Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    16/04/2020    0 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo terzo
 
 
«Forza, cammina».
Un fucile fu piantato tra le scapole di Eren: egli mosse qualche passo, stavolta scoccando un’occhiataccia ai due soldati che lo scortavano. Tallulah li osservò e nonostante quell’autorità di facciata, poté capire quanto fossero spaventati, come se temessero che il ragazzo potesse trasformarsi in quell’esatto momento e schiacciarli con un dito. Mikasa si agitò leggermente al fianco di Armin.
La tensione che impregnava l’aria si faceva sempre più fitta.
«Ora, inginocchiati».
Di nuovo, Eren obbedì malvolentieri e solo quando posizionarono un lungo palo grigio alle sue spalle, Tallulah notò le manette ed i segni rossi sui polsi del ragazzo. Lo vide guardarsi attorno con occhi vacui, fino a che non li riconobbe. Sorpreso, sembrava quasi che stesse per dir loro qualcosa, ma un cigolio e dei passi molli lo distrassero. L’unica informazione che conoscevano sul quel processo era chi lo dovesse capeggiare: Dhalis Zachary era un uomo molto famoso in tutti i distretti, perciò non si aspettava di vederlo con quell’espressione stanca, lì in alto, al di sopra di tutti.
«Direi di procedere».
In quel momento delle dita bollenti scivolarono lungo il palmo della mano di Tallulah per intrecciarsi alle sue. Lei si voltò verso destra e vide l’apprensione ansiosa di Armin: gli strinse la mano con eguale forza. Capiva quanto duro dovesse essere vedere il proprio amico di infanzia inginocchiato e ammanettato come il peggiore dei criminali, in attesa di una eventuale condanna a morte. Insieme a Mikasa, era colui che stava soffrendo di più. Mentre il Comandante parlava regnava il più assoluto silenzio. Doveva ascoltare le proposte sottopostegli e decidere a quale armata affidare Eren.
«Sono il Comandante di divisione Nile Dawk del Corpo di Gendarmeria. Noi riteniamo che una volta studiata a fondo la struttura fisica di Eren Jaeger, sia necessario provvedere subito alla sua eliminazione. La sua sola esistenza rischia di scatenare gravissimi disordini, di conseguenza, dopo averne ricavato ogni informazione possibile, ci auspichiamo che possa raggiungere il paradiso degli eroi».
Tallulah, a quelle parole, non poté evitare la smorfia disgustata che le affiorò in volto e sentì la stretta sudata sulla mano intensificarsi; si avvicinò all’amico tanto da far sì che le loro spalle si toccassero. Per quanto riguardava Mikasa, al suo fianco, sapeva che non aveva bisogno di quel tipo di conforto, anzi probabilmente l’avrebbe messa a disagio. Ella aveva gli occhi nero pece piantati nell’uomo che leggeva i suoi fogli e se uno sguardo avesse potuto uccidere, sarebbe stato proprio il suo. 
«Non merita questo onore! Costui è un mostro penetrato tra noi ingannando le mura».
«Molto bene. Ora ascoltiamo la proposta del Corpo di Ricerca».
Tallulah ricordò improvvisamente chi presenziasse alle sue spalle ed ebbe la tentazione di voltarsi.
«Sono il Capitano Erwin Smith, tredicesima divisione del Corpo di Ricerca; noi vorremmo accogliere Eren nei nostri ranghi per poter riconquistare il Wall Maria. Questo è tutto».
«Questo è tutto?»
«Sissignore. È evidente l’importanza che questo avrebbe per noi».
Tallulah sinceramente non capiva il motivo per cui tutte quelle persone fossero contrarie ad un’idea del genere. Ci aveva riflettuto molto in quei giorni e sì, era innegabile che Eren fosse un’incognita, ma non si poteva ignorare la sua potenzialità. Sarebbe stato un vantaggio enorme come non ne avevano mai avuti: la paura avrebbe mai potuto essere una scusa sufficiente? Si rese conto di essersi persa l’ultimo scambio di battute quando un uomo vestito in abiti civili prese la parola in modo brusco, interrompendo il discorso di un altro.
