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Autore: Tati Saetre    18/04/2020    18 recensioni
Ricordati che le i taxi a Londra sono neri, Bells. Non gialli. Neri. La raccomandazione di Charlie fa scattare una lampadina nel mio cervello, mentre porto una mano alla mia bocca.
Non ci posso credere.
Sono entrata in macchina di uno sconosciuto.
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Questo capitolo racconterà Edward nei giorni nei quali ha conosciuto Bella. Dal primo all’ultimo. Se avete due minuti alla fine, leggete le note.

Buona lettura!



Quinto capitolo - Destino


Edward


Se me l’avessero raccontato ci avrei creduto?

No, assolutamente no. E se ci fosse un modo per dirlo con più enfasi lo urlerei al mondo ancora più forte. Perché è letteralmente fuori da ogni mia aspettativa quello che è appena successo. Tremo al pensiero, mentre l’ascensore si ferma al mio piano ed esco.

“Alice, buongiorno.”

“Oh, Edward. Buongiorno a te.” Il folletto con i capelli neri sparati nelle direzioni più disparate mi sorride, staccando gli occhi dallo schermo del PC.

“Emmett è arrivato?” Annuisce, indicandomi la porta del mio studio.

“Ti sta aspettando. Sei in ritardo o sbaglio?” Arcua le sopracciglia, come se volesse leggermi nel pensiero. Alice è il nostro punto di forza. Con tutta la sua vitalità è riuscita a portare gioia e risate in questo ufficio, quando ne mancavano da un bel pezzo. Credevo che non avrei mai conosciuto un’altra peggio di lei, beh, mi sbagliavo di grosso.

“C’era traffico.” La butto lì, prendendo i documenti che mi sta passando.

“La signorina Swan dovrebbe arrivare a momenti, giusto?” Giusto. Non è ancora qui perché starà facendo il suo badge alla reception, mentre io sono passato dall’entrata secondaria.

“Esatto. Falla accomodare nella sala d’attesa quando arriva, poi chiamami.”

“Perfetto.” Le faccio un cenno con la mano, e passo svelto mi dirigo verso l’ufficio. Quando apro la porta trovo il mio socio stravaccato sul divano, mentre sfoglia un giornale e sorseggia il caffè che è in mano. Un’altra tazza è posata sulla mia scrivania. Butto tutto sulla poltrona, per poi sedermi.

“Sei in ritardo o sbaglio?” Chiede Emmett, alzando un solo sopracciglio.

“Ti sei messo d’accordo con Alice?”

“No, lo sai che quella ha le visioni.” Questa è la causa che Emmett porta avanti da quando Alice ha varcato la soglia del nostro ufficio. Cioè da ben due anni. Secondo lui il peperino prevede il futuro, perché ne sa una più del diavolo.

“Comunque, fra quanto arriva? Devo fare un milione di cose.” Brontola Emmett, alzandosi per buttare il giornale sopra la mia scrivania.

“A breve.”

“In ritardo il primo giorno di lavoro? Non mi sembra un inizio coi fiocchi.” Fa il suo sguardo truce, quello che gli riesce meglio.

“Ho già conosciuto Isabella Swan.” Annuncio infine, perché non posso nasconderglielo. Sia per lavoro e sia per la profonda amicizia che ci lega dal College. E mi serve fottutamente sfogarmi con qualcuno.

“Cosa? Allora me ne vado. Lo sai i guai che ci sta facendo passare quella Contessa lì?” Oh, lo so bene. Perché da quando la Contessa Delacroix ha varcato la porta dello studio sembra che il tempo si sia fermato.

Tutto per la Contessa.

Rispondi alle chiamate della Contessa.

Chiedi alla Contessa di cosa ha bisogno.

Non farti scappare la Contessa.

Non farti scappare i soldi della Contessa.

“Non ho conosciuto Isabella Swan qui.” Gli occhi del mio socio si allargano a dismisura.

“Cosa? No, Edward! Non dirmi che te la sei portata a letto!”

“Scherzi?”

