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Autore: Watson_my_head    06/04/2020    2 recensioni
Settembre 2017. Sherlock e John sono tornati a vivere insieme e tutto sembra andare per il meglio ma un giorno, durante un caso, Sherlock sbatte la testa e perde conoscenza.
Quando finalmente riapre gli occhi è convinto di essere ancora nel 2009.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II





Quando Sherlock scende dall'auto l'aria fredda lo colpisce sul viso come uno schiaffo. Secondo quanto ricorda dovrebbe essere agosto ma chiaramente non è così. Non c'è una sola cosa vera in quelle rimaste impresse nella sua mente, o almeno, erano vere una volta, ora non più. Mycroft e John parlottano per qualche secondo prima che l'auto nera si allontani e sparisca dietro l'angolo. Poi John gli si affianca.

"221 B, Baker Street. E' qui che abiti, che abitiamo."

Sherlock, che è rimasto in silenzio a lungo, fin da prima di uscire dall'ospedale, non può fare a meno di pensare ancora che sia tutto molto strano. L'incidente, la perdita della memoria, suo fratello, quest'uomo sconosciuto che afferma di essere il suo medico e il suo coinquilino. Sembra tutto sbagliato. Anche la stagione è sbagliata. Quella via, le foglie a terra, l'aria fredda. Tutto è confuso e irreale. Sherlock sente di appartenere ad un altro tempo, ad un altra storia. Si sente perso, senza appigli. Solo.

E nel suo cervello, una minuscola parte di lui è ancora convinta che sia tutto un inganno anche se si è documentato, anche se ha passato un po' di tempo su Google a cercare di capire cosa sia successo nel mondo in questi otto anni. Otto lunghi anni in cui chiaramente ha vissuto, ma come un estraneo, fuori da sé.

"Qui abita anche Mrs. Hudson. L'ho aiutata a far condannare suo marito." - risponde quasi distratto osservando la porta che aveva già visto almeno un paio di volte.

"Esatto, è la nostra padrona di casa. Grazie proprio al tuo aiuto ci ha fatto un prezzo di favore."

John sorride. Sembra molto sollevato rispetto al giorno precedente. Sherlock lo guarda per un istante. Vorrebbe ricordare, ma a parte le poche cose che è riuscito a dedurre di lui, non sa altro. E' un perfetto sconosciuto e lui sta per andare a viverci insieme sotto lo stesso tetto. All'improvviso andare a stare da Mycroft non gli sembra poi così male.

John si accorge che qualcosa non va. Poggia una mano delicata sulla sua schiena e lo spinge appena verso la porta.

"Tornare a casa ti farà bene, fidati. Ci sono tutte le tue cose così come le hai lasciate prima di finire all'ospedale. C'è il tuo violino, i tuoi strumenti, la tua stanza. Puoi restare un giorno e vedere come va, ma puoi andare via quando vuoi, questo deve essere chiaro, Sherlock."

Quella voce rassicurante e il freddo pungente convincono Sherlock ad entrare. C'è sempre tempo per scappare via, pensa.

 

*

 

Anche Mrs. Hudson è invecchiata. Sembra addirittura più bassa di almeno un centimetro e mezzo, ma il suo sorriso è lo stesso e anche il suo profumo. Sherlock è sollevato di ritrovare qualcuno di familiare e si lascia abbracciare.

"Oh Sherlock, che hai combinato..."

"Sto bene. Mi ricordo perfettamente di lei."- le sorride.

"Ricorda tutti a quanto pare, tranne me." - scherza John, che tenta di nascondere con l'ironia un po' del suo disagio.

Sherlock lo guarda.

"Ci sarà qualcun'altro che ho conosciuto in questi otto anni, o ci sei solo tu?"

E vuole essere una battuta ma forse nemmeno poi tanto.

John stringe le labbra e sorride, forse imbarazzato, forse un po' grato che alcune cose siano state dimenticate.

"Saliamo?"