«Tu, cane dell’associazione commercianti! Se sfruttiamo la sua forza di gigante potremo fare ritorno al Wall Maria»
«Noi ne abbiamo abbastanza di finanziare le vostre ridicole spedizioni!».
Trattenne un sibilo, ma non riuscì ad evitare l’espressione basita che le curvò la bocca. Non era una persona violenta, eppure le venne l’impulso di alzare le mani su quell’uomo.
«Sta zitto, maiale che non sei altro».
Sentire quelle parole la fecero sentire come se l’avesse picchiato davvero. Stavolta non riuscì a evitare di voltarsi per vedere chi stavano fissando tutti scioccati, ma se ne pentì nell’esatto momento in cui lo vide perché non riuscì più a togliergli gli occhi di dosso.
«C’è forse la garanzia che i giganti, nel frattempo, se ne staranno buoni ad aspettare? E quando ti riferisci al tuo gruppo, vi includi anche quelli che vi permettono di ingrassarvi tanto? I cittadini che per mancanza di terre coltivabili soffrono la fame voi non li vedete nemmeno».
C’era qualcosa nel suo viso, in quei tratti morbidi deformati da un’espressione rigida, pericolosa, ma controllata, composta, elegante.
C’era qualcosa in quegli occhi azzurri, volutamente inespressivi, ma con una luce, una fermezza, un’energia contenuta.
Levi spostò lo sguardo dal suo interlocutore, sentendosi osservato, e incrociò gli occhi della ragazzina dai capelli ricci.
Di nuovo.
Ogni volta che si incontravano lei gli piantava gli occhi addosso, più di quanto permettesse l’educazione, ne era sicuro, e non era certo del perché. Poi, lo sguardo gli scivolò più in basso e notò la stretta condivisa con il ragazzino biondo al suo fianco;
Tallulah si sentì improvvisamente nuda e tornò a dargli velocemente le spalle.
«Ma tu non sai neanche cosa stai dicendo! Come può un essere inferiore rafforzare...».
Smise di ascoltare quasi immediatamente quel discorso folle. Armin si sporse leggermente e sussurrò che era a causa di quel matto che c’era voluto così tanto per rafforzare le mura. Fu solo l’intervento del Comandante a stroncare quel battibecco inutile.
«Jaeger ora voglio una conferma da te. Ti senti in grado di tener fede al tuo giuramento di fedeltà anche assumendo le fattezze di un gigante?»
«Sì signore! Glielo giuro!».
Era la prima volta che si sentiva la voce di Eren da quando era cominciato quel processo e Mikasa si tese come una corda mentre osservava il cipiglio appassionato del ragazzo.
«Ma nel rapporto ufficiale sulla battaglia di Trost c’è scritto “Subito dopo la trasformazione ha dato un pugno verso Mikasa Ackermann”».
Il volto di Eren sbiancò e si girò nella direzione di quest’ultima.
Tallulah trattenne il respiro, era il momento decisivo e riusciva a prevederne il risultato. La donna dai capelli bianchi al loro fianco mormorò qualcosa all’amica, qualsiasi cosa fosse doveva averla convinta a confermare a denti stretti il rapporto ufficiale. Questo sembrò sconvolgere Eren più di ogni altra cosa.
«Però dovete anche sapere che in precedenza Eren Jaeger mi ha salvato la vita in ben due occasioni»
«Un momento! La presente testimonianza è condizionata dai sentimenti personali che intercorrono tra i due soggetti. Mikasa Ackerman, dopo aver perso i genitori, è stata presa in casa dalla famiglia Jaeger. C’è anche da considerare un ulteriore fatto: all’età di nove anni i due insieme hanno pugnalato a morte i tre responsabili del rapimento della piccola. Per quanto fosse legittima difesa, questo dovrebbe farci riflettere sulla vera natura di questo giovane».
