Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Evali    10/04/2020    2 recensioni
Spin off che scaverà in profondità nei personaggi di Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark; un'ipotesi, o meglio, una mia versione, di come potrebbero essere andate le cose al tempo, una storia che non tratterà strettamente solo l'amore scoppiato tra i due, ma anche l'intero contesto in cui il nostro eroe e la nostra eroina vivevano, nonché gli anni del regno del Re Folle. Potrebbe esserci qualche piccola modifica rispetto alle informazioni rivelate nei libri.
Appartenente ad una saga, ma non è necessario aver letto le altre due storie per iniziarla.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aerys II Targaryen, Arthur Dayne, Elia Martell, Lyanna Stark, Rhaegar Targaryen
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Calen e Doen
 
 
Anche l’ultimo lord entrò nella sala del castello di Harrenhal predisposta per il concilio segreto al re dei sette regni.
Lord Whent aveva appositamente scelto la parte più remota del castello, di fianco alle segrete, un luogo di cui Aerys Targaryen non conosceva neanche l’esistenza.
Quando furono tutti riuniti, il pesante portone venne chiuso e gli occhi di ogni uomo in quella sala si catapultarono sul principe ereditario, a capo del lunghissimo tavolo.
Rhaegar non era spaventato da quegli sguardi indagatori e concentrati, che lo osservavano nella speranza di metterlo a nudo e di comprendere per quale motivo avessero preso parte a quella missione a dir poco suicida.
Tuttavia, dovette ammettere che venire scrutato in quel modo da tanti lord insieme che proiettavano tutte le loro aspettative su di lui, gli fece venire dei brividi freddi lungo la schiena.
Nonostante ciò, riuscì a nascondere la sua insicurezza con maestria, innalzando la sua corazza di gelo, ed esponendo quello sguardo di inscalfibile convinzione e matura consapevolezza che ostentava in concili come quello.
La prima parola, o meglio, il primo verso di disappunto accompagnato ad un ghigno strafottente, venne da lord Eon Hunter.
- Con tutto il rispetto, mio principe, quanti anni avete? Se non sono troppo rude nel chiederlo – disse l’uomo con quel velo di sarcasmo che fu in grado di far saltare i nervi ad Arthur al solo udirlo.
- Ventidue, milord – rispose Rhaegar mantenendo la sua calma glaciale.
- Quasi un poppante, se mi è concesso aggiungere anche questo.
- Lord Hunter, non dimenticatevi di star parlando col futuro re dei sette regni! – lo rimproverò prontamente ser Richard Lonmouth con il volto arrossato dalla rabbia.
- Non ce ne è bisogno, Richard. Non sono qui per alimentare inutili dispute, né tanto meno per parlare della mia età o di quanto io sia adatto a portare avanti questa cospirazione. Perché è questo ciò che è, una cospirazione, miei signori – rispose Rhaegar senza degnare di uno sguardo lord Eon, dimostrandogli la sua superiorità tramite la totale indifferenza.
- Dunque, come avete intenzione di agire, vostra altezza? – domandò rispettosamente lord Jon Arryn.
- Innanzitutto, vi prego di mantenere questi nostri incontri totalmente segreti, in modo da non rischiare di mettere in pericolo nessun componente della vostra famiglia.
Non avremo modo di riunirci spesso non appena il torneo avrà inizio, per questo dobbiamo approfittare per impostare un piano d’azione generale, nell’eventualità in cui non ci sarà possibile incontrarci nuovamente.
- Senza offesa, mio principe, lungi da me dubitare dell’efficacia del vostro piano, ma tra i nostri accampamenti gira voce che vostro padre vi sia attaccato alle costole come un rapace con la sua preda – espresse i suoi dubbi lord Rickard Stark. – Come pensate di sviare ogni suo sospetto e di nascondergli un tradimento di tale portata?
- Comprendo le vostre incertezze, lord Stark. Vi confesso che io stesso non sono del tutto certo che mio padre non sia già a conoscenza del tradimento, dato che lord Varys è un abile doppiogiochista dalla risaputa fama – rispose il principe, provocando fermento in sala.
- Tuttavia – riprese l’erede al trono, interrompendo il vociferare indistinto. – Innumerevoli volte mio padre ha avuto forti dubbi sulla mia fedeltà verso di lui, persino quando tali dubbi non avevano alcuna ragion d’essere.
Ero solo un bambino che stravedeva per i suoi genitori quando mi accusò per la prima volta di cospirare contro di lui.
Quello che intendo dirvi, è che Aerys Targaryen ha perso completamente la testa da anni, oramai, tanto da non riporre più la sua fiducia in nessuno.
Non è più in grado di regnare da che sono in grado di ricordare.
Questa situazione sta degenerando, di anno in anno, e in coscienza non mi sento più di permettere che prosegua; motivo per cui, se non cogliamo la palla al balzo ora, forse non avremo più occasione di agire, o peggio, sarà troppo tardi per farlo.
Sia che sappia della cospirazione, sia che vi rimanga all’oscuro, potrebbe ordinare di farvi bruciare tutti ora, in questo castello e seduta stante, perché vi ritiene dei traditori, o semplicemente per un suo capriccio passeggero.
Non sono io il primo a rimettervi, ma voi, le vostre famiglie, i suoi sudditi.
Questo è ciò che mi addolora di più.
In seguito a quelle parole, uno dei presenti scoppiò in una risata, avanzando piano verso il Principe Drago.
Quella faccia non era affatto nuova al giovane drago, tuttavia, nonostante il temperamento del principe Lewyn Martell non fosse fastidiosamente e infantilmente ostile come quello di suo nipote Oberyn, Rhaegar notò dell’astio nei suoi grandi occhi scuri.
- Perdonatemi, mio principe, ma con quale onere vi concedete di pronunciare dinnanzi a noi tali parole? Cosa potete mai sapere voi di come ci si senta a non far parte della vostra famiglia? Ad essere trattati come feccia da un uomo che siede su un trono e che si diverte a carbonizzare ogni testa che non possegga dei bei capelli d’argento gli capiti sotto tiro?
Come potete parlare della nostra sofferenza con tale naturalezza, rimanendo coerente con voi stesso e non risultando ai nostri occhi come l’abile e furbo bugiardo e persuasore che siete, dall’alto della suo piedistallo d’oro? – terminò il principe dorniano arrivando ad un palmo dal viso del giovane drago.
- Questo è abbastanza, principe Lewyn! Allontanatevi immediatamente dall’erede al trono!
Quanto accidenti era melodrammatico Jon Connington, forse lo sapeva solo Jon Connington stesso. Con la sua impetuosità da maniaco omicida ogni volta che qualcuno si avvicinava troppo a Rhaegar, anche se si trattava di un’ancella o di un semplice scudiero. Ad Arthur faceva venire voglia di usare Alba per zittirlo e fargli passare la voglia di essere tanto inconsciamente molesto.
