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Autore: Anna Wanderer Love    18/04/2020    1 recensioni
La sua vista si schiarì, e riuscì a vedere un volto umano davanti a lui, dai grandi occhi verdi che lo fissavano preoccupati. Le labbra dell’umana si mossero veloci, di nuovo, ma di nuovo Thranduil non riuscì a comprendere cosa stesse dicendo e fece una smorfia mentre un fischio copriva ogni rumore, tranne quello del suo cuore che batteva sempre più lento.
Sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, e appoggiò la nuca al tronco ruvido dietro di sé.
No, lesse sulle labbra dell’umana. Non addormentarti.
La vide estrarre qualcosa da sotto al mantello grigio, una fiala dal contenuto azzurrognolo. La avvicinò alle sue labbra, afferrandogli il mento per socchiudere la sua bocca. Versò un sorso del liquido, il sapore dolciastro si mischiò a quello acre del sangue. Thranduil fece in tempo a mandare giù, poi gli abissi calarono su di lui.
O:
Thranduil rimane ferito mentre viaggia per raggiungere le sue truppe, che si stanno radunando per cacciare il male da Bosco Atro. Da chi sarà salvato? E come farà a tornare dal suo popolo?
Kairos: dal greco, "momento giusto o opportuno, momento supremo". Un momento in cui accade qualcosa di speciale.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo pranzo, Asinna decise che era arrivato il momento di controllare le ferite. Ebbe modo di constatare che quella sul ventre dell’elfo stava guarendo bene, e il gonfiore era diminuito grazie all’unguento che l’elfo applicava mattina e sera sui punti. Anche le altre procedevano bene, nonostante quella mattina Thranduil avesse avuto uno spasmo al braccio.
Mentre, alzandosi dalla poltrona, l’elfo indossava di nuovo la camicia, lei si avvicinò al suo volto con aria inquisitoria, facendolo indietreggiare. Era più alto di lei, sì, ma la donna era fin troppo vicina e non sembrava importarle che la camicia azzurra fosse ancora aperta sul suo petto.
- Cosa state facendo esattamente? – chiese inarcando un sopracciglio, diffidente.
- Sto controllando il vostro graffio – rispose lei, ignorando il suo disagio ben percepibile e analizzando il suo volto imbronciato. – State mettendo la crema che vi ho dato, sì o no?
Thranduil serrò le labbra. Si era dimenticato di applicarla, sia la sera prima che quella mattina, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo. Bofonchiò qualcosa, mentre lei gli lanciava un’occhiata provocatoria e tornava verso il camino.
- Poi non date la colpa a me se il vostro bel visino non torna come prima.
Il re degli elfi provò una cocente ondata di irritazione, ma rimase zitto, per evitare di ammettere di avere torto. Invece incrociò le braccia e la fissò con le sopracciglia aggrottate.
- Non dovreste darmi il vostro miracoloso infuso, invece?
Asinna ridacchiò, indicando con un dito il paiolo che aveva messo a scaldare sopra al fuoco.
- Tra poco sarà pronto.
- Bene, perché ho intenzione di allenarmi.
Asinna si voltò di scatto, fulminandolo con un’occhiata che impressionò persino il sovrano di Bosco Atro. Si mise le mani sui fianchi.
- Non se ne parla.
Thranduil inclinò la testa con un sorriso mellifluo.
- Non posso permettermi di rimanere nell’ozio. E nonostante tenga in conto il vostro parere di guaritrice, ho deciso che non è sufficiente per fermarmi.
L’umana si portò una mano a massaggiarsi la tempia, esasperata. I suoi occhi verdi baluginavano di sdegno, e le sue guance erano diventate di nuovo rosse.
- Fate come volete. Se vi fate cogliere da qualche spasmo e finite nel fango, io non ho intenzione di lavarvi i vestiti. Se i punti saltano, ve li ricucite da solo. Se vi fate male in qualche modo, rimarrò a guardare gioiosamente lo spettacolo– sottolineò velenosamente.
L’elfo sorrise dolcemente, la voce ombrosa come nubi temporalesche.
- Non ve ne darò occasione.

Thranduil si era posto al centro del prato, poco distante dal recinto. Si era tolto la camicia, giusto per evitare di sporcarla, appoggiata poco distante dal punto in cui Mirtilla aveva infilato il muso tra le assi di legno e lo fissava curiosa. Il sole baciava delicato la sua pelle morbida, oscurata solo dalle fasciature che gli avvolgevano il ventre e il braccio.
