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Autore: FairyCleo    06/04/2020    2 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alla Capsule Corporation
 
Era sera, ormai, e aveva cercato nella bellezza di quel tramonto rosato un po’ di sollievo. Eppure, sapeva che non sarebbe potuto fuggire per sempre. Prima o poi, avrebbe dovuto fare i conti con quello che era successo. Prima o poi, avrebbe dovuto raccontare a se stesso la verità.
 
“Vegeta… Eri qui”.
 
Sì, era lì, e lei lo sapeva perfettamente. Sapeva che quello era il suo posto speciale, il solo in cui cercare pace. Aveva lasciato che si sfogasse. Aveva lasciato che potesse riflettere, ma era evidente che lei sapesse tutto quello che era capitato. Come avrebbe potuto essere il contrario? Lo spaventava, a volte: il suo sesto senso era infallibile e lo rendeva fragile, a volte insicuro, e lui odiava mostrarsi in quelle condizioni, anche e soprattutto davanti a lei.
 
“Posso?”.
 
Era singolare che glielo avesse chiesto: non era una di quelle persone che facevano troppi complimenti, men che meno con lui.
Si era preso qualche istante per osservarla: era bellissima, nonostante le pesanti borse sotto gli occhi ne evidenziassero la stanchezza. I terrestri tendevano a perdere le forze con estrema facilità, ma le donne che abitavano su quel pianeta erano capaci di cose straordinarie, cose che i membri del sesso opposto non potevano neanche immaginare.
La sua compagna era una degna rappresentante del suo genere. Tenace, forte, testarda e intelligente da mettere in soggezione, Bulma era piombata nella sua esistenza come un terremoto, sconvolgendolo nel profondo. Si era rivolta a lui, la prima volta, con una sfacciataggine che non aveva mai visto sul volto di nessuna. Le donne, solitamente, lo imploravano di non fare loro del male, di risparmiarle, ma lei no. Lei aveva persino osato dargli degli ordini, lo aveva chiamato davanti a tutti bel fusto (e al solo pensiero le gambe tornavano a tremargli), stregandolo con quel suo modo di fare che la rendeva la sfidante perfetta, quella contro cui non si potrebbe mai smettere di combattere.
Vegeta non aveva risposto, limitandosi a fare un cenno col capo. Lei gli si era avvicinata senza essere invadente. Non era il momento, e lei lo sapeva. Bulma sapeva sempre tutto. E il principe si sentiva strano, nonostante fosse trascorso tutto quel tempo. Sì, per Vegeta era strano sapere che al mondo esistesse qualcuno in grado di leggergli dentro in quel modo, di capire ogni suo stato d’animo, ogni sua gioia e ogni suo turbamento, era strano per lui sapere che ci fosse qualcuno che lo facesse sentire amato. E cavolo, percepire l’amore era qualcosa di straordinario.
 
“Alla fine dei conti, è stata una bella festa, non trovi?”.
“Tsk! Non sono un esperto di feste per bambini”.
“Neanche di feste per adulti, se è per questo!”.
“E come fai ad averne la certezza, donna?”.
 
Lei faceva uscire questo suo lato un po’ stizzito e provocatorio. Lo sfidava di continuo, e lui non poteva non accettare il guanto che continuava a lanciargli.
 
“Sappi che nella mia mente stanno passando una serie di immagini non appropriate a un pubblico minore di diciott’anni”.
“Tks! Devi sempre essere volgare” – aveva detto lui, arrossendo. Come cavolo facesse a vincere sempre lei, non riusciva proprio a capirlo.
“Goten non l’ha presa proprio benissimo…”.
 
Lo aveva detto con estrema naturalezza, posando gli avambracci sulla ringhiera. Il suo sguardo era fisso su un punto lontano, all’orizzonte. Era splendida.
 
“Tsk… Dici?” – il sarcasmo era diventato il suo forte.
“Alla fine, le tue preoccupazioni erano fondate… Come possa tu avere sempre ragione, riguardo a queste cose, non lo so proprio”.
 
Già… Non lo sapeva neppure lui.
 
“Abbiamo fatto proprio un bel casino, Vegeta”.
“Tsk! Abbiamo? Abbiamo chi?”.
“Uffa! Sei proprio pesante, lo sai?”.
 
Forse, quella sfida l’aveva vinta lui. Uno a uno e palla al centro, Bulma Brief.
 
“Si è legato a te in modo viscerale, Vegeta…”.
“Bulma… No”.
 
L’aveva interrotta bruscamente. Non poteva mettercisi anche lei. Non poteva aprire quell’argomento come se niente fosse, come se stessero parlando del tempo. Non poteva e basta.
 
