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Autore: Feisty Pants    14/04/2020    2 recensioni
Elsa e Anna sono due sorelle di 27 e 24 anni alle prese con le proprie vite e i propri impegni. Elsa è sposata e vive la sua vita con le scatenate figlie gemelle di 7 anni. Anna, invece, è prossima alla laurea e a dire sì a un futuro roseo e carico di amore che ha sempre sognato fin da piccola.
La vita, però, non è una favola. Entrambe le sorelle vivranno dei momenti di crisi della quotidianità e, per colpa di incidenti e imprevisti, dovranno fare i conti con la cruda realtà.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 13.
 
Diversi mesi dopo…

La vita trascorreva tranquillamente e le nozze dei due giovani erano ormai imminenti. Anna, dopo essersi laureata, aveva fatto domanda per poter partecipare al concorso pubblico e, nel frattempo, aveva trovato lavoro come psicologa infantile in una clinica privata. Il suo era un lavoro part-time e a tempo determinato, ancora instabile, ma il suo cuore gioiva nel poter svolgere la mansione dei suoi sogni. I soldi in realtà non mancavano perché Kristoff aveva messo da parte un bel malloppo per affrontare le spese della futura nuova vita e anche Anna teneva dei risparmi importanti.

“Mi piace! È stupenda!” afferma Anna entrando nella nuova casa e sedendosi sul divano a L appena arrivato.

“Abbiamo proprio scelto bene. Certo, magari non sarà la nostra dimora definitiva ma per adesso c’è tutto” aggiunge soddisfatto Kristoff respirando a pieni polmoni l’aria ancora intrisa di vernice fresca.

Anna si guarda intorno: l’ingresso dalla porta in legno chiaro, il parquet scuro su tutta la cucina e il soggiorno comunicanti, il piccolo corridoio che dava sul bagno e altre tre camere da letto e il giardino anteriore che presto avrebbe accolto ogni sorta di fiore.

“Sì per me e te è perfetta. Sicuramente quando arriveranno i bambini forse staremo stretti” commenta Anna alzandosi in piedi e fantasticando sui quadri da appendere alle pareti.

“Prima pensiamo a me e a te. Quando arriveranno i bambini ci penseremo” si limita a rispondere Kristoff avvicinandosi a lei e baciandola dolcemente, per poi uscire dall’appartamento e tornare ognuno nella rispettiva abitazione.

Entrambi avevano la testa nella loro futura vita e non si rendevano conto delle piccole guerre che, in realtà, stavano scoppiando intorno.

Elsa è nella propria camera matrimoniale, intenta a ripiegare i vestiti appena stirati per poi metterli negli armadi. È ormai diventato tutto abituale: spolverare, pulire il pavimento, lucidare lo specchio della camera, lavare i vestiti, stirare, togliere le macchie dai vetri e molto altro. Elsa svolgeva ogni cosa meccanicamente, mossa da una sorta di robot interiore che non si fermava mai. La donna di 27 anni non si era mai permessa di alzare lo sguardo e ammirare anche solo per un secondo le fotografie che tappezzavano la camera, ma era impossibile non notarle! Una cornice ritraeva le gemelle che si tirano a vicenda i codini biondi, un quadretto le mostrava invece all’ultimo anno di asilo con il diploma e il sorrisone e tante altre foto presentavano la famiglia al completo in vacanza o vestita elegante per le occasioni. La foto preferita delle bambine era quella delle nozze dei genitori dove Elsa teneva Sofia e Jack stringeva Lia di pochissimi mesi tra le braccia. Quella fotografia, l’unica delle loro nozze, era la più impolverata di tutte proprio perché Elsa si era dimenticata di lei o, forse, non voleva guardarla intenzionalmente. In quei mesi la situazione non era cambiata: Jack lavorava come un matto tornando a casa tardi, le bambine erano sempre più irrequiete e lei ormai si stava abituando a fare tutto da sola arrivando, così, a ragionare spesso su sé stessa, sulla sua solitudine, sulla sua vita e sulle sue relazioni.

“Mamma, quando arriva papà?” chiede improvvisamente Sofia facendo capolino sulla porta della camera matrimoniale, titubante e preoccupata.

“Lo sai che non ne ho la più pallida idea. Anzi…quando torna chiediglielo tu ok?” sbotta immediatamente Elsa sbattendo a terra lo straccio delle polveri e rifiutandosi di guardare in volto la bambina.