Per iniziare, aveva deciso di non usare entrambe le spade, ma solo quella che riusciva ad impugnare con il braccio sano. Per quanto fosse sicuro di non aver perso troppa resistenza, sarebbe stato incosciente da parte sua sforzare troppo il suo corpo dopo quattro giorni in cui si era grandemente debilitato.
La donna aveva tenuto il broncio, disapprovando in silenzio la sua decisione di allenarsi. Thranduil capiva il motivo per cui era così avversa all’idea, ma non poteva permettersi di perdere la forma fisica che gli serviva per rafforzare la sua agilità, ora che era privo dell’udito. Doveva capire come fare a gestire un eventuale combattimento, senza poter sentire alcun rumore.
Chiuse gli occhi, privandosi della vista dei fiori che decoravano allegri l’erba color smeraldo. Lentamente, cominciò a roteare la spada tra le dita, mentre immaginava di essere immerso in uno scenario completamente diverso. Circondato da orchi, il re degli elfi fece scattare il braccio all’indietro e roteò la lama che sibilò nel tranciare le teste di due nemici immaginari alle sue spalle. Voltandosi con un movimento leggiadro, ne infilzò un altro e parò una lama, disarmando l’avversario con un colpo deciso e trapassandogli il cranio mostruoso. La spada affilata mozzò un arto, per poi recidere la gola del mostro, e l’elfo si girò di scatto per parare un colpo diretto alla sua schiena, lanciare in alto la lama del nemico con una rotazione del braccio e trapassare facilmente il suo petto.
Mentre Thranduil si addentrava in una complicata mossa di affondi e parate, il suo corpo cominciò a reagire. Il cuore iniziò a battere forte in petto, il respiro divenne affannoso mentre i muscoli si tendevano e contraevano a velocità sovrumana, e il re degli elfi si immergeva in un combattimento all’ultimo sangue, spingendo il suo corpo al limite. I capelli biondi fluttuavano attorno a lui mentre ondeggiava, si chinava e piegava massacrando nemici immaginari, gli occhi pieni di una rabbia antica e ardente, con un’eleganza e una fluidità impressionanti.
Asinna era rimasta in cucina a pulire ed essiccare i funghi che aveva intenzione di usare per accelerare la guarigione dell’elfo, contrariata. Non sopportava che lui avesse deciso di fare di testa sua, soprattutto perché era sicura che non fosse ancora abbastanza forte da reggere un allenamento che avrebbe sforzato troppo il suo corpo. Ma dopo un po’, aveva gettato un’occhiata curiosa alla finestra e aveva visto l’elfo muoversi in una danza letale, colpendo e ferendo avversari inesistenti. Suo malgrado, si era alzata ed era uscita, affascinata dallo spettacolo davanti a lei. Era andata a sedersi sul bordo del recinto, accanto a dove era posata la camicia celeste, dondolando le gambe nel vuoto. Vicino a lei Mirtilla era sdraiata al sole, e i loro occhi curiosi avevano iniziato a seguire i movimenti fluidi ed esperti dell’elfo, inarrestabile e terrificante.
Thranduil continuò a combattere per lunghi minuti, immerso nello scenario immaginario che aveva creato nella sua mente. Senza udito, si rese conto che era più difficile mantenere l’equilibrio, ma sperava che in un combattimento reale gli sarebbe bastato percepire le vibrazioni del terreno per anticipare le mosse dei nemici.
Continuò a danzare mortale finché la sua pelle nuda si ricoprì di sudore, i muscoli cominciarono a bruciare e la gola gli diventò secca. Mentre eseguiva una parata finale, fu colto da un dolore paralizzante al fianco e le gambe gli cedettero. Cadde carponi a terra, lasciando la presa sull’elsa della spada, e si ritrovò a fissare con il respiro affannoso e il cuore che gli rimbombava in gola i verdi fili d’erba sotto di lui, oscurati dalla sua ombra.
Maledizione.
All’ultimo, il suo corpo lo aveva tradito. La rabbia che provava era immensa.
Sentì una mano sfiorargli la spalla e reagì senza pensarci. Si voltò di scatto, puntando la lama alla gola di Asinna, per poi rendersi conto di chi avesse effettivamente davanti. Gli occhi color giada della donna lo fissavano impauriti, grandi come non mai, mentre il suo viso diventava pallido come un bucaneve.
