokémon Spettro che l'Oscurità aveva trasformato in veri Spiriti Maligni, aveva trovato il Portale e stava piovendo giù. C'erano dei Gengar, Chandelure, Dusknoir, Cofagrigus, Jellicent, e molti altri, con tutte le loro linee evolutive. Erano così infuriati e deformati da risultare quasi irriconoscibili.
Non era chiaro se fossero venuti lì per caso. Ma Lunala doveva scappare.
Anche se formalmente era una di loro, avrebbero potuto picchiarla fino a farle perdere il feto, o forse persino ucciderla.
Non poteva andare né in alto né in basso, dove la luce del nucleo l'avrebbe bruciata come avrebbe bruciato tutti loro. Così scivolò lungo il piano su cui si trovava.
Passata la scossa iniziale che l'aveva mandato in pezzi, il terreno di cristallo cominciò a ricomporsi sotto di lei. Gli Spiriti piovevano giù oltre gli strati sopra di lei e li rompevano, ma qualcuno tra i più deboli rimaneva impriginato al loro interno.
Lunala scappava affidandosi all'energia delle sue sole ali: aprire un Ultravarco per scappare da quel piccolo universo sarebbe stata un'impresa titanica, perché quella era la fortezza privata di Arceus. Qualche forza ben superiore alla sua doveva aver incrinato le sue mura.
Gli altri Spiriti la inseguivano, quando accadde qualcosa che non si sarebbe mai augurata in quel momento. Il suo piccolo, complice il tempismo perfetto della sfortuna, era pronto per venire alla luce. Le prime doglie si fecero sentire una dopo l'altra, frequentissime, perché il suo corpo di vampira non era adatto a partorire figli.
Il cucciolo sarebbe nato di lì a poco, che lei fosse pronta o no.
Scossa dal dolore, Lunala non poteva più volare.
Cadde sul cristallo laddove si era già ricomposto, e prima che potesse ripartire, un Gengar infuriato le saltò addosso e le affondò i denti ormai aguzzi nella schiena. Lei riuscì a scrollarselo di dosso e cambiò strategia. Si lanciò in volo in mezzo alla schiera di Spettri, sovrastando le loro grida con uno dei suoi, e la dissipò, perché per quanto numerosi e agguerriti, erano pur sempre spiriti minori contro una Leggendaria.
Quella reazione inaspettata li lasciò confusi quel tanto che bastava per permetterle di recuperare un certo vantaggio. Si trasformò in giumenta e prese a galoppare sul cristallo, a una velocità che nessun purosangue avrebbe mai raggiunto. Gli invasori la videro scappare e per istinto ripresero ad inseguirla.
Lunala avrebbe potuto correre per un giorno, i suoi muscoli non erano stanchi, ma il feto non avrebbe aspettato un minuto di più. La grande giumenta bianca si fermò e spinse per aiutarlo a uscire.
Aveva assunto mille forme durante la gravidanza, e il piccolo doveva essersi adeguato come l'acqua travasata da un recipiente all'altro.
Avrebbe potuto trovarsi di fronte una creatura simile a un Cosmog, a un gatto, a un pipistrello, a un seprente, a un neonato umano, o a chissà cos'altro. Ma la sintonia con il corpo della madre l'aveva fatto nascere puledro.
Aveva una folta criniera arancione, come il fuoco, e una coda celeste che richiamava l'elemento dell'acqua.
Un piccolo corno color crema gli cresceva al centro della fronte. Anche se le sue gambe erano ancora deboli, provò subito a mettersi in piedi. Traballando, lasciò perdere la madre per guardare storto la ciurma di pazzoidi che li stava attaccando. Abbassò il corno come a volerli caricare. Dèi ed animali non avevano bisogno di molto tempo per capire cosa fare della loro vita.
Lunala gli addentò la coda e provò a convincerlo a fare marcia indietro. Il piccolo era impavido, insolente, e per inesperienza si sopravvalutava.
E il capofila degli aggressori era un Dragapult, con la sua testa da rettile simile a un aereo stealth e i suoi occhi gialli da lucertola velenosa. Dal collo in giù, il corpo allungato ma paffuto, la grossa coda ingombrante e le zampe sproporzionatamente piccole, lo facevano apparire sgraziato.
Mirò al puledro e sparò i Dreepy che ospitava sulla sua testa, come se fossero proiettili esplosivi.
Lunala aprì un Ultravarco davanti al piccolo per assorbire quei dardi viventi. Fu un gorosso errore: i piccoli draghi-spettro esplosero laddove il continuum, reso instabile dalla Convergenza Cosmica, era già squarciato. La frattura spazio-temporale trascinò con sè il neonato Keldeo, che scomparve in un lampo di luce senza lasciare traccia. 
Infuriata, alterata lei stessa dall'influenza oscura, Lunala afferrò Dragapult e lo costinse a usare Dragofrecce contro un altro Ultravarco, per forzare il tessuto di quell'universo chiuso.
In un modo o nell'altro, in un tempo o nell'altro, avrebbe trovato Keldeo, e l'avrebbe presentato a suo padre.



