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Autore: Stella cadente    11/04/2020    5 recensioni
Hogwarts, 2048: dopo la Seconda Guerra Magica e una lunga ricostruzione, la Scuola di Magia e Stregoneria è di nuovo un luogo sicuro, dove gli studenti sono alle prese con incantesimi, duelli con compagni particolarmente odiosi, le loro amicizie e i loro amori – come qualunque giovane mago o strega.
Ma Hogwarts cova ancora dei segreti tra le sue mura; qualcosa di nascosto incombe di nuovo sul mondo magico e sulla scuola, per far tornare un conto in sospeso rimasto sepolto da anni...
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«Che cosa gli è successo?»
Il Preside sospirò.
«Anni fa, Black era Preside, ma... ben presto fu chiaro a tutti quale fosse la sua reale intenzione. Non voleva fortificare Hogwarts, bensì renderla più intollerante. Tutti noi insegnanti abbiamo temuto, finora, che tornasse. Io l’ho sconfitto ed esiliato, ed io l’ho privato di quello che era il suo posto. Un posto ambito, e soprattutto influente.»
[...]
«Ascoltami, Elsa» riprese, con tono cupo. «Fa’ attenzione, soprattutto al tuo potere. C’è bellezza in esso, ma anche un grande pericolo.»
Pausa.
«Ricorda», aggiunse, «la paura sarà tua nemica.»
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 45.

 
 
«Lily» quella voce la raggiunse ormai familiare, e la ragazza si voltò, sgranando i suoi grandi occhi verdi.
Le prime luci dell’alba erano comparse, e lei, Merida, Elsa e Melicent stavano aspettando il momento opportuno nascoste nella casa – quella che era sempre esistita nella Foresta Oscura – in religioso silenzio.
Lei ci andava spesso, anche quando non aveva ancora chiaro a che cosa servisse – anche quando non aveva chiaro che c’era un libro particolare, che fungeva da collegamento tra Hogwarts e Skià: ci andava quando voleva restare sola, e da quando aveva messo piede alla scuola di magia lo era sempre stata troppo.
«Sei pronta?» le chiese con delicatezza Pitch Black. L’aveva trattata così sin dal primo momento, sin da quando le era apparso la prima volta; in fondo, forse sapeva che lei era persa, bisognosa di amore.
Ma sì che lo sa. Lo ha sempre saputo.
Non rispose, comunque.
Il suo potere era la luce, certo; ma dentro, dentro, si sentiva più spenta che mai.
 
 
«Non posso iscriverti ad una scuola in cui imparerai solo come usare queste mostruosità.»
Sua madre – Gothel – le rispose in quel modo, quando le disse che aveva ricevuto la lettera di Beauxbatons. Ovviamente la Preside, Madame Maxime, l’aveva osservata a lungo tramite i suoi gufi, e si era premurata di segnalarle quanto fosse rimasta piacevolmente sorpresa da quello che sapeva fare. Aveva ammirato i suoi capelli che si sollevavano non appena lei iniziava a cantare, il modo in cui le fluttuavano attorno alla testa e riparavano i danni che la ragazzina faceva – come aver rotto un vaso o scardinato accidentalmente una porta con la magia.
Ma sua madre non era d’accordo.
«Il mondo è un posto insidioso, Rapunzel» le disse. «E se vai a quella scuola, entrerai a contatto con altri ragazzi che sanno fare quelle… cose» pronunciò la parola “cose” con disprezzo. «Anche tu diventerai un mostro.»
La sua voce l’ammutolì, come sempre, e lei non replicò, inerme.
 
Quando la Preside era venuta a prenderla a forza, però, sua madre non aveva fiatato. Aveva guardato con espressione stizzita lei che se ne andava, come se le stesse facendo un torto imperdonabile. Le si era spezzato il cuore, nel vederla così: sua madre era l’unica che la volesse, l’unica che la proteggeva sempre. L’unica che la faceva sentire compresa, quando gli altri ragazzini del quartiere non facevano che prenderla in giro per via del suo nome e dei suoi capelli.
Fino a che Gothel non cambiò, negli anni successivi all’iscrizione a Beauxbatons.
 
