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Autore: Seiten Shiwa    19/04/2020    1 recensioni
« Cacca di elefante... ». Affermò seria lei, quasi sovrappensiero.
« … come prego?! ».
Ho sentito bene?! Ha detto proprio... !?
« Cacca di elefante... ». Ribadì lei, con lo stesso tono usato prima.
John si portò una mano alla bocca, e non resistette a non ridere, in modo poco composto.
Gli sembrava di esser diventato Rosie, e che lei fosse Sherlock.
*AVVERTENZE: CONTIENE SPOILER DI TUTTE E 4 LE STAGIONI DI SHERLOCK*
Note: E' ambientata dopo la 4a Stagione
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Elephant's Poop

 

04 Capitolo

 

Era sera, all'incirca mezzanotte.

Sherlock aveva appena finito di raccontare il ciclo di Krebs a Rosie, dell'ATP, di come si ossidassero le molecole, della respirazione aerobica, e la piccola si era addormentata serena fra le sue braccia.
Ed ora si stava godendo il momento. John dopo cena era andato a farsi un bagno e subito dopo a letto, dicendo che era stanchissimo mentalmente, in quanto era stata "una giornata". Così, il consulting detective, aveva deciso di non mettere subito la piccola Watson nella carrozzina ma di compiacersi ancora un po' della sua presenza.

 

John lo aveva sentitamente ringraziato per essersi offerto di metterla lui a letto per quella sera.
 

Il suo coinquilino, nonché migliore amico, non era uno tipo solito a muover richieste o favori, ma Sherlock gli aveva letto negli occhi quanto fosse sfinito, drenato.

Dopo avergli dedotto la sua spossatezza fisico-mentale, elencandogli tutti i segni più che evidenti che la accompagnavano: occhiaie, sguardo vago, poca stabilità sulle gambe e totalmente sovrappensiero, si era proposto di occuparsi di Rosie e lo aveva spedito al piano di sopra senza troppe cerimonie.
Egli accettò di buon grado, pur rimanendo qualche secondo di più, indugiando, nel coccolarsi la sua piccola fra le braccia; prima di porla nel passeggino, salutarla con un bacio in fronte e lasciarla alle cure di Sherlock.

 

Quest'ultimo, non appena ebbe sentito John chiudere la porta di sopra, la riprese in braccio.
 

Il loro comune accordo - non detto - era che più tardi, quando Rosie sarebbe stata in fase REM del sonno, Sherlock l'avesse portata con tutta la carrozzina in camera di John. In modo che l'indomani, non appena si fosse svegliata, suo padre sarebbe stato pronto per le coccole mattutine e la colazione; lasciando al consulting detective i suoi spazi, sia che avesse dormito, sia fosse rimasto sveglio più di 24h.

Così, Sherlock, ora girava per il suo salone, con Rosie che aveva appena preso la via del sonno.

 

Con un braccio reggeva la bambina a sé, con l'altra teneva in mano i fogli della cartella di un caso, che gli aveva portato Lestrade nel pomeriggio...

 

Un Lestrade che gli era apparso piuttosto impacciato, e pensieroso: molto più del solito. Si era chiesto, se, all'origine di quel disagio, non ci fosse stato lo zampino di suo fratello Mycroft.

Ma non ebbe il tempo di chiederglielo, perché Gregory iniziò a deviare la sua attenzione sul nuovo caso che gli aveva appena portato...

 

Ed ora, il consulting detective si ritrovava con la piccola Watson accoccolata addosso, con il viso premuto contro il suo petto caldo, le manine che stringevano la sua vestaglia blu notte, e le labbra semi schiuse. Non si stava interessando minimamente della bavetta che le usciva dalla bocca, e che gli avrebbe lasciato una macchiolina sulla stoffa pregiata.

 

Non avrebbe interrotto quel contatto per niente al mondo.

 

I suoi occhi vagavano dal viso serenamente addormentato di Rosie al plico di fogli che teneva nell'altra mano.

Osservava le foto dell'omicidio allegate ai documenti dell'autopsia firmati da Molly. La ragazza aveva fatto davvero un bel lavoro. Eppure, qualcosa le era sfuggito. Lo sentiva. E non solo a lei.

Probabilmente, il giorno dopo, si sarebbe imbucato sulla scena del crimine...

 

Pose i fogli sulla scrivania, si accoccolò meglio la piccola contro il petto, ed iniziò una passeggiata nel suo Mind Palace, continuando ad accarezzarle i pochi capelli che le stavano crescendo...

Ed era ormai luna e mezza passata, quando rumori lievi, provenienti dal piano di sopra, fecero appizzare le sue sensibili orecchie da violinista.

Chiuse gli occhi, stringendo possessivamente e protettivo Rosie a sé. Cercò di capire cosa fossero.


E alla fine dedusse...

Con cautela pose la piccola Watson nella carrozzina e la portò fino in camera sua, socchiudendo la porta alle sue spalle non appena ne riuscì.

Fece le scale a due a due, ed aprì lentamente la porta del piano di John, affinché non scricchiolasse o emettesse altri rumori sgradevoli.

"Devo ricordarmi di oliarla, prima o poi", pensò.

Si diresse verso la camera da letto del suo amico: aveva la porta spalancata.

Si fermò sulla soglia e non si azzardò subito ad andare oltre.

John, il suo amato coinquilino, doveva essere in preda ad un incubo molto brutto.

 

Sherlock lo dedusse da come aveva i muscoli contratti, sudava e si agitava nel sonno. Emetteva fievoli ma lunghi lamenti.

Ed ogni volta che di scatto si agitava, le molle del letto facevano un rumore metallico - che se non fosse stato per quel che Sherlock aveva davanti - poteva venir scambiato per altro.

Senza indugiare, all'ennesimo lamento di John, Sherlock si avvicinò a lui.

