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Autore: DarkWinter    07/04/2020    7 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Erano passate settimane da quando avevano lasciato il piccoletto e gli altri al palazzo del Supremo.

Diciassette e Diciotto vagavano fra campi senza confini, gialli di grano maturo. Lui era chiuso in  se stesso e quasi non parlava.

Si sentiva afflitto; i ricordi dei sogni che l’avevano accompagnato durante l’orribile oblio della Creatura continuavano a riaffiorargli davanti agli occhi. Man mano che il tempo passava, l’immagine della ragazza dai capelli rossi diventava sempre più indimenticabile.

Chissà chi era; un antico ricordo umano, o il frutto di immaginazione e solitudine?

Si ritrovò a desiderarla appassionatamente, mentre nello stesso tempo si chiedeva se potesse essere possibile amare qualcosa di inesistente.

Continuava domandarsi se davvero avesse conosciuto la tenerezza di quel corpo, la radiosità di quel viso di cui non ricordava i tratti. Non ricordava più il suo nome ne’ il contesto che li aveva uniti.

Dannazione, era tutto così indefinito! Reale o meno, l’aveva persa. Tutto quello che gli rimaneva di lei era solo un sogno.

Vivido, sì, ma pur sempre un sogno.

Che brutto castigo gli aveva inflitto Gero, quanto avrebbe voluto ricordarsi. O avere un drago parlante a cui chiedere di farlo per lui.

Anche Diciotto pensava sempre. Ignorava chi fosse la ragazza di cui Diciassette le aveva parlato e si sentiva quasi gelosa, in quei momenti il gemello non aveva pensato a lei.

Si era ritrovata spesso a sentire in lontananza quella voce estremamente piacevole, evocatrice di chissà quali memorie. Il sogno iniziava sempre così, con lei seduta su qualcuno: al suo fianco c’era un bambino di massimo quattro anni, che lei poteva vedere in dettaglio.

Era bambino splendido: sui suoi begli zigomi c’erano delle efelidi, come se avesse passato molto tempo a giocare fuori sotto il sole, gli occhi stretti e allungati erano di un insolito azzurro, carico e chiaro, che raramente si vedeva accompagnato a capelli color nero puro.

Guardava nella sua direzione e sorrideva a lei, svelando fossette sulle guance; poi la voce che tanto le piaceva iniziava a cantare una ninna nanna e lei alzava la testa seguendo il suono… E allora la vedeva: la bella donna, che cantava e intanto con un braccio la stringeva a sé. Non ricordava il canto e nemmeno la melodia.

La bella donna dai connotati quasi identici a quelli del bambino sulle sue ginocchia; a Diciotto pareva di ricordare la sua voce da sempre, anche se non riusciva ad associarla alla persona. L’aspetto della donna non le diceva nulla, a parte un’eccezionale somiglianza con Diciassette.

Poi la scena cambiava di colpo e lei diveniva spettatrice: la bella donna che cullava due bambini, il maschio dai lineamenti dipinti e una femmina dai capelli quasi bianchi.

Sembravano tanto lei e Diciassette.

Quando i bambini si addormentavano la donna smetteva di cantare e protendeva un braccio verso di lei, come per afferrarle una mano.

Il sogno si interrompeva sempre lì, sul sorriso soave di quella fata meravigliosa, riempiendo Diciotto di malinconia ogni volta.

Era una scena estrapolata dal nulla, di primo acchito non c’entrava niente con lei; tuttavia la sentiva come sua, la voce della donna aveva un potere quasi ipnotico sui suoi sensi. Diciotto avrebbe affermato volentieri che fosse stato il primo suono che aveva sentito da quando il suo cervello aveva iniziato a funzionare.

Probabilmente Diciotto non l’aveva mai conosciuta, ma le sembrava quasi di provare una profondissima nostalgia per lei.

Ogni volta che guardava Diciassette pensava che fosse l’unico che conosceva ad avere le fossette e una combinazione di colori così inusuale; inevitabilmente le tornavano in mente la donna e soprattutto il bambino stretto a lei.

Tutto questo la frastornava. Era come un ricordo lontanissimo, talmente distante che non riusciva a collegarlo a qualcosa di concreto.

Se poi aggiungeva il pensiero del piccoletto, avrebbe preferito spararsi se avesse potuto.