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Il confine nord-occientale di Unova oscillava come un pendolo tra due mondi. Il cielo variava dall'azzurro al viola e dal viola all'azzurro, mentre il sole scompariva per lasciare il posto a una raffica di luci variopinte, e poi riappariva come una'accecante sfera bianca. La Torre Dragospira, ormai inghiottita da una colonna di luce, rendeva instabile territorio circostante. Lì si trovava un Portale dimenticato.
Zinzolen e Ghecis erano isolati in un covo deserto. La subdola e vorace pianta carnivora che era stato il Team Plasma era ormai avvizzita.
Il vecchio Specialista Ghiaccio guardava la colonna di luce nel binocolo con la sconfitta nel cuore. Ormai gli era chiaro di aver scelto la parte sbagliata: quella più debole. Anche se il piano originale di separare gli umani dei Pokémon fosse andato a buon fine, il mondo sarebbe comunque appartenuto a questi ultimi. Chi si affidava a loro aveva gioco facile. La specie umana era troppo fragile per tirare avanti da sola.
In quel paesaggio caotico, un oggetto volante uscì dalla colonna di luce. Nel binocolo, Zinzolin poté distinguere le sagome di uno Starmie e della persona che stava trasortando.
Credette di avere abbastanza tempo per tenderle una trappola, ma in piena Convergenza Cosmica le distanze non erano affidabili.
L'intrusa arrivò alla sua finestra tenendosi in equilibrio in piedi sul suo Starmie. Evocando una folata di vento, ruppe il vetro della finestra chiusa.
Zenzolin ebbe appena il tempo di scostarsi per non essere investito dalle schegge.
Quando ormai il nemico era entrato, il vecchio ordinò al suo Cryogonal di attaccare.
Ma la Banette di Sird si avventò sull'altro Pokémon come una furia. La cerniera che le chiudeva la bocca si aprì e lei uscì fuori dal suo costume di pezza. Il suo ectoplasma magenta striato d'oro infiltrò la struttura esagonale di Cryogonal.
Dopo una breve resistenza, il Pokémon di ghiaccio esplose in pezzi.
Banette volò via dalla finestra rotta, verso la Luce spirituale che forse l'avrebbe calmata. Non poteva restare lì in quello stato alterato, con il rischio di aggredire la sua cara padrona.
Zinzolin e Sird, vittima e carnefice rimasero soli.
Per dimenticare quanto quella donna lo mettesse in soggezione, il vecchio si era abituato ad associarla all'immagine di un Poochyena selvatico: aggressiva e spavalda finché dominava il gioco, era bastato contrattaccare una volta per metterla in fuga.
Nel suo contrattacco, Ghecis aveva scelto di colpire solo Hua, spinto non solo dal desiderio di annientare la stirpe della rivale e da una spiccata e radicatissima misoginia, ma anche dalla convinzione che Cyrus fosse un peso e una disgrazia per la madre, perché era autistico.
Zinzolin, che conosceva meglio le dinamiche familiari, avrebbe preferito tentare di eliminarli entrambi. Purtroppo non era lui a comandare.
Anche si fosse macchiato di una colpa meno grave, non aveva senso implorare il perdono di una come Sird. Quella fattucchiera viveva di rancore. Persino l'apocalisse in corso la lasciava indifferente.
«Signora Yaan...!» cominciò il vecchio. Era uno dei pochi a conoscere il suo vero cognome. Non aveva una radice cinese, ma era la deformazione del nome di un'antica divinità a due volti venerata nel suo Paese nativo. I suoi concittadini usavano scolpirla sulle porte, perché una faccia guardasse dentro e l'altra fuori. Poteva essere benevola, collegava ogni fine a un inizio, ma era anche intrinsecamente ambigua. Come la donna che Zinzolin aveva di fronte.
«Ti credevo troppo spaventata per venire qui».
«Spaventata da te?!».
«Non da me. Da Lord Ghecis».
Soltanto il nome la fece rabbrividire. Per nasconderlo, scrollò le spalle. «Tsk...».
Sentir parlare di lui da qualcuno così legato al suo passato le evocava ricordi terribili, e un'angosca quasi paralizzante. Aveva visto Hua in coma farmacologico quando Uxie l'aveva già soccorsa e stabilizzata, e inserita in una macchina rigeneratrice. Ignaro di quanto potesse essere doloroso, il Pokémon Sapienza gliel'aveva mostrata così per sottolineare il suo errore di valutazione: si era scelta un avversario estremamente pericoloso. Era stata troppo sicura di sé e dei propri mezzi.
Il “Saggio” Zinzolin non fu per nulla sorpreso dalla sua reazione. Con un volto impassibile, non si abbassò neppure a sbeffeggiarla. «Quod erat demonstrandum» disse. Come se quella fosse una dimostrazione matematica. 

Sird strizzò gli occhi e digrignò i denti. Aveva progettato di soffocarlo a distanza, sfruttando una complicata tecnica del Dominio dell'Aria. Invece lo spinse a terra sotto il suo peso e gli mise le mani al collo. Era un uomo obeso ma basso, e lei era molto più forte di qualsiasi terrestre. Si sedette a cavalcioni sul suo addome e strinse vigorosamente la presa. Strinse per più tempo del necessario. Poi rilassò le dita e restò lì dov'era.
Seduta sul cadavere, fissava le petecchie in quegli occhi spalancati senza neppure vederle. Le sue ultime parole, il vecchio non le aveva scelte a caso: il figlio di Ghecis, Natural, era un bravo matematico amatoriale, oltre che l'esatto opposto di suo padre. Se il ragazzo avesse lasciato da parte i sogni e i teoremi per cercare vendetta, Sird non avrebbe saputo come comportarsi. Proporgli di seppellire le asce non sarebbe bastato.
Alzò lo sguardo dal volto del cadavere solo quando un uomo dalla stazza enorme, un gigante, trascinò i piedi nella stanza reggendo per i capelli una testa mozzata.