«John... » lo chiamò piano «John...! É tutto okay.... É tutto finito... ».
Gli pose una mano sulla spalla, inginocchiandosi di fronte a lui.
L'altro sussultò e sembrò agitarsi peggio.

 

Allontanò la mano come si fosse scottato.
E fu in un attimo che si decise.

 

Fece il giro del letto, e si sdraiò alla destra di John, lì: dove c'era un po' di spazio, in quel letto ad una piazza e mezza.
Si mise su un fianco, lo afferrò per una spalla, e lo fece collidere al proprio corpo.

 

Il dottore, che fino a quel momento tremava, si agitava e scalciava le lenzuola, sembrò paralizzarsi all'istante.
Sherlock, con dolcezza e delicatezza, iniziò ad accarezzargli viso e capelli, finché l'altro, finalmente, tornò ad un respiro regolare e smise di mugugnare quelle che avevano tutta l'aria di essere urla sommesse.

«É tutto okay... Non c'è acqua... Non c'è nessun pozzo... Solo coperte... » e gliele sistemò « Io sto bene, Rosie sta bene, stiamo tutti bene, anche tu sai bene...».
E gli sfiorò con le labbra una tempia, mentre la mano continuava a fargli carezze lievi alla base del collo.

Lo sentì nuovamente tendersi.
«Sher-Sherlock?!» sussurrò la voce del dottore, impastata dal sonno.

Il detective si allontanò solo col viso, per poterlo guardare in volto. La mano non smise neanche per un attimo le rassicuranti carezze.

Non si dissero nulla.
Occhi negli occhi.
Era buio, eccetto per una fioca luce proveniente dal corridoio.

«É stato solo un brutto incubo... » sussurrò Sherlock.

 

«Già... » annuì John, continuando a sostenere il suo sguardo.

Sherlock, d'istinto, se lo tirò più a sé.
John trattenne il fiato.
Il suo naso era molto vicino alle labbra di Sherlock.

 

Sarebbe bastato così poco: semplicemente alzare il viso, ed annullare la distanza fra loro, per congiungerle.
 

E probabilmente era quella l'intenzione istintiva di Sherlock, quando iniziò a massaggiargli la base del collo; e John, per istinto, assecondò quel piacevole contatto, chinando il collo all'indietro, emettendo un sospiro di sollievo: piacere.

Quella piccola, soffice, calda, nuvoletta d'aria si infranse contro le labbra di Sherlock.

 

Erano veramente ad un soffio di distanza.
 

Avvertendo quel calore, quella prossimità, le dita del detective arrestarono il loro movimento, e rimasero leggermente pressate su quel collo.

 

In attesa.
 

John, trovandosi immobilizzato - più psicologicamente che fisicamente - reagì infilando una mano fra i loro visi.
 

Era quella la distanza perfetta che intercorreva fra le loro bocche: due dita di John Watson che posavano i propri polpastrelli sulle labbra di Sherlock Holmes, mentre il dorso sfiorava le labbra stesse del dottore.


Ed aveva frettolosamente chiuso gli occhi.

Il respiro era accelerato.

 

Sherlock lo captò come panico.

 

« No... ».
Tremò il bisbiglio del biondo in quell'oscurità.

 

L'altro, per tutta risposta, baciò teneramente le punte di quelle dita.
 

« No, Sherl... ». E sembrò singhiozzare, nel dirlo, il povero dottore.

Il suo corpo tremò, ma per una paura diversa da quella di un brutto incubo.


«John... », sussurrò il detective sulla pelle di quelle dita callose, che avevano salvato vite: che avevano salvato la sua.


«No, Sherlock... » e si fece leggermente indietro con le spalle. Ma il collo, la testa, erano rimaste lì dov'erano.

E le percepì come la metafora della sua vita...
Nonostante si sforzasse di andare avanti, fisicamente, e non di meno mentalmente, i pensieri rimanevano lì: ancorati in luoghi passati, di cui non riusciva a fare a meno.

Di quella presa sul suo collo, seppure non fosse serrata, seppure se ne potesse liberare con facilità, non riusciva a farne a meno.

Così come la sua mente, di certe abitudini, consuetudini, non riusciva a liberarsi, neppure tutte loro fossero di vitale importanza...

Sherlock era rimasto con le labbra premute sui polpastrelli di quell'indice e quel medio, sperando e desiderando che si schiudessero: per permettergli di assaggiare la cosa che più desiderava ultimamente, più di un caso di omicidio da 10...

Le sue labbra.

 

Le agognava da mesi.

No, non era corretto: da anni...

 

Da quando John lo aveva salvato da se stesso per la prima volta: tutto quello che desiderava era ricompensarlo col suo amore. Amarlo finché il cuore gli avrebbe retto. Finché non sarebbe imploso di sentimenti d'amore per lui....

«Non-non posso... » sussurrò John.

Ancora ad occhi chiusi.

E non sapeva perché, ma gli veniva da piangere.

Un pianto che sarebbe stato solamente che liberatorio.

Per questo le sue palpebre tremarono, serrate.


«Perché tu non sei gay? » il fiato caldo del consulting detective continuava ad onorare quei due polpastrelli con le proprie labbra.
 

«Perché tu sei... Tu, Sherlock...» fu l'unica risposta che riuscì ad articolare John.

Qualsiasi cosa intendesse, la mano dietro il suo collo scivolò via da lì, ed iniziò una lenta carezza sul viso.

John sentì le dita lunghe di Sherlock così fredde, tremanti.

Sapeva che il suo rifiuto lo stava annientando.

Aprì gli occhi.

Sherlock non aveva smesso un secondo di osservarlo.

Di dedurlo...

 

Il cervello del detective, probabilmente, era diventato un generatore ideale di cacca di elefante...