Sofia, con il cuore distrutto da quell’affermazione, preferisce allontanarsi e tornare nella propria camera da letto nascondendo tutto anche a Lia che, più coraggiosa e forte, non esternava mai le proprie considerazioni sulla questione.

Elsa rimane lì, accovacciata a terra con il volto fisso sul pavimento, pentendosi per come si è rivolta alla figlia e riconoscendo di non essere in grado di andarci a parlare. Qualcosa in lei stava cambiando, non si sentiva a suo agio e voleva fare silenzio per poter ascoltare la voce che la chiamava, il suo destino, che aveva sempre nascosto per colpa di una vita costruita troppo in fretta.

La donna si alza in piedi e, scuotendo la testa per scacciare le ennesime paranoie, comincia a pulire i comodini della camera. Una volta aperto quello del marito rimane imbambolata di fronte a diversi preservativi sparpagliati disordinatamente sopra e in mezzo a delle carte.

Elsa si risiede sul letto e, immediatamente, si fa strada in lei una nuova sensazione. Lei e il marito non facevano l’amore da mesi, forse addirittura anni. Qualche notte Jack si svegliava e condivideva notti di fuoco con lei ma quello era solo sesso, veloce, impulsivo e che terminava sempre con un attimo di terrore in cui lui si tirava indietro per paura di rischiare una nuova gravidanza.

Troppe incognite, troppi punti interrogativi, troppe domande, troppi incubi e brutti ricordi. Presa da un momento di rabbia Elsa chiude il cassetto e, in cuor suo, promette di non farlo mai più con il marito, ormai schifata dall’idea di non vederlo mai e di doverci parlare poche volte solo per condividere la cena o per addormentarsi. La vita passava e soffocava l’innamoramento e quel fuoco interiore che un tempo solo Jack era riuscito ad accendere.

Nove anni prima…

Una giovane ragazza di 18 anni cammina per strada con la testa bassa, le cuffie nelle orecchie e un blocco di libri stretti tra le braccia. Elsa aveva i capelli biondi raccolti in una morbida treccia che le ricadeva sulla spalla sinistra, gli occhi celesti illuminati ogni tanto dai raggi del sole e dei lineamenti giovanili e delicati. L’unica pecca era il sorriso: assente da ormai qualche mese per colpa della morte improvvisa dei genitori che non riusciva a superare.

Ogni giorno nella sua mente si muovevano un’infinità di pensieri: quel notaio accetterà mai di farmi lavorare come impiegata? Cosa devo comprare? Anna avrà fatto i mestieri? Ho chiuso a chiave la casa prima di uscire?
La diciottenne viveva la sua vita immersa in una serie di enormi responsabilità, pur non essendo sola. Il suo migliore amico Kristoff, infatti, non la lasciava nemmeno per un momento e la madre di lui, Gerda, era talmente affezionata alle due sorelle da averle prese sotto la sua ala protettiva.

“Elsa, ogni tanto devi uscire e non preoccuparti troppo! Ricordati che hai comunque 18 anni!” le diceva sempre la dolce signora, dopo averle donato una torta per fare merenda tutti insieme.

Anche Anna e Kristoff cercavano di tirarla su di morale e di farla divertire ma un cuore di ghiaccio come il suo era veramente difficile da sciogliere.

Elsa cammina spedita verso la biblioteca, guardando per terra quando, improvvisamente, va a sbattere contro uno sconosciuto, facendo cadere tutti i libri.

“Accidenti, mi scusi!” afferma Elsa pensando a riprendere i libri da terra sperando di non averli rovinati.

“Mi scusi? Ma se avrò la tua età!” risponde la persona alta di fronte a lei che si dimostra essere un affascinante ragazzo dai capelli talmente biondi da sembrare bianchi e gli occhi di un azzurro glaciale.

“Ah, scusami non ti avevo visto in faccia” si limita a rispondere lei imbarazzata, abbassando subito lo sguardo da quegli occhi ipnotici che non aveva mai visto prima.

“Stai andando in biblioteca? Ci stavo andando anche io! Ti va di studiare insieme?” chiede lui pieno di spavalderia e allo stesso tempo di dolcezza, imbambolato di fronte alla bellezza della ragazza.

“Ma non ci conosciamo neanche!” risponde Elsa sulle sue, facendo un passo indietro.

