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Autore: steffirah    04/04/2020    2 recensioni
Tratto dalla terza one-shot: I suoi occhi cominciarono a luccicare come gemme preziose, il suo sorriso divenne più luminoso delle stelle, al che incuriosito sollevò anche lui il viso verso la volta celeste. Socchiuse le labbra, stupito, non ricordando che per quella notte ci sarebbe stata una pioggia di comete.
«Ricordati di esprimere un desiderio», cantilenò allegra e rimembrando che lì si usasse così lasciò ai suoi occhi seguire quelle scie, formulando una sorta di desiderio.
Il suo cuore accelerò di poco e sviò lo sguardo, riportandolo sulla fanciulla, la quale nello stesso tempo si voltò a guardarlo con dolcezza.
«Lo hai trovato?»
Annuì, incapace di parlare, rispondendole nei suoi pensieri.
“Di non perderti.”

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Raccolta dedicata alla Syaosaku week "spring bash" tenutasi dal 4 all'11 aprile 2019.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lee Shaoran, Li Shaoran, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Pioggia di comete




 
Una volta pronta e vestita la fanciulla si congedò dalle cameriere, uscendo dalla sua stanza. Mentre esse la preparavano le avevano enunciato i programmi del resto della giornata, e dentro di sé sorrise: per una volta più che lezioni, avrebbe avuto visite. Si affrettò a raggiungere il salone da pranzo, rassettandosi l’ampia gonna prima di fare il suo ingresso e annunciarsi.
«Oh, ecco la mia cara bambina. Com’è andata la lezione di danza?»
«Bene, grazie.»
Sorrise gentilmente al nonno che si era appena alzato dal divano – aveva già compiuto quindici anni, eppure continuava a usare quelle due paroline con lei, “dear child” – e lo raggiunse con piccoli passi, spostando immediatamente lo sguardo sull’ospite dell’ora del tè.
Non ricordava di aver mai incontrato quella donna. Ne osservò i sottili e raffinati tratti asiatici, capendo subito che non fosse giapponese come lei. No, l’aria che emanava era diversa, più mistica, enigmatica, quasi fosse avvolta dal mistero. Nulla percepiva dell’atmosfera calma e genuina con cui era cresciuta. Osservò poi il suo abbigliamento, non riconoscendolo. Di certo non era di fattura inglese.
«Madame, lei è mia nipote.»
«La vostra Cherry?»
Per poco la fanciulla non sollevò gli occhi al cielo. Il nonno aveva anche preso quell’abitudine di inglesizzare il suo nome e presentarla così ai suoi conoscenti.
«Precisamente.»
Fece un passo avanti, profondendosi in un breve inchino, sforzandosi di sembrare elegante quanto quella donna per non sfigurare.
«Potete chiamarmi Sakura.»
«Io sono Yelan Li.»
Si inchinò a sua volta, ma i suoi modi di fare continuavano a distinguersi da quelli che le erano più familiari. La osservò cauta, scrupolosamente, riflettendo sul fatto che il nonno non avesse mai nominato quella donna.
“Chi sarà mai? Madame Li… Da dove verrà? Di cosa si occuperà?”
Che fosse una nobildonna, non vi erano dubbi.
Le sue riflessioni andarono in fumo nel momento in cui notò una creaturina dal manto bianco appallottolata su se stessa, comodamente adagiata sul divano. Spalancò le labbra quando coi suoi occhi di un celeste argenteo la inchiodò sul posto.
«Questo gatto è bellissimo!» esclamò illuminandosi. «È vostro?»
La donna assentì col capo, nascondendo un sorrisetto dietro una sua manica.
«Si chiama Yue. È quieto, il che mi permette di portarlo ovunque con me, ma è anche molto diffidente.»
Sakura soppesò per un po’ le sue parole prima di farsi avanti e inginocchiarsi a terra, poggiando le braccia sul divano.
«Ciao Yue, piacere di conoscerti. Io sono Sakura.»