 

*

 

L'appartamento è accogliente, caldo, profuma di pulito. Il caminetto è acceso, le tende sono tirate appena e la luce obliqua del finire del giorno entra nella stanza e disegna quadrati sul pavimento. Sherlock resta in piedi sulla porta. Osserva. Forse sperava di avere un'illuminazione, di riconoscere ogni cosa nel momento esatto in cui avrebbe oltrepassato la soglia e invece, niente. Niente gli è familiare, nulla di quello che è nella stanza riesce a trasmettergli il concetto di casa.

"E' accogliente"- si sforza di dire, senza muovere un passo.

"Quella è la tua poltrona." - John indica una larga poltrona grigio scuro a destra del caminetto.- "Lì c'è il tuo violino e quello è il tuo pc. Riconosci qualcosa?"- la speranza nella sua voce è quasi commovente.

Sherlock guarda gli oggetti nell'ordine in cui gli vengono indicati. Passa un minuto, due.

"Solo il violino."- dice alla fine.

John distoglie lo sguardo verso il camino e Sherlock pensa che sia arrivato il momento in cui quella persona ancora sconosciuta getterà la spugna e lo lascerà solo al suo destino di uomo senza memoria. Non accade.

John si volta, come se dalle fiamme avesse riguadagnato forza e speranza, gli sorride.

"Ti mostro la tua camera. Vieni."

Sherlock lo segue senza nemmeno togliersi il cappotto e non può fare a meno di pensare, mentre attraversa una cucina piccola e in ordine che quindi esistono due camere da letto. Si rallegra internamente per aver almeno chiarito uno dei dubbi che lo attanagliava da quando si è risvegliato. John Watson non è il suo fidanzato. Non ha dimenticato un amore. Quest'uomo che ora lo guida alla riscoperta del loro appartamento e in fondo, della sua vita, non sta soffrendo un abbandono. Si sente sollevato.

 

*

 

La sua stanza è ancora più accogliente del salotto. Sherlock sospetta che sia stato tutto ben preparato, come su un set cinematografico. Una rappresentazione al meglio del 221 B di Baker Street che possa aiutare la sua memoria corrotta. Il letto è perfetto, lenzuola grigie con finiture nere, la luce calda e soffusa della lampada, le tende tirate.

"E' una bella stanza".

Si rende conto dell'asetticità dei suoi commenti, ma non riesce a trovare altro da dire.

"E' la tua, ci sono tutte le tue cose. Quelle lenzuola sono un regalo di Natale, te le ricordi?"- John non si rende più conto di aggiungere 'te lo ricordi' quasi alla fine di ogni frase. Sherlock vorrebbe dirgli che no, non ricorda niente e che è inutile chiederlo ogni 5 minuti, ma non vuole essere sgarbato con quest'uomo che sta solo cercando di aiutarlo. Forse era meglio andare a dormire da Mycroft. Non lo dice ad alta voce, ma lo pensa davvero.

"Quella è la mia tavola periodica"- indica il quadro appeso al muro a destra dell'ingresso.

"Si, te la ricordi?"

"No, ma ce l'avevo da prima, dall'altra casa."

John tace.

 

*

 

La sera arriva presto. Mentre Sherlock riposa un po' nella sua stanza, John seduto sulla sua poltrona con un libro tra le mani osserva il fuoco nel camino. E' stanco. Così tanto che vorrebbe addormentarsi e svegliarsi dopo una settimana, trovare tutto come era prima, non pensare più a niente. E invece pensa. Ripensa a lungo alla mattina dell'incidente, alla sera prima, a quegli accenni di complicità sempre più frequenti, a quelle gocce di felicità dilatate nei giorni. Pensa alla strada tortuosa che ha compiuto, agli ostacoli, Moriarty, Mary, quella bambina così adorabile e così estranea. Sherlock, sempre più vicino, sempre più suo. Alla serenità dei giorni e a quella delle notti prive di incubi, finalmente, dopo lunghi anni. Pensa a tutto questo. Una storia inziata sette anni prima che solo da poco aveva trovato le parole giuste per essere raccontata. E poi, come in un lungo ripetersi di avvenimenti, come la storia che è sempre nuova ma che non cambia mai, ecco che la serenità svanisce e tutto torna ad essere tormento. John indugia in questi pensieri forse anche troppo. Desidera bere. Non cede. Sherlock è vivo, è sano e dorme tranquillo nella sua stanza. E lui è lì per aiutarlo, per proteggerlo, come un soldato di guardia davanti all'ultima porta del castello. Non cede. Sherlock è vivo, e se non ricorderà lo costringerà a farlo e se ancora non ci riuscisse, ricorderà lui per entrambi e sarà abbastanza.

