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Autore: clairemonchelepausini    11/04/2020    1 recensioni
Tutto quello di cui avevano bisogno era del tempo, avevano dovuto ricorrersi senza mai trovarsi e stringersi.
Aspettavano un segno che sembrava non arrivare, attenzioni che venivano deviate e un amore che ritornava indietro.
Tutto quello di cui avevano bisogno era lì, davanti a loro ma erano troppo spaventati per rincorrerlo e prenderlo.
Bellamy e Clarke c’erano sempre stati l’uno per l’altro, si capivano senza bisogno delle parole, ed erano migliori se stavano insieme.
Questo sarebbe bastato? Sarebbero riusciti a dirsi quello che provavano?
Due persone che il destino aveva deciso di mettere alla prova, ma con la consapevolezza che indipendentemente dal tempo, dallo spazio o dalle situazioni sarebbero finiti per stare insieme, diretti l’uno nelle braccia dell’altro, nell’unico posto in cui avevano bisogno di rimanere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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NOTE
 Iniziativa: Questa storia partecipa all'evento  Lock DEown a cura di We are out for prompt
★ Prompt/Traccia : Bellamy/Clarke: ” Era terribilmente testarda, ma d’altro canto lo  era anche lui” di Elisabetta Leonardi
(POST 5X13)




 

 
Era così diverso essere insieme, sapere che la salvezza del loro popolo dipendeva solo ed esclusivamente dal loro e da nessun altro.
Rimasero mano nella mano a guardare nell’oblò della nave quella meravigliosa immagine spaziale che gli si presentava davanti; nonostante ciò pensavano che se fossero arrivati lì erano solo perché avevano lottato insieme.
«Bellamy, adesso che cosa facciamo?» domandò con un filo di voce Clarke, consapevole di doversi mostrare più forte.
«Non lo so, ma lo scopriremo insieme» rispose sicuro lui, cercando di trasmetterle quel senso di pace che provava.
Era bastato quel semplice tocco, la scintilla negli occhi, un sorriso caldo e frasi di rassicurazione per tornare indietro e ricordarsi chi erano e cosa potevano diventare.
Avrebbero dovuto parlare, ma entrambi scelsero la via più facile e si allontanarono fissando un appuntamento l’indomani mattina.


 
*********
 


Clarke entrò nella cabina facendo attenzione a non svegliare Madi, poi si buttò sul letto e sperò di crollare, ma la sua mente aveva un’altra idea.
 Iniziò a ricordare avvenimenti vecchi, momenti che aveva condiviso con Bellamy, emozioni che erano state in grado di darle solo lui lottando contro se stessa per non ammettere la verità
 
“Perché deve essere tutto così complicato” sussurrò ad alta voce, ma più che altri a se stessa, passando una mano tra i capelli e chiudendo gli occhi, sperando che il sonno arrivasse presto.
 
Non molto lontano da lei anche Bellamy stava faticando ad addormentarsi, gli era bastato mettersi nel letto per sentire il suo cuore sussultare, ricordare e non dimenticare.
Era stanco davvero, quell’ultima corsa contro il tempo l’aveva privato di ogni energia, al contrario della sua mente che sembrava più che funzionante.
Chiuse gli occhi e impose a se stesso di rilassarsi.
 
“Non è possibile” ammise frustato, alzandosi dal letto e iniziando a camminare avanti e indietro.
 
Quella piccola diatriba sembrò calmarlo, rimase ancora un po’ a passeggiare per la stanza, poi s’incamminò di nuovo verso il letto e ci si buttò.
 
«Devi perdonarla» affermò Madi, guardando quell’uomo testardo di cui aveva tanto sentito parlare.
«Ora non è il momento, Madi» replicò sbrigativo Bellamy, lanciandole un’occhiata per poi tornare a guardare il prato nel quale dovevano arrivare i suoi amici.
«Hai la minima idea di quanto lei ci tenga a te?»
«Talmente tanto da lasciarmi a morire in un’arena» disse duro lui.
«Quello è stato un errore. Quanti errori hai fatto tu per proteggere la tua odorata sorellina?»
«Era diverso»
«Ne sei sicuro?»
«Non te lo dovrei dire, ma quando eravate sulla navicella, ti ha chiamato con la radio ogni giorno, per sei anni» confessò Madi sotto lo sguardo esterrefatto di Bellamy che continuava a guardarla come un ebete.
No, non poteva crederci.
Appena credeva di conoscere Clarke ecco che le cose cambiavano, che tutto si ribaltava e, ancora una volta si trovavano su due fronti opposti e lontani.
«Non lo sapevi, vero?» e, non fece in tempo a finire quelle parole che lui si volse indietro a guardala.
 
Quel ricordo lo colpì con ferocia, lui scattò subito e si alzò rimanendo seduto nel bordo del letto e con gli occhi sbarrati. Non poteva crederci di averlo dimenticato.


 
********


 
Clarke si rigirava ancora nel letto sperando di addormentarsi, ma i ricordi tornavano a tormentarla.  Sconfitta si rivestì e uscì dalla porta, ma fece appena in tempo a girare l’angolo che si scontrò con una figura che, solo dopo aver alzato gli occhi, riconobbe.
«Bellamy» ammise stupita e con voce stridula, più di quanto avrebbe voluto.
«Perché non me lo hai detto?» domandò accusandola e allungando un dito per evidenziare il contesto.
Lei lo guardò, cercò davvero di capire ma gli sfuggiva il significato di quella frase.
«Che cosa… che cosa dovevo dirti?»
«Che… che quando noi eravamo sulla navicella mi hai chiamato con la radio tutti i giorni per sei anni» ribadì arrabbiato lui sotto lo sguardo scioccato di Clarke.
«Chi te l’ha detto?», ma era ovvia anche la risposta, nessuno dei due si soffermò a quello che in realtà significava.
«Che importanza ha?»
«Rispondimi Clarke» chiese quasi con supplica, ma non poteva farlo, proprio come lui non lo avrebbe mai ammesso.
«Non ha importanza» sminuì lei, spostando quell’argomento con un' alzata di mano e roteando gli occhi verso il cielo.
Sembravano due bambini, ma forse persino loro si sarebbero comportanti in modo più maturo.
Bellamy prese il suo viso tra le mani, la costrinse a guardarlo e chiese ancora e ancora perché, doveva avere una risposta. No, non se ne sarebbe andato senza.
Era terribilmente testarda, ma d’altro canto lo era anche lui.
Clarke tenne fisso il suo sguardo negli occhi di lui, ci riuscì, ne era fiera ma quando dietro quell’espressione curiosa vi lesse altro, cambiò radicalmente.
«Perché stavi con Echo» urlò frustata, scostando il proprio viso alla sua presa e andandosene senza che lui la fermasse.
   
 
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