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Autore: Minako_    15/04/2020    5 recensioni
Sonoko, fra il frastornato e il dubbioso, la guardò mentre lanciava occhiate nervose alla porta, per poi veder far capolino sul suo viso un rossore incontrollabile. La biondina si girò e vide Shinichi sulla porta, entrare a testa bassa e dirigersi senza guardarla al suo posto. Esausta, alzò gli occhi al cielo, prendendo posto anch’essa.

Io non li capirò mai.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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WITHOUT WORDS.
addii.

 

Ran sbadigliò per l’ennesima volta quella mattina. Era mercoledì ma le pareva che quella settimana di scuola fosse particolarmente infinita. Stropicciandosi gli occhi, aprì il frigo per prendere dell’acqua fresca, quando sentì il campanello di casa suonare. Come un automa si diresse verso la porta e, senza neanche domandare chi fosse, aprì la porta con l’ennesimo sbadiglio. Un Shinichi altrettanto assonnato la salutò con un cenno di capo, entrando lentamente in casa.
Ormai era diventata la loro silenziosa e intima routine. Da quando era tornato, praticamente tutte le mattine prima di andare a scuola, lui arrivava da lei quei quindici minuti prima per fare colazione. Dapprima Ran si era stupita di questa novità, e glielo aveva fatto notare. In risposta il ragazzo aveva sbuffato, dicendo che in casa sua mancava sempre tutto per la colazione e che non aveva voglia di prepararsene. Mano a mano che il tempo passava, Ran era arrivata alla conclusione che probabilmente gli facesse davvero piacere fare colazione con lei. E il fatto che suo padre ormai la mattina avesse ripreso a lavorare alla centrale di polizia aveva aiutato a mantenere quel piccolo, innocente segreto.
Se tutte le mattine Kogoro avesse dovuto sorbirsi Shinichi, probabilmente quella loro abitudine sarebbe morta all’istante. Invece eccolo lì, a girovagare come se niente fosse nella sua cucina, con la giacca della divisa buttata malamente li accanto, sicuro nei movimenti. D’altronde, aveva vissuto così tanto con loro, che sapeva bene dove trovare tutto.
Internamente felice di averlo lì con lei, lo affiancò per tornare a versarsi dell’acqua fresca. Non sapeva di aver colto nel segno, e che davvero a Shinichi mancasse quella routine che avevano instaurato quando era Conan. La scusa del non avere niente in casa gli era uscita di bocca una mattina perché preso in contropiede, ma la verità era che averla intorno gli mancava enormemente.
In silenzio, entrambi ancora troppo assonnati per chiacchierare, si sedettero al tavolo mangiucchiando la colazione. Ran giocherellò con il suo pane tostato, lanciando di tanto in tanto occhiate a Shinichi. Pareva assorto nei suoi pensieri, probabilmente il caso da cui era corso il lunedì prima e che non aveva ancora risolto. Era ancora lì che lo fissava, quando lui si alzò di colpo facendola sobbalzare, ma senza accorgersene si diresse a prendere dei tovaglioli. Tornò a sedersi al suo fianco, porgendogliene uno automaticamente. Ran sorrise, accettandolo. Improvvisamente si ritrovò a vagare con la mente lontano, a un futuro che avrebbe voluto vivere con lui. La mattina, loro due, a fare colazione. Magari vivere insieme, sotto lo stesso tetto. L’immagine le scaldò il cuore, e lo guardò affettuosamente. Era quello che vedeva davanti a sé, con quello stesso sbruffone che sedeva al suo fianco e leggeva distrattamente il giornale lasciato quella mattina da Kogoro.
Aveva la cravatta allentata, la camicia un po’ stropicciata ma così dannatamente attraente sul suo corpo. Ran si morse un labbro, cercando di deviare questi nuovi, prepotenti pensieri. Fece per prendere della marmellata, ma si accorse che non era in tavola. Si alzò, dirigendosi convinta verso lo sportello sopra il lavandino. Ma quando lo aprì, non la trovò.