Diciassette aveva detto che amava la ragazza dai capelli rossi, era possibile che lei amasse quel ragazzo?

Ogni volta che pensava a lui si sentiva tremare, come se avesse appena visto lo spettacolo più bello e toccante che la natura avesse mai offerto. E chissa’ perche’: bello di certo non era. Forte, neppure se paragonato a lei. Eppure qualcosa di Crilin l’attirava innegabilmente, forse il suo essere diverso. Sembrava che la sua vita non girasse intorno al lottare, nonostante sapesse farlo. Sembrava un tipo dal cuore puro, pronto a rischiare la pelle per le persone a cui teneva. Anche se lui sapeva che i Cell Games non erano posto per lui, era restato a fianco dei saiyan. Degli amici di una vita.

Anche se non ricordava niente riguardo alla sua vita amorosa, Diciotto sentiva che non aveva mai trovato nessuno che potesse darle la serenita’ vera che sentiva di volere, soprattutto in un momento in cui si sentiva ancora persa. Forse si rese conto che dopo aver toccato la morte con un dito, vivere con una persona capace di tranquillizzarla avrebbe potuto essere la sua redenzione.

Aveva avuto cosi’ tanta fortuna a essere ancora li’ dopo tutto quello che aveva passato, fra Gero e Cell: la vita non andava sprecata. E certe occasioni capitavano una volta sola.


 

Così i gemelli passavano la maggior parte dei loro momenti e per la prima volta lo fecero ognuno per sé.

“Senti, Diciassette, volevo dirti una cosa. Una cosa grossa.”

Diciotto si prese il suo tempo: “Pensi che ci sia un futuro per me? Con qualcuno?”

“Con il nano da giardino, dici? Ma guarda che sei gia’ impegnata con me.”

“Non ti azzardare a prenderlo in giro!”

Il ragazzo si passò vanitosamente una mano fra i capelli: “Secondo me se passi un dito su quella pelata fa gneek gneek, tipo vetro appena pulito.”

Diciotto gli afferrò una ciocca di capelli e la tirò con forza, ignorando le sue proteste. Ecco a cosa servivano i capelli lunghi come i suoi. Quando mai aveva pulito un vetro, quello li’.

Lei stessa si stupì di quello che le era appena uscito di bocca. Spiegò al fratello che credeva di provare per quello strano ragazzo la stessa cosa che lui provava per la rossa.

“Capisco” disse lui “quindi ci separeremo.”

Il respiro di Diciotto si fece trepidante: “No, in quell’eventualita’ vivremmo solo in case diverse; ricordati che tu sei la cosa piu’ importante che ho.”

Forse era arrivato il momento che ognuno prendesse la propria strada. Dopotutto, come già lei aveva precisato, si sarebbe solo trattato di vivere in due case diverse.

“Sai, penso di avere un obiettivo: io non so cosa sarà adesso della nostra vita, ma so che sono andata troppo vicina alla morte; non voglio più averci a che fare, sia come vittima che come assassina.”

Diciotto si senti’ soffocare nel ricordare il momento in cui la morte aveva avanzato verso di lei, con le sembianze di un essere enorme, dalla pelle screziata:

“Io credo che Crilin abbia qualcosa da offrirmi. Non vedi com’e’ pieno di qualita’ che noi non abbiamo, com’e’ diverso da noi? Forse potro’ vivere in pace se scelgo di dargli una chance. Non potrei fare niente di quello che facevo prima, qualsiasi cosa esso sia, non dopo aver quasi passato il limite. Mi capisci?”

Diciassette la intendeva alla perfezione. Anche se non l’aveva ancora espresso, nemmeno concettualmente, era chiaro che anche lui non avrebbe mai più perseguito l’obiettivo per cui il dottor Gero l’aveva convertito in una macchina.

Anche lui aveva un suo obiettivo. Lei e Sedici, li avrebbe trovati.

“Sono stanca di starmene qui fra i campi come una mondina” disse lei con un sorriso “ci troviamo una citta’ in cui fare un giro?”

“D’accordo. Adesso che ci penso è un’eternità che non mangio, ho un certo languorino.”

Diciassette rispose distrattamente, scrutando il cielo. Credeva di aver udito il rumore di qualcosa che volava: “Cos’era quello, hai sentito? Lassu’.”