 

Sherlock era perso in lui.

Era perso di lui.

Istintivamente, il dottore accarezzò il contorno delle sue labbra con quei due polpastrelli: da destra a sinistra, ripetendo quel movimento più e più volte.

 

Il detective le schiuse: ed ebbe paura ad usarle per respirare.
 

John non avrebbe mai pensato che quelle labbra fossero così morbide. Così soffici.

Ed iniziò a desiderare di fare quello che Sherlock sognava di fare con le sue da mesi, da anni.

Ma se ne vergognava ancora troppo.
Non si sentiva pronto.

 

c'era ancora il lutto di Mary da superare...

l'incubo dell'affogare nel pozzo, che lo straziava ogni notte...

la rabbia verso un certo consulting detective per avergli mentito sulla sua finta morte...

la sua eterosessualità che piangeva e bestemmiava, tutte le volte che trovava il suo coinquilino attraente...

 

C'erano ancora troppe, troppe cose, troppi nodi, dentro di John, a legarlo stretto al passato, e a precludergli un nuovo inizio: un futuro sereno, come lo aveva sempre desiderato, bramato, ma mai avuto.

« È presto... Vero? » chiese, anzi, dedusse, Sherlock.

 

«Sì... » ammise John, mordendosi le labbra.

«Ho bisogno... Di tempo... ».
 

Sherlock baciò con riverenza i polpastrelli di quelle due dita ancora una volta.

Ancora ed ancora.

Il dottore scivolò con la testa sotto il suo mento, nell'incavo della sua spalla, dove si accoccolò.
Il detective scorse con la mano lungo il suo fianco, e se lo avvicinò possessivamente. Premendo con tutte e cinque le dita contro il giro vita del suo dottore.

 

John trattenne il fiato, quando la sensazione di avere i loro corpi premuti l'uno contro l'altro arrivò al cervello.

 

E tutto perse forma, per un attimo: il corpo contro il suo non era più un corpo maschile.

Non c'era più l'ansia - il panico - di prima, nell'averlo così vicino.

Sherlock era semplicemente Sherlock: non più un uomo, un maschio a livello biologico.

Sherlock era semplicemente qualcuno per cui provava dei sentimenti.

Qualcuno la cui vicinanza lo rassicurava, lo faceva stare bene.

Lo rendeva sicuro, forte, coraggioso: in grado di superare qualsiasi cosa.
 

«Non so quanto tempo ci vorrà... » bisbigliò.

Il suo corpo si accoccolò meglio contro quello dell'altro, quasi come Rosie stessa aveva fatto quella sera...

In quasi totale abbandono...

 

« Non mi importa... » sussurrò il detective, direttamente nel suo orecchio.

La sua voce sapeva di miele, di brezza di mare, di zucchero filato.

« Questa volta non ti lascerò più andare... ».
… E di promesse senza tempo...

 

Fu come esser travolti dal gelido vento del Nord che scuote Londra d'inverno.

 

John, trapassato da parte a parte da un brivido, lasciò che le dita vagassero da quelle labbra alla guancia, al collo, ai suoi capelli ricci. Ne raccolse una ciocca, e se la arrotolò contro l'indice.

 

Aveva inspiegabilmente freddo.

Ed il calore del corpo a cui si era accoccolato, era l'unica cosa che sapeva poterlo scaldare...

Sherlock chiuse gli occhi, e posò il mento contro i suoi capelli biondi.

Un altro bisbiglio si sparse come macchia d'olio in quella semi-oscurità.

« Questa volta mi renderò indispensabile... Non riuscirai mai più a lasciarmi andare...».

Un bisbiglio che suonava quasi come una minaccia.

« Lo sei sempre stato, John... Lo sei sempre stato... ».

Fu la calda rassicurazione che svelò la più nascosta delle verità.... delle ovvietà.
 

Si strinsero forte, possessivi, e lasciarono cadere l'argomento, aspettando in silenzio che il sonno li cogliesse...


 

La mattina dopo, John si sarebbe ritrovato solo nel letto, con la carrozzina di Rosie che dormiva pacifica al suo fianco, domandandosi se fosse stato solamente un sogno...

 

 

Eurus poteva benissimo essere il vento dell'est....

Ma Sherlock... Sherlock era il vento del nord...

 

 

Il pomeriggio prima...

 

 

L'ispettore - nonché detective - di polizia Gregory Lestrade, dopo aver camminato per un lungo corridoio, percorso da quella che sembrava essere un'infinita vetrata, giunse finalmente alla sua meta.

 

La porta di uno studio.

Una volta davanti ad essa, due omoni della security lo squadrarono.

Erano alti sul metro e novanta, molto muscolosi, piazzati.

Uno dei due era di colore, l'altro nordico.

Entrambi glabri, avevano ben in mostra un auricolare all'orecchio sinistro.

«Detective Lestrade ».

Gregory mostrò loro il suo badge della polizia.

I suoi occhi guizzarono ad una telecamera di videosorveglianza al di sopra della porta.
 

I due uomini della security attesero che gli fossero date istruzioni.

Quando giunsero annuirono, ed uno dei due gli aprì la porta.

L'ispettore notò che quella che sembrava una semplice porta di uno studio, in realtà, era una pesantissima e spessissima porta blindata.

 

Probabilmente antiproiettile: anzi, anti bazooka.

Sarà stata spessa almeno una quindicina di centimetri.

Sussultò, quando essa venne richiusa con un rumore sordo; nonostante se lo aspettasse, perché ne aveva seguito il movimento con lo sguardo.


Un ticchettare, come qualcuno stesse digitando sulla tastiera di un computer, fu il primo rumore che avvertirono le sue orecchie in quella stanza.

Poi... Un rumore roco.
Animalesco.
Gutturale.
Profondo...