 

*

 

Quando Sherlock si sveglia sono le otto e mezza passate. Ha dormito solo un'ora ma si sente meglio. Indugia qualche minuto, godendo di quel silenzio, delle luci morbide, del tepore di quel letto così diverso da quello dell'ospedale e anche da quello della sua precedente vita. Sembra solo ieri. Osserva il soffitto provando ad immaginare quanti pensieri hanno affollato la sua testa in quegli otto anni, sdraiato come adesso in quello stesso letto. Cosa avrà pensato? Cosa avrà visto quell'altro se stesso? Sente uno sdoppiamento interno che lo confonde, sente di possedere un corpo in cui convivono due persone diverse, una nota, una del tutto sconosciuta. Quasi ne ha paura. Si chiede se ricorderà mai.

 

*

 

Alzarsi da quel letto non sembra un'operazione facile. Sherlock si sente intorpidito, nel corpo e nella mente. John, il dottore, ci ha tenuto a rincuorarlo quella stessa mattina, avvertendolo che questo stato di confusione e malessere potrebbe protrarsi per giorni a causa del trauma cranico e dei farmaci che dovrà continuare a prendere ancora per un po'. E Sherlock si sente sollevato di non aver perso improvvisamente le sue doti, la sua prontezza, la sua velocità di pensiero. Può sopportarlo per qualche giorno, questo si, ma una vita di mediocrità tra i mediocri no, questo non riuscirebbe ad accettarlo. Sente il cervello spento, sonnolento. Pensa alla droga. E' così strano non sentire il richiamo di una dose, sentirsi pulito. E' una sensazione che non provava da lungo tempo. Non sa se essere grato al nuovo se stesso o se odiarlo senza remore.

Il bagno è piccolo, caldo. La vernice oltre le piastrelle è di un verdino pallido, ricorda un laboratorio. Lo apprezza. C'è una vasca e sopra questa, la doccia. Non ha mai visto questo bagno in vita sua, ne è certo. Si spoglia davanti allo specchio.

Il viso è segnato da alcune piccole rughe di espressione che non ricordava di avere, intorno agli occhi, ai lati delle labbra. Gli sembra di aver compiuto un viaggio di otto anni nello spazio di un giorno. Si sente stordito. Si tocca il viso. La barba un po' incolta, le occhiaie, un grosso livido in via di guarigione sotto lo zigomo destro. Sul labbro inferiore il segno di un taglio ormai quasi rimarginato. E poi i capelli. Ricci lunghi e ribelli. Erano anni che non li portava così. Sono invecchiato, pensa. Ed è così ingiusto. Sente di aver vissuto alla cieca, senza godere di niente e di aver ottenuto solo il premio di consolazione, un viso segnato e qualche capello bianco, nient'altro. Abbassa lo sguardo sul lavandino e nel farlo vede una cicatrice quasi perfettamente tonda all'altezza dello sterno. Un colpo d'arma da fuoco. La sfiora. Forse sono morto e questo è il mio personale inferno, pensa, perché uscire vivo da un colpo come questo sarebbe stata un'impresa impossibile anche per Sherlock Holmes.

Si siede sul bordo della vasca, sopraffatto.