Diciotto guardo’ fra le nuvole, dove suo fratello le stava indicando. Era irritante non poter percepire le aure come facevano Crilin, Vegeta, Piccolo…

Ma non potevano rimediare a quel difetto, per cui restarono per un po’ a guardare il cielo sereno decorato da cumuli bianchi come cotone, densi e corposi, senza mai sapere se qualcosa o qualcuno fosse appena passato di la’.


 

/

Si era risvegliato con il sole che batteva sulla sua tuta pesante, riscaldandola. Era una giornata perfetta di sole, luminosa, ventidue gradi, pressione alta. Anche se i suoi sensori gli aveva detto tutto quello che doveva sapere sull’ambiente intorno a lu, gli era piaciuto rendersi conto del calore del sole sulla massa del suo corpo supino.

Il grande ring di pietra bianca non c’era piu’: quella che era stata una bella prateria fuori da Central City era ora terra morta, una terra di nessuno profanata da enormi voragini e costellata da rupi ridotte a mucchi di sassi. Non c’era piu’ vita li’ intorno.

I sensori ottici e gli scanner gli avevano detto che era funzionante, “vivo”. Il suo ultimo ricordo era del piede. Il piede che lo schiacciava e prima di cio’ il proprio sorriso consapevole, con cui aveva abbracciato la fine.

Non seppe dove trovare Son Goku, non riusciva a percepire la sua aura da nessuna parte. Avrebbe dovuto ricominciare la sua ricerca da capo, anche se sapeva che l’obiettivo del dottor Gero ormai non lo riguardava piu’. Non dopo tutto quella che aveva vissuto. Avere e ricordare dei vissuti era straordinario per lui che non avrebbe dovuto vivere, ma solamente dormire in una capsula come spetta a chi si vede dare l’etichetta di fallimento completo, la meno complessa fra le ragioni che la mente di quello scienziato folle aveva celato.

Poi erano arrivati loro, un ragazzino impertinente con la malizia incisa nello sguardo e una ragazzina altera, ma fragile nella sua pelle indistruttibile.

I numeri 17 e 18 gli avevano dato la possibilita’ di sperimentare cio’ che per gli umani – o anche per dei cyborg- si chiamava vita, ma che per lui era semplicemente essere attivo.

Li aveva visti morire. Prima Diciassette, poi Diciotto. Aveva tentato di tutto per proteggerli, ma non era bastato.

In seguito lui era stato portato da Crilin ai quartieri generali della Capsule Corp., dove il dottor Brief e sua figlia Bulma lo avevano riparato. Guardando la sua tuta si accorse che il simbolo della Capsule era ancora appiccicato sopra quello del Red Ribbon. Era riapparso sulla Terra ancora meglio di come l’aveva lasciata, di nuovo com’era stato prima che Cell lo distruggesse con un ki blast.

Era questa la cosa piu’ strana, che i suoi circuiti non registravano. Ed essendo i Brief un altro ricordo ancora miracolosamente intatto nel suo processore, decise che quello era il punto da cui doveva ripartire. Dopotutto, se loro erano stati in grado di ripararlo avrebbero anche potuto spiegargli com’era possibile che fosse di nuovo al mondo.

Le nuvole correvano veloci nel cielo sopra di lui, una profondissima quiete lo invase.

Sedici si libro’ in aria, volando veloce in direzione di West City; l’urgenza gli fece dimenticare, per quella volta, di ammirare il panorama.


 


 

Il dottor Brief sedeva nel salotto della sua grande casa, guardando cartoni in compagnia del suo nipotino. Bulma era a cena fuori, in citta’; si stava godendo un po’ di pace con suo marito, tornato a casa di recente dopo la battaglia con Cell, vivo per miracolo.

Quando un tintinnio giunse alle orecchie del bambino, scatendando la sua curiosita’, il dottor Brief dovette sforzarsi per tenerlo fermo. Era molto piccolo, ma sembrava gia’ decisamente piu’ forte di quanto sua figlia fosse stata a quell’eta’:

“Oh Trunks, hai sentito? Suonano alla porta.”

Il dottor Brief serro’ il bambino in una stretta sicura mentre si avviava nell’ingresso della villa, prima di sbirciare nello schermo del citofono:

“N.16! Come mai qui? Entra pure.”

L’androide dovette chinarsi per passare dalla porta.