 
«Ti conviene non uscire di casa, mai; tutta la città parla di te, Rapunzel» le disse, velenosa. Sembrava una biscia infuriata, tanta era la bile con cui aveva pronunciato quella frase.
«Ma non ci è concesso usare la magia al di fuori della scuola» la rassicurò la ragazza. «E poi non mi importa di quello che dice la gente di Mirepoix. Davvero. Non c’è problema» disse, con voce dolce, avvicinandosi a lei.
«Non toccarmi» indietreggiò sua madre, guardandola quasi con disgusto.
Rapunzel le voleva dare un abbraccio, ma quel modo in cui si era allontanata – il modo in cui l’aveva guardata – la bloccò all’istante. Sua madre la odiava. La odiava perché frequentava Beauxbatons. La odiava perché era... quello che era.
Quella consapevolezza fu talmente atroce che la paralizzò.
 
 
«Mia madre non vuole parlarmi più» confessò, all’inizio del suo terzo anno scolastico. «Non so se vorrò tornare a casa, la prossima estate. Pensi che potrò rimanere qui?» chiese a Belle, la sua migliore amica. Lo fece di getto, come faceva sempre, aspettandosi uno dei suoi soliti consigli razionali e la sua voce pacata che diceva “pensaci bene, Punzie, non agire di impulso come tuo solito”.
«Assolutamente sì» disse invece la ragazza.
«Beh, certo, sapevo che me lo avresti detto, ma... cosa?» si interruppe subito.
«La penso come te» disse semplicemente Belle. «Per una volta, non mi sembra una follia quello che stai dicendo. E poi, conoscendoti, penso che tu abbia fatto di tutto per riappacificarti con lei. Se non ha funzionato...» lasciò cadere la frase, stringendosi i libri al petto in quel suo gesto caratteristico. «Ecco» si fermò all’entrata dell’aula, approfittando dello sciamare degli studenti per finire il discorso. «Io credo che lei non capisca, semplicemente. Non devi fargliene una colpa» le suggerì saggiamente, «ma penso anche che tu abbia il diritto di stare bene, Punzie» concluse, sistemandosi il fiocco blu che le raccoglieva i capelli castani.
«Grazie, Belle. Sai sempre cosa dirmi» fece lei, con un sorriso dolce.
«Figurati. Ora andiamo» le rispose l’amica. «O arriveremo in ritardo. E sai quanto io odi arrivare in ritardo a lezione.»
Rapunzel alzò gli occhi al cielo. «Lo so.»
Rise, poi, un po’ per la sensazione di sollievo che le aveva dato la risposta di Belle; un po’ per essere di nuovo a Beauxbatons, dove si sentiva bene.
Era felice.
 
 
Beauxbatons era diventata la sua casa. Era libera in mezzo agli incantesimi che imparava, fiera di essere sé stessa mentre volteggiava felice in mezzo alle farfalle di luce che produceva con uno schiocco di dita. Le piaceva starsene nella biblioteca della scuola, dalla cui immensa finestra di vetro – un vetro così trasparente che sembrava fatto di ghiaccio – si poteva vedere tutta la Francia, e provare gli incantesimi che riusciva a fare senza usare la bacchetta.
Una volta, solo battendo le mani, tra i suoi palmi era arrivata a produrre un tripudio di scintille, come tanti piccoli raggi di sole; avevano preso la forma di un grande ricciolo luminoso, e avevano iniziato ad avvolgersi attorno a lei come un drappo. Si erano dissolti subito, ma non poteva sentirsi più fiera di quello che, con le sue sole mani, aveva creato.
La Tassorosso sorrise al ricordo, ma fu un sorriso triste, il suo. Aveva creduto di poter fare qualcosa di positivo, con il suo potere, ma da lì a poco sarebbe successo quello che l’avrebbe fatta davvero diventare un mostro.
Forse, un mostro, lei lo era sempre stata.
 