Si mostrò amichevole e affabile mentre tentava di allungare una mano, posando appena le dita sulla sua testa per carezzargli il capo. Non era molto abituata ai gatti, visto che da quanto aveva memoria la sua famiglia aveva sempre posseduto soltanto cani, eccetto che per quello di sua cugina. Lei le aveva insegnato come comportarsi in loro presenza, come toccarli, come carezzarli, come metterli a proprio agio per non spaventarli. Era molto più difficile e stancante a livello mentale doversi preoccupare tanto di ogni singola azione che svolgeva e di come avrebbero potuto reagire, rispetto alla naturalezza e spontaneità con cui riusciva a trattare un cane. Eppure, non le dispiaceva. Anche i gatti avevano un fascino indescrivibile, e sia Yue che quello di sua cugina assomigliavano in maniera impressionante alle loro padrone.
«Cherry, tesoro.»
Si riscosse dalle sue osservazioni, rassettandosi per rimettersi in piedi. Le parve che la signora avesse un’aria leggermente sorpresa, ma non poteva esserne certa; cercò quindi di non pensarci e si dedicò al nonno, che le si era appena rivolto.
«Perché non vai in giardino a chiamare il figlio di Madame?»
Lo fissò confusa per qualche istante, per poi rielaborare le sue parole e rallegrarsi. Aveva un figlio! Magari avrebbe avuto la sua stessa età! Chissà che tipo di persona era! Assomigliava tanto alla madre?
Annuì entusiasta, congedandosi. Mentre si accingeva ad uscire un sorriso spontaneo sorse sulle sue labbra.
Incamminandosi per i sentieri del loro immenso giardino provò ad immaginarselo. Avrebbe avuto quegli stessi occhi sottili e profondi? Neri, come il carbone. E quello stesso colore di capelli? Si figurò il viso della signora, rendendone un po’ meno delicati i tratti, più mascolini. E cosa avrebbe indossato? Quegli abiti di foggia esotica?
Elettrizzata all’idea di scoprirlo accelerò, guardandosi attentamente intorno. Da lontano intravide Cerberus correre e si affrettò in quella direzione, passando per il roseto; stava per richiamare il loro cane da guardia, quando si accorse che non era solo. Si pietrificò, vedendo che quel cucciolo ormai cresciuto scodinzolava felice, riportando qualcosa ad un ragazzo mai visto prima – aguzzando la vista, si accorse che si trattava di un bastoncino di legno che sembrava un rametto, ma da quella distanza non poteva esserne sicura.
Per un microsecondo si chiese se non avessero assunto un nuovo garzone, ma poi notò quell’abbigliamento fino a quel giorno sconosciuto e ne rimase sbigottita. Doveva per forza essere il figlio di Madame Li! Ed era totalmente diverso da come se lo era figurato! Che stranezza, sembrava aver ereditato ben poco da sua madre, se non l’eleganza che sprigionava. Era così diverso da lei, con quei capelli d’un castano dorato, non perfettamente lisci come la madre, e quei tratti sorprendentemente gentili. Se lo aspettava con un aspetto possibilmente più austero, e invece s’era completamente sbagliata su di lui.
E poi, Cerberus che giocava con lui! Cerberus che gli faceva le feste e addirittura gli mostrava la pancia, permettendogli di farsi carezzare, ricevendo in risposta dei sorrisi gioviali, che sembravano appartenere ad un bambino. Le mancò il respiro, mentre si domandava a cosa stesse assistendo.
Il loro guardiano fu il primo ad accorgersi di lei e a rimettersi sulle zampe, scattando nella sua direzione, abbaiando. Si riscosse in fretta e si protese verso Cerberus, chiamandolo con un sorriso; prevedibilmente le si lanciò addosso per leccarle tutto il viso, facendole perdere l’equilibrio. Rise deliziata, finché non si accorse che lo sconosciuto dagli abiti di smeraldo si era inginocchiato al suo fianco, mostrando una lieve apprensione.
«Va tutto bene?»
«Sì, fa sempre così, è un giocherellone», spiegò riempiendolo di coccole, contentandolo. Era anche vero però che era sospettoso con gli estranei – naturalmente doveva essere così, o non avrebbe potuto svolgere per bene il suo compito –, divenendo molto aggressivo quando il suo istinto gli faceva diffidare della gente che andava a rendergli visita. Ecco perché s’era stupita nel vederlo tanto docile con il nuovo arrivato.
