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Autore: Soul of Paper    19/04/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 26 - La Gelosia


“A che ora pensi di arrivare alla festa?”

 

“Eh, penso di arrivare puntuale, Calogiù, non prima, che già durerà abbastanza.”

 

“E allora io cerco di arrivare un po’ in anticipo, così che non ci siano dubbi che siamo venuti separatamente. Tu vieni in taxi, immagino?”

 

“Per forza… stasera mi tocca, Calogiuri,” sospirò: tra tacchi e vestito di sicuro in metro così non ci poteva andare, “a dopo!”

 

“A dopo!” rispose, chiudendo la telefonata.

 

Finì di guardarsi allo specchio, si raccolse i capelli, dato che Calogiuri la riempiva sempre di complimenti quando lo faceva, e mise un poco più di trucco del solito, specie sugli occhi.

 

Infilò il cappotto leopardato, chiamò il radio taxi ed uscì di casa.

 

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“Immacolata Tataranni, Sostituto Procuratore.”

 

“Sì, dottoressa, è in lista. Buonasera, se vuole lasciare il cappotto al mio collega,” disse la ragazza che filtrava le persone in ingresso, squadrandola da capo a piedi.

 

Mollò il cappotto ad un ragazzotto elegantissimo, ricevendone in cambio un numeretto che si affrettò a infilare nella pochette, leopardata anch’essa, così come le scarpe.

 

Perché elegante andava pure bene, ma noiosa proprio no.

 

Camminò a passo volutamente deciso e notò parecchie occhiate stupite da chi la circondava: alcune facce familiari altri no.

 

Se per il vestito, se per il passo o per gli accessori leopardati non avrebbe saputo dirlo.


E poi arrivò in fondo al corridoio e, proprio vicino all’ingresso della sala, si trovò di fronte Calogiuri che parlava - ovviamente - con la Ferrari, vestita con un abito lungo blu elegantissimo, che aveva notato in negozio e al cui confronto il suo doveva essere economicissimo.

 

Neanche le avesse letto nel pensiero, la donna si voltò verso di lei, ben presto imitata da Calogiuri.

 

“Imma! Alla fine allora vedo che hai ceduto. Ma stai benissimo!” esclamò, in quel modo amichevole che le dava sui nervi, prima di rivolgersi a Calogiuri, che però continuava a fissarla come se avesse appena visto la madonna, “non è bellissima, stasera, Calogiuri?”

 

“S- sì, sì,” balbettò lui, il collo che già gli si arrossava sopra il colletto bianco della camicia, non levandole gli occhi di dosso, tanto che Imma stessa si sentì avvampare un poco.

Va bene che Calogiuri la trovava stupenda pure in abiti da casa, quindi non voleva dire molto, ma almeno uno degli obiettivi della serata era stato raggiunto.

 

E pure lui con quel completo elegante e la cravatta era talmente bello da essere quasi illegale.

 

Stava per fare una battuta per allentare la tensione, quando sentì una voce familiare alla sua destra.

 

“Dottoressa Tataranni! Sono felice che alla fine sia dei nostri!”

 

Era Mancini, elegantissimo e sorridente come sempre, che le si affiancò, “devo dire che stasera è davvero bellissima, dottoressa, se posso permettermi.”

 

Imma sentì il calore peggiorare: era vero che Mancini era di una gentilezza incredibile, ma pareva sincero nell’apprezzamento.

 

“Irene, noi ci siamo già salutati e va beh… che sei bellissima già lo sai e sei una garanzia a questi eventi. Buonasera, maresciallo. Se non vi spiace, vi porto via la dottoressa, che ho un po’ di gente a cui presentarla,” proclamò, deciso, ed Imma si sentì prendere, seppure delicatamente, a braccetto e le toccò seguire il procuratore capo.

 

“Dottore, ma ne è sicuro? Con tutto il rispetto, io non sono proprio portata per fare conversazione, non le conviene,” lo avvertì, mentre lui la dirigeva verso il fondo della sala dove c’era un drappello di persone.