“Sì, tesoro, lo so che non ne vuoi parlare. Ma la realtà dei fatti è questa… Genitore non è chi ti mette al mondo, ma chi ti cresce…”.
 
Il principe dei saiyan aveva stretto e aperto i pugni ritmicamente, cercando di mantenersi lucido. Aveva trattenuto il respiro molto a lungo, temendo ciò che sua moglie gli avrebbe detto. Da quando era diventato così codardo? Il punto era che non voleva sentire ciò che voleva dirgli, non voleva darle ragione. Perché darle ragione non avrebbe cambiato la realtà dei fatti, e lui non voleva che cambiasse. No? Non era il padre di Goten, e non lo sarebbe mai stato. Il padre di Goten era Kaharot. L’ebete. L’idiota di terza classe. La sua nemesi. Lui era solo il padre del suo migliore amico. Lui era solo un effetto collaterale dell’assenza di quell’ebete. Se Goku fosse rimasto sulla Terra, se fosse tornato in vita, Goten lo avrebbe trattato come un perfetto estraneo. Era così, perché prendersi in giro?
 
“Senti, tesoro…”.
“Bulma, ti prego, basta”.
 
L’aveva interrotta di nuovo in maniera indelicata, provando un immenso rimorso, dopo. Non se lo meritava. Era lì per aiutarlo, per confortarlo, se possibile, e lui stava rovinando tutto, come al solito.
 
“Ok, ho capito. Torno di là”.
 
Avrebbe dovuto fermarla. Avrebbe dovuto prenderla per un braccio e dirle qualcosa, avrebbe dovuto stringerla, almeno.
Invece, non lo aveva fatto. Lei non era arrabbiata con lui, non era neanche delusa. Era stanca, Bulma. Era stanca e amareggiata perché sapeva di aver peggiorato la situazione, sapeva di essere colpevole e non sapeva più dove trovare conforto. E lui cosa aveva fatto? Niente. L’aveva lasciata sparire dietro le porte della stanza e si era rintanato in se stesso, come faceva sempre e come avrebbe fatto per sempre, probabilmente.
 
Vegeta non sapeva perché stava pensando proprio a quella cosa, in quel momento. Vegeta non sapeva perché stava pensando a lei, a quando era sparita dietro la porta, a quando aveva visto i suoi capelli turchini, a quando aveva sentito la scia del suo profumo disperdersi man mano. O forse sapeva perché stava pensando a quel preciso momento, ma non voleva ammetterlo.
 
Era nel deserto a schiarirsi le idee quando aveva sentito quello spaventoso boato e, poco dopo, era caduto a terra, con le mani a coprirgli le orecchie e gli occhi chiusi con tanta forza da essersi provocato un mal di testa non indifferente. Era successo tutto in fretta, troppo in fretta, e la consapevolezza di aver più o meno individuato l’origine del boato glia aveva fatto tremare le gambe.
 
“Trunks”.
 
La Capsule Corporation sembrava così lontana. Raggiungerla era stata un’impresa, per lui. Stordito com’era, aveva perso il senso dell’orientamento due o tre volte, mentre il freddo della notte penetrava sin dentro le sue ossa.
 
Quando era arrivato, aveva chiamato tutti a gran voce, inutilmente. Quella casa era deserta. Ma che fine avevano fatto?
 
“BULMA! DOTTOR BRIEF! BUNNY! TRUNKS! DOVE SIETE?”.
 
Aveva urlato i loro nomi con tutto il fiato che aveva in gola, e li aveva cercati senza cavarne un ragno dal buco. Poi, incapace di mantenere ancora la calma, aveva cercato meglio e aveva spalancato la porta della stanza di suo figlio, trovandolo addormentato.
 
“Trunks!” – lo aveva chiamato, scuotendolo – “TRUNKS!”.
 
Il piccolo saiyan mezzosangue aveva aperto gli occhi a fatica, incrociando le sue iridi azzurre con quelle di ossidiana di suo padre. Vegeta era stravolto.
 
“Pa-papà?”.
 
Era stordito. Perché suo padre gli stava urlando contro? Perché lo aveva svegliato così bruscamente? E perché aveva quell’espressione?
 
“Alzati Trunks, sbrigati”.
“Va bene, va bene… Ma che… che hai?”.
 
Vegeta non aveva risposto immediatamente. Anzi, non aveva proprio risposto. Si era diretto alla finestra e aveva scostato le tende, guardando fuori. C’era troppa calma, troppo silenzio.
 