Papà, sempre il solito.
Ogni volta che suo padre toccava qualcosa, era impossibile ritrovarlo dove era in precedenza. Impaziente aprì tutti gli armadietti, finchè non la vide. Era in alto, così si mise in punta di piedi e cominciò a sbilanciarsi in avanti. La sfiorò, ma per sbaglio la spinse ancora più lontana. Emise uno sbuffo di disappunto, appoggiandosi al bancone per darsi una leggera spinta. In quel momento, sentì qualcosa che si appoggiava alla sua schiena e le premeva il corpo verso la cucina. Sobbalzando, vide il braccio di Shinichi superarla e prendere la marmellata. Sentirlo così vicino dietro di lei le fece accelerare il battito cardiaco, e rimase immobile finchè lui non le appoggiò il barattolo sulla guancia, facendola sobbalzare. Era freddo.
Si voltò, lui stava sorridendo divertito. All’improvviso, il flashback di loro due a Tropical Land le passò davanti agli occhi. All’epoca però lui non si era appoggiato sul suo corpo così, con una confidenza tale che che la lasciò interdetta un attimo. Ma perché si stupiva così? In fondo, ora stavano insieme. Era più che naturale quel contatto, no? Gli sorrise teneramente, facendo per prendere la marmellata. Lui, però, in risposta allungò il braccio all’indietro, e lei non riuscì ad arrivarci.
« Hey! », mugugnò alzandosi in punta di piedi nuovamente, lanciandosi leggermente verso di lui.
Lui rise, alzando anche l’altro braccio e scambiando mano.
« Prendila, dai », la prese in giro, gongolando. Lei si lanciò nuovamente verso di lui, sventolando all’aria la mano per acchiappare il barattolo. In quel momento perse l’equilibrio, e di istinto chiuse gli occhi, aspettandosi il contatto col pavimento freddo. Un colpo che non arrivò mai, perché lui l’afferrò con il braccio libero, tenendola su. Quando sentì il suo braccio sostenerla, lei si ancorò a lui, sollevando il viso. Incontrò così quello di Shinichi, che la guardava preoccupato. Quando appurò che stava bene, sorrise divertito.
« Sei una nanerottola », la prese in giro, facendola arrabbiare.
Lei si rimise in piedi indispettita, pronta per tirargli un pugno fortissimo, quando qualcuno suonò alla porta. Rimase con il pugno a mezz’aria, mentre entrambi si voltavano stupiti all’entrata.
« Non sarà… », iniziò improvvisamente preoccupato Shinichi, arretrando.
« Ma lui ha le chiavi », replicò lei, sapendo perfettamente che si stava riferendo a suo padre.
Dubbiosa, si ricompose e si avvicinò al portone. Guardò dallo spioncino, ma non vide nessuno. Confusa, aprì leggermente la porta e fu lì che vide una testolina di capelli scuri, che si alzava per guardarla.
« Ran-chan », iniziò titubante, con la sua dolce voce infantile. Quando Ran vide Ayumi, mi sentì immediatamente a disagio. Deglutì, cercando di sfoderare il sorriso migliore che possedesse.
« Ayumi-chan », replicò con voce dolce, sperando di risultare credibile.
« P-posso entrare? », chiese la bambina, con gli occhioni luccicanti. Ran sorrise, e si fece da parte, lasciandola oltrepassare la soglia. Dalla cucina, Shinichi si sporse un poco. Quando anche lui vide Ayumi, improvvisamente il sorriso gli morì in volto e si incupì. Lanciò un’occhiata veloce a Ran, che intuì i suoi pensieri. Sospirò piano, mentre la bambina entrava in cucina e lo guardava incuriosita.
«Ciao », disse timidamente. Shinichi fece il possibile per sorridere, e rispose piano al saluto, mentre si risedeva al suo posto. Fece finta di tornare a leggere il giornale, mentre Ran chiedeva educatamente alla bambina se volesse mangiare qualcosa. Lei negò energicamente.
« Ti ringrazio Ran-chan », disse abbozzando un sorriso. « Sono passata solo per… », si interruppe, e guardando di sbieco Shinichi, indicò a Ran si avvicinarsi al suo orecchio. Lei capì e si abbassò, lasciando che la bambina le posasse una manina sull’orecchio per poi mormorarle piano: « Per Conan ».
Anche se aveva fatto del suo meglio per parlare piano e aveva nascosto il suo viso nella mano, Shinichi sentì comunque ciò che disse all’orecchio di Ran. Si irrigidì, bloccandosi a leggere un articolo che aveva di fronte. Ran sospirò, guardando tristemente Ayumi.
« Ayumi-chan, io… », iniziò lentamente. « Io non lo sento molto ».
« Ma non risponde ai messaggi », esclamò lei con gli occhi improvvisamente pieni di lacrime. Strinse i pugni, ormai dimenticandosi di quel ragazzo seduto lì a fianco che la intimidiva ogni qualvolta lo incontrava.
« Io sono preoccupata », insistette la bambina, tirando su col naso.
« Ma no », Ran le mise le mani sulle spalle. « Sta bene, Ayumi-chan, ne sono sicura », perfino alle sue orecchie sentiva la menzogna nelle sue parole.
La bambina non si sentì affatto sollevata, e, ormai con le lacrime che le pungevano gli occhi, tirò malamente sul con naso.
« Ok… », mormorò tristemente. Lanciò un’occhiata al ragazzo seduto al tavolo, che per tutto il tempo le aveva dato la schiena. Si sentiva sempre a disagio quando quel Kudo la guardava, e non sapeva davvero spiegarsi il motivo. Improvvisamente, ebbe l’irrefrenabile voglia di uscire da quella casa.
« I-io ora devo andare », sussurrò un po’ titubante. « Ai-chan mi sta aspettando di sotto ». Ran la accompagnò alla porta, tenendola una mano intorno alle spalle.
« Ran-chan? », chiese in un ultimo tentativo disperato, voltandosi velocemente verso di lei. « Se lo senti, puoi dirgli di chiamarmi? ».
A Ran morirono in gola le parole, mentre si perdeva in quegli occhi azzurri.
« Va bene », rispose con voce rotta e, mentre la piccola annuiva riconoscente e si voltava per scendere le scale, Ran incrociò lo sguardo di Ai Haibara. Si guardarono per un attimo interminabile, nei loro occhi ricordi che possedevano solo per loro. Alla fine, si fecero un leggero cenno con la testa come saluto, prima che la bambina iniziasse a parlare con Ayumi e sparissero dalla sua vista. Rimase sulla porta ancora per un po’, per poi tornare in cucina.
Lì notò Shinichi, che fissava il giornale con sguardo grave.
« Devi chiamarla ».
Shinichi si ridestò dai suoi pensieri. Era rimasto a leggere la stessa frase per tutto quel tempo, la testa piena di pensieri e ricordi. Alzò lo sguardo verso la sua ragazza, in piedi dalla porta della cucina. Aveva lo sguardo preoccupato, le braccia incrociate e un’aria dura.
« E cosa dovrei dirle? », replicò infine, chiudendo il giornale e alzandosi per andare a sciacquarsi le mani al lavandino.
« La verità, Shinichi », lei fece un passo avanti.
« Che Conan non è mai esistito ed ero io? », la sua voce si alzò di un tono, mentre finiva di bagnarsi le mani e le appoggiava al bancone.
