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Autore: Soul of Paper    12/04/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 25 - Ricercata


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Pronto?”


Rispose al telefono un po’ affannata: era impegnata in una sessione di ginnastica da camera con Calogiuri, quando il telefono aveva squillato. Erano le ventitré, quindi doveva essere una cosa importante.

 

O qualcuno sarebbe stato ucciso.

 

“Pronto, Imma?”

 

Nel riconoscere la voce le prese un colpo.

 

“Pietro? Come mai chiami a quest’ora, è successo qualcosa?” chiese, perché da quando si era trasferita a Roma non l’aveva più sentito.

 

“Sì… cioè… Valentì, ecco-”

 

“Che è successo a Valentina?” domandò, terrorizzata, perché a quell’ora… di giovedì sera, dove poteva essere?

 

“Niente… è che… è tornata qui all’improvviso e… e mi ha trovato con Cinzia in casa e-”

 

“Trovato in che senso?!” lo interruppe, pensando già al trauma psicologico devastante della figlia.

 

“Ma no, che ci baciavamo sul divano, insomma… però è scappata via, sconvolta, e non riesco a trovarla. Ho provato a casa di… insomma… quella che era casa di tua madre ma non c’è, a casa di mia madre nemmeno, Bea non ne sa niente e sta pure lei a Roma all’università. Insomma-”

 

“Ho capito, ho capito, maledizione!” esclamò, il panico che si impossessava di lei, “senti, prova a vedere se sta in qualche pub o posto nei dintorni che è ancora aperto, io ti raggiungo appena posso.”

 

“Come?!”

 

“Vengo lì, ovviamente, Pietro. Ti raggiungo appena posso, ti faccio sapere,” concluse, chiudendo la chiamata.

 

“Calogiuri, io… mia figlia non si trova e devo-”

 

“Andare a Matera, l’ho capito. Ascolta, l’auto di servizio è dalla Ferrari. La chiamo e le spiego la situazione e le chiedo di poterla avere per stanotte e domani.”

 

“Ma no, non-”

 

“Imma, tanto ormai sa di noi. Faremo il pieno con i nostri soldi. A quest’ora un’auto a noleggio dove la trovi? E non possiamo arrivare a Matera in scooter. E la prima corriera ormai parte domattina.”

 

“Va bene,” acconsentì con un sospiro, perché non poteva fare altrimenti.

 

Lo vide afferrare il cellulare e chiamare.

 

“Irene, ciao, scusa l’orario ma… ho bisogno dell’auto di servizio e di prendermi un giorno di ferie. Io e Imma dobbiamo tornare a Matera. Sua figlia non si trova, probabilmente ora di domattina sarà a casa ma… va bene… va bene… grazie mille, veramente... come? Dici sul serio? Benissimo, grazie veramente, ti devo un favore.”

 

Quella frase non le piaceva affatto ma che ci poteva fare?

 

“Ci lascia la macchina e dirà al procuratore capo che ha autorizzato lei questo viaggio a Matera per raccogliere alcuni elementi mancanti. In cambio, una volta che abbiamo trovato tua figlia, dobbiamo andare a parlare con un paio di testimoni del maxiprocesso e raccogliere alcuni documenti in procura, in modo che non si capisca che era tutta una scusa e lei non passi un guaio.”

 

“Va bene…” sospirò Imma, dovendo ammettere che la Ferrari stava facendo loro un enorme favore e sperando non fosse tutta una fregatura.

 

*********************************************************************************************************

 

“Pronto? Pietro? Allora ci sono novità? Non l’avete trovata ancora? Noi siamo partiti. Sì, noi, io e Calogiuri. Tra cinque ore saremo lì, più o meno. Va bene, voi continuate a cercare. Sì, sì, Pietro, no, non sono incazzata, ma che figurati! Sono solo mesi che ti dico che le devi dire di Cinzia. Ma tanto l’avrebbe presa male comunque, lo sappiamo, ma magari non sarebbe scappata in piena notte. Va bene, a dopo.”

 

“Niente?”

 

“No, ancora niente.”

 

“Senti, perché non chiamiamo Capozza? Tanto sa di noi e… magari ci dà una mano a cercarla, con discrezione.”

 

“Capozza?!” gli domandò, come se le avesse proposto di mandare a cercarla un ciuccio.

 

“Senti, Capozza non sarà un genio investigativo, ma il suo mestiere in fondo lo sa fare. E tre persone sono meglio di due, no?” provò a suggerirle e vide il suo sguardo sbigottito mutarsi in uno rassegnato.


“D’accordo, Calogiuri, proviamoci.”

 

“Selezionami il contatto sul cellulare, che almeno gli parliamo in vivavoce.”

 

Imma, dopo un paio di tentativi, fece quanto richiesto.

 

“Ca- Calogiuri?” rispose dopo un po’ di squilli e pareva mezzo addormentato.


“Capozza, ciao, scusa se ti chiamo a quest’ora ma è un po’ un’emergenza.”


“Che succede?” domandò, sembrando preoccupato e, dietro di lui, dopo poco si sentì una voce femminile decisamente familiare chiedere: “amore, che c’è?”

 

“Ossequi alla signora Diana, Capozza,” ironizzò e sentì il brigadiere fare due colpi di tosse dall’altro capo del telefono.

 

“Capozza, buonasera, ci sono anche io,” si inserì Imma di colpo, prendendo le redini, “metta pure il vivavoce così sentite entrambi.”

 

“Dottoressa? Buonasera a lei ma… ma che sta succedendo? Qualcosa con il maxiprocesso?”

 

“No, Capozza, cioè… anche… stiamo venendo a Matera, siamo partiti da poco da Roma e dobbiamo venire a raccogliere alcune prove e testimonianze ma… la verità è che mia figlia Valentina è scappata da casa del mio ex marito stasera, borsone in mano. Era appena arrivata da Roma e non si trova e mi chiedevo se…”

 

“Insomma, Capozza, puoi darci una mano nelle ricerche?” intervenì Calogiuri, deciso.

 

“Ma certo che può! Ma che scherziamo! Quella povera figlia, non mi ci far pensare! Fosse la mia Cleo, che paura! Anzi, mo esco pure io a cercarla che tanto due macchine c’abbiamo,” intervenne Diana, concitatissima.

 

“Ma amore, non so se il caso a quest’ora…” provò a protestare Capozza.

 

“E stiamo a Matera, mica c’è sto pericolo a girare di notte chiusa in auto.”

 

“Diana, stai attenta, però!” si raccomandò Imma, sembrando preoccupata per l’amica.

 

“Capozza, ascolta, bisogna partire dai locali notturni. Pub che ormai chiudono, discoteche. Se non è stupida, e non è stupida, starà cercando un posto del genere per passarci la notte. Poi magari domattina torna a Roma ma…”

 

“D’accordo, Calogiuri, tranquillo. E anche a lei dottoressa. Ve la troviamo, non vi preoccupate!”

 

“Grazie, Capozza, noi intanto vi raggiungiamo.”

 

Fecero appena in tempo a mettere giù la chiamata che ne arrivò un’altra.

 

Vide il nome sul display: Ferrari.

 

“Metti pure il vivavoce, Calogiuri,” gli mezzo ordinò Imma, sarcastica.

 

Scuotendo il capo, divertito ma anche un poco esasperato dalla sua gelosia, fece come chiesto.

 

“Calogiuri, scusa se ti disturbo ma… dove sei, anzi dove siete?”

 

“Siamo poco fuori Roma, ci vorranno ancora quasi cinque ore. Dimmi, è successo qualcosa? Problemi col procuratore capo?” chiese, preoccupato.

 

“No, di sicuro non lo chiamo a quest’ora, se no sì che avrei problemi. Lo avviso domattina. Ascolta, mi viene in mente che a Bari lavora un capitano dei carabinieri con cui ho collaborato a lungo. Davvero bravo. Non è molto distante da Matera. Se lo chiamassi e gli chiedessi di andare a fare due ricerche? Ha lavorato pure nei ROS, è uno in gamba. Almeno comincia a fare un giro per i locali di Matera.”

 

“Guarda, abbiamo chiesto a due colleghi di Matera di aiutarci ma…” esitò, guardando Imma, dubbioso sul da farsi.

 

Imma sembrò per un attimo altrettanto dubbiosa, ma poi sospirò ed annuì.

 

“D’accordo, grazie mille davvero, Irene.”

 

“Ma figurati! Mi serve una foto della figlia di Imma, però, così sa chi cercare. E se mi passi il numero dei colleghi, almeno si coordinano e si dividono la ricerca in modo efficiente.”

 

Di nuovo Calogiuri guardò Imma e lei intervenì, “te li mando io, che Calogiuri sta guidando.”

 

“Ciao Imma. Dai, forza, che la troviamo, vedrai. Poi è maggiorenne e vive a Roma. Non è una ragazzina, immagino i pericoli li sappia evitare.”

 

“Lo spero. Grazie dell’aiuto,” proclamò con un tono che gli sembrò meno ostile del solito.

 

“Ma ti pare! Buona fortuna con la ricerca e buon viaggio!” concluse, chiudendo la conversazione.

 

“Certo che è davvero gentilissima. Candidata alla santità, quasi,” commentò Imma, mentre le mandava i messaggi richiesti.

 

“Ma che cosa ci guadagnerebbe ad aiutarti in questo modo? Che secondi fini potrebbe avere?” le fece notare ed Imma sospirò nuovamente.

 

“Avere un debito nei suoi confronti, Calogiuri. In certi ambienti è una moneta di scambio preziosa. Ma va bene, per ora mi basta trovare Valentina, quindi supponiamo la Ferrari sia totalmente disinteressata ed in buona fede.”

 

“Non ti va proprio giù, eh?” sospirò di rimando, scuotendo il capo.

 

“Non mi piacciono le persone troppo gentili, Calogiuri, mi chiedo sempre dove stia la fregatura, lo sai. E lei quando vuole si trasforma, e altro che gentile, l’ho già visto. Ma-”

 

“Ma lo fa coi criminali o con gente che non fa il suo lavoro. Non mi sembra una cosa negativa, no?”

 

“Diciamo che su di lei non saremo mai d’accordo, Calogiuri. Anche se spero di essere io a sbagliarmi sul suo conto e che tu abbia ragione e abbia le migliori intenzioni. Ma, per intanto, pensiamo a trovare Valentina.”

 

“Agli ordini, dottoressa!” concesse, chiedendosi se fosse solo la proverbiale gelosia di Imma o se il suo sesto senso avesse ragione su Irene.

 

Ma non gli aveva fatto che del bene da quando si erano conosciuti, era stato un supporto importante per lui e… e le era affezionato. E per questo sperava davvero che, per una volta, Imma si sbagliasse.