 

“Allora può fare parlare di più me, ma qualcosa mi dice che non lo farà,” rispose con un sorriso e dovette ammettere che era vero: per quanto odiasse fare conversazione, zitta proprio non ci sapeva stare.

 

“Giorgio, tutto bene?” gli chiese un uomo rasato e con un completo che urlava soldi, dandogli la mano con una confidenza e sicurezza che urlavano tanti soldi, più di quelli che lei avrebbe mai visto in due vite, “e chi è questa bella signora? Non dirmi che finalmente ti sei deciso a trovarti una nuova compagna.”

 

Imma si sentì ancora più in imbarazzo, ma Mancini le lasciò con discrezione il braccio e sorrise, “no, è il nuovo acquisto della procura. Almeno per un po’. La dottoressa Tataranni di Matera: si è occupata del maxiprocesso giù in Basilicata, che ora si sta concludendo qui, ne avrai sentito parlare.”

 

“Ma certo! Dottoressa, forse avevo visto anche qualche spezzone di lei fuori dai tribunali ma devo dire che non le rendeva giustizia. Complimenti per tutto quello che fa per il nostro paese!”

 

Quando esordivano così, già si chiedeva quanto fosse alta la loro evasione fiscale e quali scheletri avessero nell’armadio, “sa, in tribunale devo fare il mio mestiere, non una sfilata di moda. Però la ringrazio, signor...?”

 

“Dominici, Franco Dominici, immobiliarista.”


“Con quanto costano le case qui a Roma avrà una fortuna, signor Dominici,” ironizzò, chiedendosi con quanti esponenti del pubblico avesse le mani in pasta.

 

Gli appalti erano uno dei settori più corrotti in assoluto.

 

“Non mi posso lamentare… lei invece quindi è qui per occuparsi del maxiprocesso?”

 

“In parte. Se ne occupa principalmente una collega, la dottoressa Ferrari, a cui lo avevo affidato quando stavo ancora a Matera. Quindi questo mi lascia molto tempo libero per occuparmi di altri casi ed indagare. Sa… dopo aver ripulito Matera... a me piace molto fare le pulizie.”

 

“Non ne dubito…” mezzo balbettò l’immobiliarista ed Imma si aspettò che Mancini la stoppasse ma non avvenne nulla di tutto ciò.

 

Fu lo stesso Dominici a congedarsi, poco dopo, con la coda tra le gambe.

 

Mancini la guardò e sembrò stranamente divertito.


“Dottore, come vede non sono molto adatta a fare pubbliche relazioni.”

 

“Dottoressa, lo so, lo so. Ma diciamo che il mio lavoro è… valorizzare i talenti dei miei sottoposti.”

 

“Vuole dire che… voleva che gli dessi una lezione?” domandò, sorpresa.

 

“Più che altro un avvertimento. Dottoressa, il mio lavoro consiste in bastone e carota. Per la carota diplomatica ci sono colleghi come la Ferrari. Per il bastone…”

 

Ad Imma venne da ridere, “beh, se mi autorizza ad usare il bastone, fare pubbliche relazioni potrebbe non dispiacere nemmeno a me.”

 

“Andiamo dal prossimo, dottoressa,” rispose lui, ricambiando il sorriso.

 

E così si trovarono davanti ad un uomo brizzolato, anche lui di un’eleganza da far schifo.

 

“Giorgio, come va?!” chiese con un sorriso, stringendogli la mano, “e questa bellissima signora? Se è la tua nuova compagna, congratulazioni!”

 

Aridaje co sta compagna!

 

Ma che era?! Parevano tutti più interessati alla vita sentimentale di Mancini che la Ferrari a quella di Calogiuri.

 

“No, è la dottoressa Immacolata Tataranni di-” ricominciò a spiegare, mentre Imma si preparò ad impugnare il bastone.

 

Purtroppo solo figurativamente.