Ebbe la pelle d’oca e non sapeva più se fosse per il più che duro segreto che Mikasa si portava dietro o per il fatto che quegli uomini stessero davvero utilizzando quella storia di dolore a sostegno dei loro sporchi interessi. Si alzò una nube di commenti indignati a mezza voce, perciò Tallulah prese una decisione e sapeva che se avesse voluto essere ascoltata avrebbe dovuto alzare il tono della voce.
«Signore, Eren Jaeger ha salvato la vita anche a me in un momento di grande difficoltà. La mia testimonianza dovrebbe avere più valore, non avendo nessun passato, né sentimento personale che intercorre tra me ed il soggetto». Sputò l’ultima parola con disprezzo, fissando furiosa l’uomo che aveva ridotto il suo amico ad un esperimento di laboratorio. No, nemmeno in quel contesto tanto formale era riuscita a trattenersi. Il Comandante Zachary la guardò da sopra i suoi occhiali minuti.
«E tu sei..?»
«Tallulah Lee, signore. Cadetto del 104º Corpo di addestramento reclute»
«Non conta nulla! È solo una strategia per poter infiltrarsi fra di noi!».
Qualcuno le indicò come complici del mostro e la necessità di ucciderli tutti. La ragazza rimase basita da tanta stupidità e avrebbe tanto voluto poterli insultare, come aveva fatto Levi in precedenza.
Maiale che non sei altro.  
Perché quel poco che poteva fare lei non bastava mai. Se Eren non fosse stato ammanettato si sarebbe certamente scagliato verso quei farabutti, data la veemenza con cui cominciò a gridare contro di loro. Tutti tacquero spaventati quando vibrò il palo a cui il moro era legato, come se si fossero appena ricordati chi avessero davanti.
«Sebbene non abbiate mai visto un gigante, come mai ne siete tanto spaventati? Noi non vinceremo mai se sono proprio i più forti a non combattere. Se voi pensate di non essere all’altezza, mettetemi almeno in condizione di farlo! Razza di smidollati che non siete altro!.
Stavolta non riuscì proprio a trattenere un sorriso, ignorando quanto potesse sembrare inopportuno in quel momento.
«PUNTATE TUTTO SU DI ME SENZA FARE STORIE»
«Pronti a sparare!!»
Poté giurare che il cuore di Mikasa ed Armin avesse perso un battito proprio come il suo ed il sorriso le morì sulle labbra: tutto stava accadendo troppo velocemente ed era così assorbita dal fucile che venne puntato su Eren che a malapena registrò il fruscio alle sue spalle. Poi una scheggia entrò nel suo campo visivo ed un secondo dopo un calcio colpì la guancia sinistra del prigioniero, facendogli volar via un dente. Il secondo calcio puntò allo stomaco e le fece realizzare la situazione dopo i primi istanti di gelo immobile. Il terzo colpo, una ginocchiata calcolata e precisa, centrò la testa. Sentì distintamente il respiro di Mikasa strozzarsi, ma non riuscì a muoversi, né a distogliere lo sguardo da quella scena. Armin sciolse la presa dalla sua mano per poter afferrare l’amica prima che si precipitasse verso Eren:
«Ferma!».
Il sangue colava dalla bocca di Eren e alcune gocce avevano macchiato il pavimento e la divisa di Levi. Inevitabile, visti i colpi che infliggeva uno dopo l’altro e di cui Tallulah non riusciva proprio a capirne il motivo.
Perché?
Aveva voglia di gridargli di smetterla, ma sapeva che non avrebbe mai osato.
«Per ottenere dei risultati non c’è niente di meglio del dolore fisico; quello che ti serve adesso non è un’istruzione a parole, ma un addestramento».
Continuò a colpirlo e tutti continuarono ad osservare in silenzio, fino a che Erwin Smith finalmente prese parola.
«Comandante, ho una proposta da fare».
 
«Alla fine ce l’abbiamo fatta» esultò Tallulah, usando il noi senza nemmeno accorgersene.
«Grazie al Capitano Levi» ricordò Armin, finalmente più rilassato, guadagnandosi un grugnito di Mikasa. Probabilmente non glielo avrebbe mai perdonato, anche se in qualche modo aveva comportato la salvezza di Eren.