 

*********************************************************************************************************

 

Con il pub ormai chiuso, non le era rimasto che andare verso la discoteca. Aveva mollato borsone e giaccone nel guardaroba e si era buttata nella mischia, sperando di non trovare nessun cretino che ci provasse.

 

Le venne in mente l’ultima volta che era andata a ballare, con Penelope, e avrebbe tanto voluto che fosse lì con lei, per potersi confidare e sfogare.

 

Non era che non voleva che suo padre si rifacesse una vita o che soffrisse per sempre per sua madre. Ma sembrava così triste negli ultimi mesi, per casa c’erano ancora foto di loro insieme che non aveva tolto dalle cornici. Prima che sua madre annunciasse la sua partenza per Roma addirittura sembrava un po’ speranzoso di poter tornare con lei. E ancora adesso ogni tanto le chiedeva se l’avesse sentita e le sembrasse felice a Roma, anche se lei ovviamente aveva sempre svicolato.

 

E invece… pure lui si divertiva e la maestra di sax l’aveva conosciuta prima della separazione. Certo, magari era iniziata dopo, però a quel punto perché nasconderglielo?

 

Si chiese se sua madre lo sapesse o meno e cosa avrebbe provato, in caso, nell’apprendere la notizia.

 

Si mise a ballare, non perché ne avesse voglia ma semplicemente per sfogarsi un po’. Ad un certo punto notò un paio di ragazzi avvicinarsi a lei e si spostò, fino a perderli di vista.

 

Non avrebbe saputo quantificare il tempo in cui rimase così, nella pista a ballare da sola, ma ad un certo punto realizzò che doveva andare in bagno. Ci si stava avviando quando si avvicinò un uomo di mezza età in giacca di pelle nera e jeans.

 

“Aspetta, fermati, ti devo parlare, sono-”

 

Terrorizzata, non lo fece nemmeno spiegare e se la diede a gambe, tornando in mezzo alla pista. Vide che la seguì per un po’ ma riuscì a infilarsi tra la gente che ballava, fino a seminarlo a sufficienza per uscire dalla pista dalla parte opposta.

 

A quel punto corse al guardaroba, col cuore in gola e prese giaccone e borsone.

 

Non poteva rimanere lì. Corse via, sperando che l’uomo fosse ancora incastrato in mezzo alla pista e non la seguisse.

 

*********************************************************************************************************

 

“Calogiuri!”

 

“Capozza, che succede?”

 

“Dove siete?”

 

“Ad un paio d’ore da Matera, Capozza, che succede?”

 

“L’avevo trovata! In una discoteca ma-”


“Ma?” lo interruppe Imma, sentendo già l’incazzatura montare.

 

“Ma mi è scappata e deve avere lasciato la discoteca perché non la trovo più. Ho provato a fermarla ma si deve essere spaventata e-”

 

“E ci credo, Capozza!” sbottò, immaginandosi sua figlia avvicinata da Capozza in discoteca: pure lei se la sarebbe data a gambe levate, “ma non poteva mettersi in divisa, porca miseria?!”

 

“Ma temevo che poi scappasse vedendomi in divisa o non mi facessero entrare e-”

 

“E niente. Capozza, ha già fatto abbastanza. Vada a mettersi la divisa se vuole proseguire le ricerche. Qual era la discoteca?”

 

“La Discolife.”

 

“Va bene, Capozza, provi a far cercare nelle vicinanze anche al capitano e a Diana.”

 

“D’accordo… mi scusi, dottoressa, ma comunque come vede sta bene ed evita le situazioni di pericolo.”


“Non sa che incredibile consolazione, Capozza!” proclamò, sarcastica, immaginandosi Valentina spaventata a morte alle tre del mattino.

 

Ma doveva solo sperare che usasse il buonsenso che sapeva che sua figlia aveva, quando voleva, e non si mettesse in altre situazioni pericolose.

 

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Si era rifugiata dietro la fermata dei bus, riparata da alberi e cespugli.

 

Avrebbe atteso lì la prima corriera del mattino successivo. I locali notturni erano troppo pericolosi.

 

Ad un certo punto, vide una macchina fermarsi. Si nascose ancora di più, il cuore che le andava a mille.

 

Ne scese una figura vestita di nero, ma con una torcia in mano.

 

“Valentina? Valentina De Ruggeri? Se sei qui, stai tranquilla ed esci fuori, sono un capitano dei carabinieri, sei al sicuro.”

 

Valentina si sporse leggermente e vide che l’uomo era effettivamente in divisa. Poi sapeva il suo nome e cognome.

 

Doveva averglielo mandato sua madre. Un capitano addirittura!

 

Ma era troppo sollevata per arrabbiarsi dell’iperprotettività materna, che aveva coinvolto le forze dell’ordine.

 

Prese il borsone su cui si era seduta ed uscì allo scoperto, avvicinandosi al carabiniere.

 

“Valentina?” chiese l’uomo con un sorriso e lei annuì.

 

Il sorriso di lui si fece più ampio, “i tuoi sono preoccupati per te. Comunque non ti devi preoccupare, l’uomo che ha cercato di avvicinarti in discoteca era un brigadiere in borghese.”

 

“A me pareva un maniaco, per come era vestito,” commentò Valentina, non potendo non notare che invece il capitano era proprio un bell’uomo, anche se probabilmente avrà avuto sui quarant’anni.

 

“Comunque non ti devi preoccupare. Ora avviso tutti che ti abbiamo trovata.”

 

“Sì, ma non voglio vedere mio padre, assolutamente,” intimò e il carabiniere fece un sorrisetto.

 

“Si vede che sei figlia di un magistrato. Il timore per la divisa proprio non ce l’hai,” ribattè, estraendo il cellulare.

 

Ma, proprio in quel momento, arrivò un’altra macchina sconosciuta e Valentina si avvicinò di più al carabiniere, spaventata, almeno fino a che ne scese di corsa un cespuglio di capelli rossi.

 

“Mamma!” esclamò, con un’ondata di sollievo, correndole incontro e abbracciandola fortissimo, mentre sua madre, dopo un attimo di sbandamento, ricambiava.

 

“Grazie per averla trovata,” la sentì pronunciare, rivolta al carabiniere.


“Beh, veramente l’avete trovata pure voi due: vedo che abbiamo avuto la stessa idea.”

 

E Valentina si voltò e notò che dal posto del guidatore era appena sceso Calogiuri.

 

“Ma avete guidato da Roma fin qui?” domandò, rendendosi solo conto in quel momento della sfacchinata, visto l’orario.

 

“Sì, Valentì, che ti potevo lasciare scomparsa per le vie di Matera?! E se ti capitava qualcosa?! Promettimi che non farai più un colpo di testa del genere, piuttosto ti lascio le chiavi di casa di nonna, o mi chiami e ti vengo a prendere, ma non puoi andartene in giro di notte così. Può essere pericoloso!” la riprese ma, nonostante ci fosse un poco di rabbia nella voce, si rese conto che sua madre era soprattutto sollevata.

 

“Ma lo sai perché sono scappata?”

 

“Sì, lo so, Valentì, lo so. Ma non è comunque un buon motivo. Potevi chiuderti in camera tua, o startene sul pianerottolo tutta la sera o appunto telefonarmi ed andare in un posto sicuro, tipo una caserma.”

 

“Chissà perché per te il posto sicuro è dove ci sono i carabinieri…” ironizzò, rivolgendo poi un’occhiata al capitano che la guardava sorpreso, “con tutto il rispetto.”

 

“Comunque ancora grazie, capitano…?” pronunciò sua madre, che evidentemente, nel casino, manco aveva saputo ancora il nome del suo salvatore.

 

“Ranieri. E felice di esserle stata d’aiuto, dottoressa… Tataranni, giusto? Ho sentito parlare di lei per il maxiprocesso e ai tempi del caso Bruno.”

 

“Non immaginavo che la mia fama arrivasse fino a Bari ma immagino non abbia sentito niente di buono.”

 

“Dai giornalisti no. Ma Irene mi ha parlato molto bene di lei e, per farmi una telefonata a quell’ora, dovete essere molto amiche. Era da un sacco di tempo che non la sentivo.”

 

Sua madre a quel commento fece un’espressione strana ma si limitò a un, “ringrazierò la collega per averla disturbata, capitano.”

 

“Nessun disturbo. Sia per la ricerca, sia perché avere una scusa buona per risentirla non mi è dispiaciuto affatto. Forse Irene non sarà della stessa idea,” commentò con un tono che le fece dubitare se questo capitano - che effettivamente era un gran bel pezzo d’uomo - e questa Irene avessero precedenti sentimentali, “vi auguro un buon rientro a casa. E Valentina, mi raccomando, anche se devo dire che mi sembri abbastanza prudente di tuo, per come te ne sei rimasta nascosta fino a che mi sono identificato come un carabiniere. Ma è meglio non rischiare.”

 

E così, con un sorriso, si rimise in auto e se ne andò.

 

“Ma chi era quello, mamma? E chi è Irene?”


Irene è una mia collega,” chiarì, pronunciando il suo nome in un modo che le fece seriamente dubitare che fosse una sua amica, “e il capitano è un suo conoscente. Era nei ROS, uno sveglio evidentemente, a differenza di quel cretino di Capozza. Poi che storia ci sia stata tra i due non lo so e neanche lo voglio sapere.”

 

Il tono dell’ultima frase invece era palesemente una bugia: sua madre era più curiosa di lei.

 

“Mamma… ma… ma da quanto sapevi di papà e di-”

 

“Di Cinzia Sax? Da un po’, Valentì, da un po’.”

 

“Ma perché non me lo hai detto e ti sei presa tutta la colpa?”

 

“Perché capo primo doveva essere tuo padre a parlartene. Capo secondo… sono stata comunque io a lasciarlo, Valentì e, a quanto ne so, la storia con questa Cinzia è iniziata dopo che ci siamo lasciati. Quindi comunque non è un alibi per me, Valentì. Ma se tuo padre è felice con lei, io sono solo che felice e dovresti esserlo pure tu. Ha diritto di rifarsi una vita, no?”

 

“Ma non è felice!! O fingeva di non esserlo! Sono mesi che quando sono io a casa è giù di corda, ogni tanto lo becco che guarda le tue foto e si strugge. E lo vedo triste e abbattuto. E mo scopro che intanto se la fa con un’altra. Mi fa incazzare quasi più di te e non lo pensavo possibile! Almeno tu non hai fatto la madonna addolorata!”

 

Sua madre guardò verso il maresciallo, che aveva uno sguardo preoccupato. Non disse niente però.

 

“Senti, Valentì, mo avvisiamo papà e chi ti stava cercando che stai bene e-”

 

“E io papà non lo voglio vedere!”