“E sentiamo, dove l’hai conosciuta? Mi immagino in un pub qui intorno, mentre lei passava per caso per vedere dov’era lo studio. E poi: “oh, ma è proprio Isabella Swan. La nostra nuova dipendente.’.

“La tua mente viaggia troppo.”

Troppo poco, secondo me. Allora?”

“E’ entrata nella mia macchina.”

“Non ti seguo.” Sbuffo, passandomi una mano sui capelli.

“E’ entrata nella mia macchina, Emmett. Nella mia Maserati gialla, parcheggiata credo a pochi metri da casa sua.”

“L’hai portata a lavoro?” Tra un po’ gli usciranno dalle orbite quegli occhi lì.

“No. Sì. Diciamo di sì.” Emmett sbatte una mano sulla scrivania, piegandosi di qualche centimetro.

No? Sì? Diciamo di sì? Che cazzo è, un indovinello?”

“E’ entrata di sua spontanea volontà nella mia macchina. Dietro, non davanti.”

“Spiegati.”

“Pensava fosse un Taxi. Un Taxi giallo.” Calco sull’ultima frase, e se potessi tirare fuori il mio cellulare in questo momento gli farei una foto per ridere della sua espressione.

“Un Taxi? Pensava fosse un Taxi?”

“Già.” Confermo le sue parole, accendendo il PC davanti a me. Dopo pochi secondi, il telefono dell’ufficio squilla. Alice.

“Falla entrare.” E’ l’unica cosa che le dico, prima di riattaccare. Dall’esterno sentiamo entrambi il rumore dei tacchi sul parquet.

“Edward.” Emmett mi punta un dito contro, prima di proseguire. “Non so se posso chiamarlo destino, ma ti sei innamorato già una volta in questo modo. Cerca di non farlo ricapitare.” Alzo gli occhi al cielo, e penso solo a una cosa: che ha ragione.

E’ già successo. E mentre quella donna, che ha la parlantina più fluida che abbia mai sentito nella mia vita è entrata nella mia macchina pensando che fosse un Taxi, ho vissuto un deja vu. Una cosa che era già successa anni fa. E che ancora oggi mi porto dietro.



“Chi era?” Esme mi toglie il piattino vuoto dove c’era il sashimi da sotto il naso, passandolo alla nostra domestica. Sua dovrei dire, perché ormai non abito più qui da anni.

Chi era, eh? Forse la chiamata più esilarante della mia vita. No, non esilarante. Dovrei trovare un altro termine che sia più appropriato.

“Mamma…”

“Dimmi.” Si siede davanti a me, incrociando entrambe le mani sul tavolo.

“Credo di aver conosciuto una donna…”

“Credi?”

“No, in realtà l’ho conosciuta.” Dico più deciso. “Ma è strana.”

“Strana in che senso?”

“Strana come lei.” Indico la figura seduta sul tappeto vicino a mio padre.

Oh.” Esme ridacchia. “Allora è strana per te. E le strane per te sono un toccasana nella tua vita, Edward.”

Strana per me è divertente. Strana per me mi fa ridere. Ridere tanto. Strana per me equivale a cambiarmi la vita.

“Raccontami di lei.” Chiede mia madre, mentre giro tra le mie mani il bicchiere di scotch.

“Non c’è molto da raccontare, in realtà.” A parte che ho un mal di testa perenne da quando Isabella Swan è entrata nella mia vita.

“Okay, riproviamoci. Da quant’è che la conosci?”

“Neanche ventiquattrore.” La butto lì, mentre il sorriso di mamma si spegne un po’.

“Amore a prima vista?”

“E’ entrata stamattina nella mia macchina.” Lo confesso anche a lei, mentre mi guarda con un cipiglio incuriosito.

“Le hai dato un passaggio?”

“E’ entrata nella mia macchina pensando fosse un taxi. Un taxi giallo.” E’ la seconda persona a cui lo spiego oggi. La reazione di Esme è diversa da quella del mio amico, ma l’antifona è la stessa. Si porta una mano alla bocca, e i suoi occhi si fanno lucidi.