"Un... Rutto?!" si chiese fra sé e sé Gregory, voltandosi ad ispezionare il resto della stanza.

 

Le sue sopracciglia si alzarono, in un moto di sconvolgimento.

Alla sua destra, su uno dei due divanetti di pelle nera, sedeva una donna, con i capelli a caschetto rosa Schiapparelli.

 

Era di profilo rispetto a lui.

Aveva i gomiti poggiati sulle gambe e digitava sul proprio portatile, posato sul tavolinetto di cristallo e legno, posto al centro dei due divanetti.
«... Si, ma... Un po' di contegno! Non possiamo accogliere i colleghi di Mycroft così! ».

Disse, soffocando a stento una risata divertita.

Indossava un cardigan nero, jeans blu scuri, e un paio di Vans dello stesso colore dei capelli.

 

Non si era minimamente girata a guardarlo: era completamente assorbita dal suo lavoro sul proprio laptop.

L'unica cosa di lei che si muoveva erano le dita veloci sulla tastiera e i grandi orecchini a cerchio, che risaltavano, dorati e spessi, sotto quell'eccentricissimo colore di capelli.

Lo sguardo di Gregory ispezionò il resto della stanza.

Avanti a se c'erano due poltrone di pelle, l'enorme scrivania dove solitamente Mr Governo Inglese – alias Mycroft Holmes - sedeva, e la sua poltrona.
 

Quest'ultima era occupata da un'altra donna.

 

Ella aveva i capelli, dalla fronte a metà testa, a cresta blu, ed i restanti terminavano con dread e treccine, ornate con anelli e piccoli ciondoli. I colori andavano dal blu della cresta, al verde menta delle punte. Addirittura, si sforzò di mettere meglio a fuoco lo sguardo, Greg, qualche treccina era di un lime fluo davvero accecante, per non parlare di alcuni dread verdi acido, e sempre fluo.

Sul suo viso faceva bella mostra un piercing alla narice sinistra a cerchietto.

Un teschio come orecchino all'orecchio destro.

Una maglietta degli Iron Maiden: Rock in Rio.

Una giacca di pelle anni 80...

 

E jeans neri stracciati, con inserti di pizzo, con anfibi militari: cosa che non avrebbe dovuto vedere. Perché magari sotto la scrivania...
 

Invece erano lì: ben esposti al suo sguardo, perché la signora teneva le gambe incrociate sulla scrivania costosa e pregiata, ed un portatile sopra di esse, mentre con una mano reggeva un bicchiere di carta di Starbucks.

Che se le si fosse rovesciato, avrebbe sporcato irrimediabilmente non si sa quante cose!

« Questo è lo studio di Mr Holmes! Voi chi diavolo siete? ».

Chiese Lestrade, portandosi le mani sui fianchi.

La donna con i capelli blu ridacchiò, e solo in un secondo momento, alzando le sopracciglia, lo studiò in rimando.

L'altra, invece, non lo stava proprio calcolando.

"Dove cazzo sono capitato?! Mycroft ha deciso di organizzare un concerto alternative metal dentro il suo studio? E soprattutto... Dove diavolo è Mycroft?!".

La tizia alla scrivania di Mr Governo Inglese, per tutta risposta, sorseggiò nuovamente la sua bevanda, e soffocò un rutto, coprendosi la bocca con una mano.

L'ispettore si passò una mano sul viso.
"Se è uno scherzo di Mycroft, giuro su dio che -"

I suoi pensieri furono bloccati dal rumore della porta che si apriva dietro di lui.

Indietreggiò verso la parete alla sua sinistra, per non mostrare le spalle ne alle donne in quella stanza ne a chi di lì sarebbe entrato.

 

Portò la mano alla pistola che teneva dietro la schiena, in modo istintivo, ed aspettò.

Era pronto ad estrarla e far fuoco ad ogni momento.

 

Come se gli omoni lì fuori avessero fatto entrare chissà quale malintenzionato lì dentro...

« Ispettore Lestrade, ben trovato! » lo salutò Mycroft Holmes entrando.

Greg non notò lo sguardo che si passarono le due donne.

Sentì solo ridacchiarle, e quella con i capelli rosa Schiapparelli sussurrare all'altra:

«... smettilaaaaaa... ! ».
E proprio l'altra, quella con i capelli blu, rise ancora un po'.

Mycroft, dopo aver gettato un'occhiata glaciale ad entrambe, fece un sorriso tirato.

« Mr Holmes, buon giorno! ».

Greg lasciò la presa sulla pistola, e si risistemò l'impermeabile alla bella meglio.

«Prego, accomodati! » lo invitò Mycroft, andando verso la sua scrivania.
Guardò malissimo la donna che ci teneva le gambe poggiate sopra.
« Stark ... » fece in tono di rimprovero, bussando con le nocche dell'indice e del medio sulla superficie del tavolo: in un vano tentativo di richiamarla all'ordine.

«Holmes... » sorrise lei, strafottente, sghignazzando.

Mycroft alzò gli occhi al soffitto.

Non avrebbe riavuto la sua poltrona, non adesso almeno...

Un sospirò di rassegnazione abbandonò le sue labbra, mentre scuoté leggermente la testa.

Si tolse il cappello, il lungo cappotto, e li appese ad un attaccapanni al muro.

Il suo amato ombrello lo appese al lato della propria scrivania.

Gregory era rimasto a guardare la scena.
Era un detective, eppure non riusciva a capire che legame ci fosse fra quelle donne ed il Signor Governo Inglese.
Probabilmente le conosceva bene, visto che non aveva ucciso la tizia che continuava a tenere quella posizione da gran maleducata sulla sua scrivania.

Mycroft si affiancò a lui, e Gregory, che stava ancora studiando la tizia alla scrivania, non si era accorto che l'altro gli si fosse avvicinato.
Trattenne per un attimo il respiro, ritrovandoselo così vicino.