Riuscì in qualche modo a farlo spostare su un lato e farlo accucciare, ammonendolo a fare il bravo puntandogli il dito contro – ricevendosi un ghigno compiaciuto in risposta –, prima di sospirare e voltarsi verso il loro ospite, sperando di non risultare impresentabile come temeva. Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio mentre si voltava alla sua destra, trovandolo ancora accovacciato lì, con un’espressione serena rivolta tutta al suo cane.
Provò a prendere parola, ma lui fu più rapido di lei nello spostare lo sguardo sul suo viso, colpendola dritta al cuore. C’era gentilezza e tristezza in quegli occhi d’ambra, una sorta di mestizia che le stringeva il cuore.
«Perdonate il mio comportamento deplorevole. Immagino che voi siate la contessa Cherry», ipotizzò mentre si rimetteva in piedi, porgendole immediatamente una mano per aiutarla a fare altrettanto.
Stavolta Sakura sospirò sonoramente, mettendo per un secondo da parte i buoni modi con cui era stata educata.
«Non “Cherry”, Sakura», precisò una volta che gli fu di fronte, notando che con gli stivali arrivava quasi perfettamente alla sua altezza.
Lui parve per un attimo confuso, poi sembrò fare due calcoli e trattenne un sorriso, riconoscendo: «Ma certo, siete giapponese».
«Voi invece presumo siate il figlio di Madame Li?»
«Precisamente. Mi chiamo Syaoran.»
Ripeté mentalmente il suo nome, cercando di memorizzarlo. Sicura che non lo avrebbe dimenticato lo guardò con un sorriso, domandandogli se avesse già fatto un giro del giardino.
«Non tutto, solo fino alla fontana, poi il vostro cane -»
«Cerberus.»
«… Cerberus», riprese, volgendosi verso di lui, dedicandogli un sorrisone, «si è letteralmente avventato su di me.»
«Non vi avrà fatto del male?» si allarmò, considerando anche la sua stazza.
«Affatto, voleva soltanto giocare.»
Rimase in silenzio, accorgendosi che aveva assunto di nuovo quell’espressione nostalgica.
Volendo scoprire di più su di lui lo invitò a fargli visitare il giardino, e mentre si incamminavano e gli mostrava la zona gli porse diverse domande. Così facendo capì finalmente l’origine di quell’aria malinconica: quando suo padre era ancora in vita anche loro possedevano un cane, ma era morto insieme al padrone e da allora la madre non aveva avuto il coraggio di prenderne un altro. Lo sentiva come se avesse potuto sostituirlo così facendo e se non ci riusciva con suo padre, non ci sarebbe riuscita neppure con quel caro animale che rappresentava la sua ombra. Le spiegò che diversi uomini avevano provato a corteggiarla, in maniera del tutto vana, anche perché più interessati ai loro beni che alla loro famiglia.
«Ma noi ce la caviamo perfettamente anche così. D’altronde, le mie sorelle hanno già preso le redini della nostra attività, estendendone le finanze.»
«Per questo siete venuti in Inghilterra?» domandò, cominciando a comprendere la ragione della loro presenza.
«Mia madre aveva detto di avere un conoscente qui e pensavo si trattasse di un mio lontano parente, che sicuramente conoscerete. Il conte Eriol.»
«È promesso in sposa a mia cugina!» esclamò incredula, senza controllare lo stupore.
Anche lui ne parve sorpreso, poi emise una breve risata, in maniera abbastanza composta ed educata. Sembrava conoscere perfettamente le buone maniere, soprattutto inglesi.
«Come si dice, il mondo è davvero piccolo. In ogni caso, alla fine siamo finiti qui, e sebbene inizialmente volesse che contrattassi con lei mi ha chiesto di aspettare fuori, per qualche inspiegabile ragione.»
«Oh! Quindi volete creare un’unione delle nostre società?»