“Questo è destino, Edward.” Sussurra infine, riportando lo sguardo su mio padre e sulla bambina che gioca insieme a lui.

Luna.



Quattro anni fa ero impantanato nel traffico londinese, maledicendo tutti gli abitanti della città. In ritardissimo per l’appuntamento che avevo, e ancora nemmeno una macchina scorreva. C’era una luna bellissima quella sera, che si rifletteva sul parabrezza.

Lo ricordo come se fosse ieri.

Mentre imprecavo ancora più forte lo sportello posteriore della mia Maserati gialla si aprì, e una donna dalla pelle scura e il viso più impaurito che avessi mai visto si fiondò tra i miei sedili.

Señor, Señor! La prego, Señor!

“Scusi?”

La prego Señor! La niña esta in peligro! Señor!” E tra le sue braccia strette intravidi un fagottino ricoperto di sangue.

Un neonato.

La corsa in Ospedale fu tra le più estenuanti della mia vita. Ma valse a poco. Perché la signora che aveva scambiato la mia macchina per un taxi morì poco dopo, lasciando sola quella bambina. Chiamai Carlisle per farlo venire in Ospedale, e quando uscì dalla sala operatoria i suoi occhi parlavano senza che aprisse bocca.

“Edward, l’hai trovata da qualche parte?”

“E’ entrata in macchina mia. Pensava fosse un taxi. E’ morta perché non sono stato troppo veloce?”

Oh, no.” Carlisle mi passò una mano sulla spalla. “No, sarebbe morta lo stesso. La polizia ha scavato un bel po’ prima di scoprire qualcosa.”

“Chi era? Ha un marito, giusto?” Anche stavolta Carlisle non aveva bisogno di parole.

“No. Era una prostituta portoricana. C’è ne è voluto di tempo prima che le persone del ghetto dicessero qualcosa. Una vecchietta ha detto alla polizia che viveva per strada, e che sicuramente uno dei suoi clienti l’ha messa incinta. Ha partorito così, Edward. Da sola, in mezzo a una strada. Non avrai salvato lei, ma hai salvato quella bambina. Vieni, guarda.” Carlisle mi trascinò fino a un vetro che divideva una nursery.

“E’ quella lì. Ed è in ottima salute.” Indicò una bambina non troppo piccola viste le sue condizioni di nascita. Nera come la pece. Ma la cosa che mi lasciò esterrefatto fu un’altra: i suoi occhi. Verdi come due smeraldi. Verdi come i miei.

“Che fine farà?”

“Resterà per un po’ qui. Poi aspetteremo che gli assistenti sociali trovino qualcuno che voglia adottarla.”

“Chi non lo vorrebbe?”

“Edward, non è facile. Le famiglie che fanno parte di un ceto sociale alto non vogliono…”

“Cosa non vogliono, papà?”

“Una bambina di colore. E’ raro fare tutto nei termini legali e aspettare che adottino una bambina di colore. Se non trova dei genitori sarà affidata a qualche casa famiglia, o a qualche convento. Oh!

“Che c’è?”

“Aspetta che la portoricana ha detto qualcosa prima. Non ci ho capito molto, chiamo Esperenza.” Poco dopo mio padre torna con la sua collega.

Dile al caballero de el Taxi que se llamará Luna. Como el que nos protegió esta noche. Que Dios los acompañes para toda la vida.” Dice Esperanza, in perfetto spagnolo.

“Per dire?” Chiesi, con le idee ancora più confuse.

“Dì al signore del Taxi che si chiamerà Luna, come quella che ci ha protetto stanotte. Che dio abbia cura di loro.” Ricordo benissimo la sensazione che provai in quell’istante. E che mai mi ricapiterà in tutta la mia vita.

Il signore del Taxi.

“Papà?”

“Sì, Edward?”

“La adotto io.” Fu l’unica cosa che dissi.



“Papà! Papà!”

“Hey!” Tiro su Luna con una presa sola, issandola bene sul mio braccio. “Che vuoi mangiare per cena?”

