Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: NanaK    07/04/2020    0 recensioni
Non c'era nulla di molto valoroso in lei, ma la storia non viene sempre raccontata dagli eroi.
Genere: Avventura, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo secondo
 

Quella sera per la prima volta disse torniamo a casa.
Non aveva mai reputato casa quel posto ed Armin, infatti, la guardò con perplessità stanca; in pochi si trascinarono in mensa per mangiare qualcosa. Nonostante la fame, la maggior parte dei sopravvissuti non voleva altro che sprofondare nell’oblio del sonno, con la speranza di non rivivere l’incubo appena vissuto. Tallulah non voleva dormire, nonostante sentisse le membra pesanti ed un cerchio che le stringeva la testa. Aveva troppi pensieri, troppa sofferenza, troppa agitazione dentro.
Guardò con stanchezza gli spinaci nel suo piatto e si forzò a portarsi l’ennesima forchettata alla bocca. Sapeva di dover almeno mangiare qualcosa dopo aver saltato tutti i pasti della giornata.
«Secondo voi dove avranno portato Eren?» sussurrò a chi le era di fronte. Armin e Mikasa avevano la stessa inesistente voglia di andare a letto, Connie era sceso con Jean ed ovviamente Sasha non si sarebbe persa la cena per nulla al mondo.
«Hanno detto che lo avrebbero messo in sicurezza, ma scommetto che è in qualche cella sporca». Tallulah annuì alla risposta di Armin. Era d’accordo, se fosse stato rilasciato avrebbe scatenato il panico generale.  
«Le notizie corrono più velocemente di quanto pensiamo»
«Ma non ci hanno ascoltati minimamente. Non hanno nemmeno concesso che qualcuno di noi lo accompagnasse».
Mikasa era la più preoccupata per la situazione e continuava a torcere un tovagliolo tra le dita.
«Ma voi.. sapevate che Eren.. Insomma, come è potuto accadere?».
Connie guardò gli amici di infanzia del ragazzo in questione e fu palese quanto fosse la domanda che nessuno aveva ancora avuto il coraggio di fare.
«Non sapevamo nulla e sono certo che prima di oggi non avesse alcun.. potere, se così vogliamo chiamarlo. Non ho idea di come sia stato possibile. Io l’ho visto chiaramente sparire...». Armin non riuscì a completare la frase.
Sparire tra quelle fauci. Tallulah rabbrividì e toccò piano il braccio dell’amico. Calò nuovamente il silenzio e per un po' gli unici suoni furono lo stridio delle posate sui piatti ormai quasi vuoti. In quel momento si accorse di una strana sensazione: si sentiva osservata. Pensava fosse una sua impressione, ma poi alzò gli occhi di scatto ed incontrò lo sguardo di Jean. Perché la fissava? Si sentiva in colpa? Tallulah si era sempre trovata bene con Jean: la faceva ridere e le piaceva assistere ad i suoi battibecchi con Eren. Per questo era ancora più difficile dimenticare ciò che era successo quel pomeriggio e voltò il capo, ignorandolo. Questo bastò a farlo arrossire e abbassare lentamente la testa.
Finire il suo piatto fu un sollievo. Quella brodaglia di verdure la disgustava e non si poteva dire che il suo stomaco fosse particolarmente aperto. Diede la buonanotte ai ragazzi e uscì dalla sala controvoglia. Si sentiva svuotata, nonostante la loro vittoria. Era persino riuscita ad abbattere un gigante. Aveva aiutato gli altri. Allora perché si sentiva così? Abbracciare Armin era l’unica cosa a cui si sarebbe abbandonata con piacere, ma ultimamente accadeva sempre più di rado.
Fu costretta a fermarsi e poggiare la schiena alla parete del corridoio semibuio. Respirò piano e cacciò indietro le lacrime. Non avrebbe pianto se non nel suo letto, lontana da chiunque.
«Stai male?»
Sobbalzò e le ci vollero alcuni secondi prima di riconoscere la figura alta dietro di lei.