Continuò a dare la schiena a Ran, e lei lo vide stanco come non mai. Aveva la schiena rigida, curvata leggermente in avanti. In quel momento si ricordò di un pomeriggio, quando anche allora lo aveva visto particolarmente provato. Quando lo aveva preso in giro chiamandolo vecchietto, lui aveva ribattuto senza ridere che poteva anche dimostrare diciassette anni, ma dentro se ne sentiva almeno sessanta. Aveva vissuto così tante cose e così tante vite, che a volte glielo si leggeva nello sguardo tutto ciò che aveva passato.
« Puoi dirle », riprese lei con voce acuta. « Che stai bene, raccontarle della tua vita in America. Puoi farla sentire importante, per una volta ».
Shinichi non rispose, lasciando cadere un silenzio nervoso fra loro.
« Non le rispondi neanche ai messaggi, ora? », Ran si stava innervosendo.
Ma quando pronunciò quest’ultima frase, lui battè con la mano il bancone e si voltò di scatto, lo sguardo fulminante.
« Perché dovrei farlo? », iniziò spazientito. « Per illuderla? Per farle credere che un giorno Conan tornerà da loro? Non tornerà mai, Ran, e prima si dimenticano di lui, meglio è ».
« Ma lei non dimenticherà per un bel po’, Shinichi! », ribatté lei alzando la voce snervata.
« Mi dicesti così anche la prima volta che venne a chiedermi di Conan, che avrebbe dimenticato. Ti ho voluto dare retta, ma ogni mese che passa si presenta, e io non so più cosa dirle! ».
Si zittirono entrambi, non guardandosi negli occhi. Dopo un bel po’, Ran lo guardò di sottecchi.
« Lei ha una cotta per te », disse in un sussurro.
« Non per me », fece una smorfia. « Per Conan, Ran, per Conan ».
« Allora prendi quel papillon cambia voce, e fa in modo che Conan le dica che non tornerà più ».
La voce di Ran era così dura che Shinichi si sentì messo alle strette. Da quando era tornato, spesso di Detective Boys avevano chiesto del loro piccolo amico. La scusa che era partito in fretta in America con i genitori aveva lasciato delusi tutti, e anche se all’inizio aveva continuato a sentirli tramite il telefono di Conan, Ayumi pareva non riuscire a superare la sua partenza. Continuava a domandare di lui a Ran, e più di una volta, quando andava a trovare il dottor Agasa, Ai gli rivelava che Ayumi viveva nella convinzione che un giorno Conan sarebbe tornato. All’inizio non ci diede peso, credendo che le servisse solo un po’ di tempo.
Tempo che, a quanto pare però, non aveva aiutato la piccola a dimenticarsi del suo amico.
« Potevo esserci io, al suo posto ».
Ran lo riportò alla realtà, colpendolo nel profondo. La guardò, notando il suo sguardo triste.
« Se no fossi riuscito a tornare alla tua vera età, un giorno avresti dovuto dire addio a me. Con gli anni che passavano, e tu che non tornavi, lo sai anche tu che sarebbe successo. Non si può tenere in sospeso qualcuno per sempre ».
Quella frase gli fece male al cuore.
« Non è la stessa cosa, Ran », iniziò infastidito. « Ayumi ha una piccola cott- ».
« Cosa cambia? Sono sentimenti, Shinichi. Che sia quello che vuoi, lei è da mesi che sta male. Devi dirle addio, altrimenti lei non se ne farà una ragione e continuerà ad aspettarti per ancora un bel po’ di tempo ».
Odiava ammetterlo, soprattutto perché quel discorso era causa dei loro diverbi ormai da mesi, ma aveva maledettamente ragione. A quel punto si portò una mano al viso, sospirando pesantemente.
« Lo fai apposta? A dirmi cose simili per farmi sentire una merda? ».
« No, dico queste cose per farti capire qualcosa che non capisci mai: le ragazze ».
Shinichi fece un sorriso che pareva più una smorfia, e lei capì che il momento teso era finito. Si avvicinò a lui, e tese la mano. Anche lui fece per abbracciarla, ma lei gli fece la linguaccia, afferrando la marmellata di poco prima che era ancora sul bancone. Lasciandolo lì in piedi interdetto, tornò a sedersi. Riprese a mangiare il suo pane tostato, e acchiappò con un cucchiaino un po’ di marmellata. Ne mise una generosa porzione, e se la mise in bocca distogliendo lo sguardo da lui. Con un ultimo, esasperato sospiro, Shinichi riprese posto accanto a lei. Si voltò appena verso Ran, e fece per dire qualcosa quando alla sua vista si bloccò.
Sgranò gli occhi, per poi far nascere sul suo viso un leggero sorriso. Ran inarcò un sopracciglio.
« Che c’è? », bofonchiò a bocca piena, sputacchiando un po’ di pane.
Subito divenne rossa. A quella vista, Shinichi si mise a ridere, per poi alzarsi nuovamente in piedi.
« C’è che sei piena di marmellata », la punzecchiò, posando la tazza ormai vuota del suo caffè nel lavandino.
Lei prese in fretta un tovagliolo, ma lui come se nulla fosse le acchiappò il viso fra le mani e le diede un leggero bacio sopra il labbro superiore. Lei rimase imbambolata, mentre lui si staccava.
« Meglio », disse, con il sapore di marmellata che le aveva tolto in bocca.
« Dai, forse non te ne sei accorta, ma siamo terribilmente in ritardo », disse, acchiappando la giacca e mettendosela. Lei rimase interdetta per un istante, rossa in viso, per poi cercare di darsi un contegno.
Si alzò di scatto, lanciando di scatto la sua tazza nel medesimo lavandino, e correndo a prendere la sua cartella in camera. Ancora un po’ imbarazzata lo seguì, si mise e scarpe e uscirono insieme di casa. Per tutto il tragitto lui chiacchierò come se nulla fosse, mentre lei rimase immersa nuovamente nei suoi pensieri. Talvolta i gesti affettuosi di Shinichi le risultavano ancora così strani, da renderla imbarazzata per qualsiasi cosa. Che fosse un bacio, una carezza, poco importava. Fatto da lui, ogni gesto era una sorpresa.
Non era mai stato dolce, anzi. Eppure, notò, ultimamente era così tenero con lei che ancora non riusciva ad abituarsi. Certo, era contenta, ma si domandava come potesse ogni qualvolta farli con così naturalezza da non farlo nemmeno imbarazzare. Lei, ogni volta che provava a essere tenera con lui, finiva per bloccarsi o, quando il cervello si spegneva e l’ormone guizzava, gli saltava addosso direttamente. Con il viso in fiamme, ripensò al sabato pomeriggio con Heiji. Possibile che non poteva avere una giusta via di mezzo con lui? E perché per lui pareva essere così facile? Sembrava che Shinichi avesse raggiunto quel grado di confidenza molto prima di lei, che sembrava ancora essere rigida con un legno ogni qualvolta lui si avvicinava e le faceva delle tenerezze.
Eppure quando gli salti addosso, non ti fai tanti problemi.
Cercò di scacciare via quel pensiero dalla testa, mentre Sonoko si avvicinava a loro. Sgranò gli occhi: possibile che per tutto il tragitto si fosse persa ogni parola di Shinichi?
Lo guardò di tralice, notando il suo viso nuovamente rilassato dopo la discussione su Ayumi.
Ecco un’altra cosa buona di Conan: lo aveva reso grato per tutto, e raramente teneva il broncio per qualcosa per troppo tempo, come invece capitava tempo addietro. Forse per quello riusciva a essere carino con lei senza imbarazzarsi o senza bloccarsi: sapeva bene che valore avesse il solo poterlo fare.