«Suppongo siano questi i piani di mia madre, anche se non mi è chiaro il come.» Osservò le aiuole ben potate per qualche istante, prima di trasalire lievemente e guardarla, bloccandosi nel suo cammino. «Vogliate perdonare la mia mancanza.»
Lei lo fissò confusa, finché non lo vide fare un inchino galante e prendere la sua mano, baciandone appena il dorso.
«È un onore fare la vostra conoscenza.»
L’animo della fanciulla tremò. Così facevano tutti, eppure c’era qualcosa di diverso in lui, qualcosa che la scuoteva fin dentro le interiora.
Attese che si rimettesse ritto prima di prendere tra le dita la sua ampia gonna, chinando di poco il capo, facendo a sua volta una lieve riverenza.
«L’onore è tutto mio. Perdonate anche voi la mia scortesia, è solo che il nostro incontro è stato…»
Cercò la parola giusta, ma lui sembrò trovarla per lei.
«Poco convenzionale», completò, trovandosi d’accordo.
Si rivolsero una breve occhiata grave, finché la serietà non cadde ed entrambi ridacchiarono.
Sakura poggiò allora una mano su un suo braccio, domandandogli: «In tal caso possiamo lasciar perdere tutti questi convenevoli?»
«Se mia madre lo scoprisse sarebbe un problema», provò a porre dei limiti, in cui nemmeno lui credeva.
«Vostra madre non deve scoprirlo, in pubblico possiamo comportarci da “bravi signorini”.»
Gli sorrise con complicità e lui fece un mezzo sorriso sghembo, osservando: «Non avete un’aria tanto ribelle».
«È che la mia situazione è piuttosto complessa.»
Per ricambiare quel che lui le aveva svelato, gli raccontò della sua vita in Giappone. Anche lì erano benestanti e la sua infanzia era stata sufficientemente spensierata, visto che, nonostante la prematura dipartita di sua madre, era cresciuta con tutto l’affetto di suo fratello e suo padre. Un giorno, tuttavia, quando aveva nove anni ricevettero una lettera indirizzata alla madre. Era da parte del nonno e scriveva che perdonava la fuga di sua figlia, e che l’avrebbe riaccolta in casa. Non conosceva bene tutte le vicissitudini, ma dopo una serie di eventi e dopo aver scoperto della morte della madre il nonno aveva chiesto di poter crescere almeno la sua nipotina, mentre il fratello si occupava degli affari in Giappone.
«Non vi sentite triste qui?» chiese con delicatezza il giovane e lei scosse vigorosamente la testa.
«All’inizio è stato un po’ difficile abituarmi a questa nuova vita, queste nuove usanze, questo nuovo galateo. Ma non sono infelice, perché qui ho tante persone che mi vogliono bene, e sia mio padre che mio fratello vengono a trovarmi più spesso di quanto potessi sperare. Inoltre mio padre dai suoi viaggi mi porta sempre tanti doni inestimabili e io li guardo ogni notte, pregando per lui e sperando di rivederlo presto. Sono ciò che me lo fa sentire costantemente presente.»
«Una contessa e un ricercatore, eh?» sussurrò Syaoran tra sé, capendo perché la famiglia della madre si fosse opposta tanto al loro matrimonio. Certamente non era quello il futuro che avevano previsto per lei. «Vostra madre è stata molto coraggiosa.»
«Ha lottato per la sua libertà», confermò, sogghignando vittoriosa. «E ha ottenuto la felicità che desiderava.»
Si erano ormai seduti su una panca marmorea al di sotto di un padiglione, con lo sguardo rivolto verso un laghetto in cui nuotavano maestosi cigni.
«Dovrebbe essere sempre così…» mormorò lui, la sua voce che sembrava svanire col vento; ciononostante Sakura lo udì e ne rimase positivamente colpita. Si conoscevano appena, eppure aveva già capito che sembravano condividere gli stessi ideali.
Preoccupata tuttavia che la sua situazione potesse essere simile gli strinse la mano, cercando di infondergli coraggio, cogliendolo impreparato.
«Anche voi amate qualcuno che non potete sposare?»