«Mi hai spaventata» riuscì a dire con voce fioca, placando mentalmente il cuore già in gola.
«Scusami, pensavo mi avessi sentito uscire». Jean si portò una mano dietro la nuca «Che storia eh.. Eren e tutto il resto»
«Già»
«Cosa pensi succederà adesso?»
«Non lo so» si schiarì la voce, riprendendo lentamente il controllo di sé «Ma non gli mancheranno di certo i nemici».
La risposta le uscì più acida di quanto intendesse inizialmente e sperò che lui non notasse i suoi occhi lucidi. L’aveva presa nel momento peggiore; stava per voltarsi ed andarsene, ma lui la fermò.
«Aspetta.. Ti ho seguita perché volevo parlarti».
Tallulah non volle voltarsi, ma non riuscì nemmeno a ignorarlo e andar via.
«Ho sbagliato. Non avrei dovuto intromettermi in quella situazione, ho reagito d’impulso. Ho pensato solo a me stesso e a quanto volessi evitare la morte di altri miei compagni. Non ho avuto fiducia in te, ti chiedo-».
Non finì la frase perché lei si era portata le mani in volto e si era curvata leggermente in avanti. Dio, quanto odiava farsi vedere così dagli altri.
«Accetto le tue scuse» mormorò con tono debole. Jean rimase a guardarle la figura minuta e gli venne naturale avvicinarsi e posare le mani sulle spalle. Tallulah trasalì, ma non si scostò. Non ce la faceva più ad essere forte, lei che forte non lo era mai stata. Quando alla fine si sentì abbracciare non poté più evitare le lacrime che le rigarono le guance.
 
«Aspettami» una massa di capelli ricci corse dietro alla ragazzina con le lentiggini. Si dirigeva verso la folla che si accatastava nell’angolo della strada.
«Tallie, sbrigati o si mangeranno tutti i biscotti senza di noi!» le gridò Tallulah, ma la vedeva sempre più lontana e sempre meno visibile. Poi, una mano enorme afferrò quel vestito azzurro e la tirò indietro, inglobandola tra la massa di gambe e busti che si accavallavano.
«Sadie!!». L’ultima cosa che vide fu il suo viso disperato.
 
Quel cielo grigio piombo sembrava rispecchiare perfettamente il suo stato d’animo di quella mattina. Doveva essere passata da poco l’alba quando si era svegliata, mostruosamente presto, ma senza più nessuna traccia di sonno. Si era vestita senza svegliare le sue compagne ed era scesa in cucina in silenzio per preparare del caffè e rubare un paio di biscotti d’avena. Poi, con il suo bottino era uscita fuori e si era seduta nell’erba ancora umida, aspettando che tutto intorno a lei si svegliasse.
Rimuginava sul sogno di quella notte, era da un po' che non faceva un sogno così nitido. Forse lo strano scambio con Jean qualche sera prima l’aveva colpita più di quanto pensasse; nonostante tutto, le era servito a sentirsi meglio e Tallulah si domandò se valesse lo stesso per lui. Bevve l’ultimo sorso di caffè e allungò le gambe, sorridendo tra sé al pensiero del viso rosso dell’amico. Uno stormo di uccelli prese bruscamente il volo da un albero lì vicino e si voltò per guardarli. Fu in quel momento che notò una figura che correva in tondo sul campo di allenamento. Aguzzò la vista, ma non riuscì a identificarla: chi poteva correre a quell’ora del mattino? Con la quasi totale certezza che fosse Mikasa che non riusciva a dormire, rientrò a prendere dell’acqua per portargliela. Sperò solo che non avesse passato la notte ad allenarsi. Uscì dalle cucine in fretta e tornò fuori, camminando velocemente verso di lei e preparandosi la ramanzina nella testa. Man mano che si avvicinava tuttavia aveva sempre meno l’impressione che si trattasse della ragazza. Quando si rese conto che forse avrebbe fatto meglio a girare i tacchi era troppo tardi, due occhi di ghiaccio si erano già posati su di lei.