“Ascolta, intanto dobbiamo avvertire. Poi andiamo… andiamo a casa di nonna a questo punto. Dobbiamo restare qui almeno un paio di giorni, perché per venire con l’auto di servizio insieme a Calogiuri abbiamo dovuto impegnarci a fare delle indagini sul maxiprocesso, che se no come glielo spiegavamo in procura? Quindi stiamo a casa di nonna e-”

 

“Ma lì l’unica stanza rifatta è la tua e io in camera di nonna non voglio che qualcuno vada a dormire, mi fa senso.”

 

“Non c’è problema, io è meglio che vada a dormire in caserma. Se domani ci vedono in procura non posso certo spiegare che dormo da te. Un posto c’è sempre. Ci vediamo domattina,” si inserì Calogiuri con uno di quei suoi sorrisi gentili.

 

“Ma sei sicuro? Una scusa la possiamo sempre trovare e-”

 

“Tranquilla, sono sicurissimo. Ci vediamo domattina. Ti lascio l’auto, tanto io da qui in caserma ci arrivo a piedi.”

 

“Se si sfascia un’auto di servizio chi è che paga?” ironizzò Valentina, guadagnandosi un’occhiataccia da sua madre e una divertita dal maresciallo.

 

“Fino a casa di nonna so’ capace di guidare, Valentì. E comunque allora a domattina, Calogiù, a sto punto immagino dormiremo un poco di più che sono le cinque passate. Quando ci svegliamo ti mando un messaggio, va bene?”

 

“Va bene, a domani,” le sorrise e rimase per un attimo indeciso sul da farsi.

 

“Se dovete baciarvi, io mi giro e non guardo,” sbuffò Valentina, dando loro le spalle e li sentì fare una mezza risata e poi un lieve schiocco di labbra.

 

L’immagine di sua madre con un altro uomo ancora le faceva un po’ impressione però… però si era fatto centinaia di chilometri in auto per venirla a recuperare, senza fiatare, e mo le lasciava pure sole.

 

“Dai, Valentì, ti puoi girare, andiamo,” si sentì chiamare da sua madre e, voltatasi, si trovò stretta in un abbraccio a morsa, fortissimo. E ci si lasciò andare.

 

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“Calogiuri?! Che ci fai qui?”

 

Al suono di quella voce gli pigliò un macigno allo stomaco misto ad un senso di rabbia: di tutte le persone che poteva incontrare, proprio lei?

 

“Matarazzo… ci faccio che ho bisogno di un letto per un paio di notti, probabilmente. Sono tornato per terminare delle indagini sul maxiprocesso. Tu che ci fai in piedi a quest’ora?”

 

“Mi stavo preparando per andare a correre, che è l’alba. Ma tu non hai dormito?”

 

“No, ho guidato.”


“Comunque ci dovrebbero essere stanze libere, vai a vedere le chiavi appese in portineria. E… sei tornato da solo o-?”

 

“No, non sono tornato da solo, ovviamente,” sospirò, temendo già la direzione che poteva prendere questa conversazione.

 

“Lo immaginavo… senti, Calogiuri… facciamo che io ignoro voi e voi ignorate me. Per fortuna domani io di riposo sono ed evitarsi non sarà difficile. E mo vado, che già abbastanza tempo ho perso,” proclamò, inforcando le cuffie del cellulare ed uscendo dal portoncino.

 

Almeno non aveva fatto una scenata… era già qualcosa.

 

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“Sì, Pietro, tranquillo che è sana e salva. Non ti vuole parlare al momento ma sta bene. Le riferisco io, certo. Lo spero anche io, Pietro. Buon riposo anche se ormai è mattina.”

 

“Papà ti vuole parlare, Valentì, gli ho detto che al momento tu non vuoi ma… non lo puoi evitare per sempre.”

 

“Lo so, lo so, ma… ma mo non me la sento proprio. Sono troppo arrabbiata.”

 

“Ascoltami, siccome so cosa si prova a trovarsi al posto suo… fai passare oggi se vuoi, ma secondo me, prima che ripartiamo per Roma dovresti parlargli. Papà ha sbagliato a nasconderti questa cosa, come io ho sbagliato a nasconderti di Calogiuri, ma mo non devi passare da un estremo all’altro. Io non sono la buona e lui il cattivo.”

 

“Lo so, mamma, lo so. Ma è solo che… è stato talmente stupido da parte sua non dirmelo! Non è come te che… va beh… altro che scheletri nell’armadio! Poteva dirmelo e l’avrei presa non dico bene, ma…”

 

“Sicura?” le chiese, con un’occhiata penetrante.


“Che vuoi dire?”

 

“Che per te papà è sempre stato un po’ un mito, perfetto, intoccabile. E non è che sei anche un po’ gelosa di lui? Sarebbe pure normale, che tu lo sia un poco.”

 

“Non so ma… forse… forse vedevo il vostro amore come indistruttibile e… e invece anche per lui sono bastati pochi mesi e…”

 

“Senti, Valentì, io non so cosa tuo padre provi per Cinzia, per me e come stia in generale. Il nostro è stato un amore vero, per tanti anni e sei nata tu, cosa per cui io e tuo padre credo non saremo mai grati abbastanza. Ma… ma le persone cambiano e a volte questo porta l’amore a trasformarsi e a finire. Tuo padre… credo stia cercando di rifarsi una vita e se gli vuoi bene come so che gliene vuoi, dovresti essere felice che ci stia almeno provando.”

 

“Ma proprio con quella? Guarda che me lo ricordo che litigavate per lei e perché gli stava un po’ troppo vicino, e mo-”

 

“Ah, c’avevi sentito…” sospirò Imma, comprendendo che Valentina era troppo sveglia per nasconderle le cose, “comunque, visto come è andata pure per me… che importanza ha, Valentì, ormai? Il risultato non cambia, no?”

 

“No, ma… da papà forse mi aspettavo qualcosa di diverso. Ma forse pretendo troppo e hai ragione tu: è pur sempre un uomo!”

 

“Va bene… fingerò di non aver sentito e non ti chiederò di uomini in generale, anche perché tra poco è meglio dormire.”

 

“Già,” annuì Valentina, finendo di infilarsi il pigiama e mettendosi dal suo lato del letto.

 

Imma la imitò e allungò una mano per sistemarle i capelli dietro l’orecchio, come faceva quando era bimba.

 

“Mamma?”

 

“Sì?”

 

“Chi è davvero Irene e che c’entrava il capitano?” le chiese, guardandola intensamente e Imma rimase di stucco perché si sarebbe aspettata qualsiasi domanda ma non quella.

 

“Te l’ho già detto: una collega e il capitano un suo ex collega.”

 

Ex collega… mo si dice così,” ironizzò Valentina, prima di aggiungere, con un’occhiata eloquente, “e mi sa che la collega non ti sta molto simpatica, anche se ti ha aiutato.”

 

“Diciamo che ha un carattere molto diverso dal mio.”

 

“Quindi è simpatica e gentile?”

 

“Valentì!”

 

“Fammi indovinare… è giovane, bella e passa molto tempo col tuo maresciallo?”

 

Imma rimase sbigottita: Valentina la conosceva fin troppo bene.

 

“Mi sa di sì… ma ti ho già detto, non ti devi preoccupare! Non potrà essere più bella di Ludovica.”

 

“No, ma… ma ha carisma e fascino, Valentì, è furba ed è molto brava con le parole.”

 

“Beh, fa il magistrato, se non lo fosse dovrebbe cambiare mestiere.”

 

“Sai quanti ce ne stanno che dovrebbero cambiare mestiere, Valentì!”

 

“Mo sono quasi curiosa di conoscerla questa. Dovrò ripassare in procura prossimamente.”

 

“Cos’è? Speri che Calogiuri mi molli per lei?” ribattè, sarcastica, anche se una punta di reale preoccupazione e di incazzatura c’era ancora.

 

“No. Perché se no avresti fatto tutto sto casino per un coglione e mi incavolerei ancora di più. E il tuo maresciallo almeno è gentile. Poteva capitarmi di peggio come tuo nuovo compagno, col carattere che ti ritrovi.”

 

“Mi vuoi dire che Calogiuri ti sta simpatico?”


“Mo non esageriamo! Diciamo che è… tollerabile? E a tratti fa un po’ tenerezza e non solo perché sta con te.”

 

Imma sorrise e se l’abbracciò, guadagnandosi un “mà! mà!” scandalizzato ma non le importava.

 

Detto da Valentina era già un grande complimento e le sembrava un mezzo miracolo.

 

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“Io allora vado, Valentì, ci vediamo stasera.”

 

“Sì, mà, tranquilla, non scappo, promesso.”

 

Imma sospirò, le diede un ultimo abbraccio a tradimento ed uscì da casa di sua madre, ripercorrendo vie familiarissime ma che era da tempo che non rivedeva. Qualcuno si voltò a guardarla sussurrando ma lei continuò a camminare a passo deciso: che parlassero pure.

 

Arrivò di fronte alla procura e la prese una botta di magone: quella era la sua procura e lo sarebbe probabilmente sempre stata nel suo cuore.

 

Roma davvero non aveva paragone, nonostante tutto.

 

Gli agenti all’ingresso la squadrarono sorpresi e la salutarono con quello che sarebbe stato quasi definibile entusiasmo, almeno per i loro standard.

 

Entrò e si trovò davanti Porzia che la guardò manco avesse visto la Madonna.

 

“Imma!” esclamò e si trovò stretta in un abbraccio, “ma che ci fai qua? Dimmi che torni a lavorare qua, che la tua mancanza troppo si sente!”

 

“No, Porzia, è solo per due giorni, per finire un paio di indagini. Ma tornerò ancora, che mica vi liberate tanto facilmente di me! Mo vado ma poi ripasso a salutarti.”

 

“Sarà meglio!”

 

Salì le scale e si trovò di fronte, in un colpo solo, Vitali e Moliterni che facevano crocchio come sempre.

 

“Dottoressa?! E che ci fa qua?!”


“Imma! Ma che sorpresa! Ti trovo benissimo! Si vede che il trasferimento e l’aria nuova ti fanno bene!” proclamò Maria con un sorrisetto ed Imma si stupì di un commento simile dopo le poche ore di sonno avute.

 

“Dottore, sono qui da parte della Ferrari per interrogare un paio di persone e recuperare alcune carte. E grazie Maria, tu invece non sei cambiata affatto.”

 

“Eh, ma io non c’ho l’aria nuova, Imma… purtroppo…” ironizzò, facendole l’occhiolino.

 

“Ah, Irene non mi ha ancora avvertito. Strano,” rispose il procuratore, prendendo in mano il cellulare e poi aggiungendo, “anzi, sì, mi sono perso la notifica. Ecco, mi sembrava strano, solerte com’è. Come ci si trova, dottoressa, a lavorare con lei?”