Si sentì nuovamente un ridacchiare da parte delle due donne, e sempre quella seduta sui divanetti riprese l'altra.
«Eddai... Basta...!». Ma continuarono a ridacchiare entrambe, sempre concentrate sui propri portatili.

« La giacca... » chiese implicitamente Mycroft, sorridente, ignorando al momento le due tizie.

Lestrade si sbrigò a togliersi l'impermeabile, e glielo porse.
L'altro lo appese affianco alla sua giacca.

Gregory continuò a passare lo sguardo da lui a loro, accarezzandosi la base del collo con una mano, in evidente stato di disagio.

La porta si aprì nuovamente alle sue spalle.

 

Entrò un signore di una certa età: pose un vassoio con teiera, biscottini, due tazze e due piattini sulla scrivania.
Mycroft lo ringraziò ed egli uscì in silenzio, così come vi era entrato.
«Stark, non ci provare ! » fece poi, seccando sul nascere la mano della donna con i capelli blu, che si era allungata a rubare un biscotto.

« Uffa... Tu sei a dieta! » si lamentò lei, ma allontanò comunque la mano dal vassoio.

Mycroft si sistemò su una delle due poltrone di pelle di fronte la sua scrivania, invitando Gregory a sedersi di fronte a lui sull'altra.

La donna alla scrivania, vedendo Gregory accomodarsi vicino all'altro uomo, pose il portatile sulla scrivania, e finalmente scese con le gambe da essa.

Mycroft si girò a sorriderle, facendole capire che aveva gradito quello sforzo di educazione da parte sua.
Poi allungò un braccio per avvicinarsi il vassoio, e nel farlo, sfiorò la spalla dell'ispettore, che a sua volta, si era girato per aiutarlo.

 

Le loro mani si sfiorarono.
E ne scaturì un altro sorriso sulle labbra della donna a loro vicina.

Il vassoio fu posizionato sulla scrivania, esattamente dietro il portatile della donna, e a metà fra i due uomini.

La donna passò lo sguardo dal politico al poliziotto, più e più volte: e poi scosse la testa, tornando al suo portatile.

«Zucchero? » chiese Mycroft, con un sorriso più che radioso.

 

« Un cucchiaino raso, grazie» rispose Lestrade, mentre sbirciava le donne con lo sguardo.

Il maggiore Holmes fece come detto, e gli porse il tea, posizionando la tazza sopra il piattino più vicino a lui.

« So che stai per chiedermelo... » iniziò il politico, dopo aver bevuto un sorso di quella miscela pregiata.

« Ti presento l'Electro-Mechanical Engineer Milena Stark... » indicando la ragazza con la cresta ed i dread, « … e la Cyber Sicurity Engineer Veronika Sokolov », indicando la donna con i capelli color Schiapparelli.

Quella vicino a loro inclinò un angolo delle labbra in un sorriso poco rassicurante, mentre i suoi occhi scorrevano su Lestrade neanche gli stessero facendo una RM. L'altra salutò con la mano, senza staccare gli occhi dallo screen del proprio laptop.

Gregory annuì ad entrambe.
« Piacere, Ispettore Gregory Lestrade».

«Lo sappiamo... » rispose l'ingegnere Stark, continuando a squadrarlo con gli occhi.

Un sorrisetto che ne sapeva più lei di lui, che non viceversa, veniva ostentato dalle sue labbra leggermente tinte da un rossetto color sangria.

Gregory iniziava a sentirsi quasi nudo sotto quello sguardo.
Mycroft, che ovviamente aveva dedotto il suo disagio, lo rassicurò con un sorriso, accarezzandogli un braccio distrattamente.

 

Gregory guardò, alzando un sopracciglio, quella mano che lo rassicurava, per poi spostare lo sguardo verso il politico. Quest'ultimo, sorridendo imbarazzato, rendendosi conto di non aver saputo tenere le mani apposto, la allontanò, portandola a sorreggere la tazza di tea.

L'ingegner Stark scosse la testa come a dire "senza speranza proprio...", e tornò a digitare sul proprio portatile.

« Lo so che non sembra... » riprese a parlare Mycroft « Ma l'Ingegner Stark lavora per il JIC*».

« Ti correggo... La gente lavora lì per me, Mr Holmes » precisò la donna. La sua voce era seria.

Il sorrisetto strafottente di prima era svanito.

« Mentre l'Ingegner Sokolov lavora per l'MI6 e l'MI5... Ed è fra i tre hacker più bravi sulla faccia della Terra. É capace di entrate ovunque... » gli occhi si chiusero a fessura « … e quando dico ovunque, intendo proprio ovunque... ».

La donna chiamata in causa fece spallucce.


« Al di fuori di queste mura, nessuno sa quale sia il suo vero nome o il suo vero volto... E' semplicemente conosciuta con il soprannome di Passe-partout... », affermò orgogliosa l'ingegnere elettro-meccanico.

Greg mandò giù la saliva: “insomma, erano due persone tranquillissime...”

« Non lo avresti mai detto, vero? ». Chiese sarcastico Holmes Sr.

 

Dietro il suo sorriso, l'ispettore scorse una stima inestimabile verso le due colleghe.
Si ritrovò a fare spallucce, perché sì: il loro aspetto lo aveva proprio ingannato.

 

L'abito non fai l monaco, Greg!”, si sentì in dovere di rimproverare sé stesso mentalmente.

« Già... Ma anche questo fa parte del loro lavoro... ».

Mycroft sorseggiò dell'altro tea.

« Le apparenze che ingannano, nel loro caso, sono un salvavita... »

« Un po' come tuo fratello... » fece Lestrade, per rompere la tensione.

«Esatto!... Proprio come Sherlock... ».