Sì, la Spada dell’Alba non avrebbe fatto certo fatica ad ammettere che anche a lui stesso pizzicavano le mani dinnanzi a quel faccia a faccia tanto ravvicinato e impudente, spingendolo a poggiare impercettibilmente e automaticamente le dita sull’elsa della sua spada, come accadeva ogni volta che qualcuno osava tanto con il principe drago.
Ma sapeva anche quando era il caso di contenersi e di attendere semplicemente che Rhaegar gestisse le cose a modo suo, senza invadenti e non richiesti interventi esterni, poiché era il primo ad odiare di essere trattato come una dannata bambola di porcellana.
- Jon, non è necessario, grazie – lo bloccò il principe Targaryen alzando la mano verso di lui, ma non spostando gli occhi da quelli di Lewyn, reggendo il suo sguardo privo di timore, ma senza altezzosità.
- Avete ragione, principe Lewyn. Io non posso sapere cosa vuol dire trovarsi dall’altra parte, non avere un trono da ereditare dal proprio folle padre.
Mi trovo indubbiamente in una posizione privilegiata, sin dalla nascita, e non è mai stata mia intenzione negarlo.
Tuttavia, ciò che desidero e che mi propongo, è di riuscire a capire almeno un minimo, per quanto mi sarà possibile, come vi sentite.
Si tratta di empatia, non di scambio di ruoli o di finta solidarietà.
Io voglio essere con voi, al vostro fianco.
Questo è il motivo che mi ha spinto a prendere in mano la situazione e a riunirvi tutti qui per mettere in atto una rivolta contro la corona.
Non desidero che voi moriate per me, desidero che voi moriate per voi, per la vostra gente.
So che può sembrare qualcosa di molto intelligente da dire, ma vi rivelo di non sapere davvero come dirlo in altro modo.
Sta a voi credermi o no, sta a voi affidarvi a me o rinunciare a prendere parte alla cospirazione.
Siete liberi di andarvene quando volete, avete il sacro diritto di farlo e io non ve lo impedirò in alcun modo. Non ne ho alcun potere e anche se lo avessi, non è nella mia volontà agire in tal modo.
In seguito a tali parole, il silenzio tombale calò inesorabile nella grande sala.
Un silenzio di comprensione, di speranza, di fiducia.
Lewyn non sembrava accennare a voler allontanarsi dal principe drago, restando a fissare i suoi occhi come se potesse perdersi qualsiasi pagliuzza di esitazione e di ipocrisia al loro interno, se solo avesse distolto lo sguardo per un secondo.
Quando finalmente si convinse, arrendendosi al calore e al sollievo che quelle parole erano state in grado di donare al suo cuore, si allontanò da lui di qualche passo.
- Non credo vi siano dubbi su quale sia la scelta di noi tutti, mio principe.
Siete giovane, inesperto, esposto, molti punti giocano a vostro sfavore.
Tuttavia …
- Tuttavia, ci affidiamo a voi, anima e corpo – terminò la frase lord Walter Whent, esprimendo con un sorriso incoraggiante il pensiero di tutti i presenti.
A ciò, Rhaegar si concesse un sorriso a sua volta e si prese un attimo per guardarli tutti in volto, uno per uno, prima di parlare.
- Bene, dichiaro ufficialmente iniziato il nostro concilio segreto.
 
- Beh, non è andata male, no? – gli domandò Elia sedendosi sul grande letto a baldacchino, tenendosi il pancione con le mani mentre Rhaegar si sedeva sul letto a sua volta, con lo sguardo puntato alla finestra, intento a ripensare a tutto ciò che era stato detto durante quel concilio avvenuto qualche ora prima.
- No, è andata molto meglio di quanto mi aspettassi. Tuttavia, con il fiato di mio padre sul collo non posso fare alcun movimento avventato.
Dovremo attendere l’inizio del torneo per altri incontri.
- Mmm – sospirò la principessa dorniana con una lieve smorfia di dolore a deformarle i tratti.
Accorgendosi di ciò, il principe si voltò verso di lei. – Ti senti male?
- Il piccolo drago scalcia parecchio e mi risucchia tutte le energie – sussurrò ella dolcemente, chiudendo gli occhi per sopportare il malore, poggiando una mano delicata sopra il tessuto dell’abito color pesca teso dalla rotondità del pancione. – Lo sento così bene, Rhaegar. È dentro di me ed è un portento.
Non oso immaginare quando uscirà di lì cosa ci farà patire – continuò sorridendo di aspettativa. – Riesco già a figurarmelo distintamente nella mia mente.
I maestri hanno confermato che è un maschietto, come avevamo previsto.
Un bellissimo giovane principino che farà impallidire tutte le balie di Approdo.
A ciò, Rhaegar sorrise, salendo sul letto e portandosi dietro sua moglie.
Le poggiò le mani sulle spalle lasciate lievemente scoperte dal vestito. – Come fai a far esplodere con tale naturalezza e spontaneità la tua fantasia? Quando capirò come ci riesci, custodirò il tuo segreto e ne farò buon uso anche io – sussurrò cominciando a farle un massaggio sulla schiena e le spalle.
Le dita affusolate ed esperte si mossero decise ma delicate sulla pelle olivastra della giovane Martell, compiendo movimenti precisi, lenti e vigorosi, mentre sentivano quelle membra stanche distendersi e sciogliersi come metallo fuso sotto il suo tocco.
- Sei tesa. Rilassati … - la esortò a voce bassa, continuando quel massaggio da capogiro, mentre Elia portava la testa all’indietro.
- Oh, che tutti gli dèi del cielo ti benedicano …
Come fai ad essere così bravo ogni volta …? – gli domandò estasiata da quella sensazione rigenerante e dal calore che la stava invadendo dall’interno e dall’esterno.
Il principe sorrise. – Quando hai massaggiatrici e massaggiatori sin da piccolo, prima o poi riesci ad imparare i loro trucchetti – le sussurrò, per poi lasciarle un fugace bacio sulla tempia.
A ciò, la principessa si voltò lentamente verso di lui e si sporse per farsi baciare sulle labbra.
Egli la accontentò, ma interruppe il contatto poco dopo per volgere gli occhi verso la porta della camera chiusa.
- Che c’è? – sussurrò ella girandosi verso di lui con l’intero corpo e salendo in ginocchio sul materasso.
- Rhaenys potrebbe entrare da un momento all’altro – le disse tra un bacio e l’altro.
- Rhaenys è con Ashara – lo rassicurò la giovane dorniana passando al suo collo, sfregandovi le labbra umide sopra, in ogni piega di pelle, ovunque riuscisse ad arrivare.
Rhaegar sorrise, approfittando per liberare i morbidi capelli scuri della sua consorte dalla scomoda ed elaborata acconciatura, sciogliendo i nastri che li legavano, mentre ella continuava a torturargli il collo.
- Questo vizio lo avevi anche quando eri incinta di Rhaenys – le disse prendendole il viso e alzandolo verso il suo, per guardarla negli occhi liquidi.
- Che vizio?