“Che cazzo sta succedendo?”.
 
“Pa…”.
“Trunks, prendi il giubbotto: usciamo”.
“Ma papà, è piena notte! Sei impazzito?”.
“Ubbidisci”.
 
Non se l’era fatto ripetere due volte. Aveva messo le scarpe e si era infilato il giubbotto, dando una rapida occhiata al quaderno che, stranamente, si trovava al suo posto nella libreria.
 
“Che cavolo sta succedendo? Io non lo avevo messo da parte… Ne sono sicuro. Stavo scrivendo quando mi sono addormentato. O mi stava rispondendo il quaderno, non ricordo bene. Ma, di certo, non avevo messo quel coso a posto! Perché papà è tanto agitato, poi? Proprio non capisco e…”.
 
“Mmmm…”.
 
Era stato poco più di un lamento, ma era stato abbastanza da far girare Trunks e fargli scoprire che Vegeta era caduto in ginocchio, ansimante.
 
“Papà! Ma che hai?”.
 
Stava respirando a fatica e si era aggrappato alla tendina, staccandola dal bastone che, rovinosamente, era caduto sul pavimento.
 
“Stai-stai male?”.
 
Aveva fatto una domanda stupida, lo sapeva, ma non sapeva cosa fare. Sin da quando era venuto al mondo non ricordava neanche una volta in cui suo padre si era ammalato, mai. Che cosa gli stava succedendo?
 
“Papà!”.
“STO BENE!” – aveva tuonato Vegeta, rimettendosi in piedi a fatica – “Sto bene” – aveva cercato di ricomporsi – “Sbrigati”.
 
Non avrebbe voluto essere così duro con Trunks, ma non aveva la più pallida idea di quello che fosse era capitato e si era lasciato prendere dal panico. Gli era mancato il fiato e aveva sentito un forte dolore al petto. Era durato tutto meno di un secondo e si era sentito stanco, dopo, veramente stanco.
 
“Sono pronto” – aveva detto Trunks, chiudendo la zip del giubbotto nero – “Possiamo andare” – non sapeva dove, ma non avrebbe più ribattuto.
“Forza. Non abbiamo tempo da perdere. Concentrati e cerca di trovare tua madre, tua nonna e tuo nonno. Concentrati solo sulle loro auree. Isolale”.
 
Avrebbe voluto chiedergli perché non lo aveva fatto lui ma aveva preferito tacere. Suo padre doveva avere qualche buon motivo per non aver fatto le cose da solo.
 
“Tsk! Stiamo perdendo tempo”.
 
Senza esitare oltre, Vegeta aveva aperto la finestra e si era librato in volo, aspettando che Trunks facesse lo stesso. Il piccolo non si era fatto attendere oltre e si era diretto presso la finestra, afferrando le ante con le mani e posando un piede sul davanzale per darsi la spinta ma, nel momento di spiccare il volo, qualcosa non era andata come avrebbe dovuto, perché Trunks era caduto nel vuoto, incapace di levitare in aria.
 
“AIUTO!”.
“Ma che ca… TRUNKS!”.
 
Lo aveva afferrato per la manica del giubbotto che si era sfilata, ma con uno strattone era riuscito a portarlo in alto e a stringerlo tra le braccia con forza, per non lasciarlo più cadere.
Trunks si era trovato stretto, al sicuro, tra le braccia di suo padre. Poteva sentire il suo odore, il suo cuore battere forte. Non gli era mai successo, prima di allora, di ricevere un abbraccio da parte di suo padre. Perché sì, nonostante tutto, quello era un vero e proprio abbraccio.
 
“Ma che hai fatto?”.
 
Vegeta lo aveva allontanato da sé di colpo, guardandolo negli occhi allibito. Ma quando lo aveva spostato da sé si era reso conto che suo figlio fosse un peso morto. Perché cavolo non levitava come stava facendo lui?
 
“Papà, non ci riesco! Non lo so perché! Non riesco a volare!”.
“Che significa che non ci riesci?”.
“NON RIESCO!”.
 
Stava per avere una crisi di nervi e per scoppiare a piangere. Suo padre lo aveva accompagnato a terra, lasciandolo andare. Lo guardava con occhi sgranati, stranito. Com’era possibile che Trunks avesse perso l’abilità del volo?
 
“Dammi un pugno” – gli aveva detto, serio.
“Eh?”.
“Colpiscimi allo stomaco. Fallo senza fare domande. E sbrigati”.
 
Era sotto shock, ma aveva obbedito. Senza convinzione, aveva caricato il pugno e aveva cercato di colpire suo padre dove gli aveva ordinato, ma era stato bloccato da Vegeta.
 
