Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: DarkWinter    14/04/2020    7 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non sapevano dove si trovavano. Avevano volato per un po’ alla ricerca di una citta’ ma non avevano ancora trovato quella che faceva al caso loro. Vedevano solo villaggi e paesoni di medie dimensioni, posti decisamente non adatti per atterrare e passare inosservati: erano quel genere di posti in cui tutti si conoscevano e due gemelli dai capelli neri e biondissimi e dagli occhi identici color ghiaccio erano di certo una vista che attirava l’attenzione, piu’ attenzione di quanto loro volessero in quel momento. Ammirarono il paesaggio sempre piatto, solo piatto, finche’ non sorvolarono una metropoli.

“Che cos’e’ quella?”

Diciotto non seppe identificare la citta’, ma Diciassette si fermo’ all’improvviso, a mezz’aria, dritto al di sopra di una torre altissima. Era un grattacielo che terminava in una grossa cupola. Lui scese finche’ i suoi piedi non la toccarono, seguito da una Diciotto piuttosto spazientita:

“Siamo atterrati qui, probabilmente tutti ci hanno visti. Grazie, Diciassette. Davvero.”

“Stai zitta. Questa e’ West City, siamo in cima a Dream World, qui e’ troppo in alto perche’ ci vedano e quindi non c’e’ motivo per quel tono di voce acido.”

Il ragazzo si sedette a gambe incrociate su Dream World. Si era ricordato di quel posto perche’ ci era gia’ stato. Quando? Prima, ovviamente. Durante quella dannata vita che Gero aveva cancellato, dimenticandosi pero’ qualche pezzo. Erano proprio quei pezzi che lo sfinivano. Dream World era solo un’altra riminescenza, un altro tassello che non faceva altro che girargli per la testa senza trovare il suo posto, tormentandolo inutilmente. Da quando Diciassette aveva riacquistato i sensi e si era ricordato dei sogni che aveva avuto durante la prigionia di Cell, non era piu’ riuscito ad essere tranquillo. Aveva cercato di non mostrarlo a Diciotto, per essere lasciato stare, ma si sentiva irrequieto e irritabile. Ovviamente Diciotto se n’era accorta: era facile capire l’umore di Diciassette, specialmente quando lui aveva gia’ declinato due occasioni per rimpinzarsi. Non una. Due.

Se era cosi’ nervoso da non voler nemmeno mangiare, Diciotto penso’ che doveva essere proprio grave. Si avvicino’ a lui, che scrutava l’orizzonte con uno sguardo torvo e il mento sulle ginocchia, gli parlo’ con tono gioviale:

“Dimmi un po’ di Dream World, che cos’e’?”

“Un parco divertimenti.”

“E tu ci sei stato?”

“Probabilmente.”

“Cosa ti ricordi?”

“Un serpente di peluche. Era molto brutto.”

Diciotto ridacchio’ per quella risposta inaspettata e appoggio’ la testa contro la spalla del fratello. Lui sembro’ gradire la sua presenza.

“Va bene. Siamo a West City, che facciamo ora?”

Il ragazzo non rispose, non aveva nessuna voglia di rinunciare al suo capriccio. Avrebbe continuato a non voler fare niente fin quando un po’ del casino nella sua testa si fosse calmato. Ci sarebbe voluto anche molto tempo...Pero’ a un certo punto si accorse che, lontano in linea d’aria, una distesa sterminata di automobili di ogni genere e tipo gli faceva l’occhiolino. Un parcheggio.

I suoi occhi brillarono.

Nel momento in cui l’attenta Diciotto si accorse delle sue intenzioni, Diciassette era gia’ in volo.


 

Kate aveva lavorato duro per dare il suo contributo al mondo durante i Cell Games, quel periodo di follia pura che si era concluso con altra follia. Ma anche se i caduti erano inspiegabilmente ritornati e lei si sentiva felice per chi si era perso e poi ritrovato, non si sentiva toccata fino in fondo: se Lapis e Lazuli erano morti, lei non era stata lì con loro. Cosa poteva contare tutto il resto?
Kate si sentiva ormai vicina al fondo, al niente che tanto temeva. Non riusciva più a sorridere spontaneamente alle persone care, non riusciva più a versare una lacrima o a prestare la giusta attenzione ai fatti che le accadevano intorno.

Senti’ vibrare il cellulare e lesse con apatia l’invito di “Ronan del podcast” a cena, per il sabato seguente; di gia’? Kate non aveva nessuna fretta, quel produttore televisivo avrebbe anche potuto aspettare.