- Ti comporti come un gatto che fa le fusa in cerca di energiche carezze, nei momenti di intimità – le rispose sorridendole.
- Mia madre diceva che accade a parecchie donne incinta. Diventiamo viziate e a volte fameliche – gli rispose ricambiando il sorriso, puntando le ginocchia sul materasso per darsi lo slancio e circondandogli il collo con le braccia, mordendogli le labbra.
Il principe la assecondò, i loro baci divennero sempre più bagnati e profondi, le sue mani si posarono sui fianchi più larghi del solito di sua moglie, andando ad accarezzare dolcemente quelle curve femminili fino a raggiungere la rotondità del pancione coperto dal tessuto leggero.
Distaccò lievemente le labbra da quelle di lei, d’istinto, ma senza allontanarsi.
- Qualcosa non va …? – gli chiese Elia soffiandogli in bocca.
- Sicura che vada bene? – le domandò, sapendo di rischiare di venire trucidato dallo sguardo voluttuoso della sua consorte. Ma non riuscì a fare a meno di chiederglielo, ancora troppo preoccupato per il suo stato di salute altalenante.
- Se ti azzardi a ritirarti proprio ora, sul più bello, per il tuo assurdo istinto protettivo fuori luogo, giuro che ti spezzo il collo – gli sussurrò dritto nell’orecchio, con quell’inflessione a metà tra il sensuale e l’omicida.
A ciò, egli sorrise.
- Oppure, questa è solo una banale scusa … - continuò la donna, mostrando un tono ora più incerto, allontanandosi dal suo orecchio solo per porsi davanti al suo volto e scrutare quei due diamanti viola, intensi e vividi, con la speranza di affondarvi dentro e trovare risposta ai suoi dubbi.
Quegli occhi assunsero un’aria interrogativa. – Che cosa intendi? – le domandò il giovane drago. – Perché dovrebbe essere una scusa …?
- Beh, la mia pancia è cresciuta, così come il mio corpo è cambiato. Sono più larga, più grossa … i miei vecchi abiti non mi entrano più – disse lasciandosi ricadere in ginocchio, abbassando il bel volto circondato dalle ciocche scure e ondulate. – Mi sembra di essere diventata un bue. Mi avevano già avvertita che i maschi sono più ingombranti e fanno ingrossare il corpo delle madri durante la gravidanza, ma non credevo che …
- Elia – la interruppe il principe con voce ferma, ponendole le mani sulle spalle seminude e attirando la sua attenzione su di lui. – Non devi mai fare pensieri del genere. Mai.
Intesi?
Non voglio più sentire discorsi di questo tipo.
Io ti trovo bellissima. E non sono l’unico a trovarti bellissima.
- A me non importa dell’opinione degli altri, oltre la tua.
- Allora ti garantisco, dinnanzi agli dèi, che ora mi piaci ancor di più.
A ciò, la dorniana alzò lo sguardo su di lui, sgranando gli occhi.
- Che cosa …? Non puoi star parlando sul serio.
- E invece sì – la rassicurò. – Hai i fianchi più tondi, le tue gambe sono più morbide, i lineamenti del viso più dolci. Mi piace molto.
Davvero – le confermò accennandole un ammaliante sorriso, prendendole il viso e baciandola con trasporto per dimostrarle la veridicità delle sue parole.
La sentì sorridergli sollevata sulle labbra e ricambiare nuovamente bramosa, mentre con le mani sottili cominciò a trafficare voracemente con i bottoncini del suo corsetto.
Sospirò frustrata e animata dentro la sua bocca, facendo quasi per strappargli l’indumento.
- Per gli dèi, non è possibile che i tuoi dannati vestiti siano più difficili dei miei da togliere … - si lamentò la principessa, riuscendo finalmente a slacciargli l’ultimo bottone.
Rhaegar sorrise in risposta, percependo le dita fredde di Elia vagare sulla pelle nuda e calda del suo busto, facendolo rabbrividire.
Cominciò a privare anche ella dei vestiti, iniziando a sfilarle l’abito leggero, facendoglielo scivolare sulle braccia.
“La tua vita è destinata a terminare in giovane età, quando, finalmente, avrai trovato il modo di rispondere a tutti gli enigmi che affollano la tua mente …” quelle parole piombarono improvvise e inesorabili nella sua mente, turbandolo.
Provò ad ignorarle e a concentrarsi solo sulla calda e rassicurante presenza di Elia su di sé.
La tua famelica curiosità ti divorerà, consumandoti …”
“Un uomo con il potere della sua mente può cambiare un corpo materiale in un altro o può farlo passare dalla salute alla malattia e viceversa.
L'influsso della mente non può agire su una qualsiasi forma materiale tranne se non attraverso l'intervento di un intermediario …”
All’eco di quelle invadenti parole si sovrappose un’immagine sin troppo vivida per essere solo frutto della sua mente, la figura di una vecchia donna che vagava per la Sala d’Estate in fiamme, tra i corpi urlanti e luminosi come torce umane.
“Tre teste del drago” disse la donna. “Tre teste, centinaia di vite sacrificate, la rinascita di un mostro, una dinastia stroncata, un inverno senza fine.
I vermi continueranno a brulicare sotto terra, e tu, tu non potrai fare nulla per impedirlo.”
Il giovane drago si allontanò dalla bocca della sua consorte, in volto un’espressione contrita, disturbata.
- Che c’è, mio principe? – gli domandò ella preoccupata. – Di nuovo quelle visioni?
Tali parole lo scossero più delle allucinazioni stesse, tanto da fargli nuovamente alzare gli occhi verso sua moglie. – Tu … tu te ne sei accorta …?
- Mi credevi tanto stupida e distratta, mio signore?
Ovvio, mi sono accorta dei tuoi costanti incubi che non ti lasciano pace nel sonno.
Ma ora anche durante la veglia …?
Le tue ossessioni smetteranno mai di tormentarti? – gli chiese afflitta.
- Perché non mi hai detto nulla?
- Volevo aspettare che fossi tu a parlarmene, Rhaegar.
Sembri sconvolto appena sveglio la mattina.
Mi chiedo cosa vi sia di tanto terribile in queste visioni.
Mi chiedo se posso fare qualcosa per farti stare meglio …
- Non preoccuparti.
Posso risolverlo da solo.
A ciò, lo sguardo della dorniana si fece cupo. – Certo. Tu vuoi sempre risolvere tutto da solo.
Non accetti l’aiuto di nessuno.
Credi di essere in grado di fare qualsiasi cosa.
- Non voglio coinvolgerti, Elia, vorrei preservare almeno te e Rhaenys da …
- … da cosa? Da cosa vuoi preservarci, Rhaegar? Credi davvero che lasciarci qui a guardare impotenti mentre qualcosa ti trascina sempre più giù, sia il meglio per noi??
Per gli dèi, non riesco a credere che stiamo facendo ancora discorsi simili … - sospirò afflitta e frustrata, ritirandosi su le spalline dell’abito.