 
Il quinto anno a Beauxbatons era quasi terminato. Era aprile, e nel sud della Francia la primavera si faceva sentire con un sole caldo e un’aria frizzantina: Rapunzel ringraziò la decisione della sua Preside di aver reso obbligatorie delle divise piuttosto leggere. Solo camminando nel grande atrio, poteva avvertire il vestitino di seta azzurra appiccicarsi alle cosce. E menomale che era stato fatto un incantesimo refrigerante: non osò immaginare come fosse la situazione una volta uscita dall’edificio. Aveva appena finito il compito di recupero di Difesa contro le Arti Oscure, e doveva raggiungere Belle per mettersi d’accordo per quella sera: avrebbero seguito Grimilde, una ragazza olandese che, secondo Belle, nascondeva qualcosa.
Belle era fatta così: quando veniva colpita da una delle sue intuizioni, ci teneva ad andare fino in fondo. A quanto pareva, girava voce, tra gli studenti, che quella ragazza facesse esperimenti magici piuttosto sconsiderati, data la giovane età; e, in qualità di Governeure, Belle era determinata nel rendere nota la cosa. Ormai l’aveva presa sul personale, e Rapunzel sapeva già in anticipo che non ci sarebbe stato verso di farle cambiare idea. Sarebbe stata disposta a tutto, pur di chiarire i suoi dubbi.
Quando arrivò nella grande piazza davanti all’edificio, però, davanti a lei c’era un capannello di studentesse, radunate intorno a qualcosa, che subito la insospettì. Rapunzel avvertì un senso di allarme, un’ansia strisciante che le punzecchiava il cervello, e che aumentava man mano che si faceva spazio tra le sue compagne.
Fino ad arrivare davanti a quello spettacolo disarmante.
Belle era al centro della cerchia di ragazze, raccolta su sé stessa. Gli occhi erano sbarrati, le braccia piene di tagli contornati di blu. E, vicino a lei, una mela rossa immersa in un liquido azzurrino. Una professoressa – Madame Dubois – esaminava il frutto tenendolo sospeso in aria, avendo cura di non toccarlo.
Vedere la sua amica in quello stato fece scattare qualcosa, dentro di lei.
«Posso curarla!» si lanciò, piazzandosi in preda al panico davanti alla professoressa. «Davvero! Mi lasci fare!»
Non aspettò nemmeno che le desse il permesso, perché la luce ruggiva nelle sue mani, nella sua testa, in ogni singola cellula del suo corpo. E voleva essere liberata, perché lei lo avrebbe fatto per Belle.
I suoi lunghissimi capelli biondi si sollevarono spontaneamente, iniziando a fluttuare e ad illuminarsi; subito dopo, senza più controllo, si agitarono impazziti, producendo una luce sempre più forte.
Rapunzel chiuse gli occhi, spaventata, ma quando li riaprì, intorno a lei c’era solo cenere.
 
 
I titoli del “Le Monde Magique” non avevano mai riportato della ragazzina che, in un impeto di magia incontrollata, aveva letteralmente carbonizzato una decina di compagne e un’insegnante; Madame Maxime, però, aveva ritenuto comunque opportuno non farla entrare più a scuola – sia perché la riteneva pericolosa, sia perché il consiglio scolastico aveva fatto pressione su di lei per non ammettere più Rapunzel Corona a Beauxbatons.
Per un intero anno, a dir la verità, Rapunzel non aveva mai preso in considerazione di tornare a scuola in generale.
Fino a che un mago dagli occhi gialli non l’aveva convinta.
 