«Spero di non dover più mettere piede qui dentro. Quei tizi mi hanno sfinita»
«Ehi, guardate!. Il biondino indicò una figura alta dai capelli castani che si avvicinava all’uscita insieme a tutti gli altri. «È il tipo che ha condotto Eren al processo insieme ad un’altra signora con gli occhiali. Se lo seguiamo magari ci porterà da lui».
Mikasa si perse le ultime parole perché era già schizzata dietro di lui.
«Non sarà molto discreta» disse Tallulah alzando gli occhi al cielo ed Armin affrettò il passo verso di lei, preoccupato. Si fecero largo a fatica tra tutta la gente che si accalcava per uscire, qualcuno ancora indignato per l’andamento di quel processo. Per un pelo non persero di vista il loro obiettivo e ripercorsero all’indietro il corridoio da cui erano arrivati, in silenzio e a distanza di sicurezza. All’improvviso, tuttavia, l’uomo si fermò e alzò la testa verso l’alto.
«Che sta facendo?» sussurrò Tallulah fermandosi a sua volta.
«Sta... annusando l’aria?» fece a tempo a rispondere Armin prima di vederlo voltarsi di scatto, cogliendoli in fragrante.
«Credevate davvero di passare inosservati? Ah!» sorrise soddisfatto e tornò sui suoi passi per osservarli più da vicino. O meglio, per annusarli.
«Vorremmo solo parlare con Eren. Sono giorni che aspettiamo» esclamò Tallulah di getto, non voleva assolutamente andar via senza vederlo.
«E chi vi dice che seguendo me arrivereste a lui?»
«Era la nostra unica pista» rispose alzando le spalle. Non sapeva se dire la verità era stata la cosa giusta, ma non le era venuta in mente nessuna scusa geniale. Era Armin quello con i piani brillanti e la mente acuta; lei era più per l’istinto. Mentre tutti e tre lo guardavano con aspettativa sentì una voce squillante ridere e un successivo lamento di dolore. Senza rifletterci, seguì quei suoni con uno scatto, seguita a ruota dai suoi amici: poco più in là, a destra, c’era una porta socchiusa e l’aprì con veemenza prima che quel tipo potesse fermarli.
«Trovato!» esultò, nello stesso momento in cui Mikasa esclamò il suo nome e si precipitò verso di lui.
«Ragazzi!» sorrise, Eren, vedendo finalmente dei volti amici.
«Scusi Generale, non sono riuscito a fermarli» mentì Mike, in realtà non aveva voluto farlo. Qualcosa in quei tre paia d’occhi ardenti l’aveva convinto.
«Non fa niente, Miche».
«Ahh, non sapevo che ti facessi abbindolare da dei ragazzini» lo canzonò la donna che era in ginocchio di fronte al ragazzo-titano «Vediamo un po' chi abbiamo qui».
Si aggiustò gli occhiali e sorrise ai nuovi arrivati.
«Io sono Hanje Zoe, caposquadra del Corpo di ricerca. Voi dovete essere gli amici di infanzia del nostro Eren»
«S-sì, signora» rispose Armin.
«Dovrete raccontarmi tutti i dettagli della sua trasformazione!»
«È un’esperta in giganti?» chiese Tallulah incuriosita e Hanje la fissò.
«Oh, mi piacerebbe davvero esserlo, tesoro. Però due o tre cosine le conosco, sai quando...».
Miche sospirò, interrompendo la donna «Domanda sbagliata»
«Armin ne sa più di noi. Ha gestito benissimo il gigante addormentato di Eren» esclamò la riccia, posando una mano sulla spalla dell’amico.
«Ahi- Piano, Mikasa. Ehi, di che state parlando?»