« Sabato portatevi un costume di bagno, mi raccomando », esclamò Sonoko con le bacchette per aria.
Shinichi alzò gli occhi al cielo, mentre mangiava il suo pesce.
« Il costume? », domandò Ran, togliendosi un ciuffo di capelli da davanti gli occhi.
La giornata era così bella che erano andati a mangiare in cortine per godersi il sole, ma la leggera brezza continuava a farle svolazzare i lunghi capelli castani.
« Possiamo fare un tuffo in piscina in pomeriggio, ne hanno una enorme in Hotel! », spiegò lei.
« Ci facciamo due tuffi, ci abbronziamo e io potrò spalmare un chilo di protezione solare su Makoto », disse tutto d’un fiato, con gli occhi luccicanti.

Ran ridacchiò, guardando la sua amica e provando sincera felicità per lei. Sapeva bene quanto potesse essere difficile vivere una storia a distanza, e quando pochi giorni prima Makoto aveva dato la conferma per il week-end del suo compleanno, Sonoko era impazzita di felicità. Le sorrise dolcemente, mentre lei tornava a spiegare per filo a per segno tutti i programmi del fine settimana, anche se li aveva già ascoltati almeno sei volte e li aveva imparati a memoria. Non voleva certo smorzarle l’entusiasmo. Shinichi da parte sua finì il pranzo, per poi girarsi e appoggiarsi al tavolo con la schiena, il viso rivolto completamente al sole. Chiuse gli occhi, e si godette i raggi caldi in silenzio.
A volte essere l’unico maschio fra due ragazze era un po’ sfiancante per lui, specialmente quando Sonoko cominciava i suoi sproloqui sul suo ragazzo.
« Alla fine che vestito metterai per la cena? », sentì Sonoko chiedere a Ran.
« Penso metterò quello che abbiamo preso insieme, quello blu », le rispose.
P
er fortuna la suoneria incessante del telefonino di Sonoko smorzò il nuovo, noioso argomento che Shinichi avrebbe dovuto sorbirsi. Quando la ragazza vide che era Makoto, saltò in piedi come una molla e corse poco più in là per rispondere. Ran rise a quella scena, per poi voltarsi verso Shinichi. Era seduto al suo fianco, però al contrario: aveva il sole ormai direttamente puntato sul suo viso, e il leggero venticello gli scompigliava i capelli scuri. Si incantò per un attimo a guardarlo, approfittando del fatto che lui avesse gli occhi chiusi.
Pareva quasi addormentato, mentre si godeva il caldo.
Deglutendo notò che si era tolto la giacca e la cravatta ricadeva morbida sul petto, i primi due bottoni della camicia aperti. Una scarica le attraversò la schiena, mentre guardava il suo profilo così perfetto e così familiare, sentendo in lei crescere un amore sconfinato per quel ragazzo al suo fianco. Era ancora incantata a guardarlo con un sorriso dolce in viso, che notò che un ciuffo di capelli gli fece arricciare il naso quando gli solleticò la fronte.
Di istinto protese una mano, scacciando via il ciuffo dalla sua faccia. Shinichi, sorpreso, aprì gli occhi, spostando la sua attenzione su di lei.
Silenziosamente intrecciarono i loro sguardi, mentre lei, rendendosi conto del gesto appena fatto in pieno cortile, sotto gli sguardi di metà della scuola, ritraeva velocemente la mano imbarazzata.