Thranduil rimase immobile per un secondo, mentre la lama graffiava la pelle candida della donna. I suoi occhi grigi si fusero con quelli della donna, e notò come il petto di lei fosse immobile. Non osava nemmeno respirare.
Abbassò la lama, lentamente, un’espressione neutra sul volto, mentre lei si rialzava da terra, gli voltava le spalle e se ne andava.
Il re degli elfi cadde seduto sull’erba, il petto che si sollevava e abbassava ad un ritmo rapido.
Rimase fermo a recuperare il fiato, la spada abbandonata sulle gambe incrociate, gli occhi perlacei feriti dal sole che cercavano un vago sollievo nella tela variopinta dei fiori attorno a lui.
Dopo molto tempo, l’elfo si rialzò, avvicinandosi a passi lenti al recinto dove la capra dal manto candido lo guardava.
- Cosa vuoi? – mormorò stizzito, e Mirtilla aprì la bocca in un suono muto che agli occhi del re sembrò alquanto derisorio. Sbuffò e appoggiò l’elsa della spada al recinto, afferrando la camicia e dirigendosi verso il ruscello poco distante, sentendo ogni muscolo bruciare ad ogni passo.
Si spogliò e si immerse a lungo nell’acqua, lasciando che la debole corrente portasse via ogni traccia di sudore e fatica, mentre osservava il celeste del cielo e le macchie di soffici nuvole bianche che nascondevano le vette delle montagne sopra di lui.
Lasciò liberi di correre i suoi pensieri, nonostante avessero preso una direzione che non gradiva.
Aveva visto quanto il suo gesto di difesa involontaria avesse ferito la donna. L’aveva visto nei suoi occhi, che lo fissato guardato in un modo in cui i suoi stessi sudditi lo avevano spesso guardato. In cui suo figlio l’aveva spesso guardato. Senza dar voce alle parole, i suoi occhi azzurri avevano espresso tutta la delusione e il muto rimprovero che serbava in petto. Thranduil lo odiava, quando Legolas lo guardava così. Aveva sempre fatto ciò che credeva fosse la cosa migliore per proteggere il suo popolo, eppure suo figlio non era mai stato d’accordo. Suo figlio aveva ancora un cuore puro, intaccato dall’odio e dall’abisso di oscurità che ormai corrodeva il petto di suo padre. Suo figlio credeva che fosse giusto e doveroso combattere non solo per il suo popolo, ma per il mondo intero. E se era da poco che Thranduil aveva imparato a conoscere e apprezzare il punto di vista di Legolas, non aveva ancora accettato come quella divergenza ormai appianata li avesse separati, a causa di una colpa che era unicamente sua. Non aveva saputo trattenere tra le dita l’amore di suo figlio, e l’aveva lasciato andare senza riuscire a esprimere ciò che veramente provava. Senza riuscire a dirgli che era ciò di più prezioso che aveva al mondo, e che era unicamente per lui, per garantirgli un futuro sereno e una tranquillità d’animo che lui non aveva mai avuto, che aveva deciso di combattere.
Thranduil chiuse gli occhi, un sospiro lasciò le sue labbra rosate.
Da quanto aveva intuito del carattere di Asinna, era piuttosto certo di trovarla in cucina a maneggiare erbe e unguenti. Probabilmente era arrabbiata con lui, perché non aveva ascoltato i suoi suggerimenti -che si erano rivelati esatti, dato che alla fine il suo corpo l’aveva tradito ed era finito a terra tra dolori lancinanti- e perché aveva rischiato di ferirla. Non solo aveva prima messo in chiaro che se si fosse fatto male sarebbe rimasta a guardare con piacere; appena aveva visto che era caduto a terra, era anche corsa al suo fianco per assicurarsi che stesse bene, dimostrando ancora una volta quanto, sotto al carattere autoritario, ci fosse in realtà un cuore gentile. Thranduil non avrebbe mai colpito prima di vedere chi avesse davanti, aveva reagito solo per istinto e perché non era abituato a essere avvicinato da qualcuno che non volesse ucciderlo, ma questo lei non poteva saperlo. Lei non era abituata alla crudezza della guerra, ai sensi resi iperacuti dal terrore e dal panico, dalla sensazione di pericolo costante che stringeva le viscere in una morsa crudele, agli scatti istintivi ad ogni minimo movimento e rumore inaspettato. Lei non conosceva nulla di tutto ciò, perciò avrebbe dovuto scusarsi.