«Di nulla, sei stato bravissimo» gli sorrise Tallulah e si accovacciò ai suoi piedi, se solo non fosse stato così malconcio l’avrebbe abbracciato. «Mi hai salvato la vita, finalmente posso ringraziarti»
«Non me lo ricordo, ma ne sono felice» rispose Eren ricambiando il sorriso, ancora confuso, prima di contrarsi in una smorfia di dolore. Mikasa aveva preso il posto di Hanje e curava le ferite dell’amico, scoccando ogni tanto qualche occhiataccia a colui che era seduto lì di fianco. Levi osservava la scena, un braccio rilassato sulla spalliera e le gambe incrociate. Si era ricomposto più che in fretta dallo stupore che quella mocciosa gli aveva causato con la sua entrata irruente. Purtroppo, il luccichio che per un millesimo di secondo attraversò gli occhiali della sua collega quattrocchi era segno che non se lo era persa. Ora la scienziata aveva preso a parlare animatamente delle sue conoscenze sui titani con il biondino, sempre meno a disagio grazie alla mocciosa che lo coinvolgeva con il minimo sforzo. A guardar bene era stata lei a far rilassare tutti, un po' troppo forse, notò con una punta di fastidio. A nessuno era venuto in mente il mancato saluto militare davanti a tre Capisquadra e il Comandante, quest’ultimo anzi ascoltava condiscendente la conversazione. Per la prima volta, fu lui ad indugiare con lo sguardo su di lei, notando i capelli sollevati in una coda disordinata, la curva del sorriso e la fossetta sulla guancia destra. A guardarla, carina e innocente, nessuno avrebbe mai potuto credere che frequentasse posti improbabili in orari notturni, né che bevesse fino a vomitare. Sentendosi osservata Tallulah dovette cedere e incrociò i suoi occhi.
Perché mi guarda?
La presenza del capitano l’aveva presa alla sprovvista e si era dovuta concentrare per evitare di mostrare quanto la influenzasse; peccato che i suoi sforzi furono vani perché sentì il calore salirgli sul viso e le parole di Hanje Zoe persero di significato.
Quando però calò il silenzio e vide l’espressione perplessa di Armin rivolta verso di lei, capì di essere nei guai.
«Ehm, scusate, mi sono persa la domanda?» esclamò e volle sotterrarsi.
«La caposquadra Hanje voleva sapere di quei fasci di nervi che hai tagliato per liberare Eren dal suo titano».
Si costrinse a relegare Levi nell’angolo più remoto del suo cervello mentre tentava di rispondere al meglio del suo limitato sapere. Dal canto suo, il Capitano, aveva dovuto sopprimere un sorrisetto soddisfatto nel vedere l’espressione della mocciosa divenire rossa e vacua e si ricordò le sue parole di quella famosa notte, vorrei rivederti. Era strano, ma ricordava bene quella domanda perché per un secondo lo aveva spiazzato: voleva rivederlo? E per quale motivo? La voce educata, ma autoritaria, del Generale Smith mise fine alle chiacchiere.
«Non mi piace fare il guastafeste, ma dobbiamo decidere come gestire la situazione d’ora in avanti».
«Direi che fosse ora» commentò Levi piccato.
«Eren, andrai con il Capitano e la sua squadra nel nostro ex quartier generale. È perfetto per il tuo addestramento, nascosto e tranquillo, potrai concentrarti senza distrazioni. Levi» si voltò appena «Quando potreste partire?»
«Il prima possibile, è inutile perdere tempo»
«Bene. Voi ora fareste meglio ad andare. Siete stati molto coraggiosi e spero di potervi avere tra le mie schiere».
Stavolta, a quel tono formale alle reclute venne naturale tirarsi su e fare il saluto militare.
«Grazie signore» esclamò Armin.
«È stato un piacere ragazzi!». Hanje li salutò sventolando la mano e anche successivamente si apprestarono a salutare il loro amico.
«Abbi cura di te, Eren. Ci vediamo presto»
«Sono felice di avervi visto. Darò il massimo, ve lo prometto».
E Tallulah sapeva che era la verità.
 
«Avanti, dimmi chi è»
«Non so a cosa ti riferisci»
«Tutta quella tensione, tutti quegli sguardi» la donna alzò gli occhi, sognante. «Riconosco queste cose a colpo d’occhio»
«Continuo ad essere in alto mare»
«Eppure, sembra piccina. Non credevo avessi certi gusti, nanetto»
«A volte mi chiedo perché ti stia a sentire, quattr’occhi»
«È forse la figlia di qualche tuo conoscente? Nah, tu non hai amici».