Ma lui la acchiappò velocemente, avvicinandola a sé con un sorriso in faccia.
« Che c’è? », domandò innocente.
Ran deglutì, notando che un gruppetto di ragazzi al tavolo a fianco a loro cominciavano a fissarli. 
« Dai! », cercò di scacciare la presa sul suo polso, ma lui la stava tenendo saldamente.
Lui sbuffò.
« Di cosa hai paura? Tanto ci prendevano in giro anche prima », alzò le spalle, mentre in quell’esatto momento uno dei ragazzi pronunciava le parole marito e moglie.
« Appunto! », sottolineò lei, ormai rossa in viso. « Ci manca solo dare spettacolo », sottolineò, riuscendo a divincolarsi dalla sua presa.
Lui sbuffò piano, tornando a chiudere gli occhi prendendosi il sole.
« Non stavamo facendo niente di male », replicò. Lei inarcò un sopracciglio.
« Da quando sei così sfrontato? », sbottò lei, a disagio.
« Sfrontato? », Shinichi rise, sempre a occhi chiusi. « Ma scherzi, o cosa? Non era niente di che », disse con naturalezza.
« Sì, beh, sei l’unico a sentirti a tuo agio con quel "niente di che"! », mugugnò lei sottovoce, distogliendo lo sguardo.
A quelle parole, Shinichi aprì finalmente gli occhi, guardandola. Si rimise a sedere con le gambe rivolte verso il tavolo, e con le braccia incrociate, appoggiò il viso su di esse.
« Mi sono perso qualcosa? ».
Ran lo guardò, e lo maledisse per quello sguardo così dannatamente innocente e ingenuo. Era così troppo, troppo carino.
« No », bofonchiò. « Ma mi vergogno davanti a tutti », sussurrò indicando con un cenno della testa i tavoli a fianco a loro.
« Scusa, ma non sei stata tu a iniziare? », domandò sarcastico.
Lei fece per replicare, ma rimase senza parole. Richiuse la bocca, arrossendo.
« Ti ho tolto solo un ciuffo dal viso », borbottò innervata.
« Appunto… », non stava capendo davvero.
Ormai aveva perso le speranze con lei, talvolta proprio non la capiva. Ran sbuffò, non sapendo bene cosa rispondere. Shinichi la guardò in silenzio, per poi avvicinarsi a lei sulla panca di legno.
« Cosa succede? », chiese pazientemente.
« Niente! ».
« Ran? ».
Lei si girò spazientita, facendo in là il pranzo. In quel momento, una folata di vento le fece svolazzare i capelli davanti al viso, e prima che potesse toglierseli, la mano di Shinichi glieli aveva già messi dietro un orecchio. Lei lo guardò con disappunto, lanciando occhiatacce alle risatine che arrivavano alla loro destra.
« Allora? », Shinichi fece finta di niente, dando la sua totale attenzione a Ran, che lo guardava mordendosi un labbro.
« Non riesco ad abituarmi », ammise infine.
« A cosa? ».
« A te! ».
Shinichi sgranò gli occhi, guardandola per un attimo.
« Vuoi che me ne vada? », domandò sarcastico.
« Non quello », sbuffò lei. « Ma cos’è, la settimana delle inchieste? », ribattè poi.
« Sì, visto che non mi dici mai cosa ti passa per la testa, e io non riesco mai a capirlo! », la voce di Shinichi si era alzata di un tono, segno che si stava innervosendo.
« E le tue doti da detective? », lo sbeffeggiò lei. Shinichi di risposta la guardò male, arricciando le labbra in una smorfia.
Era ancora imbronciato, quando lei sospirò pesantemente.
« Sei cambiato », disse infine, a voce bassa.
Lui a quelle parole sentì una fitta allo stomaco improvvisa, sentendosi a disagio.
« Ah… », riuscì a dire.
Davvero non capiva cosa avesse fatto di sbagliato ultimamente. Provò a ricercare qualcosa che aveva detto o fatto di male, ma non trovò nulla. Esasperato, assunse un’espressione così corrucciata che lei si affrettò a spiegare.
« Non in negativo », alzò le mani per negare con vigore. « Anzi… sei… molto dolce, ecco », divenne paonazza.
Lui la guardò nella confusione più totale, non riuscendo a seguirla.
« Io non sto capendo », disse infine dopo un silenzio che pareva essere durato una eternità. Il suo tono di voce disperato fece sorridere Ran, che lo guardò di striscio.

« Non riesco ad abituarmi ai tuoi gesti di affetto », iniziò piano. « Non sei mai stato un tipo affettuoso ».
Shinichi rimase zitto, portando la sua attenzione lontano.
No, non lo era mai stato, doveva ammetterlo. Anzi, gli era sempre costato tremendamente caro far capire agli altri i suoi sentimenti, e, spesso, si accorgeva che non riusciva comunque ad esternarli. Era sempre stato introverso e solitario, almeno così non avrebbe mai dovuto rendere conto dei suoi sentimenti ad alcuno.
« Dopo Conan », iniziò dopo un bel po’, stupendo Ran. « Tutto è cambiato ».
Raramente parlavano così tanto di Conan, come quel giorno. A dire il vero, cercavano sempre di eludere l’argomento. Ran evitava di parlarne perché l’argomento la imbarazzava così tanto, che temeva di arrabbiarsi con lui. Se solo ripensava a tutto il tempo trascorso insieme senza sapere la sua vera identità, tutti i segreti che aveva rivelato al suo fratellino, tutto il tempo speso insieme. Cercava di lasciare tutti i ricordi legati a Conan in un angolo nascosto nel suo cervello, cercando di separare accuratamente quei ricordi da Shinichi. Era come se volesse davvero continuare a credere che lui e Conan fossero due entità separate. Spesso ci riusciva, finchè non saltava fuori il suo nome.
« Quando ero Conan non potevo né fare, né dirti tutto ciò che volevo. Ora che posso, non riesco a trattenermi », spiegò in tutta sincerità, con un sorriso sbieco.
Lei arrossì di istinto, per poi sorridere in risposta.
« Non ho detto che non sia contenta, ma davanti agli altri mi imbarazzo », abbassò la testa. « Da soli puoi fare ciò che vuoi », concluse con una risata, cercando di smorzare la tensione fra loro.
Ma quando realizzò cosa avesse appena detto, e il lampo di divertimento passare attraverso gli occhi di Shinichi, il sorriso le scemò in faccia.
« No, cioè, ecco », tentò di salvare la situazione, ma Shinichi scoppiò a ridere.
« Hai inteso male! », esclamò lei con rabbia, sbattendo i pugni sul tavolo.
Si finse offesa, dandogli le spalle, mentre acchiappava il libro di algebra nella sua cartella. La aprì a caso, cercando di prestargli attenzione per non pensare a cosa aveva appena detto. Era così imbarazzata, che ormai stava sudando, ma non per il sole. Guardò freneticamente intorno, sperando che Sonoko la salvasse dal quel maldestro momento di imbarazzo. Peccato che la vide ancora distante, appoggiata ad un albero, mentre chiacchierava senza sosta al telefono.
Maledizione.
« … con te non funzionano ».
Dopo almeno cinque minuti di silenzio, la voce di Shinichi le era arrivata stranamente seria. Si mise a fissare il libro, immobile. Infine, si voltò a guardarlo. Aveva il viso appoggiato alla mano, lo sguardo rivolto a lei. Era rilassato, con l’aria fra i capelli che glieli scompigliavano ancora. Era così maledettamente bello che volle imprimere quella scena prepotentemente nella sua testa.
« Cosa? », chiese dopo un po’.
« Le mie doti da detective », disse semplicemente, con una alzata di spalle.
« … e perché? », chiese con un filo di voce lei, titubante.
« Perché con te intorno non riesco a ragionare ». Ran sobbalzò sul posto, stavolta un leggero rossore invadeva anche le guance di Shinichi.
« Avevano ragione loro », deglutì, con un sospiro. « Tu sei il mio punto debole ».
Ran socchiuse gli occhi, capendo all’istante a chi si stesse riferendo. Al solo pensiero della voce di Gin che pronunciava quelle parole, si sentì raffreddare il sudore di poco prima sulla schiena. Cercò di mandare via quella brutta sensazione, rivolgendo la sua intera attenzione a Shinichi, che la fissava intensamente. Non sapeva bene come ribattere a quella dichiarazione, quindi quando Sonoko si sedette rumorosamente davanti a loro facendoli sobbalzare e allontanare velocemente l’uno dall’altra, la ringraziò mentalmente.
« Voi non avete idea! », esclamò gesticolando, non notando il rossore sulle guance dei suoi amici.
E fu così che Sonoko ricominciò a parlare di Makoto, fino a quando la campanella non rimbombò.
 