Mentre si alzava, e l’acqua scorreva in rivoli vorticosi lungo il suo corpo nudo, l’elfo sorrise con amarezza. Mai avrebbe pensato di dover porre delle scuse a una donna umana, e mai avrebbe pensato che si sarebbe sentito in dovere di farlo. L’orgoglio e la testardaggine che lo avevano accompagnato fin da piccolo si stavano ammorbidendo, e il sovrano di Bosco Atro era ben consapevole che questo sarebbe durato ben poco. Solo finché sarebbe stato al fianco di quell’umana, perché poi non avrebbe potuto permettersi alcuna debolezza, e tutto avrebbe dovuto tornare come prima.
Si asciugò con i tiepidi raggi del sole, sicuro che lei non si sarebbe mossa di casa prima di qualche tempo. Intrecciò i lunghi capelli d’oro bianco in una treccia, nonostante non li legasse quasi mai, per poi indossare i pantaloni neri e la camicia che giacevano a terra accanto a lui. I tessuti si erano scaldati grazie al sole, ed era piacevole la sensazione del tepore sulla pelle.
Tornato presso il recinto, raccolse la spada, rimirando il sangue rappreso che ancora ne oscurava la lucentezza. Avrebbe dovuto pulirla, dopo aver parlato con la donna.
L’elfo fece il giro della casa, ma quando entrò i suoi occhi videro solo il vuoto. Asinna non era da nessuna parte: né seduta sulla poltrona, né impegnata a impiastricciarsi con le erbe e i funghi, né intenta a camminare avanti e indietro in preda alla rabbia. Thranduil esitò, mentre i suoi occhi si soffermavano sulla porta di legno scuro che non aveva mai oltrepassato. Si avvicinò, bussando piano sulla superficie.
- Asinna?
La porta rimase chiusa. L’elfo sospirò.
- Asinna, sto per entrare.
Aspettò una decina di secondi, poi sospinse la porta lentamente. Quando si aprì, Thranduil si trovò di fronte a una piccola stanza vuota, tranne che per un baule dai rinforzi in metallo sulla parete davanti a lui. Sopra, la sua stessa spada avvolta in un drappo bianco che la donna aveva rimesso a posto quella mattina.
L’elfo fu tentato per un attimo di aprire il forziere e vedere cosa contenesse, ma si trattenne.
Afferrata la spada, tornò nella sala principale e si guardò attorno, confuso.
Era rimasto solo.

Asinna aveva camminato per ore nel folto della foresta. All’inizio ribolliva di rabbia, ma man mano che passeggiava l’irritazione era stata pian piano sostituita da impressioni meno intense e alquanto ingarbugliate. Era confusa, perplessa e scoraggiata, ma non sapeva ricondurre nessuna delle tre emozioni a una ragione logica e precisa, e questo la faceva sentire ancora più incerta. 
Aveva camminato, seguendo il sentiero nella direzione opposta rispetto a quella che avevano intrapreso quella mattina, finché le gambe avevano cominciato a protestare. Allora si era arrampicata su una radice, appoggiandosi con la schiena all’inizio curvilineo del tronco di un gigantesco abete che protendeva i suoi lunghi rami intrecciati verso il cielo, molti passi più in su rispetto a lei. Era rimasta lì, le braccia che circondavano le ginocchia e il mento posato su di esse, finché nella sua mente ogni sorta di pensiero era svanito ed era riuscita a calmare il respiro affaticato, concentrandosi solo sui suoni attorno a sé.
Le foglie erano scosse da una lieve brezza, e il fruscio sembrava rendere la foresta ancora più animata. Ogni tanto riusciva a sentire suoni istantanei, di cespugli smossi, rami spezzati e canti remoti di uccelli che risuonavano con echi distorti.
Non se ne era andata perché era rimasta particolarmente ferita dallo scatto che aveva portato l’elfo a puntarle la spada alla gola, anzi. Dopo che la rabbia iniziale era passata, aveva realizzato che fosse perfettamente comprensibile. L’elfo non aveva sentito i suoi passi avvicinarsi, e nell’avvertire la sua mano toccarlo aveva reagito senza pensarci. Era un guerriero, non un contadino, era ovvio che sarebbe stato sulla difensiva. Aveva sbagliato lei ad avvicinarsi alle sue spalle e a non farsi prima vedere per evitare di spaventarlo. L’elfo aveva un problema che non gli consentiva di reagire come una persona normale, e lei avrebbe dovuto anticiparlo.