 

Pure solerte mo… ma che ci faceva agli uomini la Ferrari? Non che Vitali fosse sta gran conquista!

 

“Meglio che con la D’Antonio, dottore,” ribatte, sarcastica, perché non voleva dire molto e lo sapevano entrambi.

 

“Se nemmeno con Irene riesce ad andare d’accordo, dottoressa, che va d’accordo pure coi sassi, mi sa che dovremmo proprio clonare i geni del maresciallo Calogiuri, visto che è l’unico che le sia mai andato a genio.”

 

E, nemmeno l’avessero chiamato, udì una voce familiare alle loro spalle.

 

“Buongiorno dottor Vitali, dottoressa, signora Moliterni.”

 

“E te pareva… dove c’è l’una c’è pure l’altro, come sempre!” proclamò Maria con uno sguardo sornione.

 

“Ah, ma è tornato anche lei, maresciallo?” domandò Vitali, con aria invece preoccupata.

 

“Sì, ho accompagnato io la dottoressa con l’auto di servizio. Comunque ho dormito in caserma, quindi ho già avuto modo di coordinarmi con i ragazzi della PG, Matarazzo inclusa, ma credo che potremo sbrigare tutto io e la dottoressa, non è vero? O volete altre persone di supporto?” domandò Calogiuri, inviando ad entrambi quello che era di fatto un messaggio in codice: Matarazzo presumibilmente se ne sarebbe stata buona. O almeno così sperava.

 

“No, non credo che sia necessario. Io andrei a salutare Diana, ti faccio avere l’elenco delle carte che mi servono, Maria. Ovviamente entro oggi, che poi…”

 

“Appena tornata e già ci sobbarca di lavoro!” sospirò Maria, buttando via il bicchierino del caffè, “i miei ossequi dottoressa, e saluti anche a lei, maresciallo. Comunque vi trovo bene entrambi, occhiaie a parte.”

 

E così, con il suo carico di doppi sensi, Maria sparì oltre la porta del REGE.

 

“Dottoressa, è sempre un piacere rivederla, nonostante il suo carattere. Se non ci rivediamo prima della sua ripartenza, spero ritorni presto, anzi, che ritorniate entrambi. E mi saluti Irene e il dottor Mancini.”

 

“Sarà fatto, dottore,” lo rassicurò, stringendo la mano che le venne offerta e vedendolo allontanarsi.

 

Arrivò in quello che era il suo ufficio e bussò. Non sentendo rispondere aprì e non ci trovò nulla: era ancora vuoto come lo aveva lasciato, evidentemente non era stato assegnato ad altri colleghi.

 

In quel momento si aprì la porta accanto e ne emerse Diana, che come la vide, le si buttò tra le braccia.

 

“Imma!” le urlò quasi nell’orecchio, stringendola fortissimo, “ma che bello vederti! Anche se mi spiace per lo spavento per Valentina. Ma hai visto che è andato tutto bene, sì? Ah, questi figli, che preoccupazioni! Ma tu… ti trovo proprio bene, sembri quasi ringiovanita, sei così luminosa anche se… quelle occhiaie... un po’ di correttore e… ah Ippazio, c’è anche lei… bello vederla, anche se pure lei come occhiaie non scherza. Me la sta trattando bene, sì? E-”

 

“Frena, Diana, frena!” la interruppe Imma, ridendo, chiedendosi come Diana potesse parlare così a macchinetta senza quasi respirare, “tutto bene, io sto bene, abbiamo fatto una notte insonne, da cui le occhiaie. E mi sta trattando bene, anche perché se no rischia grosso.”

 

Calogiuri, per tutta risposta, scosse il capo e scoppiò a ridere a sua volta.

 

“E di come lei sta trattando me nessuno si preoccupa?”

 

“Per quello ci pensa Capozza, Calogiuri,” ribattè Imma, dandogli un pizzicotto ad un fianco, prima di chiedere, più seria, rivolta a Diana, “e voi come state? Ma tu per chi lavori mo, che l’ufficio è ancora vuoto?”

 

“Mi hanno assegnata a dare una mano alla D’Antonio e al PM nuovo che è arrivato al posto di Diodato. Siccome il tuo trasferimento è temporaneo, per ora faccio da supporto a loro, così ha voluto il procuratore capo.”

 

E bravo Vitali! - pensò, ma non lo disse: evidentemente Vitali sperava davvero che lei tornasse a Matera e in tempi non lunghissimi, per averle in un certo senso conservato il posto.

 

“Ho una lista di documenti che mi devo riportare a Matera, possibilmente in formato digitale, ci pensi tu con la Moliterni?”

 

“Certo, Imma!”

 

“Mo noi andiamo a interrogare dei testimoni e poi torno da mia figlia ma… venite a Roma qualche volta tu e Capozza, mi raccomando! Anche se lui poteva evitare di vestirsi da maniaco per andare a cercare Valentina!”

 

“Scusalo, Imma, lo sai che è abituato a stare in borghese e… io ci ho provato a farlo vestire un poco meglio, magari con un look più adatto alla sua età ma… è uno spirito libero,” proclamò, con un tono carico d’affetto e ammirazione, manco stesse parlando di John Lennon.

 

“Sì, ma lo spirito libero una divisa ce l’ha. Che la usi quando serve!” ribattè, chiedendosi per la milionesima volta che cosa Diana ci trovasse in Capozza.

 

Ma almeno sembrava felice.

 

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“Che cosa? Ma ne sei sicura?!”

 

“Sì, Imma, sono sicura. Voglio che ci parli tu per prima e mi lasci le tue impressioni. E poi, con un interrogatorio pregresso, sarà più facile trovare delle contraddizioni in sede di processo. Pensavo di venire io a Matera, ma a questo punto…”

 

E grazie al… cavolo! - pensò Imma, dicendosi che la Ferrari era furba sì, ma fin troppo. In cambio del favore le stava soltanto chiedendo di andare a parlare con Eugenio Romaniello, senza preparazione, oltretutto, e dopo la nottata che aveva passato.

 

“Lo so che pensi di non essere pronta per questo interrogatorio,” riprese dall’altro capo del telefono, come se le leggesse nel pensiero, “ma so anche che conosci questo caso a memoria e l’effetto sorpresa farà il resto. Eugenio Romaniello non si aspetta una visita e non da te. Devi prenderlo in contropiede, non ottenere una confessione. Al resto poi ci penso io in tribunale. E vedere te lo snerverà di più che vedere me.”

 

“Non sono certa se sia un insulto o un complimento…” commentò Imma, sarcastica, sentendo che le avevano appena chiesto di buttarsi nella tana del lupo vestita da agnello sacrificale.

 

“Un complimento, visto il soggetto. Imma, non te lo chiederei se non pensassi che sia la cosa migliore per il processo. E poi tu ti meriti questo interrogatorio, visto tutto il lavoro che hai fatto per arrivarci.”

 

Anche in questo caso, non sapeva se fosse un premio o una punizione. Con la Ferrari era tutto così: tremendamente ambivalente.

 

Ma non poteva tirarsi indietro. E poi… una parte di lei, quella che non si sentiva in trappola, in fondo era tremendamente curiosa di parlare con Romaniello Sr., gettata la maschera.

 

“Va bene. Ma non garantisco sul risultato, Ferrari.”

 

“E invece io sì, Imma, io sì,” ribattè la cara collega, prima di chiudere la conversazione.

 

“Ma che succede?” le chiese Calogiuri, seduto su uno dei tavolini del suo ex ufficio.

 

“Che dobbiamo andare a interrogare Eugenio Romaniello,” spiegò, aggiungendo, alla sua occhiata scioccata, “sì, lo so, Calogiuri, lo so… ma così vuole la tua cara Irene e allora…”

 

“Ma vuoi recuperare dei fascicoli prima? Vuoi rileggerti qualcosa?”

 

Calogiuri la conosceva fin troppo bene.

 

“No, Calogiuri, a questo punto, o avevo qualche giorno per prepararmi o è meglio andare così: diretti e decisi. Se no è come ripassare prima di un esame. Tu stai pronto a intervenire. La pistola d’ordinanza ce l’hai?”

 

“Sì, certo, me la sono portata dietro.”

 

“E allora portatela dietro pure da Romaniello. E per il resto… speriamo che qualcuno ce la mandi buona, Calogiuri.”

 

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“Buonasera, sono la dottoressa Tataranni, procura di Roma, devo parlare con il signor Eugenio Romaniello.”

 

“Dottoressa… la sua visita non è annunciata, quindi non credo di poterla fare passare,” rispose quello che presunse essere il maggiordomo, o colf che dir si volesse.


“Il signor Romaniello può ricevermi qui o venire in procura a Matera. Ho regolare convocazione per interrogarlo. Glielo riferisca, che sono certa conoscerà benissimo la procedura.”

 

Il maggiordomo sparì e dopo poco riapparve Eugenio Romaniello in persona. Vestito di tutto punto, in giacca, camicia e pantaloni, pure per starsene in casa.

 

“Dottoressa, che ci fa qui? Mi dicono che ha una convocazione per me?”

 

Imma gli mostrò la carta che si era fatta stampare in procura.

 

“Lei sa che ho diritto a un avvocato, vero?” le rispose, con un mezzo sorrisetto.

 

“Se vuole chiamarlo lo chiami pure, io posso aspettare,” ribattè, non arretrando di un millimetro, “tuttavia ho l’impressione che a lei l’avvocato non serva, anzi, anche perché il suo sta a Roma attualmente e qui a Matera… i migliori li ha già fatti fuori lei. Professionalmente, si intende, coinvolgendoli nei suoi giri.”

 

“Tutte fantasie, dottoressa. E mi stupisce lei abbia creduto ai deliri di quel depravato di mio fratello.”

 

“Peccato che i deliri del depravato stiano venendo corroborati da prove concrete, mano a mano che arrestiamo quelli del suo giro. Passaggi di soldi, di documenti, favori, appalti, contratti. Omicidi su commissione. Ed è soltanto questione di tempo prima che altri parlino contro di lei. Ormai è solo, signor Romaniello. Ma se vuole che continuiamo a discuterne qui per strada, facciamo pure.”

 

Eugenio Romaniello sembrò pensarci un attimo, poi li lasciò passare e li condusse fino a un salone. Mobili antichi, quadri appesi alle pareti, lo stemma col serpente che campeggiava in alto sul muro in fondo alla stanza.

 

Ma se pensava di intimidirla col mobilio si sbagliava e di grosso.

 

“Immagino non le dispiaccia se non ho niente da offrirle.”