Levi sapeva che quando la sua collega cominciava a parlare era difficile farla smettere e la strada per i loro alloggi era ancora lunga. Per quanto sciocca ed infantile potesse sembrare, Hanje Zoe era un’acuta osservatrice ed aveva un intuito molto sviluppato. Era difficile tenerle nascosto qualcosa e ciò gli si era ritorto contro molte volte nel corso degli anni. Non solo, era l’unica che non si era mai lasciata scoraggiare dal suo carattere scostante, anzi, trovava divertenti le frecciatine che si lanciavano tutti i giorni. Era quanto più vicino ad un’amica avesse e lei lo sapeva.
A modo suo, le voleva bene.
«In ogni caso, dovresti muoverti a fare la prima mossa prima che la faccia quel ragazzetto biondo».
L’intima scena delle loro mani intrecciate che aveva rubato al processo gli balenò in mente e si chiese che tipo di rapporto avessero; poi, ricordò che anche poco prima si era avvicinata ad Eren fin troppo e senza indugio. Alla stessa velocità con cui aveva fatto quei pensieri si maledisse per aver dato retta alle parole di quella squilibrata.
«Taci, nana occhialuta».
Hanje esplose in una grassa risata e decise di non rispondere: le era bastato notare quanto la sua ultima osservazione avesse rotto la maschera di impassibilità che aveva tenuto Levi fino a quel momento e decise di scoprire che cosa le stesse nascondendo su quella ragazzina.
 
THUMP
Un suono come di un colpo secco attirò la sua attenzione. Si stava occupando delle loro attrezzature di riserva nel deposito a fianco le stalle, canticchiando a mezza voce una canzoncina popolare. Si mise in ascolto, ma per molti secondi dopo non sentì nulla, così pensò d’averlo immaginato. Tornò alla sua occupazione, ignorando la fame che iniziava a farsi sentire. Era quasi ora di cena ed era stata una giornata pesante.
THUMP
Stavolta si alzò, sicura di ciò che aveva sentito, ed uscì dal capannone in legno. Fuori era quasi il tramonto e l’aria era gelida.
«Chi c’è?»
THUMP
Si voltò a sinistra e mosse dei passi verso quel rumore, da qualche parte nel boschetto lì vicino, dove le reclute erano solite allenarsi. Man mano che s’avvicinava alla fonte si fecero sentire respiri accelerati, quasi dolorosi. Affrettò il passo, sempre più preoccupata ed alla fine, seduto tra alcuni cespugli, vide Jean, il volto contratto e le nocche spaccate piene di sangue.
«Oh, Jean...» sussurrò e cercò di andargli incontro il più silenziosamente possibile, aveva quasi paura di disturbare il suo dolore. Si inginocchiò al suo fianco e gli prese una mano, senza guardarlo in volto. Esaminò con attenzione quelle ferite, fortunatamente superficiali, e non fu difficile capire come se le fosse procurate: il suo sangue imbrattava anche il tronco di fronte a loro.
«Tento di tornare a vivere la mia vita, tento di fare come te. Ma ogni volta è sempre peggio».
Tallulah represse un moto di fastidio a quelle parole, come te. Come se lei fosse un robot insensibile, come l’aveva dipinta Klaus. Ciò nonostante, si sforzò di comprendere Jean. Era raro sentirlo parlare con quel tono spezzato, anzi forse non glielo aveva mai sentito.
«Il dolore ci sarà sempre, possiamo solo conviverci» mormorò lei con tono spento.
«Possiamo convivere con la morte dei nostri compagni. Ma come si fa ad andare avanti se ne siamo noi la causa?».
Una fitta strinse il cuore di Tallulah ed un flash di un visetto allegro dai capelli rossi le attraversò la mente. Alzò il volto verso i rami secchi degli alberi sopra di loro ed ascoltò il fischio del vento gelido.
«Questo, sto ancora cercando di capirlo»
   
 
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