***
 

Quando Ran tornò a casa, si buttò senza forze sul letto. Aveva avuto per tutto il pomeriggio le parole di Shinichi ronzarle in testa, e mano e mano che le si formavano nel cervello e dava loro un senso, si sentiva l’adrenalina salirle nella pancia.
Con te intorno non riesco a ragionare.
Era difficile ammetterlo visto il suo enorme senso del pudore, ma la sua voce profonda mentre pronunciava quelle parole le facevano crescere un senso di eccitazione alla base dello stomaco. Quando le aveva pronunciate, aveva sentito l’impellente bisogno di baciarlo e attirarlo a sé, con quella sua camicia sbottonata e i suoi capelli spettinati. Si chiese se Shinichi si rendesse conto di quanto fosse diventato attraente, e se per caso usasse quel suo modo di fare per stuzzicarla. Ma, conoscendolo, probabilmente faceva tutto senza accorgersene. Va bene essere cambiato, ma la malizia non faceva parte del suo essere. Tutto in lui era così improvvisato e genuino, che dubitò fortemente che si studiasse a tavolino le pose e gli sguardi per farla capitolare. Aveva ammesso di perdere la ragione con lei, ma probabilmente non si era reso conto che la stessa cosa capitava a Ran. Sospirò profondamente, acchiappando il cuscino e stringendolo a se per sfogarsi. Quando erano solo amici, non avevano quei problemi. Ora invece stava accanto a lui era diventato così difficile, staccargli gli occhi di dosso ancora di più.
Portatevi il costume.
Le parole di Sonoko le tornarono alla mente con una tale prepotenza che sbarrò gli occhi, saltando a sedere sul letto
 Il costume?! Disperata, si portò una mano alla testa. Shinichi. In costume. A petto nudo. Si rilasciò cadere di schiena sul letto, disperata. Come avrebbe fatto a stargli accanto, quando era mezzo nudo al suo fianco? Davanti a tutti, poi? La rendeva nervosa con due bottoni della camicia aperta, figurarsi stare con lui in piscina. Costume da bagno. Una nuova realtà, ben più imbarazzante, si fece strada nella sua testolina. Si maledisse, quando pensò che avrebbe dovuto mettersi in costume davanti a lui.
Maledizione, maledizione, maledizione.
Saltò in piedi, aprendo nervosamente l’armadio. Cominciò a cercare freneticamente le sue cose da mare, e quando trovò in fondo una borsa, la prese e la aprì. Rovistò un po’, scartando subito dei costumi vecchi di anni con le ciliegie e i pupazzetti. Non poteva davvero presentarsi con quelli, non poteva passare per ragazzina, non ora. Mentre svuotava frustrata la borsa, si diede della stupida. Quante volte era andata al mare con lui? Talmente tante che non sarebbero state sulle punte delle dita. Eppure quella era la prima volta che andavano dopo il loro fidanzamento, e, soprattutto, dopo ciò che era successo settimane prima. Deglutì, al ricordo della sua mani sul suo petto, e quelle di Shinichi sotto la sua camicetta. Ormai paonazza, afferrò un costume che si era dimenticata di avere. Era semplice, due pezzi, nero tinta unita, a triangolo. Non l’aveva indossato perché quello con i pupazzetti le era sempre sembrato più carino.
Al diavolo i pupazzi.
Lo mise accuratamente da parte, fissandolo. Voleva apparire adulta, per una volta. Lo voleva davvero.
In quel momento, il suo telefono vibrò. Sbirciando, vide il nome di Shinichi lampeggiare sopra il display. Arrossì, mentre lanciava occhiate veloci a quel bikini così piccolo, come se lui potesse vederla. Come se avesse preso la scossa, fece in là il borsone che lo conteneva, e prese il telefono un po’ accaldata. Possibile che la beccasse sempre in momenti imbarazzanti?
« Pronto! », rispose quasi piccata e infastidita.
Ma dall’altra parte non le arrivò risposta. Corrugando la fronte, appoggiò meglio l’orecchio al cellulare. 
« Pronto? Shinichi? ».
« Non ci riesco ».
Sbatté gli occhi, dapprima non afferrando. Ma le bastarono una manciata di secondi, prima di capire a cosa si riferisse.
« Vuoi oggi? », domandò piano.
« Sì, ma ho bisogno di te ».
Sentire la sua voce che faceva quella richiesta, le scaldò il cuore. Strinse convulsamente il telefono, improvvisamente triste.
« Arrivo ».

Per arrivare a casa Kudo ci mise veramente poco. Trovò il cancello già aperto e le chiavi alla porta, segno che Shinichi le aveva lasciate apposta per lei.
Aprì la porta piano, incontrando il silenzio assordante di quella casa così grande. Mai come in quel momento, pensò davvero che lui facesse colazione con lei tutte le mattine per non stare lì da solo. Era talvolta sconfortante, quella casa. Acchiappò le sua pantofole che erano sempre lì, pronte per aspettarla, una piccola premura che Shinichi aveva sempre avuto, anche quando erano solo amici. Si avviò così verso la cucina, e trovò Shinichi seduto sullo stesso sgabello nel quale l’aveva trovato quando Heiji era venuto a trovarlo. Aveva il viso appoggiato sui palmi delle mani, mentre fissava rassegnato due oggetti posti ordinatamente davanti a lui: il papillon e il telefonino di Conan.
Ran si avvicinò a lui, per poi abbracciarlo da dietro e appoggiare il suo viso contro il suo, guancia contro guancia. Era insolitamente fredda.
« Non so cosa dirle », ammise.
Lei guardò come lui il papillon e il telefono, e un senso di malinconia la pervase.
« Non devi dirglielo direttamente », pensò ad alta voce Ran.
Shinichi rilassò il viso contro il suo, e poteva sentire il suo respiro a poca distanza dal suo naso.
« Puoi raccontarle di com’è la tua vita lì, e di come i tuoi genitori siano contenti dell’America e vogliano comprare casa. Fra le righe, lei capirà ».
Shinichi pensò amaramente che, in fondo, quella era un po’ la verità. I suoi genitori erano davvero felici a Los Angeles, e probabilmente per loro il Giappone non rientrava più nel loro futuro. Sembrava quasi tutto reale, se non per un dettaglio: quando loro gli proposero di trasferirsi a quindici anni, lui aveva immediatamente rifiutato. La ragione di tale rifiuto, in quel momento gli stava cingendo la vita e teneva premuta la sua guancia contro la sua. Per una volta, si disse, aveva preso una decisione azzeccata.
« Va bene », prese coraggio, afferrando il telefono.
Ran si staccò da lui, e si sentì immediatamente vuoto senza il suo calore a infondergli coraggio.
Cercò di non darlo a vedere, mentre lei prendeva posto accanto a lui, guardandolo in attesa. Lentamente, andò in rubrica e selezionò il nome di Ayumi. Con la mano libera, prese il papillon, già precedentemente impostato sulla voce di Conan. Con un’ultima occhiata a Ran, che lo incitò con un sorriso, la chiamò. Si portò il telefono all’orecchio, mentre questo squillava. Attese poco, prima di sentire la voce di Ayumi rispondere.
« Conan? », disse con un’allegria che gli fece chiudere lo stomaco.
« Hey, Ayumi-chan ».
Ran chiuse gli occhi, quando sentì la voce di Conan arrivarle alle orecchie.
Per tutto il tempo della telefonata, tenne gli occhi chiusi e in seguito li riaprì, fissandosi le scarpe. Sentì Conan raccontare bugie su bugie, e a ognuna avvertì una pugnalata al cuore che, seppe, stava incassando anche Ayumi. Ripensò a tutte le chiamate che Shinichi le aveva fatto quando era rimpicciolito.
Erano uguali a quelle.
Piene di bugie, piene di false speranze. Le vennero mano a mano le lacrime agli occhi, al pensiero di Ayumi che, come lei, era in attesa di qualcuno che mai si palesava. Ma, a differenza sua, davvero quel qualcuno non sarebbe mai riapparso. Lei, Shinichi, lo aveva riavuto indietro. Si sentì così leggera, così grata. La chiamata continuò per un bel po’, e con un ennesimo pugno alla base dello stomaco, sentì Conan dire che i suoi genitori volevano rimanere in America, e che già facevano progetti per il futuro lì.
Era completamente in trance, quando Shinichi rimase zitto per un po’. Si chiese cosa gli stesse dicendo Ayumi, quindi lo guardò alla ricerca di una spiegazione. Lo vide annuire impercettibilmente a ciò che la bambina gli stava dicendo dall’altra parte del telefono.
« Anche io, Ayumi », disse poi, chiudendo gli occhi.
Il cuore di Ran fece un balzo.
« Però io ora sono qui », deglutì Shinichi. « E non penso che tornerò ».
Rimase al telefono ancora per qualche minuto poi, dopo averla salutata con tono triste, chiuse la chiamata. Ran lo guardò intensamente, e notò la sua fronte aggrottata e il suo sguardo triste. Era distrutto.
« Cosa ha detto? », mormorò lei.
Lui fece un sorriso sbieco, posando il telefono e buttando il papillon lontano da lui, come schifato.
« Mi ha detto che mi vuole bene ».
Sapevano entrambi che quella frase voleva dire ben altro, ma non osarono dirlo a voce alta.
« Hai fatto la cosa giusta », disse infine Ran. « Ora starà male, ma piano piano passerà ».
Shinichi sorrise senza felicità, guardando davanti a sé. Lei si morse un labbro, non sapendo bene cos’altro dire. Abbassò lo sguardo e solo in quel momento vide l’ora.
« Accidenti », borbottò, notando che fossero già le sette. Si alzò, e raccolse la giacca della divisa che aveva buttato malamente sul divano quando era arrivata. Stava per dire qualcosa a Shinichi per tirarlo su di morale, quando lui la precedette.
« Anche se non avessi trovato l’antidoto », iniziò con voce rauca. « Io sarei comunque tornato da te ».
Ran si immobilizzò, mentre lui si voltava lentamente per guardarla in faccia.
« Avrei aspettato di compiere di nuovo diciassette anni », riprese, per poi alzarsi e sovrastarla. « E avrei provato a riconquistarti di nuovo ».
« Shinichi », scosse la testa lei. « Io avrei avuto ventisette anni », gli spiegò con voce incrinata.
« Non mi sarebbe interessato », la sua decisione e il suo sguardo serio le fecero tremare le gambe. « Ci avrei comunque provato ».
Lei lasciò cadere la giacca di nuovo sul divano alle sue spalle, e di slancio lo abbracciò. Lui l’avvolse ancorando forte a sé, immergendo il viso nei suoi capelli. Rimasero semplicemente abbracciati per un po’, e in silenzio quell’abbraccio valse più di mille parole. Quando alla fine si staccarono, si sorrisero.
« Devo andare », mormorò lei e sciolse il suo abbraccio.
Prese il cappotto, continuando a guardarlo.
« Hai fatto la cosa giusta, con Ayumi », gli ripetè.
Lui annuì, consapevole che aveva ragione. Ran si avvicinò nuovamente, scoccandogli un bacio sulla guancia. In fretta, corse verso il portone. Ma, quando fu lì davanti, si girò di scatto.
« Probabilmente ci saresti riuscito », disse all’improvviso, seria. « Il filo rosso, dopotutto, sarebbe stato ancora lì a legarci », alzò il mignolo, facendogli l’occhiolino.
Shinichi scosse la testa, divertito, mentre Ran spariva oltre il portone con un sorriso sulle labbra. Guardò di sbiecò il papillon, ripensando alla chiamata appena fatta ad Ayumi, e a quell’ipotetico futuro che avrebbe potuto riservargli il destino.
Si immaginò nelle vesti di un Conan diciassettenne, mentre teneva a sé una Ran ormai adulta. Sì, l’avrebbe riconquistata anche così.
Probabilmente ci sarebbe riuscito.