 

“No, signor Romaniello, anzi, la ringrazio per avermi risparmiato lo sforzo di declinare l’invito. Allora, mi vuole dire che tutti i riscontri che stiamo trovando sono una straordinaria coincidenza?”


“No, ma sono semplicemente tutti riconducibili a mio fratello. Che ha pensato bene di scaricare tutta la colpa su di me e mi sorprende lei ci sia cascata.”

 

“Peccato che alcuni eventi emersi siano successi quando suo fratello era all’estero. E che molte delle persone coinvolte non abbiano avuto alcun contatto documentato, né telefonico né personale con suo fratello ma molti con lei.”

 

“Essendo un giudice ho contatti con molte persone, come lei del resto essendo un magistrato. Specie in procura. Non mi pare un reato.”

 

“No, ma io non intascavo mazzette e non ho conti a me intestati in Svizzera e in paesi off-shore.”

 

“Nemmeno io, dottoressa,” replicò Romaniello, sereno e placido come una Pasqua.

 

“No, giusto, lei no, ma due dei suoi ex domestici sì. Doveva proprio pagarli molto bene per fermare la gente alla porta, signor Romaniello.”

 

“Che le posso dire? Sono un uomo generoso. E quei conti può averli aperti mio fratello. Il mio personale lo conosceva pure lui.”

 

Imma capì che quel giorno non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, era evidente. Ma forse la Ferrari era questo che voleva: raccogliere le scuse preliminari di Romaniello per preparare dei controargomenti per il processo.

 

Ma Romaniello era peggio del fratello e aveva una risposta buona per tutto.

 

“Quindi lei mi vuole dire che lei, un giudice, che appunto in procura conosce tutti, per anni ha ignorato che suo fratello, che frequentava regolarmente e conosceva benissimo pure i suoi domestici, avesse un impero del crimine con una rete fittissima di relazioni proprio nella procura dove lei lavorava?”

 

“Perché? Lei se n'è mai accorta, dottoressa?” ribatté, come se nulla fosse.

 

“Avevo i miei sospetti, non su tutti ovviamente, signor Romaniello. Ma io per fortuna non sono sorella di Saverio Romaniello, quindi ovviamente nessuno sarebbe mai venuto da me a rivelare i traffici criminosi in procura. Ma lei, il fratello, mi vuole proprio dire che nessuno dei suoi colleghi, in anni, anni e anni di traffici possa averle fatto anche solo una battuta in proposito? Si rende conto che tutto questo è estremamente inverosimile?”

 

“Mi rendo conto solo che, per quanto possa sembrare inverosimile, non è nemmeno comprovato il contrario, dottoressa. Non oltre ogni ragionevole dubbio. Mentre il mio caro fratello oltre a un… passato colorito… ha già i suoi bei morti sulla coscienza. Perché credere a lui, dottoressa? Per rivalsa personale? Per prestigio?”


“Le ricordo che il caso non è più di mia esclusiva competenza e non è me che affronterà in tribunale, signor Romaniello.”

 

“Lo so… ma se sperava di venire qui e ottenere qualcosa si sbaglia di grosso. Io lo so come lavora, dottoressa. Come ragiona, come agisce, come risponde. E non conosco bene il nuovo magistrato ma… sa quanti ne ho visti passare nella mia carriera? Troppi. Io non sono come mio fratello, che invece di studiare si è dato alla pazza gioia e poi al crimine. Io so esattamente quali sono i miei diritti, cosa dire e cosa non dire. Quindi ora o ha altre domande per me, o mi congederei che tra poco è ora di cena.”

 

“Si ricorda quello che mi disse quando ci incontrammo al tempio greco due estati orsono, signor Romaniello? Siamo un paese dove siamo esperti nell’arte di aggirare gli ostacoli. Ecco, lei è esattamente questo che ha sempre fatto. Aggirare. Mandando avanti altri, a fare il lavoro sporco per lei. Ma se lei pensa che tutti se ne staranno zitti e si immoleranno per salvarle la faccia - per non dire altro - lei si sbaglia e di grosso. Si goda questi ultimi giorni qui a Matera, signor Romaniello,” pronunciò, decisa alzandosi e facendo cenno a Calogiuri e poi, lanciando un’ultima occhiata a Romaniello, prese la via dell’uscita.

 

L’aveva vista: una singola goccia di sudore sulla fronte del giudice.

 

Ma era già qualcosa. Sarebbe stato un osso duro Romaniello, ma bastava un’altra testimonianza oltre a quella del fratello e la sua baldanza sarebbe sparita.

 

Sperava vivamente che la cara Irene fosse in grado di procurarsela.

 

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“Valentì, sei sicura di non volere andare a parlare con tuo padre?”

 

“Per ora no, mà, magari più avanti. Ho bisogno di più tempo per elaborare tutto. Tanto a Matera posso sempre tornarci, no? Magari stavolta avvisando prima,” commentò, più sarcastica di lei quasi.

 

“Va bene, allora ci vado a parlare io e poi ripartiamo.”

 

“Perché ci vuoi andare a parlare?”


“Perché voglio rassicurarlo e chiarire la situazione con Cinzia, una volta per tutte, se è presente, ovviamente. Torno presto,” spiegò, uscendo dal portoncino e avviandosi verso quella che per vent’anni era stata casa sua.

 

Vide qualche comare spiarla dalle finestre mentre passava, ma lei si mise a camminare ad un passo ancora più deciso, come faceva per reazione in questi casi.

 

Suonò il campanello.

 

Ci volle un attimo prima che rispondesse al citofono.

 

“Chi è?”


“Imma.”

 

“Imma?” domandò, sorpreso, “c’è anche Valentì?”


“No, sono sola, Pietro. C’è pure Cinzia?”

 

“No, no, sta a casa sua.”

 

“Allora mi apri?”

 

“Va… va bene…” rispose Pietro, con un tono che sembrava quasi imbarazzato, facendola salire.

 

E fu con uno sguardo altrettanto imbarazzato che la accolse a quella che era stata la porta di casa loro.

 

Era qualche mese che non ci tornava.

 

Vide la statua della tigre ancora nell’ingresso, insieme a tutte quelle suppellettili che appartenevano a lei e che non aveva avuto tempo e voglia di portarsi a casa di sua madre. Si sorprese che non li avesse ritirati e buttati.

 

O forse no.

 

“Come mai sei qui, Imma?” le chiese, stupito.

 

“Perché voglio chiarire questa situazione con Cinzia e tra noi due una volta per tutte.”

 

“E cioè?”

 

“E cioè che non ti capisco, Pietro, e voglio capire qual è veramente la tua situazione, prima che ne risenta anche Valentina.”

 

“Ah, quindi Valentina dovrebbe risentire della mia situazione e non di te che te la fai con un ragazzetto? Almeno Cinzia è una donna adulta.”

 

“Sulla definizione di adulta abbiamo idee diverse, Pietro, ma… io almeno ho detto chiaro a tondo a Valentina cosa provo: che amo Calogiuri e voglio stare con lui. Tu invece stai con Cinzia ma poi Valentina mi dice che con lei sei triste, sembra che ti manco, insomma, a che gioco stai giocando Piè? Era per farmela pagare e far sì che Valentina rimanesse incazzata con me?” domandò, dritta e decisa, perché era quello il dubbio orribile che le covava dentro da quando aveva parlato con la figlia.

 

“Ma no, Imma! Non lo farei mai! Anzi, ho sempre cercato di spronare Valentina a perdonarti ma… ma per me non è facile dimenticarti, Imma. Ci sto provando con Cinzia, in ogni modo ma… ma soprattutto quando c’è Valentina mi tornano in mente i ricordi di noi insieme e mi manca quello che avevamo, com’eravamo quando eravamo felici. A te non capita mai?” le chiese con un’espressione che fu un colpo al cuore: era indifeso, vulnerabile e fragile come raramente l’aveva visto. Quasi implorante.

 

“Pietro… ovviamente ricordo con affetto e gratitudine i momenti in cui eravamo felici. Ma non com’eravamo gli ultimi tempi e… e io sono felice mo, anche se è brutto da dire, ma è la verità. Sono felice e non mi pento della scelta che ho fatto. E tu devi andare avanti e trovare qualcuna che ti renda felice del presente, non del passato. E se non è Cinzia la persona giusta, sarà qualcun’altra.”

 

Pietro sospirò ed annuì, “è che Cinzia è… una persona fantastica ma… ma non è te. E non è facile per me smettere di amare, Imma, anche se ci devo riuscire e lo so.”

 

“Cerca solo di non illudere sta Cinzia, anche se non posso credere di stare pronunciando queste parole,” rispose Imma, guardandolo dritto negli occhi, “non se lo merita, nonostante le cozze. E poi mi pare abbia un bel caratterino e che rischi grosso, Pietro.”

 

“Ma da qualche parte devo pur ricominciare, no?”

 

“Fai come credi. Comunque Valentina dice che ha bisogno di un po’ di tempo. Cercherò di convincerla a tornare a Matera uno dei prossimi fine settimana. Avvertendo prima, stavolta.”

 

“Va bene, grazie, Imma. Spero che possa capire e perdonarmi.”

 

“Se ha capito me, sicuramente capirà pure te, Pietro. Solo che su di me riponeva basse aspettative, tu per lei sei l’uomo ideale e… e mo ti becchi le conseguenze dello scontro con la realtà.”

 

“Avrei preferito essere l’uomo ideale per te, Imma,” proclamò, con un altro di quegli sguardi che la fecero sciogliere. Ma che non cambiavano la realtà.

 

“E lo sei stato, per molto tempo lo sei stato. Ma sono cambiata, Pietro e… e mi dispiace che ci sia andato di mezzo tu, ma non ci posso fare niente, se non essere sincera.”

 

“Lo so… anche se… fa male, ma… ci proverò a concepire una vita senza di te.”

 

Imma sospirò, gli prese una mano e gliela strinse, poi si alzò dal divano e provò a lasciargli la presa anche se lui la tratteneva.

 

“Devo andare mo.”

 

“Dal maresciallo?”

 

“E da Valentina. Torniamo a Roma. Il mio lavoro qui a Matera è finito.”

 

Pietro le lasciò la mano, annuendo con aria sconfitta. Imma imboccò la porta di casa che ormai però di casa non aveva più niente, era come il fantasma di un tempo passato, che non poteva più tornare.

 

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Erano partiti da poco: lei e Calogiuri davanti e Valentina seduta dietro.

 

“Ci sentiamo un po’ di musica, almeno?”

 

“Non la puoi ascoltare dal cellulare tuo?” chiese Imma, conoscendo e temendo i gusti della figlia.

 

“Ho quasi finito i giga per questo mese e a casa di nonna non c’è il wifi.”

 

“Prendi il mio, se vuoi,” si offrì Calogiuri, indicando il cellulare poggiato vicino al bracciolo.