«Buongiorno», si obbligò a dire nonostante la gola secca, e raddrizzò la sua posizione nel saluto militare. Non sapeva ancora perché avesse quella reazione spropositata in sua presenza. L’aveva avuta anche tre giorni prima, quando era piovuto dal cielo in mezzo all’inferno e tutti i pericoli si erano come smaterializzati.
Tutti conoscevano il capitano Levi. Tallulah l’aveva sempre visto al fianco del Comandante, insieme ai suoi compagni: quando il corpo di ricerca si preparava ad uscire dalle mura lei osservava tutti i volti, ma nessuno era come il suo. Levi scrutava la folla con sguardo fermo, le labbra strette in una linea sottile, e pensieri impossibili da indovinare. Stonava troppo con l’ambiente circostante, festoso e pieno di speranza, ancor di più se messo a confronto con Erwin Smith, che si prodigava in ringraziamenti e sorrisi condiscendenti.
Ci stonava così tanto che si era presa una cotta colossale, bevendo le leggende sulla sua vita prima della Legione e sulle sue abilità inarrivabili. Le volte in cui l’aveva visto si potevano contare sulle dita di una mano, ma lei era una ragazzina innamorata dell’amore ed entusiasta della vita, noncurante dei pericoli che l’umanità correva: apparivano offuscati ed improbabili. Questo finché essi non si palesarono nel modo più devastante ed improvviso possibile, spazzando via tutto il suo mondo.
Ed in quel momento tu, Levi, dov’eri?
In un’altra missione, a guardare altra gente che moriva. Che sciocca era stata a cercare di dargli una colpa che in realtà era solo sua. Nonostante ciò, in un altro momento, l’aveva salvata da quelle mani orrende che la schiacciavano al muro. Se lo meritava?
«Buongiorno mocciosa».
La sua voce fin troppo reale e bassa la fece arrossire e chinò la testa per camuffarlo.
«Credevo fosse un mio compagno e avevo portato dell’acqua. Se può esserle d’aiuto...».
L’uomo sollevò un sopracciglio e fissò per un attimo la borraccia che aveva riempito; poi allungò una mano e la prese e Tallulah rimase a guardarlo bere avidamente, gli occhi chiusi e la testa all’indietro. Le punte dei capelli erano umide di sudore e si chiese da quanto fosse in piedi. Era la prima volta che lo vedeva quasi umano.
«Si allena spesso qui?»
«Ogni tanto»
«E si alza sempre così presto?»
Emise un brontolio d’assenso mentre le restituiva l’acqua.
«Posso farle una domanda?» gli chiese dopo qualche secondo, prima che potesse riprendere il suo allenamento.
«Perché, queste non lo erano?»
Tallulah sorrise e lo prese come un burbero assenso.
«Sa qualcosa di Eren? Dove lo tengono? Sta bene? Cosa gli succederà?»
«Queste sono tante domande, non una. Non è necessario che un cadetto conosca queste informazioni»
«Ma abbiamo il diritto di saperlo!»
«Non spetta a me stabilirlo»
«Non mi sembrava un tipo così rispettoso delle regole, Capitano» esclamò irritata ed immediatamente volle mordersi la lingua. Era stata troppo impulsiva. Levi la guardò senza mostrarsi minimamente toccato dal commento e un lampo indefinito gli attraversò lo sguardo.
«Io invece so benissimo quanto tu ami infrangerle» le rispose e si ritrovò ad assistere quasi con interesse all’insieme di espressioni che si susseguirono sul viso della ragazza, un misto di stupore, imbarazzo e rabbia.
«Ora torna ai tuoi compiti e non scocciarmi. Mi stai tra i piedi» le disse, con tono fintamente perentorio.
«Posso aiutarla nel suo allenamento» propose Tallulah a dispetto dell’imbarazzo che le aveva tinto le guance ed incurante della vocina nella sua testa che le sussurrava quanto suonasse ridicola. Non voleva perdere l’unica opportunità di sapere qualcosa su Eren.