No, quello che la disturbava profondamente era che lui non l’avesse presa sul serio.
Non era una sensazione nuova. Vedere che le sue parole erano ignorate, che i suoi consigli non valevano nulla. Prima di arrivare al villaggio, era così che aveva passato ventidue anni della sua vita, sentendosi meno importante di un granello di sabbia. Ma lì, lì aveva imparato un mestiere che le aveva dato uno scopo, che le aveva fatto riguadagnare fiducia in se stessa, che le aveva fatto capire che valeva qualcosa come persona. Ne aveva avuto la conferma dagli sguardi grati degli abitanti del villaggio quando aveva fatto guarire i primi malati, quando dava loro consigli su come curare un figlio con la tosse, quando fasciava un braccio rotto cadendo da una scala, quando alleviava i dolori delle articolazioni durante l’inverno. Diventare guaritrice le aveva fatto acquistare fiducia in se stessa e nelle sue capacità, e vedere che l’elfo non teneva in considerazione le sue parole l’aveva ferita nel profondo, perché non era abituata a essere messa in discussione, non più ormai. Aveva raccolto dalla strada quell’elfo, sepolto i suoi compagni con le lacrime che scendevano lungo il volto bollente e lo stomaco che si ribellava, si era presa cura di lui senza chiedere nulla in cambio perché era suo dovere morale e professionale. E lui non si era nemmeno curato di ascoltarla, quando gli aveva detto che non era pronto.
Asinna sospirò, le fronde massicce sopra di lei che si riflettevano con un verde più scuro nei suoi occhi di giada. Avrebbe dovuto farsi passare il malumore e cominciare a tornare in poco tempo, per riuscire a seguire il sentiero senza perdersi nell’oscurità della sera.
Un movimento improvviso al margine del suo campo visivo le fece girare la testa e spalancò la bocca meravigliata quando scorse un picchio dal manto nero e bianco, e dalla testa colorata di rosso, arrivare a posarsi su uno dei grossi rami davanti a lei. Sorrise, mentre frullava le ali e becchettava il tronco, alla ricerca di nutrimento.
Asinna sciolse le gambe dall’abbraccio, che rimasero penzoloni sopra al sentiero.
Durante il movimento, sentì una superficie ruvida graffiarle la pelle sotto alla stoffa all’interno della tasca, e con un sospiro estrasse il quadrato di spessa pergamena che aveva afferrato uscendo da casa. I suoi occhi si soffermarono sul volto che era tratteggiato a carboncino sulla carta, una volta che lo ebbe aperto, e strinse le labbra cercando di trattenere un singhiozzo, mentre gli occhi si inumidivano di lacrime amare.
Il volto sorridente del bambino la guardava con occhi immobili, privi della scintilla di vita che li aveva abbandonati tempo prima. I capelli ricci erano spettinati e ricadevano sulla sua fronte, una fossetta rendeva il suo sorriso ancora più malandrino.
Asinna si strinse la pergamena al petto, sentendo un dolore lancinante trafiggerle i polmoni e il cuore. Prese un respiro profondo, mentre lacrime calde le bruciavano le guance.
La sua mancanza era l’aspetto più terribile di quella ritrovata libertà.
Pianse a lungo, in silenzio, soffocando i singhiozzi disperati, finché iniziò a scendere il buio e non sentì un fruscio provenire dallo spiazzo d’erba alla sua destra. Si voltò, asciugandosi le lacrime, solo per rimanere di stucco.
Davanti a lei c’era il magnifico alce bianco che quella stessa mattina si era mostrato all’elfo.
Asina si alzò lentamente, continuando a stringere a sé il ritratto, dimenticando per un attimo il suo dolore profondo. Scese lentamente lungo la radice, arrivando al livello del terreno. L’alce era massiccio, la superava con il collo e il suo enorme palco di corna, ma nei suoi grandi occhi Asinna vide una gentilezza assoluta. Sbuffò piano e abbassando il muso raspò a terra con una zampa, come se la stesse invitando ad avvicinarsi. Temendo che quella visione meravigliosa potesse svanire ad un movimento improvviso, Asinna obbedì esitante, tremando dall’emozione.