 

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“Calogiuri, che c’hai?”

 

“Niente, niente,” dissimulò, bevendo un altro sorso di prosecco.

 

“Non direi… hai la mascella serrata che pari uno schiaccianoci e se gli sguardi potessero uccidere, Mancini starebbe già su un tavolo autoptico.”

 

“Irene…” sospirò, anche se aveva ragione.

 

Ma Imma quella sera non era solo bellissima, era stupenda: quel vestito le pareva cucito addosso da tanto che le sottolineava le forme.

 

E, da un lato, lo faceva impazzire di desiderio, dall’altro lato però Mancini se la stava monopolizzando ormai da più di mezz’ora, portandola di qua e di là per la sala. E un po’ a braccetto, e un po’ con la mano su una delle spalle, che peraltro erano praticamente nude. Ad un certo punto le aveva perfino preso una mano e ci aveva picchiettato sopra con l’altra. Per carità, potevano essere gesti galanti e cortesi, ma… gli davano un fastidio tremendo.

 

Aveva sentito pure qualcuno chiedersi se quella fosse la nuova compagna del procuratore capo.


E questo lo faceva impazzire per altri motivi.

 

“Guarda che Mancini l’anno scorso ha fatto fare il tour anche a me, che ero nuova. Non ti devi preoccupare,” lo rassicurò e si sentì toccare il braccio, “senti, ora vado anche io a parlare con un po’ di persone che non posso non salutare, tu cerca di distrarti e di socializzare, che è importante. O vuoi che ti presenti io ad un po’ di gente? Almeno non stai qui a mangiarti il fegato.”

 

“Va bene,” annuì lui con un sospiro, anche se non riusciva a staccare gli occhi di dosso da Imma.

 

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“Dottore, vuole che spaventi qualche altro invitato o abbiamo quasi finito?”

 

“Sinceramente mi sto divertendo talmente tanto a sentire i suoi commenti al vetriolo che la porterei anche da quelli che non devono stare in campana,” ironizzò Mancini, porgendole un calice di vino. Del resto, a furia di parlare, aveva la gola secca.

 

Che le divenne un deserto quando, alzando gli occhi, vide che Calogiuri stava ancora con la cara Irene, che se lo portava pure lei in giro, presentandolo a persone che evidentemente non erano sulla lista nera di Mancini, visto che non erano tra quelli con cui aveva parlato.

 

Ma che era? La sua guardia del corpo? Il suo pigmalione?

 

Almeno Mancini aveva un motivo professionale, ma quella… ogni scusa era buona per attaccarsi al suo Calogiuri e monopolizzarselo.

 

E questo la mandava in bestia.

“Dottoressa?!”


“Come?” chiese, confusa: per il fastidio si era persa l’ultimo pezzo di conversazione.

 

“L’assessore deve averla fatta parecchio scaldare, vista la sua espressione.”

 

“Diciamo che i politici li digerisco ancora meno degli imprenditori. Forse giusto un poco di più degli avvocati.”

 

Soprattutto di un avvocato, con il quale avrebbe fatto i conti a breve.

 

“Le chiedevo se volesse mangiare qualcosa. Non abbiamo quasi toccato cibo ed è meglio approfittare di quest’attimo di tregua.”

 

“Ah, sì, sì, grazie. Ma non vorrei approfittare troppo del suo tempo, dottore,” rispose, mentre lui le faceva strada verso il buffet.


“Si figuri, lei è il nostro nuovo acquisto, se così si può dire. E poi ammetto di essermi raramente divertito tanto a questi eventi.”

 

Certo che era proprio diverso da Vitali, al quale sarebbe già venuto un coccolone con quello che aveva detto alla metà degli invitati con i quali aveva parlato.


Forse pure ad un quarto.

 

Arrivarono al buffet e scelse le cose dall’aspetto meno improbabile: detestava il cosiddetto finger food e quelle robe da nouvelle cousine.