“Papà… Ma che…”.
“Zitto”.
 
Aveva lasciato che suo padre gli afferrasse il polso, severo ma gentile, e lo aveva osservato con ansia mentre lo vedeva concentrarsi e sgranare gli occhi, furente.
 
“Dannazione. DANNAZIONE”.
“Ma che succede, papà?”.
“La tua forza… Trunks, non percepisco la tua forza! DANNAZIONE!”.
 
Non era vero. Non poteva essere vero. Aveva deglutito a fatica, guardandosi le mani. Suo padre non sentiva la sua aura. Non sentiva più la sua forza spirituale.
Aveva preso un bel respiro e si era concentrato, cercando di percepire il Ki di suo padre, senza risultato. Non sentiva niente, non percepiva nessuno.
 
“Ma che-che mi succede?”.
 
Avrebbe voluto rispondere a suo figlio, ma non c’erano risposte a quella domanda. O, almeno, lui non le possedeva. Non sapeva dove fossero gli altri e non sapeva perché non percepisse la forza di suo figlio. Che cosa stava succedendo? E perché l’unico che percepiva era lui? Dannazione, non poteva crederci! Lo percepiva con tanta chiarezza da sembrare quasi uno scherzo.
 
“Papà… Dimmi qualcosa, ti prego…”.
“Rientra in casa. Aspettiamo che sia mattina”.
“Ma, la mamma...”.
“Non so dove sia, Trunks! Non chiedermelo più. E non posso portarti con me al buio, né lasciarti solo. Entra in casa e vieni con me”.
 
Aveva deciso di passare in rassegna le telecamere di sorveglianza e, alla fine, aveva avuto una buona idea perché, una di esse, gli aveva mostrato quello che era capitato alla sua Bulma.
 
Sembrava che le cose fossero successe seguendo il copione di un film, uno di quelli in cui gli alieni rapiscono gli umani per fare degli esperimenti, o quelli in cui uno spirito errante trova finalmente pace e vede aperte per sé le porte del Paradiso dopo una lunga e faticosa attesa. Bulma era nel suo laboratorio quando tutto era successo, ed era con sua madre. Parlavano di qualcosa, ma non sapeva leggere il labiale e non c’era l’audio in quelle stupide registrazioni. Lei era lì. Stupenda. Il sorriso era rimasto sulle sue labbra sino all’ultimo istante.
Non c’era stato alcun segno di paura su quel viso così liscio e morbido. Era coraggiosa, la sua Bulma, ma in quel momento era certo che fosse soprattutto ignara. La turchina non si era resa conto di nulla, Vegeta ne era certo, perché lei, proprio come sua madre, era scomparsa prima del boato, non lasciando alcuna traccia di sé, se non il congegno su cui stava lavorando ancora acceso.
 
Trunks aveva avuto una crisi di pianto, nel vedere quelle immagini. Si era gettato a terra, in preda ai singhiozzi, e aveva chiamato sua mamma, sua nonna e suo nonno. Vegeta lo aveva lasciato fare. Non se l’era sentita di sgridarlo e non era stato in grado di consolarlo. Non era stato in grado di fare niente, se non guardare e riguardare il video della sparizione di sua moglie sino a rovinare il file, sino a distruggere la tastiera del PC con un pugno.
 
“Che cazzo ti è successo? Dove sei, Bulma?”.
 
Aveva visto Trunks addormentarsi, sfinito. Lo aveva vegliato fino al mattino, seduto sul pavimento, immobile e in silenzio, fin quando non aveva avvertito chiaramente la presenza della sua aura. Non era solo: era con Goten. Per fortuna, il piccolo stava bene.
Erano comparsi all’improvviso, e Vegeta aveva guardato la sa nemesi con sospetto, con odio, con rancore, perché la forza spirituale di Goku cresceva mentre la sua si spegneva come una candela al vento.
Perché, ne era certo, era tutta colpa di Kaharot.
 
Continua…


Ragazze/i,
Buon pomeriggio! Come state? Mi auguro bene… Gli effetti della quarantena iniziano a farsi sentire. Mi manca molto il mio fidanzato… =(
Voi come ve la state passando?
Abbiamo visto cosa è successo a principe e figlio. Vegeta inizia a sentirsi stanco, e i ricordi – anche se non troppo lontani nel tempo – cominciano ad assalirlo sin da subito.
Lui sente Goku. Lui crede che sia colpa sua. Che farà?
CHE ANSIA!!
A presto!
Un bacino
Cleo

 
   
 
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