- Mi dispiace. Mi dispiace ma non puoi chiedermi di coinvolgerti.
- Chi sono io per te, Rhaegar? – gli domandò improvvisamente gelida.
- Che cosa intendi?
- Ti ho appena chiesto chi sono io per te, mio principe.
Una spalla su cui appoggiarti solo quando ne hai voglia? Un corpo che ti dà piacere? Una moglie con la quale mostrare una bella facciata dinnanzi al popolo che ti acclama?
- Ora sei crudele. Ingiusta e crudele – le rispose rimettendosi seduto sul letto, mentre ella gli dava le spalle, nascondendo il volto.
Lo ascoltò rivestirsi in un silenzio tombale, senza proferire parola, né quasi respirare, solo per non perdersi alcun flebile suono che il giovane drago emetteva muovendosi.
- Dove vai, ora? – ebbe il coraggio di chiedergli quando lo sentì rialzarsi dal letto. – È quasi notte …
- Ho bisogno di prendere un po’ d’aria – le rispose lapidario.
- Vuoi uscire fuori da solo? Senza scorta? – gli domandò incredula, voltandosi e accorgendosi che, in quei pochi minuti, avesse fatto in tempo a spogliarsi di tutti gli abiti reali e ad infilarsi dei vestiti semplici, da popolano, un abbigliamento con il quale non lo aveva mai visto.
Lo osservò, notando quanto sembrasse differente con quella casacca larga di stoffa grigia a coprirgli il busto slanciato, come i pantaloni sciatti e malandati facessero sembrare le sue gambe lievemente meno vertiginose rispetto a come apparivano con gli abituali abiti regali.
Nonostante tutto, si rese conto che quei pezzi di stoffa non erano neanche lontanamente in grado di camuffare il suo aspetto, di renderlo meno raffinato, ricercato, non riuscivano a mascherare nemmeno un minimo quell’aria di alta nobiltà che si portava perennemente dietro, con la quale sommergeva chiunque con la sua sola presenza in una stanza.
Era come se ce l’avesse addosso, impregnata sulla pelle, in grado di rilasciare una fragranza intossicante per chi gli stava accanto, spingendo tutti a non avvicinarsi troppo a lui, a mostrargli il massimo rispetto e riguardo.
Elia sapeva che Rhaegar teneva sempre degli abiti da popolano fatti su misura con sè, per ogni evenienza o emergenza; tuttavia, fino a quel momento, quell’evenienza non si era mai presentata.
- Sono stanco di portarmi una scorta dietro dovunque vada – le rispose il principe infilandosi il mantello, distogliendola dalle sue mute considerazioni.
- Rhaegar, ti riconosceranno.
- Ho i miei metodi.
Ho passato l’adolescenza ad infiltrarmi di nascosto nei vicoli delle strade più malfamate di Approdo senza farmi scoprire.
So cavarmela – le disse legandosi la chioma d’argento indietro, in una coda bassa, assicurandosi che ogni capello fosse ben tirato e non sfuggisse al nastro; dopo di che, si alzò l’ingombrante cappuccio sopra la testa e strinse il laccio in un nodo ben assicurato.
Visto in quel modo, con l’ingombrante cappuccio che gli copriva almeno tutti gli occhi e nessun capello chiaro a tradirlo, sembrava quasi un oscuro e prestante forestiero in visita temporanea.
Elia cercò di regolarizzare il respiro e di calmarsi, poiché sapeva cosa succedeva quando discutevano tra loro rimanendo col piede di guerra.
Il solo saperlo lontano da lei, là fuori, con chissà quali pensieri per la testa, la preoccupava da morire, senza contare i propri di pensieri nefasti.
Doveva apparire tranquilla per non farlo scappare, per salutarsi almeno in pace, con la promessa di chiarire la mattina seguente.
Talvolta, Rhaegar gli sfuggiva dalle dita prima che lei potesse accorgersene.
Perché così era abituato a fare da una vita.
- Dove hai intenzione di andare? – gli domandò serena, rimanendo seduta sul materasso.
A ciò, il Principe drago si sedette accanto a lei prima di risponderle. – Vicino agli accampamenti ci sono delle locande. Nulla di troppo malfamato.
- Bordelli?
Le labbra del giovane drago, l’unico connotato del suo volto che non era celato alla vista, si piegarono in una smorfia ferita. – Mi stai davvero facendo una domanda simile, Elia?
A ciò, la dorniana gli accennò a fatica un sorriso a metà tra l’amaro e il divertito. – Le puttane notano molti più dettagli, rispetto agli altri. Sono delle ottime osservatrici, ti smaschererebbero in un attimo – lo disse con una strana crudezza.
- Non ho intenzione di mettere piede in un bordello, neanche se fosse Arthur a pregarmi in ginocchio di farlo, lo sai bene.
Per il resto, sono abbastanza convincente, no?
Non stare in ansia.
Cerca di prendere sonno e ti prometto che domani mattina mi troverai accanto a te quando ti sveglierai – la rassicurò, seppur cosciente che quella fosse solo una magra consolazione per la sua sposa.
Ma aveva bisogno di cambiare aria, non poteva fare altrimenti.
Tutta quella situazione gli avrebbe fatto perdere la testa a breve se non fosse riuscito a catalizzare tutto ciò che gli stava accadendo, a riordinare le idee, e a capire quando fosse il momento di liberare la mente.
Per quanto Elia ci provasse con tutta se stessa, non riusciva a distrarlo da quelle allucinazioni, da quegli incubi sempre più vividi e reali.
Di notte, le guardie erano meno attente, se fosse uscito dal castello passando per i sotterranei nessuno se ne sarebbe accorto.
L’unico rischio palpabile rimanevano gli uccellini di Varys in giro per la città, ma dubitava che nel cuore della notte ce ne fossero molti in giro.
- Se sei abbastanza convincente mi chiedi? – ripeté quelle parole Elia, distraendolo dai suoi pensieri. – Come direbbe il buon Arthur: profumi di erede al trono. O puzzi di sangue nobile, dipende dal buonumore con il quale la tua fidata guardia del corpo si alza la mattina – rispose la principessa, facendo sorridere suo marito.
Quest’ultimo si avvicinò e le lasciò un dolce bacio sulla fronte. – Mi raccomando, cerca di dormire – la salutò rialzandosi dal letto e uscendo dalla stanza.
 
- Insomma, che ci facciamo qui, Bran, me lo spieghi?
- Lya, ti ricordo che sei tu che mi hai costretto a portarti con me sotto ricatto.
Io volevo semplicemente passare una nottata in una locanda per bere qualcosa di sostanzioso con altri cavalieri che parteciperanno al torneo, ma tu devi sempre metterti in mezzo, come al solito – le rispose Brandon sbuffando seccato, camminando nel buio.
- Quali problemi ti creo, scusa? Ti ho già assicurato che, non appena entreremo nella locanda, mi separerò da te.
E poi chi vuoi che mi riconosca conciata in questo modo? – gli chiese Lyanna fiera del suo operato, indicando il proprio, a suo parere, impeccabile travestimento.