Quando le avevano chiesto di partecipare al podcast, aveva deciso che non aveva niente da perdere a parlare di Escap’Box e della sua rete antiviolenza Domani: mal che andasse, lei avrebbe ancora una volta dichiarato che se quel Cell era morto, la violenza era viva e sempre prospera e lei non avrebbe rinunciato alla prima linea in quella lotta. Visto che aveva fallito come madre, voleva non farlo almeno come donna. Il mondo e la sua citta’ avevano un bisogno disperato di lotta contro la violenza, specialmente da quando quella piaga del Commando Magenta si era mangiata un pezzo di citta’.

Era un male che era venuto prima di Cell ma che era ancora li’. Kate ogni volta pensava ai suoi figli e al fatto che quei maledetti potevano benissimo avere a che fare con la sparizione dei gemelli: negli ultimi anni l’agente Bruno Weiss in persona aveva rischiato molto cercando di sorvegliarli.
Rientrando a casa, Kate si accorse da lontano della sagoma di un uomo nel portico di casa sua: non avendola vista arrivare continuava a bussare alla sua porta, poi a camminare avanti e indietro con le mani in tasca.

“Apri la porta! Madre dei cyborg, apri!”

Kate fu colpita dalla sua camicia rosa baby a maniche corte e dai capelli ritti in su, come a sfidare la forza di gravita’. Appena si accorse del rumore delle scarpe di Kate sul marciapiede, l’uomo si volto’ e la squadro’ con uno sguardo duro e compatto come ossidiana.

“Posso aiutarla?”

Mentre l’uomo sembrava voler abbattere la porta con i suoi pugni, Kate butto’ li’ quelle parole di pura cortesia ma a dir la verita’ si senti’ inquieta di fronte a quello sguardo’ cosi’ arrabbiato e a quell’attitudine minacciosa.

“Diamine, sei uguale a lei. Anzi, a loro: se i cyborg fossero fusi insieme sarebbero te.”

Vegeta si era innervosito a vedere che anche la madre era piu’ alta di lui. E si stava innervosendo ancora di piu’ a vedere lo sguardo di smarrimento sulla sua faccia. In fondo a quello smarrimento c’era, forse, persino della derisione: quell’umana si stava probabilmente chiedendo chi fosse quell’ometto strano che bazzicava fuori da casa sua, dicendole cose che non capiva.

Mentre l’uomo frugava nella sua tasca, Kate prese furtivamente il suo taser dalla tasca del blazer e lo attivo’, tenendolo nascosto dietro la schiena. Non smise di fissarlo nemmeno quando con la mano libera apri’ il foglio piegato svariate volte che lui le aveva dato. Era una foto stampata.

“17 e 18 sono gemelli, vero?.” Vegeta la guardo’ restare a bocca aperta, mentre la diffidenza/derisione si scioglieva nei suoi occhi “tu devi dirmi dove sono, voglio un rematch con loro.”

“Con chi?”

“Con i tuoi figli, donna!”

Prima che Kate potesse scappare, urlare o rendersi conto di quello che stava succedendo, l’uomo basso dai capelli ritti le fu addosso.

La serro’ cosi’ forte che per quanto si dimenasse Kate non riusci’ a sfuggirgli: la teneva per la vita, serrata contro il fianco, mentre correva e sembrava insensibile alla scossa del taser sul suo petto.

“Aiuto! Presto!”

L’unica opzione che le rimaneva era urlare a pieni polmoni, ma la gente che assiste’ alla scena era ammutolita. Sballottata dalla corsa, Kate non capiva: era impossibile che una persona fosse cosi’ forte, nessuno poteva rimanere in piedi e correre trasportando un’altra persona con una scossa che percorreva tutto il corpo. Kate smise di farsi male nel tentativo di dargli pugni e si strinse involontariamente a lui quando le sembro’ di non toccare piu’ terra coi piedi. Quando apri’ gli occhi, Kate si rese conto che quella che vedeva sotto di lei era Central City.

Stava volando.

STAVA VOLANDO?

Alzo’ gi occhi torturati dal vento sull’uomo che volava veloce, la zazzera irsuta che sbatteva di qua’ e di la’ stile bandiera. Kate aveva perso il taser; inizio’ a urlare e a picchiarlo di nuovo, finche’ non le parve di sentire una risata rauca.