«I-io…» balbettò, imbarazzandosi, non aspettandoselo. Non quando lei lo guardava con quegli occhi cristallini e sinceri, totalmente privi di nubi, se non una leggera apprensione. Ci pensò su e per quanto a lei potesse suonare come una menzogna dovette ammettere che: «No, non mi è mai capitato di innamorarmi».
Stranamente, lesse la comprensione nei suoi occhi.
«Nemmeno a me», replicò con schiettezza, lasciandolo basito. «Ho ricevuto molte proposte, tutte rifiutate. A malapena conoscevo i miei pretendenti, e come per vostra madre erano unicamente interessati al legame di consanguineità che ho con la regina. E pur avendo l’occasione di essere introdotta a giovani e uomini di tutte le età, nessuno ha mai acceso il mio interesse.»
La ascoltò tacito, corrugando la fronte. Riconosceva che le persone potessero essere realmente degli avvoltoi, soprattutto una volta poste di fronte alla ricchezza. Tutti puntavano ad agganci importanti o a grandi imperi e quella era la triste, amara realtà che entrambi dovevano vivere.
«Ma con voi è diverso.»
Sollevò lo sguardo di scatto, trovandola a sorridergli con dolcezza.
«Voi suscitate il mio interesse.»
Si ritrovò senza parole – ed era la seconda volta che quella fanciulla riusciva a bloccargli la gola, cosa mai accaduta prima. Mantenne in ogni caso una parvenza di tranquillità, rivolgendole un sorriso.
«Contessa, potete anche darmi del tu e chiamarmi per nome», concesse, capendo dopo la sua richiesta che per lei sarebbe stato più semplice.
«Posso?» domandò stupita, sgranando gli occhi.
«Certamente.»
«Allora anche vo - ehm, anche tu, Syaoran, fai lo stesso con me!»
«Non so se io -»
«Insisto!» lo interruppe, esaltata all’idea.
«D’accordo. Farò come desideri, Sakura», si arrese, al che lei esultò vistosamente, balzando in piedi, ponendoglisi dinanzi.
«Quindi siamo amici?»
«Se tu mi onori della tua amicizia», rispose formalmente, facendola ridere. Stavolta non nascose il viso e poté vedere quanto le si illuminava lo sguardo, quasi ella fosse il sole stesso.
«Per me lo sei», confermò, al che anche lui si stese in un sorriso, sentendosi rasserenato.
«Allora lo siamo.»
La contessina saltellò allegramente sul posto, domandandogli con foga se si sarebbe fermato lì per quella notte.
«C’è una cosa che voglio assolutamente mostrarti!»
Era del tutto su di giri, ma lui non sapeva ancora quali fossero per la precisione i piani di sua madre. In realtà, negli ultimi tempi non riusciva più a sondare la sua mente, diveniva sempre più enigmatica, si teneva le proprie idee per sé o le condivideva unicamente con le sue sorelle maggiori e lui poteva solo basarsi su piccoli indizi per giungere a delle conclusioni e capire almeno parzialmente quali fossero le sue intenzioni. Sapeva con certezza che ogni sua scelta non fosse dettata dal caso, ma sperava in cuor suo che quel suo incontro con la contessa – no, con Sakura, non fosse un suo piano ben architettato. Forse, anzi, sicuramente aveva in programma qualcosa di grande per lei, per loro, ma di qualunque cosa si trattasse non avrebbe permesso che intaccasse la sua felicità. Perché lei era così pura, genuina, onesta, e sì, doveva ammetterlo, già le si era affezionato. Decise pertanto in maniera quasi istintiva che l’avrebbe protetta, se necessario anche dalla sua stessa famiglia. Non avrebbe permesso mai e poi mai che diventasse il burattino di sua madre.
Ecco perché quando ritornarono alla dimora indossò nuovamente la solita maschera di formalità e ringraziò il cielo che Sakura facesse lo stesso, prontamente. Quella piccola intimità che avevano creato, che avevano trovato, l’avrebbero condivisa soltanto tra di loro. Sarebbe stato il loro piccolo segreto, taciuto al resto del mondo. Quell’idea eccitava tanto lei quanto lui: era un piccolo segreto tutto loro.