Brandon si dilettò in una breve risata. – Ammetto che con quel cappello ridicolo nel quale hai infilato la tua ingombrante cascata di capelli, le bende intorno alle mani, i pantaloni da mendicante e il mantello da orfanello, sembri il mio scudiero.
Tuttavia, quel bel faccino da bambola ti tradisce, Lya.
Si vede che sei una ragazza.
- Ma che stai dicendo?? Viso da bambola a chi??
- In questo momento vorrei essere riuscito a convincere anche Ned a venire con me.
Mi renderebbe la tua presenza più sopportabile – disse il primogenito Stark rifilando un calcetto a tradimento sulla gamba di sua sorella.
- Ahi! Sei un animale, Bran.
E vorrei anche io che fossi riuscito a convincerlo – rispose ella fintamente stizzita, dandogli una spinta.
Le piaceva stare con Brandon. Oh, se le piaceva.
Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma era così, se ne era resa conto da un bel po’.
Nonostante ci fosse distanza tra le loro età, e lui si sforzasse sempre di comportarsi come un adulto, spesso rimproverandola al posto dei loro genitori, Lyanna amava ogni singolo istante che passava con quell’arrogante e cocciuto di Brandon.
Il perché non lo sapeva bene neanche lei, ma il solo pensiero che presto si sarebbe sposato e si sarebbe separato dalla famiglia, la faceva rabbrividire.
Non odiava Catelyn Tully, anzi, le piaceva, ma, al contempo, infantilmente ed egoisticamente, avrebbe voluto i suoi fratelli solo per sé, senza mogli a renderli più adulti e seri, né figli a prosciugarli e a responsabilizzarli.
Erano pensieri stupidi, degni di una bambina.
Tuttavia, non riusciva a fare a meno di formularli.
Per questo aveva deciso di costringere Brandon a portarla con sé quella notte, malgrado tutto, malgrado rischiassero di essere linciati da Rickard e da Lyarra Stark, se solo fossero stati scoperti.
In realtà rischiava cara la pelle anche Ned, poiché, nonostante avesse deciso di non accompagnarli, li stava comunque coprendo.
Malgrado tutto, non le importava, così come non le importava doversi dividere da Brandon una volta entrati nella locanda, poiché avrebbe comunque avuto il suo fratello grande vicino e avrebbe vissuto una nuova esperienza, dato che non era mai stata in una locanda, specialmente in una città straniera.
Era in fibrillazione all’idea di farsi passare per un maschio e di potersi comportare come accidenti voleva, senza preoccuparsi delle convenzioni, senza curarsi degli sguardi severi e fulminanti di sua madre, senza dover apparire qualcosa che non era.
Non appena arrivarono dinnanzi al luogo concordato da cavalieri e scudieri, Brandon si voltò a guardarla. – Sto rischiando molto, Lya. Lo sai, vero?
- Sì, lo so. Ma prometto che non ti darò alcun problema e non mi farò riconoscere – lo rassicurò con un sorriso a settantadue denti, che Brandon ricambiò solo a metà, scuotendo lievemente la testa in segno di resa e muovendo i primi passi per entrare, seguito da lei.
Improvvisamente, un tanfo di chiuso e di vino invase le narici della giovane Stark, facendole storcere il naso; in seguito, strizzò gli occhi più volte, accecata dalla luce delle lanterne che cospargevano la locanda, né piccola né eccessivamente spaziosa, troppo abituata al cielo buio che vi era all’esterno.
Le orecchie si abituarono velocemente alla confusione, a quel vociare indistinto di una stragrande maggioranza di voci maschili, esaltate, eccitate e su di giri per il vino, o forse per altro.
- Lya, ho cambiato idea – le rivelò Brandon muovendosi piano davanti a lei, guardandosi intorno lievemente allarmato. – Questo non è posto per te.
Non so per quale assurdo motivo mi sono lasciato convincere a portarti qui.
Non voglio che ti succeda niente.
- Avanti, Bran, non dire sciocchezze!
So perfettamente cavarmela da sola e confondermi tra questa gente!
Se dovesse succedere qualcosa e non mantenessi la promessa, ti do il permesso di non rivolgermi più la parola.
- Molto divertente.
- Sono seria, Bran – gli disse stringendogli la mano, sperando di rassicurarlo almeno un po’. – Va’ da loro. Io mi so muovere.
Dopo un lunghissimo istante in cui il primogenito Stark si prese il tempo di guardarsi per la decima volta intorno e di sospirare teso, le rispose. – Se provi a bere del vino ti sgozzo.
Lyanna sorrise raggiante e annuì. – Neanche una goccia!
- E smettila di sorridere come la personificazione di una farfallina svolazzante.
Se vuoi farti passare per un ragazzo, effemminato ma pur sempre maschio, devi sforzarti di assumere un tono di voce grave, rauco, di ridere ringhiando e di muoverti come un montone in una stalla di cavalli.
- Accidenti, Bran, hai davvero una considerazione così pessima di voi ragazzi?
Credevo fossi meno duro con te stesso – scherzò ella, sinceramente sorpresa.
- Sono serio, “Doen” – le rispose Brandon fulminandola
- Doen?? Sul serio, Bran? Non potevi scegliere un nome migliore? Non ti sei sforzato neanche un po’?
- Cos’ha che non va Doen? È un nome bellissimo, smettila di contestare le mie scelte e cammina, idiota di uno scudiero – le disse cominciando a dirigersi verso il tavolo in cui lo attendevano gli altri.
- Bran? – lo richiamò Lyanna istintivamente, vedendolo allontanarsi.
- Ci vediamo tra poco – la rassicurò il ragazzo rivolgendole un ultimo accennato sorriso e voltandosi nuovamente per raggiungere il tavolo, lasciandola sola.
A ciò, la giovane Stark si guardò intorno, cercando di individuare un tavolo libero, riuscendo a trovarne solo uno in tutta la locanda.
Sorrise sollevata, puntandolo con lo sguardo e cominciando a camminare verso quella direzione.
 
Il principe drago entrò nella prima locanda che capitò sulla sua strada, quella più vicina alla via che aveva seguito per raggiungere quella parte della città.
Senza esitazione, aprì la porta ed entrò, osservando la sala con circospezione, da sotto l’ingombrante cappuccio.
Quando ebbe deciso che era abbastanza gremita di uomini troppo annebbiati dagli effetti del vino per posare gli occhi su un forestiero incappucciato, vagliò i vari tavoli per trovarne uno libero, scorgendo l’unico ancora vuoto, fortunatamente nell’angolo meno affollato della locanda.
Si avviò verso di esso senza particolare fretta, accorgendosi solo una volta giuntovi dinnanzi, di non essere l’unico ad averlo puntato.
Quello che sembrava un ragazzino basso e dalla corporatura sottile, posò le sue iridi di ghiaccio su di lui, incerto.