 

“Sei l’unico uomo che presta liberamente il suo cellulare o ne hai due?” domandò Valentina, sorpresa.

 

“E che ci vuoi trovare?”


“A parte i miei messaggi?” si inserì Imma, non volendo la figlia li leggesse, per quanto fossero per la maggior parte tranquillissimi.

 

“Che non leggerei mai per evitarmi ulteriori traumi. Vedere papà che si limonava Cinzia Sax mi è già bastato per una vita.”

 

Imma si trattenne a stento dal ridere, vedendo che il soprannome di Cinzia aveva iniziato ad usarlo pure la figlia. Ma non poteva dare a vedere che segretamente approvava.

 

Comunque Valentina si prese il cellulare e cominciò a spulciarlo. Imma rimase col fiato sospeso finché Valentina esclamò, “ma ascolti pure tu Achille Lauro?!”

 

“Ogni tanto quando mi alleno sì. Ho iniziato a sentirlo quando indagavo su un caso con tua madre e poi… non è così male.”


“Allora ce lo sentiamo dallo stereo? Dai, mamma, in ricordo anche del concerto!”

 

Imma li guardò, comprendendo che avere un compagno giovane e dai gusti più simili a quelli di Valentina era assai pericoloso in certi frangenti. Anche se da un lato forse Calogiuri poteva aiutarla a capirla meglio. In fondo quando le era andato a parlare, aveva evidentemente saputo trovare le parole giuste.

 

“Con sei ore di Achille Lauro io divento scema e potrei non rispondere di me, vi avverto.”

 

“Ma no, possiamo pure cambiare poi. E mettere quella roba vecchia che piace più a te. Qui c’è pure Battiato. Certo che anche sulla musica c’hai gusti strani, tu,” disse, rivolta a Calogiuri.

 

Imma lo guardò e lui le sorrise e seppe istantaneamente di quale album di Battiato si trattava e di quale canzone. Del resto pure a lei, dalla prima volta che l’avevano sentito insieme, ricordava tremendamente lui.

 

Ma ogni pensiero romantico si dissolse quando Valentina fece partire a tutto volume dall’impianto audio una traccia di Achille Lauro che proclamava di volere una Rolls Royce.

 

A lei sarebbe bastato pure un pandino in quel momento, purché silenzioso: sarebbe stato un viaggio lunghissimo.

 

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“Eccoci qui. Mi raccomando, Valentì. E cerca di sentirlo tuo papà, non appena ti senti pronta per farlo, va bene?”

 

“Va bene, mà. Grazie per il salvataggio e per essermi venuti a prendere. E comunque i tuoi gusti musicali non sono così male, Calogiuri. Quelli sulle donne, insomma, ma contento te,” ironizzò, ma con un sorriso che faceva capire come non fossero solo i gusti musicali di Calogiuri a non dispiacerle.

 

“Figurati, buona serata!”

 

“Ormai buonanotte che mi sa che vado dritta a dormire,” si congedò Valentina, scendendo dall’auto borsone in mano ed entrando nel portone di casa sua.

 

“Mi sa che hai fatto una buona impressione, Calogiuri. E con mia figlia non è facile.”

 

“Con te è ancora più difficile, quindi… sarò fortunato con le donne di famiglia Tataranni.”

 

“Oh, su questo ci puoi scommettere. Pure mia madre c’aveva un debole pazzesco per te,” ricordò con commozione, stringendogli una mano, “va beh, ora ti va se andiamo a casa mia? O preferisci passare dalla tua per prenderti un altro cambio?”

 

“Ma no, ci torno domattina. Andiamo a casa,” rispose lui e il fatto che quella fosse semplicemente casa, pure per lui, le diede un’altra botta di magone.

 

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“Una lettera?”

 

Aprì la buca col suo nome con stupore: era la prima lettera che riceveva da quando stava a Roma. Le bollette erano domiciliate e chi mai poteva volerle scrivere?

 

E invece c’era proprio il suo nome e cognome, scritti a mano in una bella grafia, il mittente era la procura.

 

“Ma perché mi scrivono dalla procura mo?” chiese ad alta voce, entrando in casa con Calogiuri al seguito e mollando i cappotti all’ingresso.

 

Strappò la lettera con poche cerimonie e quello che lesse la gettò nello sconforto.

 

Festa Annuale della Procura della Repubblica di Roma

La Signoria Vostra è invitata il giorno 16 marzo presso l’hotel

 

Smise di leggere e guardò Calogiuri, porgendogli il foglio.

 

“Sai che cos’è sta roba?”

 

“Sì, la festa annuale, c’è tutti gli anni appunto, ma io l’anno scorso me la sono persa perché ero ancora a Matera. Si invita tutta la Procura o quasi, più autorità, industriali, politici, gente che conta insomma. Tipo una cena elegante. Non so se mi inviteranno, essendo un maresciallo, ma forse sì. Però i magistrati sono tutti invitati.”

 

“E posso mandarli a quel paese e non andare, vero?” domandò, speranzosa, perché la sola idea di un evento simile le dava l’orticaria.

 

“A quanto ne so Mancini ci tiene molto. Non so se riuscirai ad evitartelo. Ho visto le foto dell’anno scorso e i magistrati c’erano tutti. E forse non è il caso-”

 

“E forse non è il caso di inimicarsi Mancini, lo so. Va beh, gli parlerò, tanto qui devo dare conferma entro tre giorni. Sai quanto odio queste cose.”

 

“Ma potrebbe essere anche un’occasione per conoscere gente nuova, no?”

 

“E chi? Industriali pieni di sé e di soldi? Politici che fanno campagna elettorale? Le mie categorie preferite tra cui fare amicizia, proprio.”

 

Calogiuri scoppiò a ridere.

 

“Ma non cambi mai…”

 

“E che non mi conosci, Calogiù?! Dovresti preoccuparti se cambiassi.”

 

“Hai ragione.”

 

Proprio in quel momento, arrivò una notifica sul cellulare di lui. Era sabato sera e poteva essere o la cara Irene o, si sperava, Mariani o Conti.

 

“Mariani, vuole sapere se domani sera vado con lei e Conti al pub.”

 

“Calogiuri, ti ho già detto che non mi devi chiedere il permesso, no?”

 

“No, infatti, ma era per fartelo sapere.”

 

“Vorrà dire che ti aspetterò al ritorno, per la nostra di serata,” proclamò lei con un sorriso, allacciandogli le braccia al collo e mordicchiandogli il labbro: doveva cercare di fidarsi di lui e vivere bene le sue uscite, era l’unico modo per non impazzire e per non rischiare di sfinirlo al punto tale da perderlo o che lui riprendesse a nasconderle le cose.

 

E poi, visti gli ultimi episodi con Valentina, sapeva che al momento non aveva da temere.

 

A parte forse con la Ferrari, perché Irene era un’altra cosa e su di lei di stare tranquilla proprio non ci sarebbe mai riuscita.

 

“Anzi, che ne dici se ti offro un’anteprima?” chiese, anche per scacciare quel pensiero, trascinandolo verso il bagno.

 

“Risparmio energetico, dottoressa?”

 

“Risparmio energetico, maresciallo,” confermò, sentendosi, per tutta risposta, prendere in braccio e dicendo già mentalmente addio ai vestiti che sarebbero dovuti finire dritti in lavatrice.

 

Ma non gliene fregava niente.

 

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“Buonasera ragazzi!”

 

“Calogiuri, finalmente! Cominciavamo a pensare che ci avresti dato buca. Ma è vero che sei dovuto tornare a Matera negli ultimi due giorni?”

 

“Sì, una sfacchinata tremenda.”

 

“Immagino, poi con la Tataranni, che è un mastino!” commentò Carminati e Calogiuri dovette trattenersi a fatica dal difendere Imma, “non so come fai tu che te la sopporti da tanti anni.”

 

“La dottoressa è molto corretta sul lavoro, se uno lavora bene, non ho mai avuto problemi con lei,” ribattè, cercando di stare sul professionale ma provando comunque un moto di rabbia.

 

“Va beh… adesso però mo basta parlare di lavoro. Calogiuri, qui tu ti devi un po’ svegliare,” si inserì Rosati, lì vicino.

 

“In che senso?”

 

“Che ormai è quasi un anno che stai qua, e di uscite ne abbiamo fatte tante e tu a parte qualcuna che ci prova ma che poi non rivediamo più… ancora single stai. Ora, o c’hai conquiste segrete che non vuoi dividere con noi o comincia ad essere preoccupante la cosa. Non è che hai altri gusti?” ironizzò Carminati e Calogiuri si sentì avvampare.

 

“A parte che pure in caso non ci sarebbe niente di male, ma no, semplicemente ho gusti… difficili e dopo un matrimonio annullato a due passi dall’altare ci penso molto bene prima di iniziare una relazione.”

 

“Ti sei salvato appena in tempo, Calogiuri!” commentò Rosati, con una risata, dandogli una pacca sulla spalla, “ma non è che sei già impegnato e non ce lo vuoi dire?”

 

“Che… che vuol dire?” chiese Calogiuri, sentendosi prendere dal panico.

 

“Ma sì, magari con una certa dottoressa…” proseguì Rosati e il panico diventò totale.

 

“Ma no, che dite, non-”

 

“Che pensi che non le abbiamo notate tutte le uscite che fai con la Ferrari? Come siete sempre vicini? E che vi date del tu quando pensate che non vi senta nessuno? Perfino in azione è entrata insieme a te e non lo aveva mai fatto.”

 

“No, guardate-”

 

“Che poi, voglio dire, con una figa del genere, pure io non mi guarderei intorno. Deve essere una bomba atomica a letto, beato te!” proclamò Carminati, come sempre un lord inglese.

 

“Non dovete parlare della dottoressa in questi termini! Non solo è un nostro superiore ma non è un pezzo di carne e merita rispetto!” si irritò, perché veramente quei commenti da caserma non li aveva mai sopportati.

 

“Vedi come si scalda? Mi sa che c’avevamo ragione!” rise Rosati, mentre Mariani gli lanciava un’occhiata come a dire porta pazienza e Conti era bordeaux e con un’espressione tra lo schifato e il deluso.

 

“Io mi scaldo perché non mi piace che si parli così delle persone e-”

 

In quel momento si sentì toccare alla schiena e si voltò e si ritrovò di fronte a Valentina, con un gruppo di amiche, tra le quali quella che aveva già incontrato in procura.

 

“Ciao Valentina! Che ci fai qui?”

 

Il pub non era il loro solito e, in effetti, era oltre il Tevere, a metà strada tra la procura e l’università, ma Carminati aveva insistito per venire lì perché gli piaceva una delle cameriere.