Le mostrò il trofeo, sollevando a fatica il braccio per il dolore alla spalla destra ormai quasi immobizzata. Scandendo le parole a fatica, disse: «Eccola. Che cosa devo fare?».
Il gigante era un vecchio dalla pelle bruciata dal sole, i capelli bianchi e sporchi buttati sulle spalle e sugli occhi scuri, e il viso stranamente glabro. Il cattivo odore del suo corpo sudicio e dei suoi abiti lerci lo precedeva. Eppure, era stato una sorta di semidio. Nato su un pianeta che non riusciva a ricordare, come Sird possedeva una forza fisica superiore ai terrestri.
Con la sua abilità nel combattimento, la sua intelligenza e le sue innovazioni tecnologiche, lui, Stupor Mundi, aveva convinto i Kalosiani allora divisi in tribù a trattarlo come uno di loro e a sceglierlo come loro guida. Con le sue idee illuminate, in cui all'epoca credeva davvero, aveva persuaso Floette, il Mandato del Cielo d'Occidente, a riconoscergli il ruolo di re.
Con il tempo, il potere e l'ammirazione altrui erano diventati la sua droga. Quando gliel'avevano tolta, uccidendo Floette in una rivolta armata, era impazzito. Preso da una metaforica ma violentissima crisi di astinenza, aveva usato la tecnologia aliena di cui era in possesso per costruire un'arma di distruzione di massa.
Al contrario di lui, Sird era nata carogna, ma era cresciuta immune a quella dipendenza. Non avrebbe ucciso qualcuno perché non le obbediva, purché non le fosse d'intralcio.
Per questo guardava AZ dall'alto in basso, come una regina avrebbe guardato un barbone.
La testa che lei gli aveva chiesto e che lui le aveva portato era quella di Ghecis. Il vecchio clochard l'aveva ucciso a mani nude, e decapitato con una lama smussata.
Solo a quel prezzo, Sird l'avrebbe liberato dalla dannazione della vita eterna. Azelf era troppo impegnato a dirigere la Convergenza Cosmica per accorgersene.
«Al posto della Torre Dragospira, c'è una colonna di luce che unisce la terra al cielo. Tu devi toccare quella luce. Capito, zombie? Vai verso la luce!» scandì beffarda, a voce alta, perché AZ era duro d'orecchi.




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Hoopa scagliò Giratina contro una roccia ai piedi del Monte Corona, attraverso uno dei suoi anelli. Ormai rintontito e semi-svenuto, il Signore del Mondo Distorto stava perdendo il duello per il territorio. L'Oscurità che stava inghiottendo il Sistema di Unversi nutriva l'essenza di Tipo Buio del grande djinn, rendendolo più forte e più aggressivo. Giratina era in netto svantaggio nei suoi confronti.
Subì l'ennesimo attacco e vacillò. La risata di trionfo dell'altro demone fu l'ultima cosa che udì prima di svenire.
Hoopa stava ancora ridendo, quando qualcosa di alato e piccolo, piccolo come un umano, attirò la sua attenzione. Il ronzio delle sue ali era fastidioso, ma mai quanto la sua voce. Era lui stesso simile a un Genio, per come si comportava.
«Perfetto» disse, sarcastico, fermandosi a braccia conserte prorpio davanti agli occhi rossi del djinn. «Tutti i nostri metodi hanno fallito» constatò. Poi, inaspettatamente, gli rise in faccia. «Ma che dico?! Povero Halqa, ti ho voluto io così!».
Gli sfilò dalle braccia i sei cerchi d'oro con la telecinesi e con la stessa forza glieli ruppe.
Hoopa, che non poteva toccarlo, gli gridò contro tutta la sua frustrazione.
Lui non reagì.
Si guardò alle spalle solo quando una figura titanica si alzò dalla terra. Sembrava umana, ma aveva gli occhi di luce e il corpo, dalle fattezze femminili, che sembrava fatto di vetro. Era più grande di Hoopa Libero, ma camminava attraverso la materia solida senza danneggiarla. Gli arrivò davanti in poche falcate.
Mesprit scomparve e lasciò che i due si guardassero in cagnesco.