«Non vedo come»
Stai zitta. Sei ancora in tempo a non-
«Si batta con me nel corpo a corpo. Se vinco mi dirà ciò che voglio sapere su Eren».
Non aspettò una risposta e si tolse la giacchetta pesante che le poteva impedire i movimenti, come pure lanciò la borraccia sull’erba poco lontano. Il suo superiore la guardò con espressione annoiata.
«Non capisco se sei solo una mocciosa arrogante o stai bluffando. In entrambi i casi non sono interessato».
Era la frase più lunga che gli avesse sentito dire: Tallulah contrasse le dita con disappunto nel vederlo voltarle le spalle, chissà se per l’assenza di informazioni desiderate o se per il rifiuto in sé. Senza pensarci gli si lanciò contro, sollevandosi appena sulle punte dei piedi e curvando la schiena in avanti, voleva circondargli il collo con il braccio e cercare di atterrarlo. Le pupille di Levi saettarono verso il fruscio dello spostamento d’aria e un secondo dopo si era chinato afferrandole il polso. Tallulah fece appena in tempo ad avvertire la sua presa che si ritrovò con
la schiena sul terreno, il braccio del Capitano sotto la gola ed il suo corpo che troneggiava su di lei. Lo guardò, senza fiato per il contraccolpo, e vide quanto una punta infastidita tingergli gli occhi. Aveva paurosamente perso, ma sentì una profonda soddisfazione per avergli fatto perdere la sua calma annoiata. Poi, lentamente, si rese conto del respiro caldo sul viso e capì che forse non lo aveva fatto solo per Eren. In fondo non aveva mai davvero creduto di poter vincere.
Forse voleva solo sentirselo di nuovo addosso, indipendentemente dal come. Questi pensieri si successero nella sua mente alla velocità della luce e qualcosa nel suo sguardo doveva essere cambiato perché Levi si sollevò rapidamente e la guardò sprezzante.
«Mi domando come tu sia riuscita a rimanere viva finora».
 
L’uomo sentì i primi goccioloni di pioggia sulla nuca e affrettò la sua corsa verso gli alloggi: più di tutto avrebbe odiato rientrare lasciando una scia fangosa dietro di sé. Se non fosse stato per quella mocciosa sarebbe stato sotto la doccia da un pezzo, imprecò mentalmente a quel pensiero. Nel giorno della battaglia di Trost era riuscito ad arrivare in tempo per salvare quelle reclute e gli ci era voluto un po' per riconoscere quello sguardo fisso. Il viso leggermente ovale e l’aria sfrontata erano gli stessi, ma non aveva quell’espressione annebbiata che ricordava: gli occhi erano duri e attenti e il collo rigido. Non si aspettava proprio poi di trovarsela di fronte alle 5 del mattino, ricci scomposti che le cadevano sulle spalle e una giacca forse troppo grande per lei. Era riuscita a farlo divertire e poi incazzare nel giro di qualche minuto.
«Tch»
 
 
«Tallulah, non ti senti bene? Non hai toccato cibo» le chiese Christa con aria preoccupata.
«No, è che ho già fatto colazione, mi sono alzata presto»
«In effetti non ti ho vista a letto poco fa» le disse Sasha a bocca piena.
«Non sputacchiarmi!» rispose ridendo. «Dormi come un orso in letargo, non ti avrei svegliata nemmeno se ti fossi caduta addosso»
«Magari con il profumo di una bella salsiccia sì però» si intromise Connie sgomitando sul fianco dell’amica.
«Ahh, salsiccia...». Iniziò a sbavare causando il disgusto generale.
«Ma come fate?».
L’esclamazione rabbiosa di Klaus, proveniente dal tavolo a fianco il loro, fece voltare tutti verso di lui. Era in piedi ed aveva un’espressione quasi disgustata:
«Come fate a ridere e scherzare in questo modo? Avete già dimenticato i nostri compagni!?».
Il suo tono si era alzato parola dopo parola e piano piano aveva zittito tutti i mormorii della stanza. Probabilmente prese un po' tutti alla sprovvista perché per i primi secondi nessuno fiatò e lui ne approfittò per proseguire.