L'ispettore, poi, ebbe un illuminazione.
« Asp-aspetta... Ma... ».
Si girò di scatto a guardare l'Ingegnere Elettromeccanico.
« Stark come... »

«Come Stark Industries ! Esatto ! » sorrise lei. Questa volta radiosa: orgogliosa, soddisfatta.
« Te lo sei scelto rallentato, ma con buona memoria visiva, vedo! » e fece un occhiolino a Mycroft.

Il politico la fulminò con gli occhi.

 

Ma Lestrade non ci fece caso. Aveva ancora la bocca aperta ed il mento quasi per terra.

« Anthony Edward Stark è mio fratello maggiore », spiegò lei, togliendogli ogni dubbio.

Questa volta fu il turno dell'ingegnere Sokolov di ridacchiare dell'espressione dell'ispettore.

 

« Cioè... aspetta... ». Lestrade si passò una mano sul viso.

« Tu sei... la sorella.... » prese fiato « di quel Tony Stark... che fu fatto prigioniero dal suo EC*, in Afghanistan, e sopravvisse costruendosi un'armatura di metallo?! ».

 

Milena annuì.

« Proprio lui! ».

 

« Lo stesso Tony Stark... che vedendo gli orrori della guerra, ha smesso di produrre armi, e si è dedicato ad investire tutto il suo capitale nella ricerca biomedica e clinica?! ». Lestrade stava iperventilando, nel chiederlo.

 

La donna annuì nuovamente.

« Sì, Ispettore Lestrade... Sono sua sorella minore ».

 

Gregory era pallido. Prima che lo chiedesse, l'ingegnere Stark lo anticipò.

 

« Lavoro per il JIC non come progettista di armi, benché io e mio fratello ce ne intendiamo abbastanza... » fece in tono sarcastico « … ma come progettista di sensori biometrici: fisiologici o comportamentali, e reti neurali... ».

 

Veronika, continuando a digitare al suo laptop, ghignò notando il viso dell'ispettore sempre più verso il bianco straccio.

 

« Fantastico! ». Sussurrò Gregory, affascinato.


Mycroft sorrise soddisfatto del suo staff: anche se in realtà era lui a lavorare per loro.

Ma preferiva più considerarsi come un Team.
 

In più... quelle due donne, insieme, nella stessa stanza, erano pericolose: e non solo professionalmente e lavorativamente parlando...

Lestrade si riprese poco a poco.
Smise di fissare come un ebete Milena Stark, e tornò con lo sguardo a Mycroft.
« Mi hai fatto chiamare... E non credo per presentarmi loro due... ».

 

Quanto ti sbagli, Ispettore”, pensò l'ingegnere elettro-meccanico.

Il politico annuì.
«Sì, Ispettore... Ho un caso mezzo governativo mezzo no, e avrei bisogno che tu ci dessi un'occhiata... ».

Si girò verso la libreria alle sue spalle e sfilò, da una scatola di cartone, una cartellina marrone, contenente così tante pagine, da risultare alta almeno tre dita.

Poi la porse all'uomo di fronte a sé.

Gregory sorrise imbarazzato, prendendola dalle sue mani.

Avrebbe voluto farsi piccolo piccolo.
« Beh... Con tutte queste menti geniali, incluso tuo fratello... Chiedi proprio a me?».

Sfogliò distrattamente la moltitudine di pagine di quel plico: vi erano foto spillate a fogli, cd dentro foderine di plastica, ed addirittura un paio di penne usb.

Mycroft sorrise, non sapendo che dire.
Qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe potuto sbagliare.

Era un campo minato quello.

 

Ma era l'unica cosa che potesse funzionare: un caso.

Un caso da offrire, per potersi avvicinare a quell'ispettore che gli piaceva tanto, e da tanto.

Magari, lavorare insieme lo avrebbe aiutato a capire se poteva dichiararsi o meno...

O almeno, così, due certe ingegnere, gli avevano suggerito – no: architettato...

 

ed architetto ed ingegnere, si sa, sono nemici fin dall'alba dei tempi...

Quindi... la paura che tutto andasse male, era sempre dietro l'angolo...

«A cena! » esclamò l'ingegner Sokolov, andandogli in soccorso.

«Potreste darci un'occhiata insieme a cena! ». E guardò dritto negli occhi Mycroft.

« È un caso a cui stiamo lavorando da tempo. Ma non ne veniamo a capo.... Non abbiamo ancora recuperato tutti i dettagli... », continuò in modo vago, montando una supercazzola che reggesse.

«... Ma per questa sera, dovremmo averli tutti alla mano! ».

 

Lestrade guardò il plico alto tre dita, che teneva fra le mani: stentava a credere non ci fosse tutto il materiale. Le sue labbra si arricciarono e le sopracciglia si alzarono, in un espressione dubbia.

«Oh, beh, c-certo... Se non è troppo di disturbo per l'Ispettore Lestrade... » fece imbarazzato il politico.

 

In realtà non sapeva se ringraziarle o decidere come ucciderle... e come liberarsi, poi, in un secondo momento, dei loro corpi.

L'ispettore, ignaro dei doppi sensi di quella situazione, sorrise come un cucciolotto.
« Per me va benissimo... Sono libero stasera! ».

 

Mycroft boccheggiò, e volle affogare nella tazza di tea che aveva ripreso a bere.

«Perfetto! » rispose Veronika al suo posto.

«Il Signor Holmes Sr ti comunicherà più tardi il ristorante... Spero scegliate qualcosa di appartato! Mica vorrete che il “caso” diventi di dominio pubblico! ».

Mycroft si strozzò col tea: iniziando a tossire.

«Beh, ovvio, Ingegner Sokolov... » intervenne Milena « …. certi "casi" - e avrebbe voluto specificare "umani" - vanno trattati con una certa privacy! Non è che certe cose possono esser mostrate in mondovisione!».