Aveva un’energia negli occhi e nello sguardo, nell’irriverenza che traspariva dal modo in cui lo scrutava, che destabilizzò per un istante il principe drago, il quale realizzò in ritardo di essere solamente un semplice e sconosciuto estraneo agli occhi di quel ragazzo, non il futuro erede dei sette regni.
Notò irriverenza, ma anche una lieve paura, forse.
- Se lo avete visto prima voi, sedetevi pure.
Troverò un’altra locanda – si affrettò a dirgli il giovane principe, camuffando il suo tono di voce come era abituato a fare anche da ragazzino, rendendolo più cupo, toccando note basse alle quali normalmente non arrivava mai.
Fece per andarsene, ma prima che potesse essere abbastanza lontano da non poterlo più udire, la voce del ragazzo lo richiamò.
- Se siete costretto ad andare altrove, allora, posso condividerlo. Con voi.
Una voce strana.
A Rhaegar sembrò forzatamente roca, come se il timbro naturalmente cristallino del ragazzo fosse costretto a quella tortura a causa di un’irritazione alla gola, o a qualcosa che aveva inghiottito.
- Non c’è problema, davvero.
Ci sono molte locande qui intorno, non voglio disturbarvi – rispose il principe, riprendendo a camminare.
- Non mi disturbate.
Insomma, è un tavolo da quattro posti.
È troppo grande per me.
Il principe lesse come una strana supplica in quella richiesta, non capendone il motivo.
A quel punto, si voltò nuovamente verso di lui, riavvicinandosi al tavolo.
- Non aspettate nessuno? – gli chiese.
Il ragazzo fece no con la testa, prendendo posto al tavolo, per poi iniziare a guardarlo in attesa che si sedesse di fronte a lui.
Rhaegar lo accontentò.
- Anche voi siete qui da solo? – domandò il popolano fissandolo senza vergogna, provando a carpire ogni dettaglio di quel poco del volto offerto alla sua vista, celato per la maggior parte.
Quella sorta di curiosità, di fame di osservare, sorprese il giovane principe.
A quanto sembrava, il suo interlocutore non era uno di quelli in grado di rimanere in silenzio, poichè era palese sentisse la necessità di riempirlo in qualche modo, in qualsiasi modo.
- Sì, anche io sono qui da solo – gli rispose sinceramente.
- Posso chiedervi da dove venite? – domandò di getto il ragazzo.
A ciò, la mente di Rhaegar venne attraversata dall’idea non troppo remota di rialzarsi e di lasciare la locanda per cercarne un’altra, in modo da poter evitare gli sguardi e le domande invadenti di quel popolano.
Tuttavia, per il momento, decise di sviare il discorso in altro modo. – Avete la gola irritata, per caso? – gli domandò.
- Cosa? – chiese il ragazzino irrigidendosi.
- Vi siete irritato la gola con qualcosa? La vostra voce sembra dolorosamente arrochita.
- Sì. Ho preso molto freddo – si affrettò a rispondere il popolano, impacciato.
L’ultima cosa che voleva era metterlo a disagio, perciò decise di troncare l’argomento, ritornando in silenzio, sperando che questo non ricominciasse a porgli domande, poiché doveva esser chiaro anche al più giovane degli ingenui che condividere un tavolo non significasse dover socializzare o trascorrere una nottata in chiacchiere.
Più di ogni altra cosa, sperava vivamente che non se ne uscisse con una domanda come “perché nascondete il volto?”, poiché, in quel caso, non vi sarebbe stato più nulla ad impedirgli di alzarsi e di uscire da quella locanda.
- Come vi chiamate? – riniziò il ragazzo, imperterrito nel suo proposito di voler fare amicizia.
- Calen – rispose, usando lo stesso pseudonimo che aveva sempre utilizzato ad Approdo.
- Calen – ripeté l’altro come assaporandolo tra le labbra. – Conoscevo un ragazzino che si chiamava così, tempo fa. Era un orfano – commentò quasi senza accorgersene, con lo sguardo immerso nei ricordi.
- E voi, come vi chiamate? – ricambiò educatamente la domanda il principe.
- Doen.
Rhaegar affilò lo sguardo, ripetendoselo nella mente. – Strano nome. Non l’ho mai sentito – rispose, piacevolmente lieto che il suono di quelle due sillabe corrispondesse ai propri gusti.
- In questa locanda c’è una confusione assordante – si lamentò il popolano, poggiando la mascella sul palmo della mano delicata, in cima al gomito puntato sul tavolo, in un gesto scanzonato e incurante, ma, al contempo, estremamente femminile.
Rhaegar cominciò a dubitare che fosse davvero un ragazzo, sospettando che potesse trattarsi di un’orfana travestita per non avere problemi nel camminare da sola di notte e nel sostare in una locanda ricolma di uomini.
In ogni caso, preferì non indagare oltre, e lasciar ricadere quel dubbio nel vuoto, dato che non erano affari suoi, oltre al fatto che al mondo vi erano una miriade di ragazzini dai tratti e dalle movenze decisamente femminee e androgine, dunque, avrebbe potuto facilmente sbagliarsi.
- È una locanda, è normale che sia rumorosa – gli rispose distrattamente.
- Sì, lo so, ma alcuni urlano come se ne andasse della loro vita – commentò il popolano osservando un gruppo di uomini sbattere dei boccali colmi di vino su un tavolino, quasi spaccandolo, mentre sputavano ridendo a crepapelle.
- Sono gli effetti del vino.
- Non credevo che il vino fosse capace di trasformare un uomo in una bestia.
Da quelle parole, Rhaegar capì immediatamente che quel ragazzino non avesse mai ingerito un sorso di quel nettare rosso in vita sua.
- Non avete mai bevuto del vino, Doen? – deciso di esplicitarlo, stranamente ben disposto a conversare un po’ con quel fastidioso popolano.
Le guance di quest’ultimo si tinsero leggermente di rosso a tale domanda. – No. Mai. Voi, invece, immagino di sì – rispose alzando i grandi occhi grigi su di lui.
Rhaegar accennò un lieve sorriso e annuì. – Non amo avere i sensi offuscati dal vino, perciò cerco di evitarlo ogni volta che posso. Tuttavia, in alcune circostanze, è impossibile evitare di bere più di un bicchiere di vino.
Avrete modo di provare anche voi, Doen.
- Ed ora volete berne? Siete entrato nella locanda per bere del vino? – gli domandò il ragazzino curioso.
- In realtà, no, non ne ho voglia. Voi sì?
Doen abbassò lo sguardo, torturandosi le dita. – Vorrei provare ma ho paura che …
- Di diventare come quegli uomini che vedete in quel tavolo?
Non temete, se ne berrete solo in piccola quantità non vi sentirete molto diversamente da come vi sentite ora – lo rassicurò Rhaegar, lievemente divertito da quell’atteggiamento ora tanto impacciato.
Non sapeva se fosse lui stesso, la sua figura nascosta e incappucciata ad intimidire quel popolano, oppure se si atteggiasse così con qualsiasi sconosciuto.