“Rodrigo è vuoto!” Sorrido, pensando che Rodrigo il nostro frigo è vuoto. Sorrido ancora di più perché il nostro Rodrigo mi fa subito pensare ad Amerigo, il frigo di Isabella.

Tutto quello che sta succedendo in questi giorni è possibile? O è solo un brutto scherzo? E’ come se fossimo collegati da un filo invisibile, ed ora che è qui sembra colorarsi mano a mano.

E’ davvero possibile?

Gliel’ho detto oggi che l’amore non fa per me. Che due cuori e una capanna non esiste, non senza un duro lavoro dietro. Eppure è così spensierata. E la sua spensieratezza mischiata con la sua dote naturale di fare gaffes ha stravolto questi ultimi giorni.

“Pizza?”

“Pizza, sì!” I capelli di Luna sono un casco di ricci che si muovono a destra e sinistra. I capelli, la pelle nerissima, gli occhi verdi: è un mix tra un gene portoricano e africano. Non ci sono altre spiegazioni.

“Allora tu sistema tutti quei giochi sparsi per il salone. Io chiamo la pizzeria.” Fa il broncio, perché sa benissimo come comprarmi. “Okay! Allora vai a finire di giocare e io ordino la pizza.” Sorride stavolta, stampandomi un bacio in guancia prima di scendere dalle mie braccia.

Il mio primo amore è salito sulla mia macchina pensando fosse un taxi.

E’ davvero destino? Mi gratto la fronte, ma non faccio in tempo a prendere il telefono in mano che squilla.

Ti prego, no.

“Pronto?”

“Avvocato Cullen?”

“Sì?”

Oh, Edward.” La sua voce smielata quasi mi mette i brividi.

“Contessa, buonasera.”

“Ho una cosa urgente di cui parlargli. Può raggiungermi?”

“Ora?”

“Ha di meglio da fare?” Non le spiego che ho una figlia cui prendermi cura, perché sono davvero poche le persone che lo sanno. Non tengo Luna nascosta, la tengo tutta per me.

“In cosa posso esserle utile?”

“Una consulenza. Può raggiungermi?” Il suo tono non è più smielato come prima.

“Dove?”

“La villa in campagna!”

“La villa in campagna è molto lontana, Contessa. Ed è tardi.”

“Se ora ha da fare la aspetterò.” Ma non mi dire.

“Le farò sapere quando partirò da Londra.”

“Oh, magnifique! La aspetto, avvocato.” Attacco, alzando gli occhi al cielo. Io so cosa vuole la Contessa, alle nove di sera. E non voglio assolutamente farlo.

La prima persona che chiamo è Emmett. Rifiuta immediatamente la mia offerta, con un sonoro ‘mia moglie mi ammazza, convinci la Contessa a venire in ufficio domani.’ Ottimo.

La seconda persona che chiamo è Alice. Accetta immediatamente la mia offerta di venire a fare da babysitter a Luna. Con un ‘tanto Jasper è partito, non ho niente da fare. E amo quella bambina’.

La terza persona che chiamo è Isabella. E non le faccio nessuna offerta, perché è obbligata a venire con me.



Quando Isabella Swan apre la portiera della Maserati grigia di Carlisle sale al posto del passeggero. Davanti.

“Ciao.” Sussurra appena, richiudendosi la porta dietro si sé. E’ diversa. I capelli sono raccolti a metà e porta gli occhiali da vista. E’ la prima volta che la vedo con gli occhiali. Mi ricordo la frase che Alice mi disse un giorno: “Non ho bisogno degli occhiali, ma li metto quando non riesco a truccarmi bene.” E’ anche questo il suo caso?

Guido con il sottofondo della radio a farci compagnia, mentre nessuno dei due dice una parola. E quando nella villa in piena campagna la Contessa viene ad aprirci la porta nella sua mise, non c’è più nulla da intendere.


“Poteva venire da solo.” E’ il sussurro languido della Contessa, mentre chiude dietro di sé la porta dello studio. O libreria. Non so come chiamarlo, in realtà.