Se ne stava seduta in quel locale in stile medievale che c’era a Mirepoix – quello in cui andava le poche volte in cui usciva durante le vacanze – quando lo vide. Era alto, talmente magro che sembrava a malapena esistere, con il naso aquilino e gli occhi che sembravano gialli. Lo vide di sfuggita da dietro le pagine del suo libro – uno degli stessi che aveva letto e riletto – mentre si avvicinava e le si sedeva di fronte.
«Ciao.»
«Vattene via» gli rispose subito, piantando gli occhi verdi nei suoi. «Oppure inizio ad urlare» fece, serissima.
Quelle parole non sembrarono spaventarlo, però, e Rapunzel si irrigidì, stringendo le dita attorno al suo libro. «Voglio solo parlare» le disse lo sconosciuto. «Visto e considerato che hai abilità particolari.»
Adesso aveva decisamente paura. Come faceva, lui – chiunque fosse – a saperlo? Era sempre stato il suo segreto… neanche i giornali ne avevano parlato. Che Gothel lo avesse detto in giro?
Sua madre non si era fatta neanche trovare a casa, se era per questo; quando era tornata, con l’intenzione di dirle ciò che era successo, aveva trovato la casa vuota. L’aveva lasciata da sola, senza nemmeno un messaggio con su scritto dove fosse andata: probabilmente aveva ricevuto una chiamata da Madame Maxime, che le aveva detto che sua figlia era una specie di pericolo pubblico.
Adesso era passato un anno, e di Gothel nessuna traccia.
Rapunzel non la biasimava per questo: in fondo, lei era stata la prima a voltarle le spalle, andando a vivere direttamente a scuola.
In quel momento, una lacrima scese lenta sulla sua guancia rosea; era una pessima persona. Aveva abbandonato sua madre, che anche se la disprezzava le dava comunque da mangiare, le dava un posto dove dormire e le pagava tutti i libri per Beauxbatons. Si sentiva solo una ragazzina ingrata.
«Come fa, lei, a sapere di quello che so fare?»
«Riesco a sentirlo» si limitò a risponderle il mago sconosciuto, enigmatico. «E credo di avere delle risposte. Presumo che avrai delle domande» la incalzò.
Decisamente sì, fu tentata di dirgli. Invece serrò le labbra. «Può darsi» disse solo.
«Come ti chiami?» le chiese lui.
«Rapunzel» rispose, un po’ addolcita dal modo calmo in cui lo sconosciuto le si rivolgeva. Aveva un modo di parlare calmo, come se comprendesse la sua fragilità semplicemente guardandola negli occhi.
Rapunzel aveva un disperato bisogno di contatto umano: aveva compiuto sedici anni da poco, ma, dentro di sé, sapeva perfettamente che si sarebbe sentita una marziana, in mezzo a ragazzi della sua età.  Era sorprendente come una persona mai vista prima sembrava comprendere il suo dolore e il peso di quella situazione.
«Io sono Elias Black» si presentò il mago. «Ma sono stato – e sono ancora – conosciuto con un altro nome» concluse, criptico.
«Come potrai aiutarmi?» altre lacrime si erano affacciate ai suoi occhi grandi; era così bello parlare con qualcuno. Fissò il mago negli occhi, focalizzandosi sul suo volto affilato e le sue iridi color topazio che la scandagliavano, curiose.
«La luce ha proprietà curative, ma è anche in grado di produrre gli effetti più devastanti. Devi imparare a controllarla, ad usarla» rifletté, accompagnandola nei suoi ragionamenti. «Tu sei una guaritrice. Ma avverto energie negative. Devi tornare alla tua vera natura, e l’unico modo per farlo è tornare ad una vita normale.»
 