- Quanti anni avete, Doen? – domandò il principe prendendo a fissare disinteressato una coppia di amici sfidarsi in una gara di bevute.
Tutto quel clamore stava sortendo l’effetto sperato.
Le allucinazioni e gli incubi lo avevano momentaneamente abbandonato, poiché la sua mente era ora distratta da troppe voci, troppi stimoli diversi.
- Quasi quindici – rispose l’interpellato, facendo sorridere ancora il principe, il quale percepì immediatamente il suo desiderio di fingersi più grande.
- Dunque, quattrodici – precisò, tornando a guardarlo.
Doen distolse lo sguardo mettendo su un malcelato e simpatico broncio, prima di rivolgergli la stessa domanda. – E voi quanti anni avete?
- Voi quanti credete ne abbia? – gli domandò Rhaegar scoprendo che provava un leggero gusto nel metterlo in difficoltà.
Doen prese ad osservare tutta la sua figura con attenzione, riflettendo. – Beh, considerando che riesco a vedere solo la parte inferiore del vostro viso, dalla bocca al collo, e che posso cogliere altre informazioni solo dalla vostra statura e forma fisica, direi che è un po’ difficile capirlo.
- Avete dimenticato la voce – gli fece notare il principe. – La voce dice molto di una persona. Forse quasi tutto.
A ciò, Doen gli rivolse un sorriso più sicuro di sé rispetto agli altri. – Ma non l’avevo dimenticata. La vostra voce è il primo dettaglio che ho soppesato.
Insomma, avete una voce che è … molto difficile da non notare.
Rimane impressa nelle orecchie come inchiostro – disse il ragazzino sorprendendosi delle sue stesse parole. – Non credo che la dimenticherò facilmente quando ci saluteremo – confessò infine.
A tali parole, Rhaegar rimase ammutolito.
- Ad ogni modo, dalle poche caratteristiche che riesco a cogliere di voi, direi, forse, che abbiate poco più di vent’anni.
Quella risposta così vicina all’esattezza sorprese ancor di più il giovane drago.
- Insomma, dico poco più di venti perché, nonostante siate molto alto, da quel poco che riesco a vedere del vostro viso, i vostri lineamenti mi sembrano molto giovani, di certo non maturi. E poi, la vostra non è la voce di un uomo, ma di un ragazzo – spiegò il popolano.
 - Avete indovinato – rispose Rhaegar dopo qualche istante di attesa.
- Davvero??
Il principe annuì, per poi vedere Doen voltarsi verso la locandiera impegnata a riempire i boccali degli uomini al tavolo accanto al loro, e richiamarla, ostentando una rudezza che non gli apparteneva. – Ehi, donna! – esclamò, facendosi notare da lei.
- Sì, giovanotto? – rispose la bella donna di mezza età, voltandosi verso di lui, puntando le mani sui fianchi abbondanti.
- Potrei avere del vino? – domandò improvvisamente audace, sorprendendo piacevolmente Rhaegar, il quale non riuscì a non farsi scappare un accennato sorriso divertito.
La locandiera alzò il sopracciglio contrariata. – Prendete ancora il latte da vostra madre e volete del vino??
- Ehi, sono disposto a pagare per averlo! – si lamentò il giovane cliente.
- Non ne dubito, dolcezza – rispose la donna sorridendo divertita, per poi sporgersi verso un tavolo che si era appena svuotato, nel quale erano rimasti diversi boccali sporchi degli ultimi residui di vino. Prese uno di quel boccali e lo poggiò sul loro tavolo con poca grazia, prendendo a riempirlo di vino con la caraffa che aveva in mano.
Una volta riempito il bicchiere a metà, la donna tolse la caraffa e guardò il giovane popolano. – Spero non siate schizzinoso. Abbiamo finito i boccali – gli disse provocatoria, per poi posare lo sguardo sulla figura di Rhaegar. – E per voi, “misterioso viandante incappucciato”? – gli domandò con pungente e annoiato sarcasmo.
- Nulla, grazie.
A ciò, la donna girò i tacchi e ritornò dietro il bancone, lasciandoli nuovamente soli.
- A cosa è dovuto questo slancio di spavalderia? – domandò Rhaegar punzecchiando il popolano, vedendolo rigirarsi il boccale tra le mani incerto.
- Ve l’ho detto, Calen, volevo provare – gli rispose avvicinando le labbra piene e rosse al boccale e cominciando a bere qualche sorso di quel liquido rosso, assumendo immediatamente una smorfia buffa e infantile che fece sorridere il principe.
- Se è la prima volta che lo bevete, andateci piano.
Non vorrei vedervi stramazzare a terra alla veneranda età di quattordici anni.
A ciò, Doen gli rivolse un’altra occhiata fintamente offesa, mentre ne beveva altri due sorsi. – Non è male – commentò assaporandolo.
- Qualcosa mi dice che state mentendo.
Il popolano lo guardò sorpreso in risposta, poggiando il boccale sul tavolo, arrendendosi. – Mi avete beccato. Lo odio. Come fanno a bere questa roba?? Sa di uva rancida!
A quelle parole, Rhaegar si lasciò andare ad una spensierata risata, forse la prima davvero spensierata da mesi.
Quando smise di ridere, trovò il ragazzino davanti a lui intento a fissarlo, immobile, con la bocca schiusa e le guance molto più rosse rispetto a poco prima.
A quanto sembrava, quei tre sorsi avevano già sortito il loro effetto.
 
Lyanna non riusciva letteralmente a staccare gli occhi da quel giovane uomo incappucciato dinnanzi a lei.
Sperava con tutto il suo cuore di non essere stata smascherata, di esser riuscita a fingersi un ragazzo con successo, poiché sentiva che sarebbe potuta sprofondare metri sottoterra se quel Calen avesse scoperto che si faceva passare per un maschio.
Dopo solo alcuni sorsi di quella tremenda bevanda, sentiva già la testa girarle parecchio, ed era come se tutte le sue emozioni e i sensi le si fossero accentuati esponenzialmente.
Per gli dèi  pensò.
Non aveva mai provato sensazioni simili dinnanzi a qualcuno.
Si disse che sicuramente era colpa di quel diabolico vino.
Ma, in quel momento, non le importava se quello che percepiva intorno a lei sembrasse tanto soffuso da confondersi con un sogno, un sogno bello e bizzarro.
Non le importava se, un secondo dopo, si fosse svegliata nel suo letto accorgendosi che non era accaduto nulla di tutto ciò, e che quel viandante estremamente riservato e affascinante fosse stato solamente partorito dalla sua mente fantasiosa.
Tutto ciò che le importava, era che voleva continuare a rimanere lì con lui, a parlargli, a sentirlo parlare e a guardarlo.
La testa le pesava troppo, perciò poggiò la mascella sul palmo della mano aperta, con il gomito ben puntato sul tavolo e gli occhi fissi su di lui, sentendo di non possedere più alcun pudore e freno inibitorio.