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AZ camminava zoppicando verso la Luce, come gli avvea comandato la maga di cui non ricordava il nome. Non ricordava neppure perché stesse eseguendo il suo ordine. La Torre in bilico tra i due mondi era sempre più vicina, e lui stava per allungare il braccio per toccarne la pietra.
Vaatu vide quel patetico spettacolo dall'alto. Stava sorvolando la Regione per convertire al Caos tutti gli Spettri che la abitavano e assorbire l'energia dalle creature del Buio. Il suo potere stava crescendo di pari passo con le sue dimensioni. Da qualche parte, Raava diventava via via più debole.
Era un relitto umano dalla mente distrutta, ma il suo spirito poteva essergli ancora utile. Anche lui avrebbe avuto un Avatar. E questa volta, avrebbe fatto in modo di reincarnarsi.
Si precipitò verso di lui gridandogli di fermare il braccio.
Il vecchio si immobilizzò.
Vaatu gli disse di voltarsi verso di lui, perché doveva parlargli.
Il vecchio obbedì.
«Ho sentito parlare di te».
Prima di trovare la forza di scidersi da Raava e scappare dal corpo del suo Avatar, aveva ascoltato ciò che veniva detto alle sue ignare nemiche, e visto ciò che loro vedevano. «Tre millenni fa, sei stato maledetto da una creatura di nome Azelf».
«Az... Azelf...!» ricordò lui, turbato.
«Lui non ti lascerà in pace. Dovrai essere tu a difenderti».
«Difendermi...? Io...?».
«Esatto. Per farlo, dovrai diventare qualcosa di più sia di un umano, sia di uno Spirito».
Silenzio. La mente lenta e danneggiata del vecchio faticava a comprendere.
«Cosa c'è di più?».
«Quello che la mia avversaria ha creato fondendosi a un mortale. Un ibrido. Devo entrare nel tuo corpo, e solo dopo toccheremo quella luce».
Silenzio. Finalmente, per spirito di autoconservazione, il vecchio parve allarmato. In gioventù, sul suo pianeta natale, aveva studiato a fondo il rapporto tra ospite e parassita. La simbiosi era qualcosa di molto più complesso e delicato, e difficile da ottenere tra organismi fino ad allora estranei.
«Ma che cosa sei...?!».
Vaatu aveva perso la pazienza. Stava per volargli contro, quando degli zoccoli appuntiti lo inchiodarono a terra. Vaatu usò i suoi flagelli per colpire il suo aggressore. Gli lasciò dei segni, ma lui non lo lasciò andare. Continuò a schiacciarlo sotto il suo peso, ma con un grande sforzo. Non sarebbe riuscito a trattenerlo a lungo.
Contrariato, gridò contro quel pluriomicida che non avrebbe mai voluto graziare. «Tocca quella luce e facciamola finita, vecchio!».
AZ obbedì ancora una volta.
Appena affondò l'indice nel bagliore dorato, il suo spirito fu risucchiato e il suo corpo si disfece come sabbia, e il vento lo portò via.
Lasciando che gli zoccoli lacerassero il suo corpo spetrale, Vaatu riuscì a voltarsi e rilasciare il suo raggio violaceo di energia oscura contro Arceus. Quell'attacco ravvicinato lo sbalzò via. Vaatu lo lasciò dolorante a terra, e si tuffò nel Portale che aveva davanti.
Nel Mondo degli Spiriti, che coincideva con il Mondo Distorto, si trovò davanti ad altre tre colonne di luce disposte a croce. Le due laterali, più sottili, conducevano una alla Grotta Ritorno, l'altra ad una Regione di passaggio di nome Sinjoh. La maggiore, di colore azzurro, corrispondeva all'altro capo dell'Axis Mundi, e si congiungeva in alto, piegandosi ad arco, con la porta dorata da cui era arrivato.
Poco importava che la Vetta Lancia e la Torre Dragospira si trovassero entrambe nell'emisfero nord del pianeta, e nessun diametro della sfera potesse unirle: quel mondo, creato in equilibrio tra il Caos e l'Ordine, non seguiva alcuna simmetria.
Vaatu si diresse a colpo sicuro verso la colonna azzurra, sorvolando una piccola pianta grigia simile a una venere acchiappamosche, che era appena spuntata dal terreno.
Appena lo vide emergere dalla luce, Mewtwo, che apparentemente teneva le redini di quella Convergenza, lo scagliò ai piedi della montagna, dove l'Avatar Yueguang lottava contro un demone dell'ombra.
Lei e Hoopa, come due giganti, si azzuffavano cercando di eludere uno la guardia dell'altro e di mettersi al tappeto. Le sei braccia del mostro, in proporzione alla loro stazza, non sembravano poi così forti. In più, la ragazza era più grande di lui, e sapeva sfruttare meglio i calci.
Vaatu la guardò solo di sfuggita.
Aveva visto un'occasione migliore: il Pokémon Ribelle Giratina, nella sua Forma Alterata, giaceva semi-svenuto a un lato di quello che era diventato un ring. Si era spostato appena aveva ripreso i sensi. Ma era ancora ridotto male e si limitava ad assistere alla lotta.
Era uno Spettro, perciò vulnerabile alla sua influenza. Era un nuovo strumento da usare contro la sua personale nemesi.
Vaatu si precipitò verso di lui, e il Pokémon non poté sfuggirgli. Lo atraversò da parte a parte strappandogli un grido, poi tornò indietro e trapassò di nuovo il suo corpo grigio.
Contaminato dall'Oscurità cedutagli da Vaatu, il Drago crebbe fino a superare in dimensioni gli altri due giganti.
Le sue ali d'ombra si espansero, le striature rosse sul suo addome si assottigliarono, e il suo corpo grigio si scurì e si ricoprì di squame nere mentre acquisiva una forma serpentina, simile a quella che assumeva nel Mondo Distorto, ma più agile e sottile.
L'oro che aveva addosso si adattò alle sue nuove sembianze. Se prima Gong non era tanto convinta che fosse un drago, uno di quelli che conosceva lei, adesso dovette ricredersi.