Se solo qualcuno le avesse detto che tutto ciò era stato appositamente orchestrato per farla combattere contro Hogwarts, si sarebbe tirata indietro – perché lei voleva fare ciò che era giusto, sempre. L’episodio avvenuto a Beauxbatons poteva anche essere stato insabbiato dai giornali, ma per Rapunzel sarebbe sempre stato una macchia indelebile, una croce che avrebbe portato per tutta la vita.
Era il suo pensiero fisso, anche da quando si era iscritta alla scuola di magia e stregoneria della Gran Bretagna. Il Preside Merman – probabilmente ignaro di quello che aveva fatto – aveva accettato che lei vivesse nel castello; l’aveva vista, semplicemente, come una ragazza in difficoltà, che meritava una seconda possibilità. E come avrebbe potuto fare altrimenti? Gli aveva raccontato che era fuggita da Beauxbatons per problemi con i compagni, che a seguito di un episodio abbastanza grave l’avevano costretta a lasciare la scuola. Nessun dettaglio riguardante omicidi o strani poteri indipendenti dalla propria bacchetta magica.
Ad Hogwarts gli studenti erano suddivisi in Case, e venivano smistati da un Cappello parlante, un cimelio importantissimo della scuola – si narrava che esistesse dalla sua fondazione, intorno all’anno Mille. Rapunzel aveva trovato molto curioso e interessante il fatto che maghi e streghe venissero esaminati nel profondo della loro anima da un oggetto incantato, che ne riusciva a carpire la natura più profonda.
Aveva cercato di non concentrarsi sugli occhi perplessi degli studenti che l’avevano vista in fila con quelli del primo anno, come per analizzarla. Erano come tizzoni accesi sul suo corpo sottile, quegli occhi, e lei si era sentita terribilmente in soggezione.
Mai, comunque, come quando il Cappello fu posato sulla sua testa.
 
«Nascondi molti segreti, non è vero, Rapunzel Corona?» domandò il Cappello nella sua mente, facendola rabbrividire. La ragazza serrò le labbra, avvertendo le lacrime pungerle gli occhi e un nodo attanagliarle la gola. «C’è qualcosa, nel tuo passato, che odi con tutta te stessa… qualcosa che ti spinge a chiuderti.»
E quelle parole – quelle parole – rimbombarono dentro di lei come una maledizione.
«Sei una ragazza curiosa, sognatrice, particolare sotto ogni punto di vista. Ma sei difficile da collocare. Le qualità che ti ho appena elencato ti rendono senza dubbio adatta per Corvonero, ma possiedi anche delle caratteristiche che fanno di te una perfetta Tassorosso. Dolce, sensibile, radiosa… una guaritrice per natura.»
Una guaritrice per natura.
 
 
«Tu sei una guaritrice. Ma avverto energie negative. Devi tornare alla tua vera natura, e l’unico modo per farlo è tornare ad una vita normale.»
 
 
«Sono una guaritrice» disse, l’urgenza nascosta nella sua voce esile.
«Ottima scelta. Oh, beh, in questo caso… Tassorosso!»
Ottima scelta.
Non aveva immaginato, in quel momento, che cosa veramente quelle parole significavano.
 
 
«Devi giurare che non dirai a nessuno dei tuoi compagni di questo esperimento. A voi ragazze non succederà nulla di male, ma per gli altri… questo è inevitabile, Rapunzel. Mi dispiace tanto.»
Era sull’orlo del pianto, perché dopo il primo omicidio aveva iniziato a comprendere. La notizia del come fosse successo non si era ancora diffusa, a scuola, ma lei aveva avuto la pungente sensazione che ci fosse lui, dietro.
Lo aveva trovato alla casa nella Foresta, la notte in cui la prima uccisione avvenne; si era svegliata di soprassalto, e si era istintivamente vestita in tutta fretta per andare là – il suo posto, il suo rifugio. Dove avrebbe potuto riflettere in pace, facendosi accarezzare dall’odore di terra e di freddo della Foresta; dove avrebbe visto, dalle finestre della casa, gli unicorni passeggiare indisturbati, protetti dal silenzio della notte.
Non le importava che la quasi totalità dei suoi compagni di Casa la ritenesse strana; per dire la verità, non c’era mai stato un momento, in tutta la sua vita, in cui Rapunzel – Lily, come si faceva chiamare a Hogwarts – non si era sentita fuori posto. Ci era abituata, ormai, al fatto che nessuno, a parte qualcuno di Corvonero, volesse parlare con lei. Persino nella Casa che aveva scelto si sentiva un’estranea, come se non avesse mai vissuto nel mondo esterno: ma era stata lei a volerlo, in fondo. E ora, quella scelta sembrava avere un senso.
«Hai fatto bene a scegliere Tassorosso» le si avvicinò e le accarezzò i capelli lunghi. «È la Casa perfetta per te.»
Rapunzel sospirò – un sospiro intriso di malinconia. «Almeno so che è servito a qualcosa.»
Silenzio.
«Non voglio che muoiano altre persone per colpa mia» si sciolse in lacrime la ragazza, lasciandosi cadere tra le braccia del mago – lo stesso che l’aveva salvata e maledetta allo stesso tempo.
«Lo so» lui la strinse a lungo, con affetto. «Ma non puoi farci niente. È un passaggio necessario… non è colpa tua.»
La Tassorosso si ritrovò a tremare, nel pensare a cos’era diventata… era così solare, prima. Così piena di vita. E ora invece… aveva perso la sua luce.
L’unica che le era rimasta era quella dei suoi poteri, che però zittiva continuamente.
Avrebbe dovuto farlo fino al momento opportuno, come le aveva detto lui.
Fino al momento in cui l’avrebbe liberata.
 