Ciononostante sua madre gli serbò un’inspiegabile occhiata di rimprovero, come se già sapesse tutto, come se non avesse mai staccato gli occhi dalle loro figure, idea che lo fece rabbrividire. Finché poi non si accorse che, considerando la polvere sulle loro vesti e le foglie impigliate tra i capelli lievemente allentati di Sakura, era semplice fraintendere. Sua madre poteva anche credere che fossero diventati amanti, la cosa non faceva che rendere quella situazione ancora più esilarante.
Il nonno invece non ne sembrò per niente turbato, forse era abituato a vederla in quelle condizioni, considerando il suo spirito energico.
Fatto sta che le consigliò di farsi aggiustare dalle sue cameriere e non appena lei andò nelle sue stanze sua madre lo informò che per quella sera si sarebbero realmente fermati lì.
Attesero che Sakura scendesse prima di cenare e Syaoran la osservò con discrezione, notando che aveva cambiato il vestito indossandone uno dalle tinte più sul color pesca e anche i suoi capelli erano stati acconciati in maniera diversa, non più in due trecce avvolte sul capo ma in una semplice crocchia morbida, lasciandone alcune ciocche libere. I capelli alzati le donavano, ma incontrollabilmente si domandò come potesse essere coi capelli sciolti. Domanda del tutto inutile, non avrebbe mai avuto modo di vederla così.
Cenarono parlando per poco di questioni sociali e impersonali, in maniera educata, sennonché con sua sorpresa Sakura ogni tanto gli rivolgeva un sorriso quasi invisibile o ammiccava nella sua direzione con complicità. Si mostrava impassibile nella consapevolezza che, anche se non lo guardava perché impegnata in una conversazione col conte, sua madre lo controllava costantemente. Ciononostante le diede dei lievi colpetti col piede, come ad ammonirla di smetterla. Lei dovette prenderla come una qualche sfida perché gli rispose allo stesso modo, e mentre proseguivano col pasto si chiese a che gioco stesse giocando. Ragionò anche sul fatto che mai aveva instaurato una relazione simile con una persona. Come poteva definirla? Cos’era tutta quell’intesa? Sembrava quasi che fossero tornati bambini e, finalmente, potessero divertirsi.
Nel suo cuore sorrise a quel pensiero che lo accompagnò fino alla fine del pasto, in seguito al quale si spostarono nel salone per proseguire con la conversazione. La seguì con attenzione, per non lasciarsi sfuggire nulla che avrebbe potuto rivelarsi importante, finché non si accorse che Sakura sembrava irrequieta. A vederla così era totalmente immobile, se non per qualche occasionale sorriso e cenno d’ascolto col capo, ma si accorse che le dita della mano nascosta accanto alla sua gamba tremavano contro la stoffa, talvolta afferrandola e stropicciandola.
Il conte, che certamente la conosceva meglio di chiunque altri, le permise quindi di fare ciò che voleva e lei immediatamente balzò in piedi – seppure con eleganza –, si inchinò dinanzi alla loro ospite e si approcciò al suo nuovo amico, mostrandogli entusiasta un ghigno che soltanto lui poteva vedere.
«My lord, mi fareste compagnia in giardino? Non ho ancora avuto modo di mostrarvi il roseto.»
«Volentieri, my lady.»
Senza lasciar trapelare nulla si sollevò dalla sua postazione, porgendole il braccio affinché potesse appoggiarcisi. Ignorando la sua sottile presa su di lui, guardò sua madre, in attesa; lei gli concesse di scortarla con uno sguardo e lui si congedò col conte, avviandosi verso l’esterno.
Una volta fuori la guardò poco convinto, osservando a bassa voce: «Non mi hai mostrato stamattina tutto il giardino?»
«Ammetto che quella parte l’abbiamo già vista, anche se non devi sottovalutare le nostre proprietà, Syaoran. Sono molto più vaste di quello che pensi.»
In realtà, non ne dubitava; di certo gli ettari di verde si estendevano ben oltre dove lo sguardo arrivava, probabilmente includevano anche parte del boschetto.