Hoopa lo aveva picchiato, gli aveva strappato il territorio, ma la sua nuova natura oscura lo spingeva ad aggredire l'Avatar della Luce. Le volò intorno battendo lentamente le sue grandi ali nere e la fissò coi suoi penetranti occhi rossi come se volesse studiarla. In verità, stava esitando: aveva ancora tutti i suoi ricordi intatti e un minimo controllo di sé. Gong non intendeva attaccare, ma ruotava su se stessa con la guardia alzata per non trovarselo alle spalle.
Hoopa si era allontanato a balzi, quel tanto che bastava per lasciarlo fare.
Vaatu osservava la scena da una distanza di sicurezza.
Gli bastò alzare lo sguardo verso il cielo per subodorare che qualcosa sarebbe andato storto: Raava, anche lei fuggta dalla sua prigione, venne giù dal cielo stellato in picchiata come una scia di luce. Si tuffò su Giratina, trafiggendolo come una pugnalata nella schiena. Anziché uscire e rientrare, rimase nel suo corpo quel tanto che bastava per mutarlo senza ucciderlo.
Ignorò le sue grida di dolore, perché non era una creatura della Luce, e la Luce lo stava bruciando.
Le sue ali d'ombra si dissolsero e lui rimase sospeso a mezz'aria con la levitazione. Le squame di ectoplasma sul suo dorso, dalla testa alla coda, si tinsero di bianco.
Raava gli indicò la colonna di luce blu sulla Vetta Lancia un attimo prima di riunirsi al suo Avatar.
Mentre lei e Gong si occupavano di Vaatu e Hoopa, lui risalì da solo la montagna.
Arrivò alla vetta e trovò i suoi due cosiddetti fratelli svenuti, legati dalle Rossocatene ai polsi di Mewtwo. Sopra la testa del Pokémon Genetico svolazzava, felice come una pasqua, indifferente a qualsiasi disastro si consumasse attorno a loro, il minuscolo Mew. Si era fatto vivo appena Vaatu aveva trovato quello che cercava, così non avrebbe rischiato di incrociarlo, perché non sarebbe più tornato indietro.
Giratina ignorò, per il momento, tanto lui quanto il suo clone.
Ruppe le Rossocatene, e assorbì gli altri due Draghi. Le sue dimensioni crebbero ancora. Carne, ossa e metallo sostituirono il suo ectoplasma.
«Mew!» esclamò il gattino psichico, e cominciò a volargli attorno, come se all'improvviso lo avesse riconosciuto, per gli aloni verde smeraldo attorno agli occhi color rubino. Ma Mew, che distingueva alla perfezione le forme nel buio, era spiccatamente daltonico, e non conosceva altro che le scale di grigio.
Piccolo come una mosca in confronto a un uomo, finì per strusciarsi contro le sue grandi squame bianche.
Giratina non era più soltanto uno Spettro. Era quasi identico, finalmente, alla creatura che Gong aveva affrontato nel Bosco Smeraldo.
Il tempo avrebbe annullato ogni differenza tra loro.
Quella creatura, lui se la trovò davanti. Aveva con sé la piccola sfera di energia rosa in cui dormiva il feto Mew.
Gliela porse, mentre l'altro Mew andava da lui, come in uno scambio. Il “vero” Giratina non accettò l'offerta.
«Portalo con te» lo esortò l'altro, quello che tra i due aveva accettato il nome di Arceus. «Sai già come sfruttare il suo DNA».
«Mi fa schifo, il pensiero di diventare come te!» gli gridò contro il demone. «Sei un tiranno, un egoista, e un impostore!».
«Qualsiasi cosa io sia... avresti forse preferito sfidarmi e farti uccidere?».
«Dimmelo tu!».
«Allora, la mia risposta è no. Non cercare alibi. Non hai mai desiderato altro... che essere come me. Avere quello che ho io. Quindi... adesso vai, tieni a mente quello che hai imparato nei minimi dettagli, inventa ciò che non ricordi, e ricostruisci tutto daccapo. Tornerai qui quando i tempi saranno maturi. Al mio posto».
Gli porse di nuovo il globo luminoso con Mew addormentato al suo interno.
Giratina esitò.
Poi fece apparire una delle enormi perle rosa di Palkia, fuse le due sfere l'una dentro l'altra, le assorbì nel proprio corpo e diresse la testa verso il cielo.
Con un tuffo dimensionale, squarciò il tessuto istabile del continuum, e scomparve in un lampo di luce. Il fragore generato dallo strappo, simile a un tuono, fece tremare la montagna e ferì le orecchie dell'altro Arceus, che non ricordava quel dettaglio perché non l'aveva mai udito.
Ormai di cattivo umore, e come se il Giratina del passato potesse ancora sentirlo, il dragone sussurrò a denti stretti: «Te ne pentirai. Se ti ho lasciato andare, è per amore di chi non c'entra niente con te».
I discendenti degli umani che aveva rapito dai loro pianeti nativi, se avessero scoperto la verità, avrebbero tentato di ribellarsi a lui come a un despota.
I mostri che aveva creato, i Pokémon, vivevano pacificamente al fianco dell'Homo Sapiens se la fortuna li assisteva, ma si trovavano più spesso angariati dalle sue tendenze dispotiche. Crearli ed accostarli a quella particolare specie era stato un atto di egoismo.
Infine, se i dotti filosofi e teologi avessero scoperto che non era affatto un dio, ed era ben lontano tanto dalla perfezione intellettuale e morale quanto dall'onnipotenza, lo avrebbero bollato impostore. Avrebbe risvegliato in loro la paura della manipolazione demoniaca o aliena. 
Ancora soprappensiero e di cattivo umore, Arceus rievocò lo spirito di Azelf dal corpo eccezionalmete resistente di Mewtwo.
La Convergenza Cosmica verteva ormai alla fine.
Smarrito, confuso, il Pokémon Genetico guardò il drago bianco e nero con occhi interrogativi e diffidenti. Non lo riconosceva.
«Sono Giratina, Mewtwo!» gli si presentò lui. «Alcuni di noi si evolvono, ricordi? Un giorno ti spiegherò cos'è successo. Ma adesso, dobbiamo dividerci. Fa' quel che ti dice Mew. Anche se non vi assomigliate, tu e lui siete come gemelli».
«Mew!» esultò il gattino. Sembrava felice, e non ne aveva motivo.
Lasciò la Vetta Lancia volando in alto e verso est.
Il suo ignaro clone lo seguì, perplesso.