 

“Senta dottore, posso farle una domanda personale?” prese infine coraggio, la curiosità che ebbe il sopravvento.

 

“Dipende dalla domanda,” ribattè lui con un altro sorriso, ma sembrò intrigato.

 

“Perché tutti quanti le chiedono se ha una nuova compagna, manco dovesse essere un evento storico?”

 

“Vede… cinque anni fa sono rimasto vedovo, purtroppo. E da allora… diciamo che non ho più avuto una relazione ufficiale, se capisce cosa intendo. Quindi….”


“Mi dispiace, io… non immaginavo!” si scusò, per una volta sinceramente mortificata.

 

“Ma si figuri, dottoressa! Capisco che dopo aver sentito quella domanda allo sfinimento… e poi ormai ho superato tutte le fasi del lutto. Anche se è una cosa che ti rimane dentro. Posso fargliela invece io una domanda personale?”

 

“Dipende dalla domanda,” lo imitò, facendolo sorridere.

 

“Perché è venuta qui a Roma, lasciando Matera? Una scelta coraggiosa dopo tanti anni di servizio.”

 

“Perché mi sono separata da mio marito, mia figlia studierà qui per un po’ di anni e… e Roma mi è sempre piaciuta. Ed è il posto migliore da cui ricominciare.”

 

“Ah, mi dispiace per la separazione: non sapevo lei fosse sposata e con una figlia. Quanti anni ha?”

 

“Diciannove, va per i venti. Lei ha figli, dottore?”


“No, no, purtroppo no. Li avrei voluti ma… non sono mai arrivati. Ma forse era destino così…” commentò con un sospiro.

 

Imma si sentì improvvisamente un po’ a disagio, come sempre capitava quando una conversazione diventava più intima, salvo con poche persone.

 

“Ora credo che la lascerò ai suoi altri ospiti, dottore, se non ha più bisogno di me,” provò a smarcarsi, ma Mancini scosse il capo.

 

“Ho ancora un tre o quattro persone a cui presentarla, se pensa di farcela,” proclamò in quel tono a cui era impossibile dire di no, perché era di fatto un mezzo ordine.

 

Imma sospirò e si lasciò condurre verso l’ennesimo individuo con troppi soldi e troppi pochi scrupoli.

 

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“Calogiuri!”

 

Irene si era appena allontanata per parlare con altri amici suoi ma lui aveva preferito smettere per un attimo di socializzare ed avvicinarsi al buffet, anche perché stava tenendo d’occhio di soppiatto Imma che, lì vicino, parlava ancora con Mancini.

 

Ed ora arrivava quel cretino di Carminati, con Rosati, Conti e Mariani al seguito.

 

“Ti ho visto… tutta la sera con la Ferrari! Ma che ci fai tu alle donne, Calogiuri? Quando lo ammetterete che avete una relazione? Beato te!” commentò Carminati e Conti di nuovo sembrò rabbuiarsi.


Che aveva un debole per la Ferrari sarebbe stato chiaro pure a un cieco.

 

“Quando ce la avremo, cioè presumibilmente mai, Carminati,” sospirò, prendendo un’altra tartina e sperando così che la piantasse di parlare e lo lasciasse mangiare.

 

“Comunque la vera sorpresa della serata è la Tataranni…” si inserì Rosati e Carminati annuì con un’altra risata.


“Vero! Chi lo avrebbe detto che sotto quei sacchi di patate nascondeva un fisico del genere? Davvero è una gran bella donna, Calogiuri, c’hai proprio l’occhio clinico tu! O non sarà che-”

 

“Sarà che l’ho vista con gli abiti estivi. E comunque non ci vuole l’occhio clinico per vedere quando una donna è bella, sei tu che hai problemi di vista, Carminati, visto che guardi solo le scollature e non dico che altro.”

 

“Sarà… comunque se è single… un pensierino me lo farei… certo è un po’ matura, ma con tutto quell’animalier… se è così una tigre pure in altri ambiti…”

 

“Di sicuro lei non si farebbe un pensierino su di te, Carminati. Quindi direi che puoi pure evitarti di chiedertelo, tanto non lo scoprirai mai.”