Sempre tenendola saldamente, Vegeta colpi’ quell’urlatrice seriale di taglio sulla nuca. Lei svenne all’istante.

Lotti fino all’ultimo, neh? Apprezzo la tua volonta’. Ma preferisco fare questo tragitto in tranquillita’.”

Sentendo quel corpo lungo e magro diventare un peso morto, il principe se lo appoggio’ sulla spalla come un sacco di patate e continuo’ a volare verso casa sua.


 

Non appena aveva trovato sua moglie, suo suocero e l’androide davanti al computer Vegeta si era fatto dire da loro chi era Kate Lang, dove viveva e chi era n.18 per lei. Una volta stampata la foto che ritraeva i suoi figli Lapis e Lazuli, senza dubbio 17 e 18, si era discretamente congedato e poco dopo tutta la famiglia Brief aveva sentito la piccola onda d’urto provocata dall’aura sprigionata dal principe durante il suo decollo. Sedici l’aveva seguito, volando lontano. Vegeta era stato troppo veloce perche’ Sedici riuscisse a stargli appresso per cui, quando i suoi sensori lo informarono che Central City era vicina, l’androide atterro’ nel primo isolato che trovo’.

Sembrava una vecchia zona periferica. Era un posto che ululava quando il vento passava fra i suoi grattacieli, vecchi e malmessi. Non c’era nessuno per strada; molti degli ingressi di quei grattacieli erano sprangati da saracinesche arrugginite o da assi di legno inchiodate senza precisione. Anche se tutto sembrava deserto, gli scanner termici di Sedici gli dissero che molte persone lo stavano osservando da dietro quelle finestre scure, dietro angoli e cassonetti.

Sedici non aveva visto molto di terrestri, come vivevano e quali erano le regole che scandivano la loro esistenza, ma era certo che quell’isolato non era un posto normale da umani. Gli scanner lo informarono anche di un’ingente quantita’ di armi da fuoco, nascoste dove si nascondevano gli umani.

Noto’ un palazzo piu’ nuovo degli altri, piu’ pieno di gente. Sulla porta a vetri intonsa figurava un emblema rosso in cui l’androide distinse una C e una M.

Non appena Sedici si fu fermato a studiarlo, la porta si apri’ e tre umani armati gli andarono incontro. Sembrarono quasi spaventati dalla mole dell’individuo che si trovarono davanti: alto ben piu’ di due metri, con una cresta, orecchini ad anello e lineamenti duri e prominenti.

“Cosa ci fai qui, smilzo? Nessuno va e viene nel quartiere generale del Commando.”

Ma non era un pericolo, grosso, stupido e pure disarmato. Uno degli uomini rise e si volto’ verso la porta aperta:

“Ehi, boss! Vieni qui, c’e’ una decisione da prendere. ”

L’uomo riporto’ di nuovo lo sguardo su Sedici: non toccava a lui decidere cosa farne, ma nessuno si addentrava cosi’ spudoratamente nel cuore del loro territorio per poi andare a raccontare tutto in dettaglio alla polizia. Non era mai successo. Nessuno che non era il Commando era mai uscito vivo di li’.

“Voglio sapere se sono a Central City. Dov’e’ Central City?”

Sedici continuo’ a guardare in basso, in faccia ai suoi interlocutori che non gli risposero; li vide salutare con un cenno della testa una quarta persona che rimase sulla soglia del palazzo, sigaretta in una mano e fucile d’assalto nell’altra.

“Boss, lo manda la polizia?”

Uno degli scagnozzi si avvicino’ al capo della gang, sussurrando al suo orecchio. Ma il capo non parve preoccuparsi della visita di quella straordinaria opera della genetica.

“Non so quale sia la risposta migliore, Big Ginger. Questo era un pezzo di Central City, prima. Fino a tre anni fa, quando ce lo stavamo ancora disputando coi Neri. Ma poi siamo stati fortunati, i Neri si sono sciolti da soli ed ora tutto quello che vedi e’ mio. Sono Cloe, Cloe Mafia. Benvenuto.”

Sedici non strinse la mano che la giovane donna gli tese. Resto’ a guardare il suo viso, armonioso e sbarazzino, gli occhi svegli truccati delicatamente di nero; poi lo sguardo di lei smise di ridere e ritrasse la mano con un sospiro.