:::


 

Grazie all'energia oscura di Vaatu, Hoopa aveva riparato due dei suoi anelli. E ne stava approfittando: evocava coppie di Leggendari che per natura non si combattevano tra loro, a turno, tutti in qualche modo posseduti, tutti sul piede di guerra contro l'avversaria indicata dal djinn.
Mentre i due Grandi Spiriti si azzuffavano e scaricavano i loro raggi di energia l'uno sull'altra, Gong subiva l'assalto dei Leggendari. Prima, Suicune e Articuno. Poi, Moltres e Oh-ho dai cieli. Al terzo livello, Lugia e Kyogre dagli abissi.
Hoopa la stava prendendo in giro, si stava divertendo con lei. Sembrava Colress con i suoi test. Ma lei non poteva scagliarglisi contro e liberarsene con la stessa facilità.
Quando il djinn evocò Zekrom e Rayquaza, la sua squadra di Pokémon arrivò finalmente in aiuto. Era guidata dalla Sawsbuck Bella e dal Mimikyu Ming, la cui metà di Foleltto lo rendeva più stabile degli altri Spettri. Chiuyuè, Archie, Kokachin, Ondine, e Randal, erano corsi lì dal Covo Galassia per affiancare l'Allenatrice.
Hoopa non gradì quell'intromissione. Aprì ripetutamente i due Portali e chiamò gran parte dei Legggendari che era ancora in grado di controllare.
Zapdos, Entei, Raikow, tutti i Golem chiamati Regi, i tre Geni occidentali minori di nome Landorus, Thundurus e Tornadus, i draghi Reshiram e Kyurem.
Per ultime, due esemplari di Lunala. Una di loro rispondeva al nome di Nebby.
L'altra, molto più vecchia, ma morta troppo giovane per dimostrarlo, era Luna. La frustrazione di aver perso l'ennesimo neonato l'aveva mandata fuori dai gangheri più dell'infuenza oscura.
Evocarla era stato un doppio errore. Poiché Hoopa l'aveva distolta dalla sua ricerca spasmodica di Keldeo, lei gli si rivoltò contro scaricando su di lui e il Raggio d'Ombra e gridandogli insulti e maledizioni in arabo. Non lo ferì, perché lui era poco vulnerabile alle mosse Spettro. Aprì un Ultravarco e se ne andò prima che Arceus la vedesse. 
Il grande drago dal dorso bianco e il ventre nero, scese in volo dalla Vetta Lancia. Fece un cenno di intesa a Gong, ignorò i due Grandi Spiriti in lotta e i Leggendari posseduti, per fermarsi a pochi metri dal demone Hoopa. Era una distanza irrisoria, per due giganti. 
Il djinn si immobilizzò. Quello che la strega albina di nome Sird gli aveva accennato più volte nelle loro conversazioni, nascondendolo tra le righe, ormai era chiaro anche a lui. Mesprit, Azelf e Uxie erano le tre manifestazioni di Arceus, ma lui li considerava dei semplici strumenti. Dialga e Palkia erano due sofisticate macchine, una biologica e l'altra cibernetica, che gli avrebbero permesso di viaggiare nel Tempo e dello Spazio.
Giratina era l'unico di cui gli importasse realmente qualcosa. L'aveva esiliato per nasconderlo, aveva cancellato il suo nome dalla storia degli umani perché loro smettessero di cercarlo, e non ne capissero il vero potenziale.
L'aveva costretto a osservare il mondo da lontano perché lui fosse ossessionato da ogni suo dettaglio, e lo studiasse con la stessa avidità di un testo proibito. Non aveva fatto altro che forgiarsi da solo.
E non aveva dimenticato di essere rimasto intrappolato nell'Ombra per molto tempo.
«Hai paura?» domandò a Hoopa.
«No» mentì il djinn.
«Hai capito chi sono, non è vero?».
«Sei un ipocrita».
«Perché anche io sono un demone, ma ti ho trattato da criminale? Non c'è stato un giudizio morale, non mi sento migliore di te: ti ho imprigionato perché eri pericoloso. Per gli altri e per te stesso. Guardati».
Volò via, per placare tutti gli altri Leggendari e tenere a bada Vaatu.
Libera dal suo avversario, Raava tornò al fianco della Forma Cosmica del suo Avatar. Hoopa era rimasto fermo, con le sei braccia abbassate.
Raava attraversò l'anello incastonato nel suo petto per togliergli di dosso tutta quell'Oscurità che l'aveva trasformato. Hoopa tornò nella sua forma Vincolata, piccolo e infantile. Si rannicchiò a terra e rimase lì ad occhi bassi.
Nessuno, in quel momento, aveva tempo per lui.
Arceus aveva deformato le distanze perché la Vetta Lancia si trovasse sul loro stesso piano. La colonna di luce azzurra dell'Axis Mundi era lì, a pochi passi. Raava si unì a Gong perché il loro Spiriti si fondessero di nuovo appena toccata quella luce.
Vaatu stava avendo la peggio, perché aveva contro un grande numero di Leggendari ormai riportati alla ragione. Lo spinsero nella Porta e da lì nel Mondo degli Spiriti, che era stato il Mondo Distorto. Lo constrinsero ad arretrare verso il centro della croce greca formata dai quattro Portali aperti. Lì, la  venere acchiappamosche grigia spuantata dalla terra era cresciuta esponenzialmente, e teneva spalancata la sua enorme bocca a conchiglia dall'interno violaceo. Una volta spinto dentro, la venere si richiuse su di lui con uno scatto, imprigionandolo con le sue setole. 
L'Avatar, ormai fuso di nuovo allo Spirito della Luce Raava, si chinò sulla pianta e la toccò per sigillarla. Non era l'Albero del Tempo, ma l'avrebbe tenuto a bada per un po'. Purtroppo, una volta dissolto, lui sarebbe rinato. Ma il processo era abbastanza lento da permettere qualche secolo di pace.
Arceus rimase nelle retrovie.
Posseduti o no, non era contento della scarsa resistenza opposta dai suoi Leggendari.
Vaatu come fonte oscura era sconfitto, ma il caos che aveva provocato imperversava ancora, agitando gli Spettri e trasformandoli in entità maligne.
Li avrebbe mandati a sistemare le cose nelle loro Regioni al posto suo.