Mycroft tossì ancora un paio di volte.

Il tea gli sarebbe uscito dalle orecchie, di questo passo...

Lestrade, sempre cuccioloso e privo di qualsiasi malizia, annuì.
«Assolutamente.. Essendo un caso mezzo governativo, non vorrei mai ci mettessimo nei guai! ».

Con una mano si grattò il piccolo accenno di barba brizzolata, pensieroso.

Holmes Sr si allentò leggermente la cravatta per respirare. Era paonazzo in volto.

Erano mesi che desiderava chiedergli un appuntamento.

Mesi che non sapeva come fare: che scusa inventare, come approcciarcisi...

 

Greg lo aveva cercato, sporadicamente, qualche volta, dopo l'accaduto di Eurus.

Glielo aveva chiesto – implorato indirettamente - Sherlock.

Ma Holmes Sr questo ancora non lo sapeva. E probabilmente, era meglio se non l'avesse mai saputo.

 

Così, Mycroft Holmes si era ritrovato ogni tanto qualche messaggio, qualche chiamata di Lestrade, che lo contattava per parlare del più e del meno, o di suo fratello minore.

Ed ogni volta che gli chiedeva come stava, il politico non sapeva mai cosa rispondere.

 

Bene? Perché mi hai chiamato?!

Male? Perché più in là di un paio di discorsi di circostanza, e superficiali, non riesco a fare con te!?

 

Era una tortura, per Holmes Sr.

Una lenta agonia: non poter far capire alla persona che ti piace, che gli piaci.

 

In più, sapeva del divorzio di Lestrade.

 

Soprattutto perché una certa Ingegnera gli aveva fatto trovare, un bel giorno, sulla scrivania, tutti i dati sensibili dell'ispettore, relativi alla sua ex moglie...

 

E sapeva anche, con certezza, che dopo il divorzio, non aveva più avuto relazioni con nessuna donna. No, neanche occasionali.

 

Per questo ora si sentiva andare a fuoco... soffocare.

 

Lestrade non aveva mai avuto, che lui sapesse – sempre grazie ad una certa ingegnera – relazioni di tipo omosessuale. Ma ciò non escludeva a priori che non fosse bisessuale, o pansessuale, o demisessuale o qualsiasicosa-sessuale.

 

Infondo, bastava guardare il dottor Watson: quello giurava e spergiurava di non esser gay dalla mattina alla sera... eppure Sherlock – dopo sua figlia- era il suo intero mondo.

Checché se ne disse, il dottor Watson amava suo fratello Sherlock, ed era innegabile agli occhi di tutti... Ed era veramente frustrante, per lui stesso, per suo fratello, e per tutti i suoi amici, sentirlo ripetere in continuazione che non era gay!

Lo avevano capito! Solo lui stesso non aveva capito di essere Sherlock-sessuale!!

 

Quindi, era inutile fasciarsi la testa prima di rompersela: era inutile continuare a produrre pupù di elefante.

 

Ma Mycroft non riusciva a farne a meno: lui, che era abituato alla diplomazia, ad ottenere sempre quello che voleva, da chi voleva, tremava all'idea di ricevere un rifiuto dall'unica persona che, in quaranta e passa anni di vita, gli era mai veramente interessata.

 

E prendere aria, cercare di regolarizzare la respirazione, al momento, era cosa impossibile...

 

Dove lui, fino a quel momento, aveva fallito, avvinto dalla paura, erano bastate due menti geniali e pazze come quelle di due ingegneri, due colleghe, per ottenere finalmente una cena a tu per tu con l'Ispettore dei suoi sogni.

 

Era un motivo valido per smettere di respirare ed iperventilare, no!?

La suoneria dello smartphone di Lestrade iniziò a squillare, e Mycroft tornò alla realtà con i suoi pensieri.

 

L'ispettore, posato il plico del caso sulla scrivania, tirò fuori il telefono dalla tasca interna della giacca blu scura del completo.

Si morse le labbra.
« Dannazione.. É il capo. Devo andare. Pare ci sia un nuovo caso di omicidio... Credo proprio mi servirà Sherlock! E questa volta tuo fratello si divertirà parecchio... ».
Si alzò, finì il tea in fretta e furia, afferrò il suo impermeabile e si diresse alla porta.
« Non so... Mandami un messaggio o chiamami... no,no, meglio un messaggio, non credo avrò tempo di stare al telefono... fammi sapere di questa sera! ».
Poi si volse anche alle ingegnere.
«Buon lavoro e piacere di avervi conosciuto!» e fuggì via dalla porta, mentre un omone della security la richiuse.

Mycroft era rimasto seduto rigido, schiena dritta e la tazza di tea a mezz'aria, fra le labbra e la scrivania. L'altra mano era rimasta sulla bocca: aveva creduto per un attimo che il tea gli sarebbe tornato su tutto insieme. Si era agitato troppo, all'idea di una loro cena insieme.

«Beh? Non è stato difficile! » intervenne Veronika.

«Io penso che se te la giochi bene, stasera te lo porti pure a casa! » ridacchiò Milena.

«INGEGNER STARK! ». La voce di Holmes Sr arrivò come un guaito di un cane, a cui, poverino, viene pestata la coda.

Lei rise ancor di più.

Mycroft si lasciò andare lentamente contro la sedia di pelle, posando la tazza sulla scrivania.

Il gesto fu un po' troppo brusco: le stoviglie tintinnarono.
« Devo solo scegliere dove... ». Proferì serio.

« Ho già prenotato! », Veronika si alzò dal divanetto e prese posto dove poco prima era stato seduto l'ispettore Lestrade.
« Ecco! » e gli indicò lo schermo del proprio laptop.