- Voi non siete tipo da posti come questi, Calen – non glielo disse in tono interrogativo, ma come affermazione.
Lo vide schiudere le labbra dalla forma elegante, chiare come era chiara la sua pelle, dalla quale la giovane lupa non era in grado di distogliere lo sguardo.
Osservava la curva del collo nascosta dall’ombra del cappuccio, la linea della gola, dell’inizio della clavicola, la forma della mascella, del mento, di quella porzione di volto che si sarebbe incisa nella mente a sangue in un momento di perdizione come quello.
Non sapeva cosa le stesse succedendo, ma non aveva intenzione di chiederselo e di indagarlo in quel momento.
– No, non lo sono – le rispose Calen, dopo una lunga pausa.
- E allora perché siete qui?
- Potrei rivolgervi la stessa domanda, Doen.
- Ho capito. Ho inteso che non vi piace parlare di voi.
Tuttavia, non riesco a fare a meno di porvi domande.
- Ho notato – rispose egli sorridendo. – Doen, vi sentite bene? Non sembrate affatto lucido.
- Sto benissimo – si affrettò a rispondergli, sistemando più comodamente il viso nel palmo della mano. – Siete così diverso da tutti gli uomini che sono qui dentro …
Siete così diverso da far sembrare doloroso persino parlare con voi.
- Mi conoscete da nemmeno mezz’ora. In che cosa vi sembro tanto differente?
Lyanna vi pensò su per qualche istante. – Siete silenzioso, discreto, sfuggente, educato, gentile, accorto, avete una strana e brillante ironia, un modo di parlare palesemente altolocato, acculturato, ma inconsapevole di tutto ciò. Non ostentate nulla di ciò che vi rende superiore agli altri, anzi, tentate di nasconderlo.
Lo vide come esitare.
Non seppe con quale lucidità riuscì a dire tutto ciò.
- Siete bravo ad inquadrare gli sconosciuti, questo devo concedervelo – gli rispose poggiando anch’egli i gomiti sul tavolino, ma lasciando gli avambracci stesi, incrociati tra loro.
Quel giovane straniero era anche sicuro di sé, cosciente del suo fascino, a quanto sembrava. Tuttavia, non se ne approfittava, e Lyanna non poté fare a meno di pensare che, al suo posto, invece, avrebbe usato quel talento in infiniti modi diversi, in primis per ottenere tutto ciò che voleva senza dover sudare sangue per ogni richiesta troppo “sconsiderata”, oltre ciò che le era concesso.
- Raccontatemi qualcosa, Calen – gli chiese, sforzandosi di tenere gli occhi aperti per non distogliere lo sguardo da lui, nonostante le sue palpebre protestassero.
- Raccontarvi qualcosa?
- Mi piace la vostra voce – ribadì, sentendo il bisogno di farlo. – Potreste incantare anche i sassi con quella voce – aggiunse sorridendo senza motivo.
Il viandante sorrise. – Lusingato dalle vostre parole.
- Mi piacerebbe ascoltare anche quella vera.
- Cosa avete detto?
Lyanna stava parlando senza pensare, assolutamente fuori controllo, ed era come se la sua mente non avesse il tempo di riprendersi e di metabolizzare ciò che il suo corpo lasciava sfuggire senza preavviso. – Ho detto che mi piacerebbe ascoltare anche la vostra vera voce – ripeté la giovane lupa. – Non che anche questa non sia la vostra voce, ma percepisco che la macchiate, distorcendola di proposito.
Non è fastidioso, mi piace molto questa voce.
Però, gradirei ascoltare anche quella reale – disse con naturalezza, vedendolo ammutolire di nuovo.
- Miei signori – li interruppe un’anziana donna con l’aspetto di una mendicante, ma con un velo rosso di buona fattura a coprirle i capelli grigi, un tessuto che lasciava presagire non si trattasse di una semplice stracciona.
Il suo volto era ornato da un bel sorriso, le labbra sottili dipinte di rosso e alcune collane di perle arricchivano anche il collo chiaro.
Lyanna pensò che doveva essere stata una bella donna in giovane età.
- Volete che vi legga la mano? – chiese la nuova arrivata esponendo le mani magrissime, rugose e con delle unghie smaltate e appuntite che le facevano sembrare degli artigli.
Lyanna stava per risponderle cordialmente di no, ma non fece in tempo a farlo, poiché Calen acconsentì, anticipandola. – Quanto volete? – le domandò tirando fuori una sacca con alcune monete dentro.
- Siete molto gentile, giovanotto – lo ringraziò lieta l’anziana signora, prendendo posto accanto a lui. – Mi basterebbe un pasto caldo.
A ciò, Calen richiamò la locandiera e le chiese di portare loro qualcosa di caldo da mangiare.
Dopo che la vecchia mangiò a sazietà, osservando di tanto in tanto sia la giovane lupa, sia il gentiluomo che l’aveva accolta, si pulì velocemente mani e bocca con un tovagliolo e si voltò verso Calen, inclinando il viso.
- Riesco a vedervi – gli disse improvvisamente.
- Come? – le domandò lui in risposta.
- Riesco a vedervi nonostante l’ingombrante presenza del mantello che usate per celarvi – ripeté sorridendogli con un’intimità che soprese sia Lyanna, che l’interpellato.
- Coraggio, porgetemi le vostre mani – lo spronò ella, allungando gli artigli verso di lui.
Lyanna lo vide poggiargli le mani sopra le sue come a rallentatore, mentre la testa le pesava sempre di più.
La donna accarezzò quelle dita d’avorio affusolate, osservandole attentamente.
Tracciò con il polpastrello le linee di quei palmi con una lentezza quasi esasperante.
- Celerai il tuo aspetto ancora a lungo.
Lo farai non per nasconderti, ma per sopravvivere a te stesso.
Cercherai di soffocarti, di annientarti con tutte le tue forze.
Tornerai qui, tornerai per trovare delle risposte che non ti piaceranno – disse la donna tutto d’un fiato.
Poi, improvvisamente si bloccò e sgranò gli occhi.
Lyanna la osservò in aspettazione, fissando ogni cambiamento, ogni movimento di muscoli del suo volto espressivo, di quelle iridi sanguigne che osservavano quei palmi stringendoli come fossero di sua proprietà.
Dopo un’attesa quasi infinita, la vecchia signora fece scattare il volto verso di lei, spaventandola quasi.
La fissò stralunata, contrita, come impaurita, poi si voltò in un lampo verso il viso semicoperto del suo cliente, riservando ad egli lo stesso tremendo sguardo.
Lyanna non ebbe il tempo di metabolizzare per quanto scossa.
La vecchia donna si alzò in piedi ed uscì dalla locanda senza dire nulla.
Dopo qualche secondo di totale immobilità, Calen si mosse, alzandosi a sua volta dal tavolo, rivolgendole solo un fugace sguardo prima di sparire dalla sua vista.
– Devo andare anche io.
È stato un piacere, Doen.
 
 
 
 
 
 
   
 
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