“I miei ragazzi del Commando Magenta ora controllano tutto il sobborgo. Tu devi essere nuovo in citta’, tutti sanno di chi e’ questo posto. Intrufolarsi dove persino la polizia deve stare molto attenta e’ ammirevole. Ragazzi, facciamo un applauso” Cloe incito’ i tre uomini che erano andati incontro a Sedici ad applaudire rumorosamente “un applauso per il coraggio di…?”

“Androide n.16.”

“Sei un androide? E io sono il Re!”

Sedici aveva parlato piu’ di quanto fosse solito fare. Era chiaro che Vegeta e la madre di Diciassette e Diciotto non si trovavano li’. Si appresto’ a girare I tacchi, ma piu’ uomini uscirono dal palazzo e lo tennero fermo, mentre Cloe si avvicinava:

“Io sono davvero il re di questa citta’. Che me ne importa di quel vecchio cane bacucco, qui e’ tutto mio. Le cose funzionano cosi’: ora tu mi hai sfidata entrando nel mio territorio e assaggerai le mie pallottole a frammentazione, la mia arma scelta, hanno preso tanta gente per me. Poi andro’ dalla tua famiglia, non guardo in faccia a nessuno, dammi qualche ora e li trovero’. Anche i bambini. Capito?”

“Tu non rispetti questo pianeta. Tu uccidi bambini?”

“Mm, capita” Cloe sorrise con gli occhi bassi “ma sono esasperanti! Dio, quanto urlava quel ragazzino che ho calato in una vasca di soda qualche tempo fa...Continuo a sentire quella vocina trapanante nelle orecchie.”

Sedici non seppe come reagire a quelle parole: da quando era stato attivato aveva conosciuto la crudelta’ solo attraverso Cell. Non pensava che anche gli umani potessere essere cosi’. Coi circuiti che lavoravano a fatica su questioni di quel tipo, Sedici si convinse che la sola differenza fra Cell e questa donna era che lei non aveva il potere del primo. Ma la loro anima pareva uguale ai suoi occhi.

“Ora ti devo salutare, Androide n.16. Non sei piu’ il benvenuto.”

Al segnale del capo, tutti gli scagnozzi mollarono la presa su di lui e si ritirarono nell’edificio appena prima che lei lo investisse con una raffica di pallottole: Sedici fu colpito alla testa, al petto, alle spalle e Cloe rideva mentre sparava. Sparo’ finche’ tutto quello che vide fu un polverone. Ansiosa di vedere a terra un grosso cadavere martoriato, poso’ il fucile a terra e aspetto’ che la polvere si dileguasse. Ma non credette ai suoi occhi quando vide quel corpo ancora in piedi, senza segno dei suoi preziosi proiettili. Era li’ e ora la guardava con disapprovazione. Piu’ veloce dei riflessi della donna Sedici afferro’ il fucile da terra e lo spezzo’ in due fra le dita, come un rametto. Volse lo sguardo al cielo, avvertendo la presenza di una nota forza combattiva, poco prima di vedere Vegeta sfrecciare di nuovo verso West City.

Non volle perdere altro tempo li’ con il Commando Magenta, ma prima di alzarsi in volo scocco’ un’occhiata freddissima a Cloe: “Ti capitera’ quello che meriti, prima o poi. Non spetta a un androide come me massacrare una come te, ma spero che ti troverai spalle al muro contro qualcuno che non e’ di questo stesso avviso.”

Il manipolo di delinquenti osservo’ il gigante volare via, non capendo fino in fondo cio’ a cui aveva appena assistito.

 

Bulma si diceva sempre che dopo aver vissuto qualche anno con Vegeta, non c’era piu’ niente che lui potesse fare per soprenderla. Percio’ lo sgomento la fece saltare sulla sedia, impreparata allo spettacolo che vide mentre era tranquilla in cucina a dare la pappa a Trunks.

Suo marito irruppe nella stanza attraverso la porta di servizio. Aveva la sua solito espressione incavolata e teneva in mano qualcosa, qualcuno.

“Vegeta! Che hai fatto? Chi e’?”

Trunks aveva iniziato a piangere con la porta sbattuta da suo padre e ora pianse ancora piu’ forte, lasciato solo al tavolo da sua madre che si era avventata a soccorrere la donna inconscia e riversa fra le braccia del principe. Il suo collo era un unico livido bluastro.

Bulma riconobbe i capelli neri e lisci di Kate Lang: “Perche’ e’ qui?”

“Non voleva parlare. Almeno qui potremo discutere tranquillamente.”