“Preferirei che la mia collega fosse presente.”

“Non credo che la sua collega voglia essere presente, invece.” Marca lei, non lasciando la presa della sua mano sul mio braccio.

“Lei è uno difficile avvocato. Mi piacciono quelli difficili.”

“Io sono qui per lavoro.”

“Può unire l’utile al dilettevole, sa?” Mi lancia un’occhiata maliziosa. “Ma se la mette così, parliamo prima di lavoro.” Si siede dall’altra parte della scrivania, mettendo davanti ai miei occhi un plico di foto. “Ho assunto un agente privato.”

“Cosa? Senza parlarcene?” Prendo le foto, e inizio a sfogliarle una a una. Quello nelle immagini un po’ sfocate è suo marito. Il suo quasi ex marito. Con una donna.

“Chi è questa donna?”

“L’agente privato ha detto che potrebbe essere la sua nuova compagna.” Che c’è di male? Lo penso senza esternarlo. Perché la Contessa può anche stare nel torto, eppure sono qui per perorare la sua causa.

“Cosa vuole farci con queste foto?” Le metto di nuovo in fila, appoggiandole sulla scrivania di marmo.

“L’assegno finale può trasformarsi in trecento mila dollari invece che duecento.” Trecento sacchi? “Solo se aggiunge una piccola cosa.”

“Non verrò a letto con lei, se è quello che intende.” Scoppia in una risata che fa rimbombare le pareti.

“Oh, quello lo farà senza i soldi avvocato. Ma non è quello che voglio.”

“E cosa vuole?”

“Togliere la potestà genitoriale a questo uomo.” E così dicendo, indica le foto sul tavolo. “Deve scomparire. Dalla mia vita e da quella di mia figlia.”

“Questa è una cosa grossa, Contessa.”

“Una cosa grossa che posso permettermi di fare, e lui no.”

“E sua figlia? Ha parlato con sua figlia?”

“Mi interessa davvero poco l’opinione di una bambina di dieci anni. Io decido per lei. E se dovrà ereditare tutto questo” dicendolo, indica con il dito tutto quello che è intorno a noi. “Deve rispettare le mie regole. Crescerà benissimo senza un padre. Ha dei maestri privati e cinque tate. La servitù ai suoi piedi. Non ha bisogno di un uomo del ceto medio basso che non potrà darle mai niente.”

“A questo punto crescerà anche senza una madre.” Non mi pento delle parole che escono dalla mia bocca. Mi stupisco, piuttosto.

“Questo non è affar suo.”

“In realtà lo è, se devo portarla in tribunale.”

“Quindi accetta?”

“Posso portarla in tribunale e far firmare a quell’uomo le carte del divorzio. Posso fare in modo che non tragga nulla di vantaggioso da lei, ma anzi, che debba dare un mantenimento a vostra figlia. Quello che non spiego… perché tutto questo astio? Contessa, se devo perorare la sua causa le ripeto una cosa che già le ho detto in ufficio: devo essere a conoscenza di ogni minimo particolare.” La vedo sbuffare, mentre apre un cassetto e tira fuori una cornice.

“La vede?” Nella foto sono presenti lei, suo marito e un’altra coppia.

“Cosa dovrei vedere?”

“Vede quel signore anziano, lì?”

“Lo vedo.”

“Non nota niente di diverso?”

Noto che indossa uno smoking. Noto che ha la barba bianca che gli spunta intorno al viso. Noto che… fa che non sia quello. Per favore.

“Oh, finalmente se ne è reso conto!”

“Spieghi.”

E’ nero. Il padre del mio ex marito. Non so come abbia fatto quella donna a sposarlo. Quella gente a casa mia è la servitù, non si fa servire a tavola.” Sento come se potessi spaccare questa foto nelle mie mani da un momento all’altro.

E’ lavoro, Edward. Ma è lavoro quando devi proteggere qualcuno, anche se non ha ragione. Lo fai, per lavoro. Non lo fai quando ti tocca nel personale.