 

***

 

Prima che potesse rendersene conto, sabato mattina arrivò velocissimo.
Quella mattina si svegliò di buon umore, e subito si mise sotto la doccia canticchiando. Era contenta di passare il fine settimana fuori, e per una volta era contenta di poterlo passare con Shinichi. Spesso aveva invidiato Kazuha, sempre al fianco di Heiji ovunque andassero, ma ora anche per lei le cose si erano sistemate. Pensando alla sua amica di Osaka, si domandò se Heiji sarebbe riuscito a dichiararsi in quei due giorni. Si annotò mentalmente si dargli una piccola spinta per spronarlo, una volta rimasta magari da parte con lui. Con la musica nel telefonino, si asciugò i capelli e tornando in camera notò che suo padre pareva anche quel giorno stranamente di buon umore. Nell’ultimo periodo l’aveva visto diverso, sempre sorridente, mai alticcio e soprattutto, non aveva più toccato l’argomento Shinichi. Perfino sua madre, dopo la discussione avvenuta giorni prima, si era scusata, e lei aveva preferito seppellire l’acqua di guerra. Tutto quel giorno pareva andare per il verso giusto. Continuando a canticchiare, chiuse il borsone che si sarebbe portata a Kanazawa. Aveva riposto con cura il vestito per la serata, e in un angolo il bikini nero messo da parte tre giorni prima. Si diresse verso l’armadio, prendendo un vestito leggero blu scuro a tubino. Si guardò allo specchio, sistemandosi per un’ultima volta, girandosi e rigirandosi.
Solo il campanello di casa la riscosse dai suoi pensieri, e con una leggera corsa andò ad aprire.
« Buongiorno! », salutò Shinichi con un sorrisone.
« Durante la settimana non sei così sveglia di prima mattina », la punzecchiò lui sull’uscio.
Lei gli fece la linguaccia e, con un ultimo saluto a suo padre, acchiappò la borsa e il borsone uscendo fuori. Voleva farli stare insieme il meno possibile, giusto per non guastare l’umore a nessuno. Facendo finta di non aver visto di traverso lo sguardo minaccioso di suo padre rivolto a Shinichi, chiuse la porta e allegra seguì quest’ultimo per le scale.
« Hai preso tutto? », si informò, guardando il borsone di Shinichi. Le pareva un po’ scarno.
« Penso di sì, ci ho buttato dentro le prime cose che ho trovato ».
« Sei il solito! ».
E mentre lui ridacchiava, lei intanto constatava quanto fosse carino quella mattina. Indossava un paio di jeans blu scuri, una cintura e una maglia maniche corte nera.
Ormai lo vedi sempre carino, scema.
Sorrise fra sé, cominciando a chiacchierare con lui come se niente fosse. Fecero così per tutto il tragitto fino alla stazione, dove avrebbero dovuto incontrare Sonoko e Makoto. E infatti li trovarono già lì, la ragazza che teneva il karateka saldamente per un braccio.
« Credo lo stia stritolando », sussurrò all’orecchio Shinichi a Ran, mentre si avvicinavano.
« Guardalo », riprese. « Non ha più sensibilità in quel braccio ».
Ran gli assestò una leggera gomitata, soffocando una risatina. Rise anch’esso, allontanandosi un poco da lei e salutando i due ignari protagonisti delle loro battutine.
« Siete in ritardo! », li rimbeccò Sonoko, mentre acchiappava nella sua borsa due biglietti per lo Shinkansen che li avrebbe condotti a Kanazawa.
« Qualcuno stamattina ha fatto tardi », Ran lanciò un’occhiataccia a Shinichi.
« Quante storie, è sabato », sbuffò lui, prendendo il biglietto del treno dalle mani di Sonoko.
« Allora », incominciò lei entusiasta, interrompendo il loro battibecco.
« Siamo vicini ma in due file diverse », spiegò e in quel momento sentirono il treno avvicinarsi.
Educatamente si misero in fila ordinatamente e, quando le porte si aprirono, entrarono cercando i loro posti. Li trovarono poco dopo e, una volta sistemato i loro bagagli, si sedettero. Sonoko aveva già preso posto accanto a Makoto, che era rosso come un pomodoro e ancorato ancora alla sua stretta.
« Poverino », riprese a sussurrare Shinichi a Ran, mentre questa prendeva posto a fianco a lui.
« Un karateka che perde l’uso di un braccio. Una disgrazia ».
« La vuoi finire? », ridacchiò lei, mentre lui incrociava le braccia dietro la testa.
« E’ normale, non lo vede da un sacco. E’ sempre in giro per le competizioni », spiegò lei pazientemente, rovistando nella sua borsa.
« Tu non mi sei stata mai così appiccicata », borbottò lui fintamente offeso. Lei arrossì.
« Ma non è vero! Eri tu che sparivi sempre dietro a qualche cadavere quando ritornavi », sbottò.
« Se mi avessi tenuto così stretto, non sarei mai riuscito ad allontanarmi », la stuzzicò.
« Ti ho tenuto così, una volta », scandì bene le parole lei, iniziando a perdere la pazienza. « Ma, qualcuno, mi ha anestizzata e mi sono risvegliata ore dopo mano nella mano con Conan! », concluse con una punta di disappunto nella voce.
Lui fece per ribattere, ma Sonoko apparve magicamente da dietro in mezzo ai loro posti.
« Avete finito di battibeccare voi due? Siete un borbottio unico! ». Ran mise su il muso, mentre Shinichi rideva fra sé.
« Ok, ok », replicò a Sonoko, prendendo il libro che aveva preso poco prima dal suo bagaglio.
La biondina tornò a sedersi ordinatamente, e in quel momento il treno partì. Shinichi provò a immergersi nella lettura di un nuovo romanzo giallo che aveva comprato qualche giorno prima, ma non riuscì davvero a concentrarsi. Lanciava occhiatine rapide a Ran di tanto in tanto, guardandola mentre cercava di srotolare le sue cuffie totalmente aggrovigliate. Gli venne da ridere, e lei se ne accorse.
« Cosa c’è tanto da ridere? », domandò esasperata, voltandosi finalmente verso di lui.
« Niente, figurati », ribattè Shinichi, non alzando gli occhi dal suo libro.
« Oggi ti sei svegliato particolarmente irritante? », lo rimbeccò Ran, finalmente riuscendo a sbrogliare le sue cuffie.
Lui sorrise ancora. Amava punzecchiarla, e quel giorno effettivamente si sentiva particolarmente in vena. L’idea di passare due giorni con lei, seppur con tutti gli altri, lo aveva reso insolitamente felice. Aveva davvero bisogno di cambiare aria, specialmente dopo la settimana appena trascorsa. La guardò, e notò che lei lo stava fissando.
« Sarò anche irritante, ma mi stai fissando », disse regalandole il sorriso più bello che riuscì a fare.
Ran arrossì, sobbalzando. Mise su un broncio pronunciato, rendendola ancora più carina ai suoi occhi.
« Eddai », rise infine lui, sbattendo il libro sulle sue gambe. « Ti sto prendendo un po’ in giro, non posso? ».
Lei lo guardò torva, infilandosi le cuffie e azionando play sul telefonino. Lui sbuffò per niente preoccupato. Le sarebbe passata, le passava sempre.
E infatti, dopo appena cinque minuti, sentì le sue piccole dita mentre gli mettevano nell’orecchio una cuffia. La lasciò fare, mentre la musica iniziava a rimbombargli nelle orecchie.
Non disse niente, mentre lei si sistemava meglio al suo fianco.
A volte fra di loro non c’era bisogno di dire nulla.