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Due Chandelure dagli occhi rossi come braci, e due Litwick dalla cera nera e quasi completamente  sciolta, stavano incendiando le tane di legno e foglie sapientemente costruite da un branco di Bidoof accanto a un piccolo corso d'acqua.
Urtato da una simile ingiustizia, Keldeo era saltato fuori dal ruscello su cui quel giorno casualmente correva, e si era schierato in difesa dei castori.
Si era illuso di vincere sfruttando la vulnerabilità del Fuoco all'Acqua.
Ma quel fuoco violaceo e maledetto non si spegneva, e il minimo schizzo sembrava renderlo più vivo.
Il continuo mutare dei colori del cielo, ell'erba e delle foglie, e le piccole scosse sismiche che scuotevano ripetutamente Unova, erano qualcosa di più importante di un bizzarro fenomeno naturale.
Keldeo, ormai scottato, non sapeva più come comportarsi. La sua salute stava calando.
I due Chandelure dagli occhi rossi come braci lo avrebbero catturato ed arso vivo, se gliene avesse dato la possibilità. Doveva tenerli lontani e perciò stava arretrando, mentre i Bidoof si davano alla fuga.
Il loro eroe era in difficoltà e loro avevano rinunciato a tenersi il territorio.
Keldeo era sinceramente preoccupato.
Come se tutta la sua sfortuna non bastasse, un altro Spirito Maligno squarciò il cielo per avventarsi su di lui con Spettrotuffo. Appena fu scomparso di nuovo, il puledro si buttò a terra e preparò a incassare il colpo delle sue ali scure, o della sua coda pendente a mezzaluna. Ma lo Spettro si scagliò contro i due Chandelure insieme.
Non contenta, bersagliò loro e il resto del gruppo con una serie di Palla Omrba, e chiuse la performance con un Iper Raggio lanciato a vuoto. 
Quell'avvertimento impaurì e calmò i quattro Spettri. Rrinsavirono, e tornarono al loro aspetto ordinario.
Se ne andarono senza voltarsi e senza far rumore, come in punta di piedi.
La creatura pazza che li aveva aggrediti si voltò a guardare Keldeo con gli occhi spiritati, di un intenso rosso sangue.
Fece per parlare, con una voce roca e stridula, ma appena la sentì chiuse la bocca.
Il suo volto tradiva imbarazzo e vergogna.
Arresa, risalì verso il cielo e scomparve nella stessa frattura dimensionale che l'aveva portata lì.