Sobbalzò sentendosi una maggiore pressione al braccio, voltandosi per vedere che Sakura lo aveva letteralmente artigliato, con un sorriso persino più ampio del precedente.
Si allungò verso di lui, sussurrando con euforia: «Ma c’è davvero una cosa che vorrei vedessi».
Lo aveva detto anche quel pomeriggio, per cui si lasciò trascinare da lei senza lamentarsi, troppo incuriosito.
Nel tragitto lei si complimentò per come gli stessero gli abiti inglesi, lui semplicemente si strinse nelle spalle facendo notare che, pur non rinnegando le proprie origini, doveva adeguarsi alla cultura che trovava. Oltretutto sua madre gli aveva fatto notare che sarebbe stato meglio se anche lui si fosse cambiato vista la sporcizia e, dato che il conte prontamente si era offerto di prestargli abiti puliti, aveva considerato fosse meglio non arrecargli alcun disturbo e adattarsi alla nobiltà inglese.
Doveva confessare che non era molto abituato a quella foggia, ma tutto sommato non erano scomodi quanto temeva. Forse perché erano stati cuciti su sua misura, e nel vedere che il loro bagaglio era già lì a sua insaputa ebbe la conferma che tutto era già stato pianificato da sua madre.
«Ciononostante, se posso osare», esordì, cogliendo la sua attenzione, «gli abiti che indossavi stamani ti donavano di più.»
Ci pensò su, domandando: «Ti piacciono?»
«Moltissimo! Anche il colore, era molto brillante! Non ne abbiamo di stoffe simili qui», spiegò con occhi lucenti.
In quel momento fece caso che nella notte, e con quel lieve chiarore lunare, le sue iridi luccicavano proprio di quello stesso colore a lui tanto caro.
In maniera del tutto inconscia, le parole che seguirono lasciarono le sue labbra: «Dopo che sarò tornato a casa, la prossima volta che verrò a trovarti ti regalerò qualche abito».
«Davvero?!» esclamò incredula, ripensando a quanto aveva ammirato quelli di sua madre.
«E qualche gioiello. Anch’essi sono diversi da quelli che usate qui.»
«Ma sarebbe inestimabilmente prezioso!»
«Esatto, e lo possederesti soltanto tu.»
Risero entrambi, finché l’ilarità di Sakura non scemò lasciando spazio ad una lieve tristezza.
Adombrandosi chinò il capo, mormorando: «Devi tornare per forza…?»
Lui si pietrificò, sentendosi bloccare il respiro. Non era il benvenuto?
«Se… Se tu non vuoi che torni qui, allora non -» cominciò a pronunciare, per quanto gli facesse male la sola ipotesi di non rivederla più.
«Intendevo in Cina», lo interruppe, guardandolo crucciata.
Lui esitò per qualche istante, incerto, ma poi le sorrise rassicurante.
«Devo, per poterti fare quei regali.» Notando che stava per replicare, prevedendo stesse per ribattere che non fosse necessario, si affrettò ad aggiungere: «Devo, per poter tornare».
Lei si morse le labbra. Sapeva che il suo dovere fosse tutt’altro, eppure non riuscì a negargli un sorriso, per quanto la rattristasse il pensiero della sua partenza. Erano appena diventati amici, non si sentiva ancora pronta a dirgli addio.
«Così potrò dirti “bentornato”», rise lievemente, pensando all’okaerinasai che si diceva in Giappone.
«E io potrò dirti “sono tornato”.»
A quella dichiarazione tanto spontanea, tanto solenne, il suo cuore perse un battito. Lo guardò ad occhi sgranati, sull’orlo delle lacrime, provando un’indecifrabile emozione. Adesso il suo sembrava un tadaima, e lei non aveva idea di come dovesse reagire.
Alla fine cercò di contenere la gioia che gli apportavano le sue parole, portandolo alla loro destinazione, rimuginando. Da quanto tempo non le capitava di sentirle, da nessuno… L’ultima visita di suo padre le sembrava tanto lontana, ma nemmeno aveva detto quella frase. L’aveva unicamente salutata, chiedendole come stesse, perché era soltanto di passaggio, e qualcosa in lei in quel momento si era spezzato. Forse la corda che li legava aveva cominciato a sfibrarsi, ma non voleva indugiare in simili pensieri. La deprimevano.
