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Autore: Soul Mancini    10/04/2020    4 recensioni
Frammento dopo frammento, giorno dopo giorno, la vita di Ives scivola via e la sua anima si spegne pian piano. Quell'anima che era così pura e luminosa, ma che come la fiammella di una candela tremola a ogni soffio di vento.
Dai suoi primi giorni di vita, una serie di momenti che l'hanno portato a bucare la sua pelle con l'ultimo, fatale ago.
[Il capitolo "VIII" si è CLASSIFICATO SESTO al contest "November Rain" indetto da MaryLondon e giudicato da Juriaka sul forum di EFP.]
[Il capitolo 'XII - Like a crystal tear' si è CLASSIFICATO SECONDO al contest "This is our place, we make the rules" indetto da mystery_koopa sul forum di EFP.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Needles'
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There's an itch under my skin
It's under my skin, under my skin
'Cause I just wanna feel something real
[Nothing But Thieves – Itch]
 
 
 
 
Devo assolutamente farmi.
Questo è il mio primo pensiero quando scendo dal palco.
Sicuramente Davi ha mandato qualcuno per me e quel qualcuno mi sta aspettando all’ingresso secondario del locale.
Devo poggiare il basso e correre a prendere la mia roba. Cazzo, la mia eroina.
“Ehi, Ives” mi intercetta Ethan sul retro del palco, mentre armeggio nervosamente con la tracolla del basso.
Le dita mi tremano leggermente e sto cominciando a sudare freddo, sto fottutamente male. Non dovevo tirare così tanto la corda, sapevo di dovermi rifornire prima.
“Sai che oggi hai suonato proprio di merda?” prosegue il mio chitarrista, gettando la sua t-shirt nera zuppa di sudore a terra e cercando il cambio nel suo zaino.
“Ho suonato come sempre” ribatto bruscamente, la voce venata di un’isteria che non mi è mai appartenuta prima.
“Ives, cazzo, sono serio. Quella roba ti sta fottendo il cervello e il talento.” Ethan pronuncia quelle parole in tono duro, per niente impressionato dal mio atteggiamento ostile.
Del resto da quando vivo sul suo divano è abituato al mio continuo distacco, al mio egoismo da bucomane; ha smesso anche di provare compassione nei miei confronti, ora pare quasi odiarmi.
Sotto sotto mi fa male, anche se per fortuna l’eroina mi inibisce ogni emozione e la rende più sopportabile.
Per la prima volta sollevo lo sguardo e lo fisso dritto negli occhi, i suoi sono scuri e imperscrutabili. “Bene, tuo fratello mi ha fatto portare qui una dose, quindi ora se non ti dispiace vado a fottermi il cervello” affermo, cercando di tenere un tono sicuro, ma la voce ha preso a tremare – così come il resto del mio corpo.
Devo sbrigarmi, sto malissimo e sono sull’orlo di una crisi di astinenza.
Mi volto e schizzo via, muovendomi nella penombra del locale verso l’uscita secondaria. Soltanto pochi metri mi separano dalla mia meta…
Vado a sbattere con violenza contro Alick; in questo momento sono talmente provato che ho l’impressione di spezzarmi nell’impatto. O forse è perché sono troppo magro, me lo dice sempre anche Cheryl.
Il mio batterista, vedendomi vacillare, mi afferra per un braccio con l’intento di sorreggermi e mi scruta coi suoi occhi grandi e scuri, così tremendamente indagatori. “Cheryl ti sta cercando.”
Mi scrollo la sua mano di dosso. “Sono di fretta. Dille che sono in bagno e che arrivo subito” bofonchio, prima di aggirarlo e catapultarmi fuori, dove l’aria fresca della notte mi avvolge.
Forse dovrei avere freddo, ma sono ben altre le sensazioni che mi travolgono in questo momento, come il forte senso di nausea che si fa strada dalla bocca dello stomaco.
Per un istante il viso dolce e luminoso di Cheryl mi si materializza nella mente e mi sento così in colpa, continuo a tenerle nascosta la verità e so che, quando lo verrà a sapere – perché è inevitabile che prima o poi se ne accorga – se la prenderà talmente tanto con me che non vorrà più vedermi.
Avrebbe ragione.
Ma quei pensieri si dissolvono nell’immediato quando scorgo una figura che mi si accosta nelle tenebre: si tratta di Craig, uno dei ragazzi che lavorano per Davi.
Sorrido: l’agonia è finita.
 
Getto la testa all’indietro e socchiudo appena le palpebre. Non so nemmeno spiegare il sollievo che sto provando, questa sensazione dolce e ovattata che invade ogni cellula del mio corpo, in netto contrasto con la rudezza dell’ago che penetra sottopelle.
Sento la sostanza scorrermi nelle vene, entrare in circolo, è come un prurito, un pizzicore, un’ondata di piacere. Ed è sotto la mia pelle, dentro le ossa, dentro il mio cuore e il mio cervello.
Sembra l’unica vera sensazione che posso provare in mezzo a una realtà ormai troppo distante. È questa la realtà, per me.
Penso non sia proprio possibile rinunciarvi. Non potrei mai provare il desiderio di rinunciare all’unico dolce brandello di conforto che mi è rimasto.
 
 
   
 
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