Sembrava un sogno. Tutta la foresta era caduta nel silenzio, niente si muoveva attorno a lei. L’unico segno di vita era l’animale arcano davanti a lei che irradiava un’aura talmente magica da farle vibrare il cuore di emozioni intense e intricate, un misto di una struggente nostalgia e di pace assoluta.
Quando fu a meno di un passo di distanza dal suo muso, grande il doppio del suo braccio, l’alce allungò il collo e soffiò sulla sua fronte. Asinna sentì la sofferenza devastante che le inaridiva il cuore allievarsi, trasformarsi in una pacata accettazione del suo dolore. Una lacrima le scivolò lungo il viso e sorrise, grata all’antico animale, che le permise di alzare una mano ad accarezzare il suo soffice collo bianco. Posò la fronte contro il suo muso vispo e gentile.
- Grazie – mormorò.
L’alce sbuffò nuovamente, poi indietreggiò, muovendo l’elegante muso verso l’interno della foresta scura. La donna lo guardò confusa.
- Ma il sentiero è di là… - mormorò. L’alce emise un suono sordo, impaziente, battendo a terra la zampa. Mentre Asinna si decideva ad avvicinarsi, un rumore orribile le perforò i timpani, proveniente dalla via dietro di lei. Con uno scatto la donna si girò, e vide dei rami cadere di schianto a terra mentre un sibilo risuonava sopra alla sua testa.
Gridò, indietreggiando veloce mentre foglie e frammenti di corteccia le piovevano attorno. Si girò e corse verso l’alce, che abbassò la testa porgendole il dorso. Asinna afferrò l’estremità di una delle sue corna e saltò in groppa al suo manto candido con qualche difficoltà, ma non appena sentì il suo peso sulla schiena l’animale scattò e cominciò a correre a una velocità impressionante.
Asinna si aggrappò al suo pelo, terrorizzata, con il cuore che batteva a mille e le orecchie che percepivano tonfi, schiocchi e sibili inumani dietro di lei. Qualcosa li stava inseguendo, qualcosa che fino ad allora non aveva mai osato addentrarsi nella foresta lungo le montagne. E per quanto l’animale corresse veloce, saltando con maestria radici e sassi, il mostro dietro di loro non accennava a rallentare il passo.
Asinna si ritrovò a pregare un dio sconosciuto, mentre il bosco si materializzava e svaniva in un istante ad ogni balzo dell’alce in un confuso vortice verde e marrone. I fianchi dell’animale si alzavano al ritmo del suo cuore potente di cui poteva sentire il battito rimbombare sotto alle sue gambe, e Asinna urlò quando l’alce scavalcò con un balzo un burrone improvviso, affondando il volto nel suo manto.
Rimase così per quelli che le sembrarono lunghissime ore, mentre l’alce la portava in salvo, nonostante i rumori del ragno fossero scomparsi fin da quando non era riuscito a superare il dirupo. Rimase così, con il cuore in gola e scie salate sulle guance, finché il passo dell’animale si trasformò in una camminata tranquilla, per poi non rallentare del tutto e fermarsi. Asinna alzò timorosa la testa, ancora aggrappata al suo manto bianco, solo per riconoscere il tratto del sentiero vicino a casa immerso in un’oscurità talmente fitta che era quasi invisibile ai suoi occhi stanchi.
L’alce sbuffò, e il suo respiro si condensò in una nuvola di vapore calda che le investì il viso mentre lui faceva qualche passo avanti. L’aria era diventata fredda e aveva i brividi.
Asinna guardò per terra. I suoi piedi erano sospesi a una considerevole altezza rispetto al sentiero, ma ci pensò la sua cavalcatura ad aiutarla a scendere, sdraiandosi a terra così che non si facesse male cadendo di peso. Asinna scese cautamente dalla sua groppa, e quando fu a terra l’alce si rialzò e le sfiorò di nuovo la fronte con il muso in un tocco gentile.