 

“Ci esco, come te immagino e-”

 

“E loro sono dei miei colleghi della procura,” la interruppe, sperando che cogliesse il messaggio e Valentina spalancò leggermente gli occhi.

 

“Ma non è che è questa bella figliola la tua fidanzata misteriosa?” si inserì subito Carminati e Calogiuri si sentì avvampare e vide che pure Valentina diventava fucsia.

 

“No, no, Valentina è la figlia della dottoressa Tataranni.”

 

“Perché non vi unite a noi?” offrì Carminati, non perdendo tempo, ma Valentina scosse il capo.

 

“No, grazie, stasera serata sole donne. Buona serata, Calogiuri!”, ribattè Valentina, seguita dalle sue amiche, tra cui quella vista in procura che continuava a lanciargli occhiate. Si misero ad un tavolo lì vicino.

 

“Hai capito?! Chi avrebbe mai pensato che una simile bellezza fosse figlia di quella racchia della Tataranni!” rise Carminati e Calogiuri dovette artigliare il tavolo per non menargli un pugno.

 

“Im-Innanzitutto la dottoressa Tataranni è un superiore. Punto secondo, non deve fare Miss Italia ma il suo lavoro e lo fa benissimo. Punto terzo, non è una racchia, anzi è una gran bella donna. E poi tu sei sempre inopportuno e non li sopporto più i tuoi commenti maschilisti!”

 

“Come sei sensibile! Ma poi una gran bella donna?! Ma ci vedi bene? Tra quei capelli e come si infagotta sempre in quei vestiti che pare un sacco di patate leopardato!” commentò con un’altra risata.

 

“Carminati…” provò ad intervenire Mariani, ma Calogiuri stava facendo uno sforzo sovrumano per non levargli il sorriso a suon di cazzotti.


“Magari avrà look stravaganti, ma resta una bella donna e soprattutto è il tuo capo ed è la donna più intelligente che conosca. Lo stesso non posso dire di te, Carminati, che poi, vediamo, tutte ste conquiste dove stanno? O le donne come ti sentono parlare fuggono, giustamente, a gambe levate? Sempre se si avvicinano prima, visto che non sei esattamente tutto questo gran bel vedere.”

 

“Calogiuri!” esclamò Carminati, prima scioccato, poi furioso, “guarda che rischi!”

 

“Sai te che paura! E comunque non ne vale proprio la pena, di rischiare un provvedimento disciplinare per uno come te. Godetevi la seratina, che a me la birra è rimasta sullo stomaco!” concluse, mollando bruscamente il boccale sul tavolo, lasciandoci i soldi ed uscendo dal locale.

 

Sentì passi affrettati corrergli dietro e ci vide Mariani.

 

“Scusalo, lo sai com’è. In realtà è solo invidioso perché quando ci sei tu le ragazze le attiri tutte tu, per quello fa lo scemo. Ma non devi farti provocare, va bene?”

 

“Tranquilla, Mariani, ed è quello che sto facendo.”

 

“La prossima volta usciamo solo io, te e Conti, promesso,” ribadì Mariani, mettendogli una mano sulla spalla.

 

“Occhio che se ti vede Carminati, poi penserà che c’abbiamo una relazione pure io e te.”

 

“Va beh, su tutta la PG mi poteva andare molto peggio, Calogiuri, anche se non sei il mio tipo, ahimé. Io ho gusti terribili.”

 

“Grazie Mariani, sei un’amica.”

 

“Pure tu. Guida con prudenza e non farti prendere troppo dalla rabbia, mi raccomando, che come hai detto tu non ne vale la pena,” si raccomandò, prima di stringerlo in un rapido abbraccio e tornare verso il tavolo con quei cretini.

 

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“Calogiù? Ma che ci fai già a casa?”

 

Erano appena le 22.30, presto per una serata al pub.

 

“Niente… è che… ero stanco e ho preferito tornare prima,” ribattè, ma gli lesse in faccia che era triste o incazzato o forse entrambe le cose.


“Calogiuri, ma è successo qualcosa?” gli chiese nuovamente, avvicinandosi per bloccarlo per le spalle e costringerlo a guardarla negli occhi.

 

“Non ci ha provato nessuna, se è questo che ti preoccupa,” ribattè, amaro ed Imma capì che era veramente arrabbiato.

 

“No, non è questo che mi preoccupa, sei tu che mi preoccupi. Che è successo? Lo sai che mi puoi dire tutto!”

 

Ma Calogiuri rimase muto, con quell’espressione triste, che le ricordava qualcosa.

 

E poi capì che cosa: era l’espressione che aveva anche a Matera, quando qualcuno sparlava di loro o di lei e lui ci rimaneva male e pensava lei non se ne accorgesse.

 

Ma se n’era sempre accorta, solo che non poteva parlarne con lui, per ovvie ragioni.

 

“Qualcuno ha detto qualcosa su di me?” gli chiese e Calogiuri spalancò gli occhi in quel modo stupito, come se avesse di fronte qualcuno che potesse leggergli nel pensiero, e seppe di avere ragione.

 

“Deduco di sì. Allora, che è successo?”

 

“Ma niente… Carminati ha fatto un po’ di commenti da caserma su di te. Ma anche sulla Ferrari, eh. Sapevo che era un cretino ma mi ha fatto arrabbiare.”

 

“Commenti da caserma di che genere?”

 

“Ma niente… è un cretino e-”

 

“E quindi deduco che non fossero lusinghieri?”

 

“Ma no… commentava il tuo abbigliamento, cose così.”

 

“E va beh… Calogiuri, sai quante me ne sono sentite dire. Non ti devi preoccupare, veramente, io c’ho la pellaccia dura sui commenti sull’estetica. Ci sono abituata.”

 

Calogiuri sospirò e annuì, prima di aggiungere, come colto da un lampo, “ah, e ho rivisto Valentina. Per caso, eh, è venuta con un gruppo di amiche e ci siamo solo salutati. L’ho avvertita che erano colleghi e lei e le amiche sue se ne sono subito andate a un altro tavolo. Ma, visto che ti ho promesso che te lo avrei detto in caso di contatti con lei-”

 

“Tranquillo, Calogiuri. Non è che mo voglio sapere di ogni tuo singolo contatto con mia figlia e tutto quello che vi dite ma che, se ci sono cose importanti o problemi, che tu me lo faccia sapere, così li affrontiamo insieme. Tutto qui,” sussurrò, intenerita, vedendolo così impanicato ed abbracciandolo forte, “senti, perché non approfittiamo di questo rientro anticipato a causa dei commenti da caserma per goderci una serata rilassante solo io e te?”

 

“E cosa prevederebbe?” le chiese con un sorriso.


“Innanzitutto un bel massaggio, che ti sento tutto contratto e hai guidato troppo in questi giorni. E poi dopo… diciamo che devi usare la tua fantasia, maresciallo, ma stasera sei nelle mie mani. In tutti i sensi.”

 

Calogiuri la guardò prima con tenerezza e poi spalancò gli occhi in quel modo quasi animalesco, prima di baciarla con passione.

 

“Non vedo l’ora, dottoressa,” le sussurrò sulle labbra, fronte a fronte, quando si staccarono per riprendere fiato.

 

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“Valentì.”

 

“Mamma, ciao, come mai mi chiami a quest’ora? Sto andando in università.”

 

Lei era sulla strada per andare in procura: approfittava del fatto che lei e Calogiuri ci si recassero separatamente per fare un po’ di indagini.

 

“Senti, Valentì, Calogiuri mi ha detto che vi siete visti per caso ieri sera.”

 

“E che cos’è mo, un reato?”


“No, anzi, ma… ho capito che qualcuno con cui stava ha fatto commenti su di me. Lui non mi vuole dire che è successo, ma me lo puoi raccontare tu, magari? Sono un po’ preoccupata. Non dei commenti, ma di come li prende male lui.”

 

“Mà… non ho sentito molto… ero a un tavolo vicino ma c’era casino…” provò a svicolare Valentina, ma capì istantaneamente che almeno qualcosa aveva sentito.


“E allora? Dai che ti conosco!”

 

“Ma niente… uno degli agenti, uno un po’ bassino, col nasone ha… insomma… ha fatto brutti commenti sulla tua estetica, più che altro su come ti vesti. Ma il tuo maresciallo gliene ha cantate quattro, gli ha dato poco velatamente del cesso e se ne è andato. Pensavo lo menasse a un certo punto,” commentò Valentina e sentì nella voce una certa ammirazione, “ascolta, tanto lo sai che la gente commenta su come ti vesti, no? Il tuo maresciallo ci dovrà fare l’abitudine. Che poi tu hai un bel fisico mamma, se non lo nascondessi sempre. Quel carabiniere dovrebbe guardarsi lui, che sembra un panzerotto e ha un naso che pare una portaerei.”

 

“Sbaglio o mi hai appena fatto un complimento?”

 

“E ti ho detto che ti vesti malissimo. Ma che ti costa per una volta vestirti un po’ meglio? Valorizzarti un po’. E non ci posso credere che tocca a me dirtelo. A casa e coi vestiti estivi stai bene, sono quelli invernali, che ti infili ottocento strati abbinati che… lasciamo perdere.”

 

“Perché c’ho freddo, Valentì. Ma ci penserò, grazie per i complimenti,” ironizzò, anche se effettivamente… a quel cretino di Carminati e agli altri le sarebbe proprio piaciuto dare una bella lezione.

 

Non che sarebbe mai stata una strafiga come la Ferrari, ma se Calogiuri e perfino sua figlia, la cui massima idea di complimento era dire che qualcosa non le facesse schifo, le dicevano che aveva un bel fisico… forse un po’ di verità c’era.

 

Doveva pensarci su. Anche perché di cambiare per compiacere gli altri non se ne parlava proprio.

 

Le cose le avrebbe fatte, ma con il suo stile.

 

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“Dottoressa Tataranni! Com’è andata a Matera?”

 

“Tutto bene, dottore. Sto preparando insieme al maresciallo Calogiuri il rapporto sull’interrogatorio a Romaniello, ma è andata bene, credo. Diciamo che non mi aspettavo niente di diverso da lui.”

 

“Ne sono certo, conoscendola. O non si sbilancerebbe. Allora, aveva bisogno di me?”

 

“Sì, dottore. Vede, ho ricevuto l’invito per la festa annuale e mi chiedevo se potessi-”

 

“Dottoressa, non mi dica che non vuole partecipare! Ci tengo moltissimo che lei sia presente, essendo nuova qui in Procura oltretutto. Ho molta gente da presentarle e… è giusto che si faccia conoscere. Sta facendo un ottimo lavoro qui, ma è importante anche coltivare le relazioni pubbliche, lei mi capisce.”