Syaoran notò il suo cambiamento d’umore, ma non disse niente, attendendo che fosse lei a parlare. Ad aprirsi con lui. Dentro di sé sperava che la sua eventuale partenza venisse ritardata il più possibile, anche perché considerando i mesi che avrebbe trascorso in mare, se tutto sarebbe andato liscio si sarebbero visti dopo due anni all’incirca. E in due anni tante cose avrebbero potuto cambiare.
Tremò dinanzi a quel timore, ma fortunatamente lei si fece breccia tra le sue paure, esclamando con quella sua giovialità: «Siamo arrivati!»
Syaoran si guardò intorno, notando che effettivamente non erano stati ancora in quella zona, costellata da aiuole ben potate a formare varie figure. A poca distanza c’era quello che gli sembrava uno stagno con al centro una scultura in pietra, raffigurante una divinità greca, e adiacenti ad esso v’erano diverse panche. Lo fece accomodare su una di esse, sedendosi al suo fianco, stando rivolti verso l’acqua che sgorgava da una sorta di cornucopia, retta elegantemente dalle mani della statua.
Intrepida, Sakura guardò verso il cielo e si lasciò sfuggire un’esclamazione di entusiasmo. I suoi occhi cominciarono a luccicare come gemme preziose, il suo sorriso divenne più luminoso delle stelle, al che incuriosito sollevò anche lui il viso verso la volta celeste. Socchiuse le labbra, stupito, non ricordando che per quella notte ci sarebbe stata una pioggia di comete.
«Ricordati di esprimere un desiderio», cantilenò allegra e rimembrando che lì si usasse così lasciò ai suoi occhi seguire quelle scie, formulando una sorta di desiderio.
Il suo cuore accelerò di poco e sviò lo sguardo, riportandolo sulla fanciulla, la quale nello stesso tempo si voltò a guardarlo con dolcezza.
«Lo hai trovato?»
Annuì, incapace di parlare, rispondendole nei suoi pensieri.
“Di non perderti.”
«Ottimo.»
Gli si fece più vicina, prendendogli una mano, poggiando la testa contro la sua spalla.
Nonostante l’agitazione si schiarì la gola, interessandosi a sua volta. «E tu?»
Mormorò un consenso, chiudendo le palpebre, e per un attimo gli parve nuovamente di vedere affiorare quella mestizia sommessa. Gli si strinse il cuore, convinto che anche se non lo dichiarava le mancassero i suoi cari, per cui molto probabilmente aveva desiderato per il ritorno del padre.
«Stai tranquilla, Sakura. Ricordati che non sei sola.»
Quasi in maniera inconscia le sfiorò una guancia, sorridendole con gentilezza e comprensione. Notò che il suo viso fosse più caldo di quanto si aspettasse contro quell’arietta fresca e quando riaprì le palpebre la trovò sopraffatta da un’emozione luminosa, inintelleggibile.
«Grazie, Syaoran. Il mio desiderio si è appena avverato.»
Non sapeva bene cosa avesse fatto di preciso, ciononostante le sorrise confortato.
Lui non poteva sapere che il suo desiderio era tanto semplice quanto complesso, e riguardava sì la sua famiglia, ma anche lui stesso.
“Che le persone che amo non mi lascino più indietro.”










 
Angolino autrice:
Buonasera e buon weekend! Spero ve la stiate passando tutti bene. 
Eccomi qui con la terza e penultima one-shot, che corrisponde praticamente alla mia preferita in questa mini raccolta (in generale, ammetto di avere un debole particolare per le AU). Non vi dirò molto, eccetto che poiché si svolge in Inghilterra ho preferito scrivere Cerberus invece di Kerberos e che il nonno menzionato è nonno di Sakura, non di Nadeshiko (quindi non è propriamente Masaki, ma si modella su di lui).
Spero vi sia piaciuta! 
A sabato prossimo con l'ultima TwT
Steffirah
  
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