“Piacere Jack Frost! Ho diciotto anni e faccio la tua stessa scuola, sono nell’altra classe, mi riconosci ora?” afferma lui parlando speditamente e porgendo una mano a Elsa che, da quel gesto, deve solo imparare a reagire.

“Scusami, sono una persona molto solitaria” risponde lei sistemandosi la treccia e stringendogli la mano velocemente per poi ritrarla subito.

“Ma va, non l’avevo capito sai!” ride lui sarcastico prendendola in giro. Quell’atteggiamento infastidisce Elsa, ma, da una parte, la obbliga a darsi una regolata, a muoversi, a fronteggiare quelle novità che avrebbero potuto risvegliarla dal perenne inverno nel quale si era rintanata da sola.

“Mi chiamo Elsa” risponde allora alzando la voce, con le gote rosse per aver provato ad esprimersi con più sicurezza del solito.

“Oh! Sono felice di conoscerti, allora adesso andiamo a studiare? Non sono un criminale! Stiamo andando in una biblioteca e se tu mi dicessi di no mi troveresti comunque lì perché è un luogo pubblico” tenta di sdrammatizzare lui, appoggiandole una mano sulla spalla e spingendola leggermente per indurla ad incamminarsi.

“Così almeno…ci facciamo compagnia a vicenda” aggiunge poi lui con un tono di voce diverso, più riflessivo e in parte triste e malinconico, che basta a far capire alla ghiacciata Elsa di avere accanto una persona che, proprio come lei, nascondeva qualcosa di doloroso.

Fine del flashback…

“Ciao mamma, ciao papà noi andiamo a scuola. È appena arrivato l’autobus!” saluta Lia con il suo zaino in spalla, aprendo il portone d’ingresso e salutando con la mano i genitori in cucina.

Sofia si limita ad abbozzare un sorriso e, senza guardare i genitori in volto, segue la sorella chiudendosi la porta alle spalle.

Entrambi i genitori, interrotti nel bel mezzo di una discussione animata, sembrano non fare caso alla brutta cera di Sofia e di come, quella mattina, lei apparisse più pallida e silenziosa del solito.

“Senti non ho voglia di parlare sempre delle stesse cose, non puoi aiutarmi? Ok bene ho capito, quindi ci rivediamo stasera giusto?” sbotta Elsa alzandosi in piedi e mettendo le tazze nel lavandino per poi andare in bagno e allontanarsi al più presto da lui che, ancora una volta, le aveva appena detto che non avrebbe rincasato prima delle 21.

In un attimo Jack si alza improvvisamente e insegue la donna. Le è praticamente accanto e, velocemente, le prende il polso girandola verso di sé e spingendola al muro. Gli occhi di ghiaccio di entrambi si incrociano per qualche istante finché le loro bocche non decidono di unirsi. Un bacio animalesco, violento e in parte anche sporco. Una sorta di attrazione repulsione alla quale la stessa contraddittoria Elsa non aveva saputo resistere.

“No, basta!” si stacca subito lei spingendolo via da sé.

“Elsa, ho bisogno di sentirti! Non ti riconosco più!” risponde Jack ansimando e corrugando le sopracciglia.

“Pure io non ti riconosco più” sbotta lei delusa, lasciandolo immobile nel corridoio per poi dirigersi in camera, cambiarsi e correre al lavoro.

Qualche ora dopo…

Elsa si trova al lavoro da diverse ore ormai e cerca di non ripensare al marito quando le squilla il telefono della scrivania.

“Pronto studio del dottor Becchi, sono la segretaria mi dica” risponde a macchinetta Elsa prendendo carta e penna per ricevere l’indicazione del cliente.

“Parlo con Elsa Arendelle? Abbiamo dovuto chiamarla qui perché al cellulare risultava occupata. Deve correre in ospedale al più presto, sua figlia Sofia è svenuta e l’hanno appena portata via in ambulanza”

Elsa rimane ferma, congelata di fronte all’informazione più brutta della sua vita. Le si presenta un tuffo al cuore e avverte come una pugnalata nello stomaco. Il respiro e il battito cardiaco aumentano asimmetrici ma non le rimane altro tempo da perdere: sentita la dichiarazione della preside della scuola, la donna corre fuori dall’ufficio per raggiungere la bambina al più presto.
  
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