“Calogiuri, come sei sensibile, e dai! Ho pure riconosciuto che è una bella donna! Ma non sarà mica che c’hai un debole anche per la Tataranni? Una PM non ti basta? Lasciane un po’ anche agli altri!” ironizzò Carminati, imperterrito, e Calogiuri era ad un millimetro dal buttargli lo spumante in faccia o dargli direttamente un pugno, “a parte che mi sa che le ha già messo gli occhi addosso Mancini. E quello alle donne piace pure più di te, Calogiuri, quindi c’avresti concorrenza.”

 

“Tu invece sei proprio in un’altra categoria, Carminati, e non farmi dire quale. E io mo me ne vado in bagno perchè sinceramente non ne posso più di ascoltarti!”

 

“Mi sa che il debole per la Tataranni ce l’hai sul serio. Occhio a non fare ingelosire la Ferrari, che quella ti stende,” gli urlò dietro, ma Calogiuri si avviò a passo rapido, prima di fare un casino, seguito da un’occhiata preoccupata di Mariani.

 

L’ultima cosa che vide, prima di uscire dal salone, fu che Imma ancora con Mancini stava. Ed era ormai passata più di un’ora.

 

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“La ringrazio della pazienza, dottoressa. Ha resistito più di quanto mi aspettassi.”

 

“Sinceramente, se mi si lascia dare libero sfogo, ammetto che socializzare non è poi così male. Anche se le controparti di stasera non concorderanno,” scherzò, prima di aggiungere, “però ora se non le dispiace mi riposerei un poco.”

 

Mancini le sembrò un attimo dispiaciuto ma poi annuì, “va bene, cerchi di godersi la festa, dottoressa. Grazie ancora per il suo contributo di stasera. Vorrà dire che dopo il bastone, ora sarà il turno della carota.”

 

E, con un sorriso, si allontanò da lei.

 

Imma non se lo fece ripetere due volte e si avviò verso il bagno, che era tutta la sera che necessitava di andarci.

 

Fece più in fretta che poteva, si lavò le mani e poi uscì con un sospiro, pronta ad unirsi alla bolgia.

 

Ma, passando oltre una porta, si sentì afferrare per un polso e trascinare dentro.

 

Stava per cacciare un urlo quando riconobbe due occhi azzurri e una voce che diceva, “sono io, tranquilla!”

 

“Calogiuri, ma sei matto?! Un colpo mi hai fatto prendere!” esclamò, mentre Calogiuri la metteva, letteralmente, con le spalle al muro.

 

“Sei tu che mi hai fatto prendere un colpo, con questo vestito! Ed è tutta la sera che lo volevo fare, ma tu stavi sempre attaccata a Mancini,” chiarì, con un tono che erano mesi che non gli sentiva.

 

Da quando, molto raramente, lui incontrava o parlavano di Pietro, pure senza nominarlo. Anzi, forse no, neanche allora.

 

“Non dirmi che sei geloso, Calogiù,” lo punzecchiò e, se da un lato la cosa le faceva piacere, che non fosse solo lei la gelosa della coppia, dall’altro lato ne era sorpresa perché non ce n’era veramente motivo.

 

“Sì, sono geloso, e pure parecchio. E lo sai o lo dovresti sapere, perché lo sono da sempre. Solo che prima non avevo alcun diritto di esserlo e quindi dovevo tenermelo per me, mentre mo…”


“Mo puoi rapirmi in stanze buie contro la mia volontà?” ironizzò, non riuscendo però a trattenere un sorriso.

 

“Non mi sembra che sia contro la tua volontà,” replicò, due secondi prima di incollare le labbra alle sue e levarle del tutto il fiato.