«Nessuno riesce a dormire, a stento mangiare, come è possibile che sia così facile per voi? Lei» indicò Tallulah senza però guardarla «Ieri cantava per il corridoio. È davvero nauseante»
«K-Klaus, non starai un po' esagerando?» gli disse Armin, sempre più stupito da quell’ostilità. La sua risposta però fece infuriare ancora di più il ragazzo.  
«Cos’è, Arlert, ti senti in dovere di prendere le difese della tua ragazza?».
«Lascia perdere, Armin» mormorò Tallulah, cercando di far finta di nulla nonostante il calore che le era salito nel petto. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla turbata.
«Klaus, calmati amico. Se cominciamo ad aggredirci fra di noi non ci rimane più niente» si intromise Connie e Lilian posò una mano sulla spalla di Klaus, come per trattenerlo. Il ragazzo si scostò bruscamente ed uscì dalla stanza a passo svelto. Tallulah sospirò impercettibilmente.
«Ignora quello che ha detto» le disse Mikasa, seduta di fronte a lei e si sforzò di sorriderle, annuendo. Fuori pioveva, ma sapeva bene che in quei giorni di fuoco nessuno li avrebbe tenuti fermi e al caldo e a lei andava bene così. Doveva allenarsi fino a sanguinare, solo in quel modo sarebbe migliorata tanto da proteggere gli altri e ripagare il suo debito.
E magari un giorno, a battere Levi nel corpo a corpo.
 
«Dai Mikasa, proviamoci! Giuro che torniamo presto»
«Non ho intenzione di seguirti chissà dove, devo rimanere concentrata per-»
«Per cosa? Non possiamo fare nulla per Eren, non sappiamo la sua posizione esatta, né possiamo estorcerla in qualche modo. Siamo solo dei cadetti».
Il discorso non faceva una piega, ma Mikasa rimase seduta sul suo letto a fissare il vuoto. Avevano cenato da poco e Tallulah stava cercando di convincere la corvina a seguirla in taverna. Non aveva dimenticato come l’avesse aiutata e aveva notato quanto fosse più silenziosa del solito; voleva fare qualcosa per distrarla, anche se probabilmente non rientrava tra gli svaghi permessi. 
«Non ho l’età per bere e siamo anche soldati»
«Non avremo problemi. E poi, uccidiamo giganti, diamine, uno strappo alle regole possiamo anche concedercelo»
«Ci scoprirebbero subito, è pericoloso»
Tallulah si irrigidì: lo era davvero, soprattutto per chi girava solo e ubriaco.
«Sei la migliore, nessuno riuscirebbe nemmeno ad avvicinarsi» rispose, abbassando la voce. Mikasa non rispose e sulle labbra di Tallulah spuntò un sorriso
«È un sì?».
 
Un’ora dopo.
 
La cosa bella di Mikasa era che non faceva domande. Lasciava che fosse l’altro a parlare, a scegliere cosa dire e cosa invece tenere per sé. Tallulah aveva sempre avuto l’impressione che fosse perché lei in primis nascondeva qualcosa gelosamente.
Onestamente non credeva che alla fine l’avrebbe davvero accompagnata: forse non la conosceva ancora abbastanza. Era stata un po' in ansia nel condividere con lei quel momento, non l’aveva mai fatto con nessuno. Si era rilassata solo quando Earl le aveva fatte entrare dal retro. Da quando era stata aggredita aveva imparato a rimanere nell’ombra e passare inosservata. Se prima si sentiva libera di fare tutto, ora si guardava le spalle ovunque e non beveva più così tanto. Se ci fosse stata la necessità avrebbe dovuto essere lucida per combattere. Per molto tempo non era riuscita a tornare, ogni volta che ci pensava bastava quel ricordo a farle venire la nausea.
Poi, piano piano, la speranza di rivedere Levi aveva prevalso.
«Hai vinto di nuovo, uffa!»