 

“Io la capisco, ma… non sono molto amante di questo tipo di eventi. Né molto capace a fare relazioni pubbliche, col mio carattere.”

 

“Suvvia, sono sicuro che qualche ora di relazioni pubbliche in un anno non le costerà poi tanta fatica. E comunque è principalmente un buffet, poi c’è anche l’accompagnamento musicale. Insomma, appunto è un modo per fare conversazione. E ad una certa ora può smarcarsi, se proprio le viene a noia.”

 

“D’accordo. Ma non garantisco di essere gradita ai suoi ospiti, dottore.”

 

“Ma sicuramente la sua presenza sarà gradita a me,” ribattè Mancini con un sorriso di quelli a cui non potevi dire di no, “vedrà che sarà meno peggio di come se lo immagina.”

 

“Va bene, dottore, del resto non posso dirle di no,” concluse Imma con un sospiro, prendendo congedo dal procuratore capo.

 

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“Imma! Com’è andata? Ti vedo bene, nonostante tutto il trambusto degli ultimi giorni.”


“Poteva andare peggio. Eccoti il rapporto sull’interrogatorio a Romaniello.”

 

“Grazie!” esclamò, sembrando sorpresa, “come mai non me lo hai fatto portare da Calogiuri?”

 

“Per dirti che devi stare attenta quando sarà sul banco degli imputati. Davvero è un serpente e non mollerà di un millimetro. Scarica tutta la colpa sul fratello. Devi avere riscontri a prova di bomba e possibilmente più di un testimone, a parte Saverio Romaniello.”

 

“Ci sto lavorando, Imma, ci sto lavorando,” rispose con un sorriso misterioso, “comunque sono sicura che hai fatto un ottimo lavoro. Leggerò il rapporto e ti farò sapere se avrò altre domande.”

 

Fu in quel momento che notò, su un tavolo all’angolo, un sacchetto di carta di quelli da boutique costosa, tutto infiocchettato.

 

“Ah, sì, sono andata a comprarmi il vestito per la festa annuale. In pausa pranzo, ovviamente,” si affrettò a precisare, avendo notato la sua occhiata, con un sorriso, “tu ci verrai, vero? Ci serve qualche donna in più, per fare squadra e sopravvivere alla serata.”

 

“Pensavo che gli eventi mondani ti piacessero,” rispose, sorpresa.

“Gli eventi mondani sono un male necessario, Imma, come tante cose in questo lavoro. A me piacciono gli eventi culturali. Quelli mondani… li tollero, perché sono utili per conoscere gente e conoscere gente è utile per le indagini. Non sai quanti futuri imputati ed indagati si trovano a queste feste,” commentò con un sorrisetto sarcastico.

 

E, per una volta, le venne da ridere sinceramente. In fondo lei e la Ferrari di cose in comune ne avevano. Solo che Imma non si sapeva tenere un cecio in bocca. La Ferrari era invece la regina della diplomazia e della dissimulazione. Il che la rendeva assai pericolosa.

 

Imma prese nota del nome della boutique sul sacchetto, intenzionata ad andare a darci un’occhiata, anche se immaginava già il numero di zeri di quei vestiti. Avrebbe copiato lo stile e poi trovato qualcosa di mooolto più abbordabile.

 

E ci avrebbe aggiunto il suo tocco personale, naturalmente.

 

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“Mariani, mi dica!”

 

“Dottoressa, ho buone notizie. Sono riuscita a fissare un appuntamento con Maja. O meglio, mi ha scritto due date tra le quali scegliere. Ora però la palla passa necessariamente a un mio collega uomo, per ovvie ragioni,” spiegò, mettendole davanti il tablet con la chat con Monique.

 

Fece scorrere l’ultimo pezzo e le venne da ridere: Mariani si era proprio calata nella parte dell’uomo infoiato.


“Mariani, complimenti per le doti di scrittura ed immedesimazione!” la prese in giro e la ragazza divenne color peperone.

 

“E va beh… dottoressa… a furia di stare in caserma… sa quante ne ho sentite?”

 

“Immagino, Mariani, immagino. Ascolti, chi c’è disponibile per questo lavoro? Abbiamo anche Rosati e Carminati oltre che Conte e Calogiuri, giusto?”

 

“Sì, dottoressa ma… Carminati lo lascerei perdere. Rischia di calarsi un po’ troppo bene nella parte, se capisce cosa intendo. Quello quando vede una gonna non capisce più niente. Rosati forse… però io resto dell’idea che sia meglio mandarci Calogiuri, anche se come uomo che va a escort forse è poco credibile. Ma almeno è il più affidabile e non è imbranato quanto Conte.”

 

Ad Imma balenò in mente Lolita Tiger ma non disse niente. Lei Calogiuri proprio non voleva mandarcelo, maledizione! Anche se sicuramente, tra tutti, era il migliore e non ci pioveva.

 

“Per intanto accetti l’appuntamento per settimana prossima, Mariani, poi vedrò il da farsi. E ottimo lavoro, complimenti!”


“Grazie, dottoressa.”

 

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“Signora, ha bisogno?”

 

“Grazie, al momento sto dando un’occhiata,” rispose alla commessa, elegantissima, e che l’aveva occhieggiata con sospetto da quando era entrata in negozio, come se lei non si potesse permettere quella roba ingiustificatamente costosa.

 

In realtà poteva permettersela, non sempre ovviamente. Ma non voleva permettersela perché era uno schiaffo alla miseria.

 

“Ma se mi dice per quale occasione, posso darle una mano,” continuò ad insistere ed Imma decise di cedere per levarsela di torno. Tanto poteva sempre provare qualcosa e poi non comprare nulla.

 

“La festa annuale della procura, sono un magistrato.”

 

“Ma lei è una collega della dottoressa Ferrari, per caso? Perché è una nostra ottima cliente!”

 

E te credo, col guardaroba che c’ha vi lascerà un mutuo! - pensò con sarcasmo, ma non lo disse, limitandosi ad annuire.

 

“Vorrei una cosa abbastanza semplice, ma che sottolinei la figura.”

 

“Che taglia ha? Con questi vestiti e il cappotto fatico a capirlo.”

 

E così glielo disse e si ritrovò senza sapere come in camerino, a provare un tubino nero dal taglio elegantissimo e dalla stoffa che, le toccava ammetterlo, era la cosa più morbida che avesse mai avuto sulla pelle. Le arrivava di poco sotto il ginocchio e le stava come un guanto. Era praticamente perfetto, pure senza ritocchi.

 

La commessa la guardò stupita quando uscì dal camerino e si produsse in complimenti su come le stava che suonarono stranamente sinceri, considerato che le appartenenti alla categoria devono incentivarti all’acquisto pure se il vestito ti fa sembrare un capocollo.

 

Il problema era il prezzo. Ma avrebbe potuto riutilizzarlo per molte altre occasioni formali e poi… per una volta. Forse era impazzita. Ma se ne era innamorata e ultimamente agli innamoramenti e alle tentazioni le veniva assai difficile resistere.

 

Ma voleva che Calogiuri potesse non vergognarsi di presentarla come la sua compagna, quando sarebbero usciti allo scoperto. E, anche se non sarebbe mai stata Miss Italia, le sue armi ce le aveva anche lei ed era ora di sfoderarle. Poi sarebbe pure potuta tornare al suo look solito per tutti i giorni.

 

Ora restava da dare una botta di vita all’outfit, come lo avrebbe chiamato Valentina, perché di omologarsi alla massa, nonostante tutto, non ci pensava nemmeno.

 

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“Calogiuri, dimmi, sei pronto per il finesettimana?”

 

Glielo domandò come se non la sapesse benissimo la risposta. Lui sorrise, sornione. Erano ormai le diciotto di venerdì sera e non vedeva l’ora di poter passare tutto il finesettimana con lui. Cena di gala a parte, sebbene pure lui fosse stato invitato. Non vedeva l’ora anche di vederlo vestito elegante, nonostante sperasse che non ci avesse speso un capitale, che non se lo poteva proprio permettere lui.

 

“Sì, dottoressa, ma ho novità per voi sul caso Spaziani. Innanzitutto, le telecamere di sicurezza all’ingresso della villa confermano che la signora Spaziani non si è mossa da quando se n’è andata la cameriera fino al mattino dopo, in seguito alla chiamata, e quindi-”

 

“E quindi o ha trovato un modo di eludere le telecamere o il suo alibi regge.”

 

“Ho controllato la cancellata della villa, dottoressa, ed è molto alta, oltre che acuminata. Scavalcarla è un azzardo, tranne per un professionista, ed inoltre ci sono altre telecamere perimetrali, se vuole possiamo farle verificare, ma-”

 

“Meglio verificarle, Calogiuri, per scrupolo, anche se ritengo improbabile una dinamica del genere. Al massimo la moglie potrebbe avere incaricato qualcun altro di commettere il fatto al posto suo.”

 

“Esattamente. Poi ho verificato questa Eleonora Marchi ed è la compagna di Amedeo Spaziani, insomma, il figlio, da un paio di anni. Lei conferma che lui abbia lasciato il suo appartamento alle ventitrè e dopo quindi non ha un alibi. Mi sono permesso di convocarla per un interrogatorio più approfondito per lunedì.”

 

“Hai fatto bene, Calogiuri. Altro?”

 

“Sì. Ho chiamato lo studio di avvocati al quale la signora Spaziani faceva tutte quelle telefonate e quell’utenza telefonica sembra appartenere effettivamente all’avvocato divorzista dello studio, un certo… Andrea Galiano.”

 

Imma sentì tutto il sangue andarle fino ai piedi, la testa che le girava, un senso prepotente di nausea.

 

E poi di rabbia.


Nota dell’autrice: Innanzitutto buona pasqua! Anche se è una pasqua sicuramente particolare. Riguardo alla storia invece, come avete visto ci attende nel prossimo capitolo una Imma che deve fare pubbliche relazioni e “tirare fuori le armi”. Diciamo che ne succederanno (spero) delle belle e chissà quali risultati porterà quella serata… di sicuro qualcuno potrebbe essere geloso ;). Inoltre si prosegue col giallo, il maxiprocesso si avvicina e le due inchieste aperte da Imma andranno sempre più avanti, coinvolgendo persone a lei vicine, come avete appena letto. Spero che la storia continui a mantenersi interessante e coinvolgente e vi ringrazio davvero per averla seguita per questi venticinque capitoli. Le vostre recensioni oltre ad essere graditissime mi sono davvero utili per capire cosa vi piace di più e di meno e cosa funziona e cosa c’è che non va, quindi se vorrete farmi sapere che ne pensate vi ringrazio di vero cuore.

Il prossimo capitolo arriverà puntuale domenica 19.

Grazie e ancora auguri!

 
   
 
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