 

Si godette il bacio, le mani che gli finivano tra i capelli, accarezzandoglieli, ma poi lui iniziò a baciarle il collo, scendendo verso la scollatura, e la schiacciò di più contro al muro e poteva sentire quanto fosse eccitato, “hai un’idea di quanto mi fai impazzire?!”

 

“Calogiù… Calogiù…” lo fermò, bloccandogli le spalle e spingendolo leggermente via, “è meglio che ci diamo una calmata mo. Lo sai che non possiamo farci scoprire. E soprattutto non così.”

 

Calogiuri annuì con un sospiro ed uno sguardo frustrati che le fecero tenerezza, “dai che quando arriviamo a casa recuperiamo, promesso.”

 

“Tra quanto ce ne possiamo andare?” domandò lui, per tutta risposta, e le venne da ridere.

 

“Direi non prima di una mezz’ora, Calogiù e credimi, pesa a me quanto a te. Però mo andiamo,” lo invitò, per poi trattenerlo per un braccio e lui le rivolse uno sguardo speranzoso, “anzi, aspetta che devi pulirti le labbra. Che dubito capirebbero perché indossi il rossetto.”

 

“Mi sa che pure tu devi andare un attimo in bagno: con i baci ho fatto un po’ un macello,” ammise lui ma c’era una lieve soddisfazione nel tono di voce.

 

Adorava quando faceva così.

 

Gli diede un ultimo bacio, gli risistemò la cravatta e, quatta quatta, tornò in bagno.

 

Alla faccia del macello! Il rossetto era tutto sbavato e ne aveva qualche traccia pure sul collo.

 

Ma non sarebbe mai riuscita ad arrabbiarsene.

 

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Stava aspettando un taxi. C’era una fila infinita di gente prima di lei. Sarebbe stata una lunga attesa.

 

Ad un certo punto una macchina scura e parecchio lussuosa le si fermò davanti. Il finestrino si abbassò e vide che era il procuratore capo.

 

“Ha bisogno di un passaggio, dottoressa?” le chiese con un sorriso.

 

Esitò un attimo, “dottore, se offre un passaggio a me dovrebbe offrirlo a mezza procura, lo sa?”

 

“Ma non ho tenuto mezza procura impegnata per quasi tutta la serata. Su, salga, non mi faccia sentire in colpa per averla quasi costretta a presenziare.”

 

Imma sospirò e si disse che, in fondo, non c’era nulla di male. Era vero, l’aveva fatta lavorare un sacco quella sera, ci stava che si volesse sdebitare.

 

“D’accordo,” annuì, aprendo la portiera e sedendosi accanto a lui, perché sicuramente non poteva farle da autista.

 

“Mi dovrebbe dire dove abita, perché non ne ho idea.”

 

“Non è molto distante,” spiegò, dandogli l’indirizzo, e il procuratore capo lo inserì rapidamente nel navigatore.

 

“Ci sarà traffico ma tra poco sarà a casa, dottoressa. Vicino alla procura, vedo. Comodo.”

 

“Sì, la mattina così vengo a piedi.”

 

“Io sto un po’ più distante, invece, verso Villa Borghese.”

 

Zona ancora più cara! - rifletté Imma, ma del resto al procuratore evidentemente le risorse economiche non mancavano.

 

Il resto del viaggio trascorse in silenzio, ma non spiacevole, anzi apprezzava che Mancini non cercasse di fare conversazione a tutti i costi.

 

“Eccoci qui,” proclamò, fermandosi esattamente di fronte al suo portone, “allora a lunedì, dottoressa. Passi una buona domenica.”

 

“Anche lei, dottore. E grazie per il passaggio,” rispose con un sorriso, scendendo dalla macchina.

 

Lo vide però rimanere fermo finché non ebbe aperto il portoncino e solo allora ripartì. Premuroso il procuratore capo.

 

Stava per chiudere il portoncino, quando notò una figura scura avvicinarsi dall’altro lato della strada. E per fortuna stavolta lo riconobbe subito.

 

“Calogiù! Che ci fai lì? Vieni!”