“Penso che il problema sia risolto.”

“Oh, lo vede avvocato? Già ci intendiamo bene, noi due!”

“No, non ha capito. Lo studio Cullen&McCarty non si occuperà più della sua causa.”

“Sta scherzando?”

“Non mi sembra il posto e l’ora adatta per scherzare.” Annuncio, alzandomi dalla poltrona.

“Non esiste! E non è suo, quello studio! Desidero immediatamente parlare con l’avvocato McCarty!”

“Venga domani in studio.”

“Ora!”

“Lo chiami. Stia pur certa che l’avvocato McCarty sarà d’accordo con me.”

“Trecentomila dollari, avvocato! Non credo che possa farla franca così facilmente.”

“Lo chiami. Ora.”

Esco da quella stanza un’ora dopo aver parlato con Emmett. La sua faccia assonnata ha capito veramente poco, ancora di meno quando gli ho detto che non aveva bisogno di troppe spiegazioni. Gliele avrei date il giorno dopo. Appena mi trovo all’aria aperta mi sento più… sollevato. Come se avessi perso un peso enorme che gravava sulle mie spalle.

E penso che se Luna fosse qui ne direbbe una delle sue.

Papà, puzzi come la vecchietta del secondo piano che sembra un morto che cammina.



Mezz’ora dopo, in piedi come un coglione sulle strade di una campagna desolata rido come un ragazzino.

Non bacio uno che puzza come una vecchietta deceduta negli anni venti.” Sono state le sue ultime parole, prima di richiudersi la portiera alle spalle.

Ed è come se un altro pezzo di filo prendesse colore, poco a poco.



Note finali:

Mai, mai, e ripeto mai una mia FF aveva diviso i lettori un due fazioni. I primi: “Rido tantissimo, mi piace. Vai avanti così.” I secondi: “Scherzi? Una persona non può essere così stupida! Questa non è comica, è demenziale!”

Mi sono arrovellata il cervello in questi giorni. Mi piace da impazzire scrivere di questa Bella, perché rido anche io facendolo, tantissimo. Però poi ho anche pensato: questa storia non è nata per un mio piacere personale, come le altre. Questa è nata per voi, lettori. Un regalo per gli undici anni su EFP, un regalo per chi voleva che Taxi?! Diventasse una long da tempo.

Poi però mi sono detta una cosa: ho scritto di peggio. Ho scritto di un Edward che non ha le gambe in A place to stay. Ho scritto dell’attentato alle torri gemelle in Changes. Tutte cose non molto leggere, insomma. Ma lo feci con leggerezza, all’epoca. La leggerezza che prima di tutto mi faceva scrivere per me stessa, e poi per voi. Ho cercato di ritrovarla, quella leggerezza. Di non pensare: “cazzo, Taxi è nata come una one shot che ha fatto il botto. Le aspettative sono alte, troppo. E se cado nel ridicolo? E se da comica si trasforma in drammatica, perdendo la sua trama? E se è troppo comica?” Ho anche pensato: “La cancello.” Insomma, mai mi sono interrogata su una storia come su questa. Finché ho chiuso gli occhi e ho chiesto a me stessa di tornare la ‘scrittrice’ che scriveva solo per se stessa, contenta come una Pasqua mentre la sua mente creava cose che nemmeno mai io stessa mi sarei immaginata.

E così, è nato questo capitolo.

Perché il destino in quasi tutte le mie storie collega Bella e Edward. Ma il destino ha voluto anche far in modo che Taxi rivedesse la luce del sole dopo dieci anni, e quindi ha ancora più significato, tra queste pagine. Vorrei che Taxi fosse diversa. Vorrei che Taxi fosse tutto e niente: comica, drammatica, spensierata, divertente. Tutto e niente.

Mi impegnerò per farlo. Ci riuscirò? Non lo so.

Spero solo che questo capitolo vi sia piaciuto, quanto è piaciuto a me scriverlo.

Grazie per essere qui, e per aver letto.

   
 
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