“Ah-tah!”

Il piccolo Trunks saluto’ il nuovo ospite con un’espressione assolutamente seria, alzando in aria un braccino morbido come se volesse dargli il cinque.

Sedici si limito’ a sorridere a Trunks, senza perdere altro tempo in preamboli ansiosi:

“Cell mi ha distrutto. Mi sono svegliato sul luogo dei Cell Games. Funziono ancora.”


 

Da quella volta in cui il dottor Brief lo invito’ a entrare in casa, Sedici resto’ con loro. La famiglia lo incoraggio’ a rimanere; non aveva nessun posto dove andare, per di piu’ avevano gia’ appurato che il gigante era innocuo per loro, anche se per precauzione il dottore e sua figlia lo riesaminarono. Non trovarono la bomba che loro stessi avevano tolto; Sedici era tornato in vita nello stesso formato in cui loro l’avevano lasciato.

Gli scenziati gli avevano detto che Son Gohan aveva ucciso Cell; dopodiche’, uno dei loro amici doveva aver espresso un desiderio al drago Shenron, un desiderio che aveva riportato in vita tutte le vittime del mostro.

Sedici era stato una vittima di Cell. Per un momento spero’ che quello significasse che anche Diciassette e Diciotto erano vivi, ma poi si ricordo’ che loro due non erano semplici vittime della Creatura: nel momento in cui erano state vittime di Cell, erano diventati Cell. E se il mostro era stato distrutto, anche i suoi amici se n’erano andati con lui.

Il pensiero rattristo’ Sedici. Senti’ la tristezza in lui, se non nel cuore in qualche altro posto indefinito.

In quella enorme casa, l’androide aveva tutta la quiete che poteva desiderare. C’era anche un giardino altrettanto enorme, in cui lui amava restare seduto a guardare il cielo e ad osservare gli animali. Visto che era capace di stare fermo per ore, gli uccelli di citta’ -picccioni, passeri, merli, corvi- si appollaiavano sul suo grosso corpo.

Anche il gatto di casa era ritornato a trovarlo, ricordandosi di lui. Si acciambellava nella sua mano con la coda che spenzolava giu’.

Sedici pensava che quella fosse la quintessenza della gioia di essere al mondo.

Un giorno si era voluto avventurare fuori dai confini di casa Brief e aveva trovato un giardino in citta’. Era stato incuriosito da alcuni cigni che aveva visto scivolare con grazia sullo specchio d’acqua in cui della gente remava su piccole barche. Era entrato fino alla vita nell’acqua per accarezzare quegli animali totalmente nuovi per lui, candidi e aggraziati ma gracchianti e pronti a morderlo. Il custode del giardino si era sgolato nel tentativo di chiedergli di uscire dal laghetto; poi era arrivata la polizia che l’aveva portato in centrale, con la scusa di non aver obbedito agli agenti che gli avevano ordinato di raggiungerli sulla riva. I cigni non si potevano toccare, era vietato.

Gli agenti erano rimasti perplessi dal suo nome e a Bulma era toccato andare a ripescarlo, scusandosi imbarazzata da quel testardo vagabondo:

Il cugino di mio marito non e’ di qui, mi dispiace!”

Nessun problema, dottoressa Brief!”

Vegeta era irritato dalla presenza dell’androide in casa sua: quello era il suo territorio, il posto in cui viveva con sua moglie e suo figlio. Un posto in cui i nemici non erano i benvenuti. Da quando sua moglie e i suoi suoceri avevano invitato l’uomo di latta a restare, lui aveva passato ancora piu’ tempo ad allenarsi da solo.

Sedici non aveva bisogno della compagnia dei Brief. Quando non era in giardino se ne stava tranquillo nel laboratorio del vecchio scienziato. A volte anche il bambino della casa gattonava verso di lui e si attaccava a una delle sue possenti gambe, osservandolo con un misto di meraviglia e divertimento come se capisse che Sedici era speciale, diverso da tutti gli altri adulti a cui si era abituato.

Apprendeva le abitudini degli umani osservando lo stile di vita dei Brief. Di sera, una volta che il bambino era stato coricato il dottore e la moglie si ritiravano in camera da letto e la dottoressa amava leggere mentre seguiva alla tele un podcast, Donne per il Futuro.