 
E adesso si trovava lì, sempre nello stesso posto, lo stesso in cui si erano visti numerose volte e numerose volte avevano parlato dei suoi poteri. Lui le aveva insegnato a non disprezzarli, a non odiarli. Le aveva insegnato che potevano fare anche delle cose positive.  
Si era fidata. Lo aveva fatto ciecamente, senza nessun rimpianto e nessun sospetto, come i bambini; lo aveva fatto perché non aveva nessun altro. Perché lui la aiutava con il suo potere. Perché l’aveva fatta tornare alla normalità.
Ma quella fiducia le era costata cara, perché adesso osservava l’alba toccare Hogwarts da lontano, e insieme a quel sole sapeva che stava sorgendo una nuova Lily – una nuova Rapunzel.
Una ragazza che non sarebbe più riuscita a perdonarsi, probabilmente.
«Adesso, nonostante vi siano alcuni addestramenti incompleti, tutte e quattro siete pronte a sprigionare al massimo i vostri poteri. Ma per far funzionare il Rituale e riportare i Regolatori del Mondo Magico al loro compito, è necessario un ultimo elemento. E noi dobbiamo trovarlo.»
Si voltò a guardare Merida, che fissava Black con un misto tra astio e timore. Melicent aveva la sua solita espressione altera, mentre Elsa era diventata ormai irriconoscibile, rispetto a quelle poche volte che l’aveva vista ad Hogwarts: nei suoi occhi blu – normalmente riempiti dall’ansia – si agitava una scintilla di determinazione, come se non avesse nulla da perdere. Come se la sua vita non dipendesse che da quello che stavano per fare.
Sapeva che lei, invece, appariva piccola e insicura come sempre. Percepiva i suoi occhi verdi sgranati, e quel tremolio al labbro che non poteva controllare.
«Voi riuscite a sentire la magia, adesso. Quindi sarete in grado di individuare il tassello mancante. Soprattutto tu, Melicent» proseguì Black, solenne. «Per te è stato facile iniziare quella ragazza – Eris – in modo da farle fare da tramite… un passaggio molto importante. E questo sarà molto più semplice, te lo garantisco.»
Silenzio.
«Inoltre, non dovrete cercare di abbandonare il Legame che esiste tra noi» Rapunzel sapeva a cosa si riferiva; erano legate a lui, sin dall’inizio. Sin da quando le aveva viste e scelte. «Chi lo farà, morirà. Il nostro Legame è indissolubile. Solo io posso spezzarlo.» Fissò prima Merida, poi lei. «Non succederà nulla di male a voi, ve lo garantisco» le rassicurò infine. «In ogni caso, difendetevi come potete. Loro si batteranno, per proteggere l’ultimo elemento, questo è certo.»
Nella casa circolare c’era un silenzio assordante; solo il crepitare delle fiamme nel camino lo interrompeva appena.
«Adesso, potete prendere il vostro aspetto originario» disse. «Metamorphosis» pronunciò poi, sollevando una mano per poi calarla lentamente verso il basso.
Una cappa scura con venature di diversi colori – blu, rosse, gialle e verdi – calò su tutte loro, e Rapunzel avvertì una forza magica posarsi su di lei; come una carezza calda, ma anche una fiamma che la ustionava al tempo stesso.
Quando aprì gli occhi, guardando sé stessa e le altre, non si riconobbe. E neanche loro avevano il solito aspetto.
I suoi capelli, che da lisci erano diventati ondulati, sembravano illuminare l’ambiente circostante; la sua stessa pelle irradiava energia, che si rifletteva sull’abito sottile ed evanescente che aveva preso il posto dell’uniforme di Tassorosso.
Merida, abbigliata con un vestito color cremisi, aveva delle fiamme intorno a sé, che le volteggiavano anche tra le ciocche rosse, come se esse stesse fossero tali.
Elsa sembrava un’altra; i capelli – bianchi come la neve – che le ricadevano sciolti lungo la schiena la facevano apparire una temibile regina dell’inverno; così come il suo volto, reso più spigoloso, in qualche modo più adulto, dall’espressione seria.
Ed infine Melicent; il Corvo.
L’Inizio.
Sulla sua testa erano comparse due corna scure, arricciate in spirali perfettamente simmetriche. Il corpo pallido ed esile era fasciato da un vestito con lo strascico, nero come l’inchiostro; nella sua mano sinistra, poi, teneva ben saldo uno scettro con una sfera sulla punta – una sfera che conteneva della luce di un verde acido, che scintillava nella penombra della casa. Sembrava una dea dell’oscurità; una creatura fatta di buio, come Black.
«Che abbia inizio» disse solo.
Uscì dalla casa, preceduta da Black, e le altre la seguirono, obbedienti.
 