:::




I Comandanti Galassia erano imprigionati nel loro stesso quartier generale. Mesprit li aveva invitati a sedersi uno accanto all'altro appoggiati al muro, come se fossero tenuti in ostaggio. E forse lo erano. Aveva messo le Unità Rosse a sorvegliarli e poi era sparito per raggiungere Gong nello scantinato.
Quando la porta scorrevole si aprì, il più terrorizzato era Oberon, Jupiter la più tranquilla.
In mezzo al loro, Mars fu la prima a lanciare un grido. Ma era un grido di gioia. Batté le mani come se non potesse trattenere l'entusiasmo e balzò in piedi. Nessun proiettile fu sparato.
«Maestro Cyrus!» urlarono in coro lei e Saturno.
L'uomo, che da solo aveva suscitato tutto quell'entusiasmo, non mosse un solo muscolo del viso.
Silver fu il secondo ad alzarsi in piedi, incredulo e molto più posato della cugina. Era stanco di vedere quella donna sparire e ricomparire a suo piacimento, sfuggente come una creatura sovrannaturale. Ma non riusciva a serbarle rancore a lungo. Dopo il suo ultimo passo falso alle Rovine, aveva temunto di non vederla più. Adesso, era sollevato.
«Sird...!» esclamò in un sussurro.
Quando aveva visto lei e il figlio davanti alle rovine degli Unown, gli era parso strano vederli insieme. Adesso, gli pareva tutto molto più naturale. Cyrus era abituato a lavorare con lei, e non camminava come un soldato accanto al suo comandante, anche in mancanza della sorella Hua.
Sird, il Comandante Mercurius, prese la parola al posto suo.

 



:::



«Shan Yueguang di Yong Gu Cheng!».
Stavolta, il tono era beffardo.
Appena tutti gli altri Leggendari se n'erano andati, per raggiungere ognuno la propria Regione e sistemare le cose, Arceus si era voltato verso lo Spirito dell'Avatar e le aveva rivolto quel saluto.
Riuniva in sé i mostri chiamati Dialga, Palkia e Giratina, ormai amalgamati in un tutt'uno inscindibile. Dialga era una complicatissima macchina dotata di intelletto e priva di emozioni. Palkia, indomabile ed energico, era una creatura biologica dall'intelligenza notevole ma, per le sue caratteristiche, equiparabile a quella di un gorilla.
Per tutto questo, l'Originale rispondeva ancora al nome di Giratina, e conservava i ricordi del dragone spettrale.
«Ma sta' zitto!» gli rispose Gong, stizzita. In quel momento non era umana, ma la sua mancanza di contegno la seguiva ovunque. Le sue labbra di energia spirituale, simili al cristallo, si mossero perché si lagnasse come una bambina. «Mi hai solo presa in giro!».
Nello stesso momento, caricato dalle emozioni, il suo spirito privo del corpo disperse via via la sua luce e tornò alle dimensioni e all'aspetto umano.
Il grande drago si adeguò e si trasformò in una specie di equino con gli zoccoli foderati d'oro, e una ruota solare che gli circondava i fianchi. «Non ti ho presa in giro. Era una questione seria. Ma non è colpa mia, se sei buffa!».
Gong perse le staffe e alzò la voce: «Ah, ti sembro buffa?! Dimmi: Sedna dov'è?».
«Non fare la tragica! È da Gold».
«Da Gold?! Perché, da Gold?!».
«Perché tu lo conosci, perché il suo braccio destro è un Folletto, e perché la sua casa è piena di Pokémon domestici di ogni genere, ma non c'è neppure uno Spettro. Tua figlia è al sicuro, con lui».
«Le avrà dato da bere la birra! Le avrà dato da bere la vodka, per farla dormire!».
«Sciocchezze...! Fa l'idiota soltanto con gli adulti. Credo che abbia letto più libri in questi pochi giorni che nel resto della sua vita. E solo per capire come prendersi cura di un lattante».
Per tutta risposta, Gong scoppiò in lacrime. Non erano affatto lacrime di gioia.
«Perché piangi?» le domandò tranquillo il Leggendario.
Lei tirò su col naso e gridò: «Perché tu sei uno s...!».







FINE


 








 
 





 

1NON canon!

2Primo singolo dei Siouxsie and the Banshees, gruppo punk e poi post-punk.

3“Cities in Dust”, sempre Siouxsie and the Banshees. È scritta come se parlasse a uno degli abitanti di Pompei “Il tuo tempo stava scadendo (…) stavi pregando nel santuario dei Lari? (…) ti abbiamo trovato nascosto, ti abbiamo trovato disteso/ soffocato sulla terra e sulla polvere (dice sabbia ma è polvere vulcanica)”. PS: la canzone è post-punk, è bellina e di per sé non è niente di sconvolgente, è molto orecchiabile, nel video però c'è l'immagine della mummia di uno di questi poveracci che appare ogni tanto, quindi se la cosa può urtare la vostra sensibilità non lo guardate.

 









Autrice: ho faticato parecchio a stendere questo capitolo, per motivi X. Credo di aver scritto 2 righe al giorno circa.
Avevo già la scaletta pronta mesi fa, il finale in mente 2 anni fa, ma poi non mi andava di renderlo in modo troppo serio, considerando il clima che si sta respirando nella realtà. Mi rendo conto che la storia non è venuta un gran lavoro, nel progetto originale doveva essere più corta e nel complesso è disomogenea, ho un po' divagato... non so dove tagliare, però...
Chiedo scusa anche a chi ha smesso di leggere perché l'ho tirata troppo per le lunghe. Per gli altri (se ce ne sono)... boh, se siete riusciti ad arrivare fin qui, potete dirmi che idea vi siete fatti?
Non so cos'altro aggiungere. Vi saluto tutti.
PS: visto che all'inizio della storia ho aggiunto il simbolo del Loto Bianco, qui metto il simbolo del Loto Rosso in chiusura.
Ciao ciao.


 

   
 
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