Mycroft vide la prenotazione che lei aveva effettuato a suo nome.

« Ho anche usato, ovviamente, oltre la tua identità, la tua carta di credito per confermare la prenotazione! ».

«... Non avevo dubbi... ». Sorrise di gioia falsa il politico.

Doveva rimanere calmo: stava per avere una cena con Lestrade, e doveva rimanere calmo.

Milena si alzò, chiuse il portatile e se lo mise sottobraccio. Con una mano si ravvivò la cresta.
« Ovviamente, dovrai passarlo a prendere tu... Capito? ».

 

« A parte che mi sembrate un'associazione a delinquere, più che degli stimati ingegneri che lavorano per i servizi segreti... Ma soprassiederò su ciò, se l'appuntamento andrà bene... Solo che...».
Mycroft alzò gli occhi verso di lei.
« Non sembrerei troppo invadente? Nell'andarlo a prendere io?! ».

Le due scoppiarono a ridere.
« Ti prego... Dimmi è una battuta! » fece l'ingegner Stark.

« Tu... Tu che hai occhi su tutta Londra, stai sempre con le mani in pasta in politica estera ed interna, tu che sei quello che decide sempre per gli altri, e li manipola... Hai paura di essere invadente? Ahahahah!!! ».

«Dovrebbe sentirti tuo fratello ed il povero dottor Watson! » aggiunse l'ingegner Sokolov.

Mycroft sospirò.
Non che avessero tutti i torti...
« Io non voglio che Gregory mi scelga perché l'ho manipolato... ! ».
Ed era anche la sua paura più grande.

Lei due donne sorrisero comprensive.
« Chi vivrà, vedrà » disse Veronika, chiudendo anch'essa il suo laptop, ed andando a prendere la giacca sul divanetto.

« Io credo che dovresti andare subito al sodo.... Glielo appoggi e via! Se gli piace, rimarrà, altrimenti ti dirà che non è interessato ». Milena era veramente seria nel dirglielo.

Mycroft si prese il viso fra le mani.
« Perché devi essere sempre così greve? ».

« Perché Milena è Milena, Mycroft... Lo sai che è un camionista moldavo mancato... ».

Veronika prese l'amica sottobraccio e la trascinò verso la porta.

Quest'ultima era riuscita ad agguantare un paio di biscotti dal vassoio del politico, e ad ingurgitarli in men che non si dica.

« Diglielo Mycrooooft ! Ed appoggiaglielo! Niente è più sincero di un erezione! ».

Milena sembrava dannatamente seria nel dirlo, mentre veniva trascinata via dall'altra.

« Farò finta di non aver sentito! Ci vediamo più tardi in riunione! » le salutò con una mano, alzandosi, sistemandosi i vestiti che gli si erano stropicciati stando seduto.

La porta stette per chiudersi dietro di loro, ma l'ingegner Stark rifece capolino:
«MYCROFT! ».

«EEEEH ? Cosa c'è ancora? ». Alzò le braccia spazientito.

Ella gli fece un rutto madornale.
« E un rutto.... RICORDA: Non c'è niente di più sincero di un erezione o di un rutto! ».

Mycroft non seppe se fosse peggio lei o suo fratello nudo, coperto solo da un lenzuolo, a Buckingham Palace.

Probabilmente, se si fossero conosciuti, o si sarebbero piaciuti, o si sarebbero odiati andando in competizione...

« Io ti faccio visitare, no, RICOVERARE: INTERNARE dalla dottoressa Meier! ». Voleva sembrare serio, autoritario, ma gli veniva da ridere: avrebbe avuto una cena con Lestrade quella sera. E ciò bastava a metterlo di buon umore fino al lieto evento.

« Non puoi, Signor Governo Inglese... Siamo amiche! » e prima di sparire dietro la porta, trascinata brutalmente di peso da Veronika, fece in tempo a fargli il simbolo del cuore con le dita ed un occhiolino.

Mycroft sospirò, guardando il soffitto.
"con che cazzo di gente mi tocca lavorare..."

 

 

Altrove...

 

Lestrade, in auto con un suo collega, ci ripensò – come fanno gli scemi -.

 

Possibile Mycroft mi abbia chiamato fin nel suo studio, mi abbia fatto attraversare mezza Londra, per parlarmi di un caso... di cui poi non ha neanche tutto il materiale?!

Lui... Che è così meticoloso, calcolatore, pignolo...

Lui che sta sempre un passo avanti a tutti... sospetto, a volte, anche di suo fratello minore...

 

Uhmmm.... meno male si crede l'Holmes più “smart”....

 

Fissò il telefono fra le mani, e poi Londra che si confondeva ai suoi occhi fra strade e persone, mentre il collega al suo fianco guidava.

 

A cena con Mycroft Holmes...

Questa era veramente bella...
 

Continua...


Note dell'Autrice:

*JIC = Joint Intelligence Committee. È un organo deliberativo di interazione, responsabile della valutazione dell'intelligence, del coordinamento e della supervisione del Servizio di intelligence segreto (SIS), del Servizio di sicurezza, del GCHQ e dell'intelligence della difesa.

MI6 = è l'altro nome con cui viene indicato il Secret Intelligence Service (SIS). È l'agenzia di spionaggio per l'estero del Regno Unito.

MI5 = è l'ente per la sicurezza e il controspionaggio del Regno Unito.

Si occupa della protezione dalle minacce alla sicurezza nazionale: della Regina e dei membri della Famiglia Reale, della democrazia parlamentare e degli interessi economici britannici, della lotta ai crimini gravi, al separatismo, al terrorismo e allo spionaggio nel Regno Unito.

Si occupa quindi della sicurezza interna, mentre il MI6 si occupa della sicurezza esterna.

*EC = Executive Chairman; Presidente Esecutivo di un'azienda.

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