Un’abitudine che Vegeta non approvava:

“Perche’ metti sempre queste boiate? E io quando me lo guardo un film?”

“Avresti tutto il tempo. Non e’ una stupidata, e’ quel podcast a cui sono stata invitata anche io.”

Essendo una delle menti piu’ eccelse del suo tempo, CEO della Capsule Corp e ancora piuttosto giovane, Bulma Brief era stata subito invitata dai produttori del podcast a ispirare altre menti brillanti a fare la differenza nel mondo. Aveva raccontato delle sue invenzioni e gli ascolti erano saliti alle stelle dopo che lei aveva rivelato che il progetto dei suoi sogni era costruire una macchina del tempo, quella volta in cui l’avevano chiamata per discutere della situazione Cell: ormai quasi tutti sulla Terra sapevano che costui era stato un efferato terrorista, ma volevano capire che armi aveva usato per compiere massacri di quella portata. Sembrava essere stato a conoscenza di tecnologia superiore a quella delle milizie reali.

Bulma era quasi andata in panico nel trovarsi a dover fornire su due piedi una spiegazione che i terrestri avrebbero potuto credere.

Dopo di lei erano state intervistate altre donne, ogni sera c’era un profilo diverso, da ragazzine prodigio a attrici e soldatesse. L’ultima era stata la giovane figlia del campione del mondo che aveva confessato a quel microfono tutta la sua determinazione nel seguire le orme del padre, una determinazione che la stava gia’ rendendo una promessa nel campo delle arti marziali.

“Poveraccia, tutta fuffa, tutte illusioni. E se andassi io a dire a quella mocciosetta che suo padre e’ una truffa immane? Che ne sanno i Satan di allenamento, di arti marziali, che ne sa il mondo!”

Dall’episodio con la figlia di Mr. Satan Vegeta non aveva piu’ sopportato quel programma fatto per entusiasmare terrestri senza vera forza e ogni volta che Bulma lo guardava, lui se ne andava con uno schiocco della lingua. Bulma non ci faceva caso: se lui era il Principe dei Saiyan, quella era casa sua. Una che lavorava duro come lei aveva ben il diritto di guardarsi quello che le pareva e piaceva, a fine giornata.

Una sera capito’ che Vegeta non riuscisse a evitare di vedere un pezzettino di podcast prima di battere la fiacca.

Chiamo’ Bulma con voce arrabbiata: “Che ci fa quella li’ nel podcast? Quella dannata di una cyborg.”

Tutta la famiglia corse a vedere. Bulma e i suoi genitori stettero a guardare senza riuscire a rispondergli. L’episodio di quella sera coinvolgeva un’altra CEO, a capo di una rete di centri antiviolenza nel distretto di Central City.

“Guardala! Dimmi se non e’ quella gran troia.”

Quando Bulma arrivo’ nella stanza e osservo’ il televisore, vide una donna vestita con classe, che ogni tanto mentre parlava si lasciava scappare qualche sorriso che marcava due fossette sulle guance. I suoi occhi colpivano come pugnali, e non solo per il colore che bucava lo schermo con la sua trasparenza d'acquamarina; sembravano spaventati ma anche temprati e forti, come se lei avesse fatto la guerra.

Anche se Bulma non aveva mai visto i due cyborg e non poteva fare paragoni, il profilo della CEO era troppo diverso da quello di un’assassina ciberneticamente rinforzata. E poi da quello che lei sapeva, i cyborg erano molto piu’ giovani di quanto quell’imprenditrice apparisse.

Se invece fosse stata proprio n. 18, Bulma riusciva a capire come mai Crilin avesse completamente perso la testa: quella donna irradiava una forza d’animo fuori dal comune, tuttavia riuscendo anche a sembrare vulnerabile, quel genere di vulnerabilita’ che faceva inconsciamente cadere in ginocchio molti uomini terrestri. L’illusione perfetta.

Ebbe la saggia idea di svelare l’arcano portando n.16 di fronte alla tele, proprio nel momento in cui la telecamera inquadrava la donna con un primo piano.

Sedici osservo’ il suo familiare viso a cuore, i suoi familiari occhi dal taglio allungato. L’androide registro’ l’immagine dei suoi capelli ben pettinati e dei suoi zigomi tesi. I suoi scanner gli comunicarono le proporzioni del viso della donna, matematicamente molto simile a quello della sua defunta amica, che il suo processore gli fece ricordare:

“Questa donna non e’ n. 18.”