 

“Stavo aspettando che tornassi col taxi per accertarmi che fosse tutto a posto. E invece… vedo che hai avuto l’autista,” proclamò con un tono sarcastico che era più da lei che da lui.

 

E rieccola la gelosia!


“Calogiuri, dai, mi ha offerto un passaggio per ringraziarmi per averlo aiutato per tutta la serata o quasi e-”

 

“Appunto!”

 

“Non posso credere che tu sia sul serio geloso del procuratore capo. Guarda che non c’è proprio niente di cui preoccuparsi, veramente,” lo rassicurò, chiudendo il portone dietro di loro e allacciandogli le braccia intorno al collo, “punto primo, non penso sia minimamente interessato a me in quel senso, ma soprattutto ho già te e dovrei essere proprio scema a lasciarti scappare!”

 

E Calogiuri sorrise, “ah sì?”

 

“Sì.”

 

“Sbaglio o hai una certa promessa da mantenere, dottoressa?” le chiese, riprendendo a baciarle il collo e le sfuggì un mugolio quando ci lasciò un piccolo morso.

 

“Se riusciamo ad arrivare nell’appartamento e non nell’androne del palazzo, magari, prima che inizi a fare Dracula.”

 

“Senti chi parla!”

 

Ridendo, si infilarono nell’ascensore e premettero il pulsante. Calogiuri non perse tempo ed iniziò già a baciarla con passione.


Riuscì appena a svicolare un attimo, aprire il portoncino e richiuderlo dietro di loro, quando ci si trovò schiacciata contro, travolta da un bacio famelico, le mani di Calogiuri che vagavano e trovavano la zip del vestito, iniziando ad abbassarla, fino a che scivolò a terra, in una pozza di stoffa.

 

Si sentì prendere in braccio e, mentre le mordicchiava il labbro e la intrappolava contro al muro, qualcosa le disse che in camera da letto non ci sarebbero arrivati proprio.

 

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Sentì labbra sulla nuca e che scendevano lungo la spina dorsale, le mani che la tenevano abbracciata da dietro fino a poco prima che riprendevano la loro tortura di carezze.

 

“Calogiù!” esclamò, ridendo per il solletico involontario, tirando indietro un braccio per cercare di afferrargli la nuca, “ma stasera sei veramente insaziabile, che ti prende?!”

 

Dopo aver battezzato l’ingresso, avevano fatto un piccolo detour nel salotto e infine a letto. E ora lui ricominciava.

 

“Che mi prende? Che con quel vestito stasera eri… e devo rifarmi di ore di attesa, dottoressa.”

 

Imma rise, soddisfatta. Il vestito era stato sicuramente un buon investimento, per molti motivi, ma quello sarebbe già stato sufficiente.

 

E poi il riso si trasformò in un grido, soffocato a fatica nel cuscino.

 

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“Buongiorno…”

 

“Mmm… ma che ore sono?” si stiracchiò, spalancando gli occhi ed incrociandone due azzurri e già vispi.

 

“Le undici, ora di alzarsi,” pronunciò, posandole un bacio sulle labbra e poi sentì un aroma di caffè, prima che un vassoio le venisse adagiato sulle gambe.

 

“Colazione a letto?! A cosa devo questo onore?”

 

“Al vestito di ieri sera, a questa notte, a tutto…” proclamò lui in quel modo schietto che la faceva impazzire.


E sì, quelli del vestito erano stati decisamente soldi ottimamente investiti.

 

Dopo un altro bacio, iniziò a mangiare il suo bombolone alla crema e a bere il caffelatte, quando, improvvisamente, suonarono alla porta.

 

“Oddio… non è che è Valentina?” si chiese, perché chi altro poteva essere a quell’ora di domenica mattina?

 

“Mi offrirei di andare io ma....” disse Calogiuri, che era leggermente più vestito di lei.

 

“No, no, aspetta qua,” rispose, infilandosi il primo maglione e la prima gonna che le capitarono a tiro.