 

« Ran? ». Una volta la stava chiamando.
Saltò a sedere sul posto, mentre avvertiva una mano calda sulla spalla. Aprì gli occhi impastati, mettendo a fuoco la persona che aveva a fianco. Per un attimo gli parve Shinichi ma, dopo un attimo, rimase delusa nel riconoscere Yusaku Kudo.
« Ran, è finito l’orario di visita », gli disse dolcemente l’uomo, con sguardo comprensivo.
Ran si portò una mano alla fronte, per poi notare la persona distesa davanti a lei.
Shinichi era in un sonno profondo ormai da due settimane, e anche se attaccato a diversi tubicini, riusciva a respirare finalmente da solo dal pomeriggio prima. I medici erano molto positivi che sarebbe riuscito a svegliarsi da solo entro qualche giorno, bisognava solo aspettare. L’operazione era andata bene e si stava riprendendo, avevano detto qualche giorno prima ai suoi genitori e a una Ran onnipresente ormai in quel reparto di ospedale.
Sollevati, si erano armati di pazienza e speranza. Per quello Ran si allontanava davvero di rado dal suo letto, volendo che appena aprisse gli occhi la trovasse lì. Ma spesso la giornata volgeva al termine troppo in fretta, e l’ennesimo giorno senza di lui le spezzava di ancora un poco il suo cuore ormai a pezzi. Accettò la manò che Yusaku le porgeva, alzandosi in piedi e lanciando un’ultima occhiata a Shinichi.
« Arrivo fra un attimo », mormorò e lui le lasciò la mano, allontanandosi in religioso silenzio. Una volta chiusa la porta, Ran prese il cardigan che aveva appoggiato sulla sedia e si avvicinò al suo viso. Come ogni giorno, gli sposto la frangetta ormai lunga dalla fronte, ammirando quel viso così incredibilmente perfetto.
« Ci vediamo domani », gli disse, prima di lasciargli un bacio sulla guancia.
Il contatto con la sua pelle le scaldò un po’ il cuore. Era un silenzioso rituale che faceva ormai da settimana, come una piccola preghiera per il giorno dopo. Sistemò la sedia sotto la scrivania li vicino e si diresse verso la porta.
« V-va bene ».
Ran sbarrò gli occhi, bloccandosi. Strinse convulsamente il cardigan fra le mani, mentre si torturava un labbro.
E’ stato nella tua testa.
Spesso sentiva la sua voce, negli ultimi tempi. Salvo poi girarsi speranzosa verso di lui, per notare che era ancora profondamente addormentato. Ogni volta, la cocente delusione la distruggeva così nel profondo che poteva sentire il suo corpo sgretolarsi su se stesso. 
Non ti girare.
Chiuse gli occhi, e un gemito soffocato le esplose nelle labbra. Un singhiozzo lo seguì, mentre iniziava a tremare. Cercò di scacciare quella voce dalla testa, facendo un pesante passo avanti. « Ran? ». Eppure, l’aveva sentita. Era la sua voce. Con il respiro accelerato, si girò il più lentamente possibile. I suoi occhi indugiarono sul viso di Shinichi, aspettando l’ennesima pugnalata di illusione allo stomaco. Ma qualcosa di meraviglioso la scosse: gli occhi di Shinichi che la stavano fissando. Erano socchiusi, di un blu opaco, ma erano aperti.
« Shinichi », mormorò mentre sentiva le lacrime scendergli lungo le guance.
Erano calde, come la sensazione che iniziava ad avvolgerla completamente. I suoi occhi tremarono lievemente, come a volerle rispondere.
« O mio Dio », balbettò Ran mentre, con mani tremanti, cercava di afferrare la maniglia.
« YUSAKU! », urlò scaraventandosi fuori.
Yukiko e Yusaku si voltarono di scatto verso Ran che, piangendo copiosamente, stava correndo maldestramente verso di loro, il cardigan abbandonato a terra mentre gli andava incontro.
« Ran! », esclamò l’uomo, preoccupato. Lei si ancorò alle sue braccia, che tentavano di sostenerla.
« S-shinichi », balbettò, il sapore di lacrime in bocca.
Yusaku sbarrò gli occhi e capì, così come Yukiko che mollò tutto e corse verso la porta che la ragazza aveva appena attraversato.
« Chiamo un dottore », le disse con la voce stranamente tremante per lui.
Ran annuì e cercò di tornare in quella stanza.
Non lo aveva immaginato, vero?
Le aveva davvero parlato.
Davvero.
Il terrore che la stanchezza e la speranza le avessero giocato un brutto scherzo si impadronì di lei. Lanciò un’occhiata fugace all’interno ma quando Yukiko si voltò verso di lei con un sorriso enorme e il viso inondato di lacrime, capì che era tutto vero. Emise un ennesimo gemito convulso, mentre si teneva su allo stipite della porta. Yukiko stava accarezzando Shinichi, che teneva ancora flebilmente gli occhi semi aperti nella sua direzione.
« E’ sveglio », sembrava quasi che dicendolo a voce alta le apparisse ancora più reale.
Ran annuì alle parole di Yukiko, la paura che improvvisamente si trasformava in una euforia mai provata nella sua vita. Avebbe voluto correre da lui, abbracciarlo, rinfacciargli di Conan, dell’Organizzazione, di essersi preso una pallottola per lei.
Ma prima che potesse fare alcun gesto inconsulto, si sentì prendere e spostare, mentre una equipe di medici entrava di corsa. Fecero uscire anche Yukiko e si chiusero dentro, mentre i tre rimanevano con il respiro accelerato fuori.
« E’ sveglio », ripetè Yukiko, abbracciando Yusaku, che ricambiò energicamente.
Quest’ultimo, sopra le spalle della moglie, guardò Ran e in quel momento le porse nuovamente la mano. Questa la accettò e si unì all’abbraccio, stringendosi un po’ di più a Yukiko.
« Sì », disse. « E’ sveglio ».
Rimasero in sala d’attesa per almeno due ore, prima che un medico uscisse e gli rivolgesse un sorriso radioso.
« Lo abbiamo visitato », iniziò con voce ferma. « In generale, sta abbastanza bene. Ma è molto debole », concluse.
« Ha bisogno di aiuto per compiere il minimo sforzo, e a volte gli manca il respiro, quindi gli abbiamo lasciato l’ossigeno per ogni evenienza. Basterà avere pazienza ».
Ran assimilava ogni parola avidamente, mentre stringeva convulsamente il suo cardigan ormai del tutto stropicciato. Appurato che avessero appreso le informazioni che gli stava rilasciando, il medico proseguì.
« Vi faccio l’enorme favore di far entrare uno di voi, ma giusto per salutarlo. Non dovete stancarlo », era molto severo.
Yusaku e Yukiko si lanciarono uno sguardo allusivo, e quest’ultima mise una mano sulla spalla di Ran.
« Ran, tesoro », iniziò. Ran intuì i loro pensieri, e scosse la testa.
« No, Yukiko, dovete andare voi », provò a opporsi.
« Sono abbastanza sicura che lui voglia te, ora », disse dolcemente Yukiko.
Ran provò a ribattere, ma il medico pareva impaziente. Deglutì, guardando un’ultima volta la donna davanti a lei. Dopo un po’, annuì timidamente, alzandosi in piedi e sistemandosi stupidamente la maglia sopra i jeans. Aveva pensato spesso a quel momento, all’istante in cui avrebbe rivisto i suoi occhi su di lei. Ma non aveva ragionato su cosa avrebbe dovuto dirgli.
Non toccarmi.
Si morse un labbro, mentre la paura cresceva in lei.
Ti odio.
Affrontarlo dopo le ultime cose che gli aveva detto la terrorizzava. E mentre la sua testa era nel caos, aprì la porta con mano tremante.
Con un cigolio questa si aprì, e lei fece un passo avanti a testa bassa. Lentamente alzò lo sguardo, notando come una infermiera fosse in piedi accanto a lui, per sistemare una flebo sul suo braccio. Questa la guardò, annuendo al fatto che fosse lì. Ran rispose al cenno, per poi guardare timidamente Shinichi.
Lo avevano leggermente alzato, e ora era appoggiato a diversi cuscini. In quel momento, dopo tante settimane, lo vide dimagrito e sciupato, il viso solcato da profonde occhiaie.
Ma i suoi occhi erano finalmente sgranati, e si stavano perdendo sul suo viso. Quello sguardo la imbarazzò da quanto era profondo, da quanto stesse scavando sul suo viso per ammirarne uno centimetro.
Il loro gioco di sguardi era così intenso che l’infermiera si sentì improvvisamente di troppo e, dopo aver frettolosamente finito il suo compito, lasciò la stanza un po’ intimidita. Quando ebbe chiuso la porta alle sua spalle, rimasero da soli.
Erano ancora lì, uno di fronte all’altro, gli occhi che non volevano staccarsi. Passarono parecchi minuti, prima che quelli di Ran si riempissero di lacrime.
hinichi se ne accorse e, stancamente, aprì la bocca secca.
« Non piangere », la sua voce era cavernosa, ma era la sua.
Abbozzò un sorriso incerto, che sembrava gli costasse una tremenda fatica.
« Sono lacrime di felicità », sorrise tremolante lei, avvicinandosi.
In silenzio, gli prese la mano. Lui voltò faticosamente la testa nella sua direzione, cercando di ricambiare la stretta.
« Sei bellissima », mormorò lui infine.
Ran rise isterica. Bellissima? Non si ricordava da quanto tempo non si curasse dei capelli, che le cascavano disordinati e spettinati ovunque. I pantaloni che indossava le stavano larghi, così come la maglia. Per non parlare della faccia, continuamente solcata dalle lacrime.
« Dovresti smetterla di dire bugie, detective », ribattè lei piano.
Un lampo di coscienza passò negli occhi stanchi di Shinichi, mentre emetteva un gemito di disappunto.
« Fra le tante, questa non lo è », ogni parola sembrava costargli una immensa fatica.
« Anche se sei dimagrita troppo », concluse con un sospiro, prendendo fiato.
In quel momento Ran si accorse dell’ossigeno al suo fianco.
« Basta parlare », gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla.
« Avremo tutto il tempo per parlare più avanti », continuò, indugiando una carezza sul suo viso.
« Davvero? », chiese lui, con sguardo poco convinto.
Lei annuì. « Sì. Io sarò qui. Sono sempre stata qui ».
Si scambiarono uno sguardo carico di cose non dette, bugie rivelate, ricordi dolorosi. Ma anche così pieno di amore che le gambe di Ran tremarono. In quel momento, qualcuno bussò ma non entrò, quindi lei capì che era il momento di uscire.
« Devo uscire », gli disse, togliendogli l’ennesimo ciuffo dalla fronte.
Lui annuì, stancamente. « Riposati », gli disse.
Era davvero difficile staccarsi da lui. Avrebbe voluto passare la notte lì, ma non poteva, doveva farlo per lui.
« Ran », la chiamò lui all’improvviso.
Lei lo guardò un’ultima volta.
« Sì? », poggiò la mano sulla maniglia.
Con le ultime energie rimaste, volle dirglielo. Perchè era stufo, perchè gli erano morte così tante volte in gola quelle parole, da trovarle quasi insensate. Aveva perso il conto delle volte in cui aveva fallito, e non era stato in grado di dirglielo. Ma non aveva intenzione di perdere altro tempo, così, con il corpo che gli doleva in ogni centimetro, prese una bocconata di ossigenò, e si rivolse a lei.
« Aishiteru ».
La terra sotto i piedi di Ran sparì, e per un momento ebbe paura di cadere rovinosamente a terra.
Trattenne il fiato, iniziando a tremare. Li, in quel letto, un Shinichi col fiatone la stava guardando come mai prima di allora.
Magro, pallido, dolorante.
Ma così pieno di quell’affetto per lei che stava traboccando da ogni angolo del suo corpo. Stava per rispondere mentre l’adrenalina le saliva al cervello, ma la maniglia si inclinò sotto la sua mano.
« Signorina », la voce impaziente del dottore la ridestò.
Frettolosamente, si girò e fece per uscire. Ma, in un’ultima giravolta che le fece girare la testa, guardò un’ultima volta Shinichi.
« Anche io ».

   
 
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