La mente di Vegeta inizio’ a vagare senza che lui lo facesse apposta, mentre la ramanzina di Bulma suonava attutita, come se lui si fosse chiuso in una capsula. Cosa che aveva onestamente voglia di fare: non aveva ucciso quella donna, dannazione! L’aveva solo tramortita perche’ non aveva piu’ sopportato i suoi schiamazzi. Certo, quel colpo leggero al collo avrebbe potuto tranciarle il midollo spinale o qualche vertebra, ma non era successo. Non si sapeva mai come maneggiarli, quei terrestri. Forse questa Kate non era Crilin o Yamcha, non poteva colpi da un saiyan senza crepare. Era come sua moglie.

Vegeta ritorno’ al presente con la sua testa, giusto in tempo per vedere Bulma col cellulare in mano e suo padre tentare di prendergli la donna dalle braccia: “Lascia, la porto giu’ io.”

“Pronto? Si Crilin, per favore, portami un senzu, anche mezzo.”

Il dottor Brief usava il suo laboratorio anche come infermeria e Bulma osservo’ gli uomini di casa scendere le scale.

“Vegeta ha fatto uno dei suoi soliti casini. Ah, gia’ che sei, devi vederla. E parlare con lei. E’ la madre di n.17 e n.18.”


 

Mentre i Brief si erano ritrovati fra le mani una situazione scomoda e, da qualche parte nel mondo, i gemelli cominciavano per la prima volta a pensare a un futuro tutto loro, qualcun altro sapeva perfettamente dove andare e stava perseguendo il proprio metodicamente, con calma e determinazione professionali; Carly studiava sempre a North City e sin dall’inizio dell’universita’ i suoi tirocini erano stati per lo piu’ sessioni di prova non retribuite, presso una grossa istituzione a due passi dalla citta’: il RNP era una vasta riserva faunistica, forse la piu’ grande al mondo, un posto famoso che Carly aveva visto molte volte in tele.

Durante questi brevi tirocini aveva gia’ avuto la possibilita’ di studiare come si deve il suo animale scelto, l’aquila gigante alpina. Poco dopo la partenza di Gage in primavera ne aveva iniziato un altro, il terzo quell’anno.

Carly sapeva che le sue giornate sarebbero state piene anche quella volta, ma che avrebbe vissuto piu’ intensamente: ogni volta che si trovava li’ in quel posto meraviglioso a imparare cose utili per il suo lavoro e per la stesura della sua tesi si sentiva più serena, si convinceva che forse aveva trovato pace. 

“Speriamo che continuero’ a vederti qui da noi. Chissà, forse ci sara’ un posto a tempo pieno per te.”

Erano solo voci che Leni, la direttrice delle risorse umane, le aveva riferito dopo una reunione con altri dirigenti. Carly aveva intenzione di lavorare ancora piu’ duramente per assicurarsi quella posizione e il proprio futuro; le piaceva anche passare del tempo con Leni, che tirocinio dopo tirocinio era diventata un'amica e con cui non sentiva la differenza di dieci anni.

Leni non era l’unica persona con cui Carly aveva interagito li’ dentro. C’erano altri veterinari e gli zoologi, che incrociava tutti i giorni; era piacevole scambiare due chiacchiere con loro ma si trattava di semplici colleghi temporanei sui quali Carly non investiva il tempo necessario per stabilire rapporti.

Durante i suoi giri nel parco Carly aveva incrociato anche i botanici e le guide turistiche, cosi’ come le guardie forestali. Coi loro fucili spianati, questi ultimi non le ispiravano nessuna simpatia, fatta eccezione per uno: John era un signore sulla sessantina coi capelli cortissimi e bianchissimi e il naso sempre rosso. Era gentile e alla mano, quando dei turisti passavano dai vari posti in cui era stazionato lui li invitava a prendersi un caffe’ insieme. A Carly aveva regalato un suo vecchio libro sugli uccelli che popolavano l’area del Grande Eden e le aveva persino fatto un bel bastone di legno d’abete:

“Quelli da trekking in metallo leggero e con l’impugnatura ergonomica sono i migliori, ma almeno questo ti ricordera’ di noi quando sei in universita’.”

Non aveva mai posseduto un oggetto di legno intarsiato a mano. Si disse che sarebbe diventato un cimelio di famiglia. Le sarebbe piaciuto passare piu’ tempo con John, che era una miniera di informazioni interessanti, un vero montanaro. Ma spesso con lui c’era la sua apprendista, una ragazza che la superava in statura di almeno quindici centimetri e che vedendola anche da lontano ogni volta le urlava ehi cupcake!”.