Il saiyan, che fino a quel momento aveva troneggiato sulla poltrona inveendo contro lo schermo, si alzo’ e spintono’ l’androide: “Osi dire che sono stupido? Quella e’ la tua piccola, preziosa cyborg: credi che non la riconoscerei, anche se quando l’ho incrociata i suoi capelli erano biondi?”

Se e’ cosi’ allora voglio sapere in che salone e’ andata.”

Bulma ridacchio’ fra se’ pensando che i capelli di quella donna non potessero essere piu’ diversi da quello che Vegeta stava descrivendo: se erano stati tinti, erano molto credibili. Era andata da uno bravo!

“Perche’ non puo’ essere lei? Avanti, dimmelo.”

Il Principe si porto’ nel campo visivo dell’androide, guardandolo con il sussiego di chi sa di avere dalla sua parte una teoria incrollabile.

Ma Sedici gli restitui’ uno sguardo grave e freddo, come solo un umano artificiale poteva fare:

“N. 18 e’ morta. Io non ho potuto aiutarla. Questa donna non e’ n. 18.”


 


 

A Bulma pareva parecchio strano che suo marito fosse convinto così fermamente che quella donna in tele fosse il cyborg n.18. Persino n. 16 gliel'aveva detto chiaro e tondo!

In fondo, gira che ti rigira Vegeta era sempre il solito Vegeta, normalmente Bulma non dava molto peso alle sue incazzature e ai suoi capricci e per quella volta aveva tenuto in conto la componente psicologica nella reazione di suo marito: n. 18 era la donna che gli aveva spezzato ossa e orgoglio, un saiyan orgoglioso, fissato e ossessionato come lui doveva vederla ovunque ormai.

Ma c’era qualcosa che le diceva che le parole di Vegeta non erano cosi’ strampalate, per una volta; Bulma sapeva che non avrebbe scoperto molto digitando "cyborg n.18" nel motore di ricerca, per cui cercò la donna del podcast. Mal che andasse sarebbe stato interessante scoprire chi era, visto che era una tipa abbastanza brillante da essere stata invitata in un podcast dove lei stessa, Bulma Brief, aveva parlato.

La sera prima, per colpa del battibecco non aveva ascoltato tutto ma si ricordava che la donna aveva fatto qualcosa di rilevante durante i Cell Games.

"CEO Central City Cell Games podcast donne" digitò sulla tastiera, non ricordandosi il suo nome. Le foto che trovo’ ritraevano la stessa donna molto bella, dall’espressione seria e altera; guardando con attenzione tutte le foto che riusci’ a trovare, Bulma penso’ che decisamente non era una bionda tinta. Trovò una recente intervista e il link per riguardare il podcast.

Scoprì così che Kate Lang, quello era il suo nome, aveva finanziato l'allestimento tempestino di strutture per l’aiuto agli sfollati durante il regno di quel terrorista.

Grazie al suo lavoro, fin da giovanissima Bulma aveva avuto il privilegio di conoscere una realtà che molti suoi compagni umani, quasi tutti, ignoravano totalmente.

Alieni, capacità sovrumane, mostri e sfere magiche facevano parte del suo quotidiano.

Ma essendo pur sempre una di loro, pensava spesso a cosa dovesse passare per la testa di quei poveri tapini che, di tanto in tanto, si vedevano succedere tragedie del calibro di un’estinzione di massa senza nemmeno capire il perché. Per cui si stupiva della loro creativita’ e presenza di spirito: quella Kate Lang non solo aveva aiutato a trovare posti in cui le persone in crisi potessero stare, ma aveva anche messo in ballo un'iniziativa per aiutarli su un piano pratico.

Bulma rivide parte del podcast:

Come le e’ venuta l’idea di mettere in piedi un servizio “pacchi fuga”?”

Fin dall'inizio di questa situazione Cell, le chiamate nei miei centri sono calate di colpo. E intorno all'inizio dei Cell Games, quando tutti erano praticamente sotto coprifuoco, dovevo fare qualcosa per aiutare chi si trovava intrappolato a casa propria con qualcuno di abusivo; visto che in quelle circostanze le persone che avevano bisogno non potevano venire al centro antiviolenza, abbiamo portato il centro antiviolenza da loro. Avevo in programma di lanciare quel mio ultimo progetto dopo la fine della situazione Cell, ma grazie a chi ha creduto in noi abbiamo potuto iniziare in un momento di estremo bisogno. Ora Escap’Box sara’ permanente.”