«Sei abbastanza scarsa in questo gioco»
«Ma se te l’ho insegnato io!». Tallulah raccolse le carte ridendo. Bevve dal suo bicchiere e poi lo porse a Mikasa che lo fissò indecisa. Alla fine, lo portò alle labbra.
«Brucia» borbottò con una smorfia e Tallulah ridacchiò.
«Aspetta, assaggia questo» le porse il suo bicchiere «È il mio preferito»
Mikasa si bagnò appena le labbra per evitare il sapore troppo forte del vino precedente, sorprendendosi invece della nota quasi dolciastra che sentì.
«Mio nonno faceva il vino, mi raccontava un sacco di cose sul suo processo di produzione e sulla viticoltura. Era la sua passione. Mia nonna invece, lo vendeva al mercato» le disse Tallulah e Mikasa la fissò, posando il mento sul palmo della mano.  
Non le chiese se fossero ancora vivi, le bastò cogliere lo sguardo mesto della ragazza. Conosceva fin troppo bene quel senso di perdita; forse venire lì glieli faceva sentire più vicini. Forse era come stare al fianco di Eren, quando era con lui era tutta avvolta da un bozzolo di familiarità e calore. La sua mente si soffermò sul ragazzo e sul suo sorriso sincero ed una sensazione piacevole le si diffuse nel corpo.
«Mi manca» disse in un soffio, senza nemmeno rendersi conto d’averlo detto ad alta voce; la testa le girava un pochino. Tallulah sorrise e decise che era arrivato il momento di tornare.
 
 
Era il suo turno di pulire le stalle insieme a Jean. All’inizio i cavalli la spaventavano: le sembravano imprevedibili e temeva di essere scalciata via al minimo movimento brusco. Con il tempo invece si era abituata alla loro presenza e aveva scoperto che galoppare nel vento le piaceva da impazzire. Accarezzò il manto bruno della bestia che le era accanto: aveva appena finito di strigliarlo, un’attività che la rilassava molto.
«E così tu ed Armin...». Jean ruppe il silenzio mattutino mentre spazzava il pavimento. Tallulah lo fissò, senza capire cosa intendesse.
«Io ed Armin cosa?»
«State insieme?» chiese il ragazzo senza peli sulla lingua.
«No, che ti salta in mente?» rispose fulminea, alzando gli occhi al cielo.
«Ne parlano tutti, sai, dopo la sfuriata di Klaus».
Ripensare all’episodio spezzò la calma in cui era immersa e sbuffò, aggrottando la fronte. Jean riprese a setacciare il fieno, pensieroso.
«Ormai nessuno è lucido, abbiamo i nervi a pezzi»
«Che non venga a scaricare i suoi su di me» borbottò Tallulah, mettendo a posto la striglia e andando a riempire una bacinella d’acqua. Prese uno straccio pulito e lo immerse: guardò di sottecchi il cavallo e le sembrò abbastanza tranquillo. Magari questa volta sarebbe riuscita senza sforzi a lavargli il muso, cosa che lo innervosiva sempre.
«Comunque Armin non è il mio ragazzo»
«Beh, lo sembra. O meglio, tu sembri avere una cotta per lui» sghignazzò Jean e la ragazza rimase stupita. Non si era mai resa conto che fosse quella l’impressione che dava, anche le parole di Klaus le aveva attribuite ad una frecciatina gratuita. Adorava Armin, la capiva come nessun altro e con lui si sentiva meno sola. Avevano un passato simile e forse fu questo ad averli fatti avvicinare, ma, come le piaceva pensare, sentiva che le loro anime fossero affini.
«Non ho una cotta per lui; forse esprimo solo il mio affetto troppo platealmente. Ma sono fatta così»
Jean non rispose, improvvisamente in imbarazzo: ricordò che l’altra sera l’aveva abbracciata, gli era sembrata piccola e fragile e in quel singolo momento ebbe la stessa impressione.
«Tallulah!» una voce urlò il suo nome ed entrambi si voltarono verso l’uscio. Era Connie e aveva il fiatone. «Devi correre. Sei stata convocata con Armin e Mikasa come testimone al processo di Eren».
   
 
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