 

*

 

John ha sentito Sherlock alzarsi e ora è in cucina a preparare qualcosa da mangiare. Lo fa meccanicamente, come fosse una sera qualunque. Ma non è una sera qualunque. Sherlock è una persona del tutto nuova, regredita ad un momento ancora precedente al loro primo incontro. John non può fare a meno di pensare che forse è tutta colpa del karma, o forse è un regalo del destino. Per farli ricominciare da capo saltando tutto quello che c'è gia stato. Mentre apparecchia la tavola pensa che deve smetterla con queste sciocchezze.

Si sente solo.

 

*

 

John aspetta.

Aspetta a lungo ma Sherlock non si vede. C'è silenzio. Gli sarebbe del tutto naturale avvicinarsi alla porta del bagno, bussare, chiedergli se è tutto ok, fare qualche battuta stupida, infastidirlo. Adesso no. Adesso sa che ogni mossa deve essere ponderata cento, mille volte. Spaventarlo, mettergli pressione addosso non è un'opzione. Non potrebbe accettare di vederlo andare via. Aspetta ancora un po'.

Sherlock è seduto sul bordo della vasca. Sente di nuovo la stanchezza impossessarsi di lui. E la frustrazione risalire dallo stomaco e invadergli il cervello. Non può fare a meno di pensare ancora che sia tutto un imbroglio, che sia l'agosto del 2009, che ci sia quell'esperimento da finire, di notte, quando quel rompicoglioni di David sarà andato a dormire. Si chiede che fine abbia fatto, se sia davvero morto alla fine.

Qualcuno bussa gentilmente alla porta, due volte.

"Sherlock?"

La voce del dottore sembra spaventata, forse ha solo paura di disturbare.

"Si"

"Ho preparato la cena, dovresti mangiare qualcosa."

"Va bene"

"Ti aspetto, quando vuoi."

Lo sente allontanarsi. Apre l'acqua della doccia.

 

*

 

Sherlock cerca nei cassetti un pigiama. Ne apre due prima di trovare il cassetto giusto e constatare che almeno i suoi gusti sono rimasti gli stessi, forse sono addirittura migliorati. Si chiede se sia ricco e lo appunta tra le cose da chiedere al dottore. Poi va in cucina.

John è seduto, sta scrivendo un messaggio a qualcuno, forse a Mycroft. Quando alza lo sguardo gli sorride.

"Quello è il tuo pigiama preferito"

"Questo?"

"Si"

"Non mi stupisce."- attende qualche istante – "Sono ricco?"

John scoppia in una fragorosa sincera risata.

"No Sherlock. Ma diciamo che puoi disporre liberamente di una certa quantità di denaro. E a volte i clienti ci pagano molto, molto bene."

Sherlock resta in piedi. Si guarda attorno. Clienti? Ci pagano? La cosa si fa strana e imbarazzante.

"Clienti? Che tipo di clienti."

John gli sorride, reclinando un po' la testa di lato. Sembra intenerito.

"Ho pensato ad un modo veloce per metterti al corrente di molte cose." - fa un respiro che gli innalza il petto, sembra molto fiero di ciò che dice - "Così il mio continuo bloggare sui nostri casi sarà più che utile, a dispetto di quanto tu continui ad affermare."

"Sono confuso. Sei un blogger?"- quante cose è quest'uomo.

John sorride – "Siediti per favore, mangiamo. Ti dirò ogni cosa."

Ti dirò ogni cosa è la frase perfetta per accalappiare uno Sherlock Holmes. E John lo sa bene.

Sherlock si siede, gli occhi attenti.
 

***
 

Nota dell'autrice:
Eccomi qua con il secondo breve capitolo di questa mini ff. Piccolo Sherlock è un po' frastornato, chissà se John riuscirà a fargli tornare la memoria...
Qui invece i giorni proseguono tutti uguali ed io spero che stiate bene. Restiamo a casa, scriviamo ff, facciamo puzzle, balliamo, insomma, intratteniamoci che prima o poi ne verremo fuori. 
Io intanto spero di farvi almeno un po' compagnia con questa storia.
A presto!

   
 
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