Rimase a guardarlo mentre si allontanava e svaniva nell’oscurità, ancora tremante di paura, con il ritratto che aveva miracolosamente trattenuto dalle grinfie del vento stretto al petto. Sapeva che l’alce non l’avrebbe mai lasciata andare in un luogo dove sarebbe stata ancora in pericolo, lo sentiva. Ma il terrore che le scorreva nelle vene era ancora lì, e aveva reso i suoi sensi più acuti che mai. Ogni fruscio attorno a lei la faceva trasalire, il rumore del vento la spaventava ad ogni passo, l’odore pungente della foresta era diventato travolgente e i suoi occhi non riuscivano a vedere distintamente la via davanti a lei. Si diresse verso la direzione opposta rispetto a dove era sparito l’alce, tremando. Proseguì lentamente, ma il buio la fece inciampare più volte, finché il suo piede non finì intrappolato in una radice che spuntava dal terreno e cadde a terra. Un dolore lancinante le trafisse la caviglia e imprecò, con le lacrime che affioravano agli occhi. Si sforzò di ricacciarle indietro, cercando di rialzarsi, mentre il braccio e il fianco dolevano per la botta, ma Asinna urlò e si ritrasse istintivamente quando avvertì un tocco estraneo sulla schiena.
- No, via, via – gridò, strisciando via in preda al panico, con un’angoscia tale da non riuscire a respirare. La sagoma confusa davanti a lei si mosse seguendo il suo movimento.
- Asinna – udì, e il suo intero corpo si immobilizzò. Aprì gli occhi, che si erano chiusi istintivamente quando un braccio si era teso verso di lei, e tra le lacrime riuscì a distinguere appena i lineamenti del volto dell’elfo che la sovrastava. Rimase ferma a fissarlo per qualche secondo, poi lasciò andare il respiro e si buttò sul suo petto, abbracciandolo forte. Thranduil si irrigidì, stupito, ma dopo qualche secondo le sue braccia andarono esitanti a circondare quella figura tremante, le cui spalle sobbalzavano ad un ritmo irregolare.
- Asinna – mormorò, la voce un caldo sussurro mielato che lenì ogni goccia di panico che ancora le avvelenava il cuore. – Asinna, sono io – la strinse a sé, reprimendo la sensazione di disagio che lo avvolgeva nel sentire quel corpo estraneo così premuto contro al suo, posando esitante una mano sulla sua testa e accarezzando lentamente i capelli intricati.
I suoi occhi grigi individuarono subito il problema. Allentando l’abbraccio, Thranduil si tese ad afferrare la caviglia della donna e la liberò dall’incastro, facendola sussultare.
- Ce la fate ad alzarvi?
Lei annuì, tenendo il volto basso. Thranduil poteva vedere il bianco spettrale della sua pelle, e quello, il volto macchiato di lacrime e il continuo tremore del suo corpo erano chiari segni che qualcosa l’aveva terrorizzata, qualcosa che forse era ancora lì vicino. Dovevano tornare a casa il prima possibile.
Asinna lasciò che le sue mani gentili e forti la sostenessero, mentre si rialzava. Si asciugò con una manica della casacca il volto sporco di terra, reprimendo una smorfia di dolore. Stilettate di dolore lancinante non le lasciavano tregua, ma da come la percepiva la sua caviglia non sembrava messa troppo male. Fasciandola e non sforzandosi troppo, avrebbe ancora potuto camminare, ma al momento sembrava impossibile procedere se non al passo di una lumaca.
- Non riesco a camminare – mormorò, provando comunque a fare qualche passo, staccatasi da lui. Fu inutile, perché la caviglia le cedette e non ricadde a terra solo grazie al pronto intervento dell’elfo.
Senza dire nulla, Thranduil si chinò, afferrandole le gambe e raddrizzandosi. Asinna si strinse istintivamente a lui nel sentire il terreno mancarle sotto ai piedi, aggrappandosi alle sue spalle ampie. I loro occhi si incontrarono per un secondo, mentre l’elfo cominciava a camminare spedito, come se la donna non pesasse più di una piuma tra le sue braccia, e Asinna distolse lo sguardo, affondando la testa nella sua spalla. Il battito forte e regolare del cuore dell’elfo risuonava sotto al suo orecchio. Rimasero così per quella che sembrò un’eternità, lei che lentamente si calmava al contatto con il calore del suo corpo e il lieve profumo dei suoi capelli che le sfioravano il viso, lui che saltava e correva veloce per arrivare al sicuro, i sensi tesi a percepire un eventuale pericolo, il cuore stretto da una morsa di amarezza e malinconia.
 
   
 
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