Bulma ascoltò con le sopracciglia alzate mentre la CEO parlava della sua iniziativa Escap'Box. Aveva donato delle scatole contententi prodotti essenziali alle famiglie che erano state toccate dalla crudeltà di Cell, ma anche altre contenenti buoni per un biglietto del treno e altra attrezzatura da fuga per chi aveva purtroppo dovuto scegliere fra il fuggire un terrorista pazzo o una persona abusiva. Anche ora dopo la sconfitta di Cell, quell’idea nata da una mente amorevole in una situazione di paura e incertezza avrebbe continuato ad esistere. Era un bel contributo alla societa’.

Bulma era restata a guardare di nuovo il primo piano di Kate Lang, ipnotizzata da quegli occhi pazzeschi.

"Niente e’ tanto importante quanto le persone care. E io e i miei meravigliosi collaboratori ce l'abbiamo messa tutta per aiutarvi."

Bulma continuo’ a scorrere col mouse e le capito’ poi sott’occhio un’altra pagina web in cui si parlava di quella stessa donna: aveva partecipato ad una puntata della trasmissione Io Ti Trovero’ tre anni prima.

La scienziata sentiva stringersi il cuore man mano che leggeva la storia di quella povera mamma che aveva perso da un giorno all’altro i figli, un ragazzo e una ragazza di diciotto anni. Erano spariti nel nulla e lei non li aveva piu ritrovati. Erano stati rapiti e uccisi.

Cioe’, questa qui e’ tre anni che non ha piu’ i suoi figli con se’ e trova ancora la forza di fare del bene a dei perfetti sconosciuti?”

Bulma uso’ quella lettura come promemoria, per quando ormai le veniva da pensare che paragonati ai vari saiyan, namecciani, androidi e cyborg vari i terrestri fossero deboli e pietosi: non tutta la forza si misurava in ki, e se la forza d’animo di quella donna umana fosse stata ki, Bulma era sicura che avrebbe potuto portare la Terra sulle sue spalle.

Ma trasali’ all’improvviso quando vide, inclusa nell’articolo, una foto dei due figli di Kate Lang:

Suppongo che quando si parla di somiglianze fisiche ci sono due tipi di genitori e figli: Vegeta e Trunks, e lei e i suoi gemelli.”

Tutti e due erano quasi uguali fra loro e a lei, ma mentre il maschio condivideva gli stessi toni gioiello della madre la femmina aveva capelli biondi. Era una bella ragazza, dallo sguardo da gatto. Sicuramente se fosse stata in una stanza con lei, Bulma si sarebbe girata a guardarla. Il suo aspetto sembrava abbastanza memorabile affinche’ uno come Vegeta se ne ricordasse...

“Sedici! Papa’!”

Senza alzarsi dalla sedia nel suo studio, Bulma resto’ col fiato sospeso finche’ l’androide non entro’ nella stanza, con Trunks e il gatto in braccio.

“Cosa ci fai li’, tu? Vieni qui.”

Quando la madre prese Trunks dalle braccia del grosso androide, il bambino inizio’ a piangere, tendendo le manine verso “Se-hi”. Questa, poi: ora il suo amato bebe’ preferiva quella specie di hippie vestito di verde a sua madre! Si chiese se Sedici poteva vedere e capire che lei si era offesa.

Ma lui se ne resto’ rispettosamente in disparte, finche’ Bulma gli rifece la domanda a bruciapelo, girando il monitor nella sua direzione, tenendo il puntatore sulla foto della ragazza:

“Sedici, ho bisogno che tu guardi bene e mi dia la risposta che credi piu’ giusta: questa ragazza e’ n. 18?”

Allora Bulma vide un’espressione che non avrebbe mai creduto possibile per un androide, nemmeno per un modello super avanzato come n. 16: un’espressione di sgomento, commozione ed affezione.

Bulma rimase incredula a guardare Sedici correre a tenere il monitor, che fra le sue mani sembrava un tablet, mentre non faceva che ripetere una parola, un nome:

Diciotto.”

 

   
 
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