 
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Ciao a tutti! Come state, e come va il lockdown?
Scrivere questo capitolo è stato assurdo; ci ho messo una vita – non a caso ho iniziato a scriverlo con largo anticipo rispetto a quando dovevo realmente farlo – le rivelazioni da fare erano infinite, ma tutto sommato sono soddisfatta del risultato. Adesso mi resta solo da sapere che ne pensate voi <3
Con questo capitolo esploriamo il passato di Lily, altro personaggio che finora è stato poco più che una comparsa; scrivere di lei mi ha dato un senso di completezza, come se, in qualche strano modo, si concludesse una specie di cerchio. Adesso conosciamo la storia personale di tutti gli elementi, e capiamo cosa le ha portate ad essere così deboli allo sguardo attento di Black.
Descrivere le dinamiche che ci sono tra loro e il mago mi ricorda un po’ la sindrome di Stoccolma: se ci pensate, tutte e quattro sono ragazze perse. Ragazze che non hanno avuto una scelta, ragazze che si sono trovate a far fronte ad abilità terribili, ragazze che convivono con i propri demoni. E, puntualmente, Black sembra prendersi cura di loro. Sembra accompagnare Melicent nel suo processo di conoscenza; dare un po’ di pace ad Elsa; permettere a Merida di guardare in faccia la sua vera natura; proteggere Lily – che in realtà si chiama Rapunzel. C’è un legame, tra di loro, che va al di là di quello dato dall’incantesimo; qualcosa di molto, molto più inquietante.
O perlomeno, questa era l’idea.
Spero vi sia piaciuta anche la descrizione finale della loro “metamorfosi”. Devo dirvi, però, che i capitoli successivi – essendo quelli finali – potrebbero richiedere un po’ di elaborazione in più, per cui potrei essere più lenta (non vi farò aspettare un mese, giuro <3). Devono – assolutamente devono, secondo la mia mente da ambiziosa Serpeverde – essere epici.
Alla prossima!
Sara

 







Aine, rainha das Fadas, Senhora da fertilidade e do amor | Dez mil ...


I suoi capelli, che da lisci erano diventati ondulati, sembravano illuminare l’ambiente circostante; la sua stessa pelle irradiava energia, che si rifletteva sull’abito sottile ed evanescente che aveva preso il posto dell’uniforme di Tassorosso.
  
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