L’apprendista, la top ranger, era a quanto pare la star fra le star per il fatto che fosse stata la prima ragazza a ottenere quel titolo e a mantenerlo per ormai due anni. E tutti si aspettavano che avrebbe continuato a tenerselo visto che era capace di fare il suo lavoro meglio di chiunque altro, con efficienza straordinaria. John era molto orgoglioso di lei, anche se non tesseva mai le sue lodi. Quella tipa era fastidiosa, anche se Carly riusciva a evitarla se evitava John negli orari di lavoro.

Quindi, per ragioni varie, Carly aveva stretto un legame d’amicizia solo con Leni, che le ispirava fiducia ed era, contrariamente a lei, estroversa. A sua volta, Leni ammirava la determinazione assoluta di Carly e il fatto che lavorare con lei fosse una meraviglia.

Era affidabile e umile ma sapeva sempre cosa voleva: non aveva dubbi sul fatto che quella brillante ragazza dai lunghi capelli pel di carota sarebbe stata una preziosa aggiunta al team con cui stava già collaborando.

Quando Carly era libera, Leni la invitava a fare escursioni con lei: aveva fatto amicizia anche con i genitori della direttrice, che conoscevano la riserva come le loro tasche e avevano istruito la studentessa sulle migliori escursioni. Carly aveva trovato un posto che le piaceva, vicino a un lago, dove una grande roccia confortevole prendeva sempre il sole. Le piaceva andarci con Leni e parlare, guardare lontano col binocolo, riposarsi e fare foto.

Parlavano della vita; Leni le raccontava del suo divorzio, ma nonostante il legame d’amicizia per Carly non era facile aprirsi. Si ricordava, pero’, che in fin dei conti non serviva a nulla serbarsi tutto quel dolore. Parlarne con qualcuno era sicuro e anche catartico: aveva accennato solo a Gage ciò che era accaduto con Lapis e i pensieri e i ricordi rimasti erano estremamente personali, alcuni quasi indecenti. Ma a Leni aveva parlato di Gage dalla A alla Z, di come gli aveva voltato le spalle scappando dalla camera da letto.

“Sei una tipa ambiziosa, cerchi la perfezione? Quel Gage sembrava un tipo a posto.”

“Era un bravo ragazzo. Veramente bravo. Pensi che fosse la mia occasione?”

Leni l'osservò scuotere la testa e abbassare gli occhi con aria amareggiata.

No. Leni non la conosceva ancora profondomente, ma si era accorta che quella ragazza era inconscia di essere una che cercava il brivido:

“Mi pare di capire che tu ti fossi davvero affezionata a questo Gage, ma niente di piu’. Non ti stimolava abbastanza, era un po’...noiosetto. Non sei una tipa da principe azzurro.”

“Invece si’.”

“Ma non vuoi quello che ti issa sul cavallo e ti porta al castello. Vuoi il principe azzurro che ti dice “si, ma prima del castello andiamo a fare qualcosa di divertente, a cui tu puoi battere il 5 e rubare le briglie mentre lui ti tiene stretta e si fa due risate assieme a te. Ho ragione?”

Carly annui’ interiormente.

“Ecco perche’ Gage non ha mai avuto una possibilita’.”

Era in parte vero, anche se non ci aveva mai pensato: “Ho sempre creduto di essere una tipa non avventurosa. Ho lo stesso taglio di capelli da sempre.”

“E che c’entra? Perche’ altrimenti, da ragazza di citta’ che sei saresti venuta a lavorare al Royal Nature Park, oggettivamente meno confortevole di una clinica? Perche’ non sei restata in citta’ a curare animali domestici? Perche’ ti piace l’avventura.”

Le due amiche restarono a fissare il lago, le increspature che il vento tesseva sulla sua superficie: "Allora, visto che Gage non era un buon candidato, come dev'essere l'uomo perfetto?"

Carly rispose con le cose che si era tenuta stretta. Innamorato di lei, passionale, sincero, intelligente, scherzoso, doveva farla ridere. Begli occhi, bel sorriso.

Leni le sorrise con affetto: "Wow, davvero il ragazzo dei sogni."

Lo sguardo di Carly si perse fra le acque del lago: azzurre e trasparenti, come gli occhi che non aveva mai dimenticato.

“Lo era.”

   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: DarkWinter