 

Arrivò al citofono e, alla richiesta di chi fosse, risposero: “il fioraio.”

 

Imma sorrise: Calogiuri era proprio un tesoro - oltre che un cretino a farle prendere questi colpi - e lo fece salire.

 

Le lasciò un piccolo mazzo di rose bianche. Strano, per essere di Calogiuri, ma magari aveva voluto variare un po’ e in fondo simboleggiavano un amore puro e incondizionato. Ed il suo lo era veramente.

 

Firmò la ricevuta, salutò il fioraio e tornò in camera da letto con le rose in una mano, abbracciandoselo stretto e sussurrandogli, “grazie…” in un orecchio.

 

“Veramente non te le ho mandate io…” rispose, con un tono per nulla felice, ed Imma si ritrasse dall’abbraccio, guardò il mazzo, poi guardò lui, incredula.

 

“Come?!”

 

“Non te le ho mandate io, Imma,” ripetè, sembrando sempre più contrariato.

 

E lo capiva pure ma-

 

“Ma allora chi…?” si chiese, prima di vedere un minuscolo biglietto tra le rose.

 

Bianco nel bianco le era sfuggito.

 

Lo aprì e ci lesse poche righe.

 

Grazie per le bastonate e per avermi fatto divertire come non capitava da molto tempo. Spero sarà dei nostri ancora per un bel po’ e che avrò altre occasioni di vederla in azione.

GM

 

GM. Giorgio Mancini. Si sentì avvampare anche se il messaggio era tutto sommato professionale, ma si chiedeva se fosse normale che Mancini inviasse fiori - per quanto rose bianche - alle sue sottoposte.

 

“E allora?” chiese Calogiuri, un’espressione imbronciata che la intenerì immensamente.

 

“Leggi tu stesso…” gli disse, porgendogli il biglietto, perché non aveva niente da nascondere.

 

Calogiuri, per tutta risposta, si imbronciò ancora di più, la mascella che gli si serrava.

 

“E poi dici che non è interessato a te?”


“Calogiù, dai, è un messaggio professionale. Sono rose bianche, non rosse. Al momento posso considerarlo un ringraziamento ed un benvenuto.”

 

“Un benvenuto molto accorato,” ribattè Calogiuri e le venne da ridere, e se lo abbracciò anche se lui rimase rigido.

 

“Senti, Calogiuri, facciamo così: se ci saranno ulteriori gesti di Mancini o cose che possano far capire un suo interesse nei miei confronti, te lo farò sapere subito, va bene? Ma al momento almeno lui non mi invita a fare uscite come la cara Irene.”

 

“Ma la cara Irene non mi ha mai mandato fiori, né regali.”

 

“No, però ti sta sempre appiccicata pure lei. Anche ieri sera. Che pensi che non l’ho notato?”

 

“Mi stava presentando ai suoi conoscenti.”


“E Mancini ai suoi… quelli a cui voleva male, in realtà,” rispose lei con un sorriso, per poi accarezzargli il viso, “e poi ti garantisco che sono totalmente, completamente soddisfatta della relazione che ho con te, quindi perché dovrei guardarmi intorno?”

 

“E perché dovrei farlo io, allora?”

 

“E perché stiamo discutendo invece di finire la colazione che si fredda?”

 

“Il caffelatte posso sempre rifarlo, ora avrei un’idea migliore…” ribattè lui, appoggiando il vassoio a terra, afferrandola per la vita e buttandola sul materasso, facendole il solletico.

 

Ed il mazzo di rose bianche finì poco cerimoniosamente a terra, lasciando una scia di petali sul letto.

 

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“Buongiorno signora Marchi, si accomodi, prego.”

 

La donna, elegantissima e sulla trentina, si accomodò dove le fu chiesto. Imma aveva fatto un po’ di ricerche sul suo conto: anche lei figlia di industriali, lei e Spaziani figlio stavano insieme da qualche anno.

 

Una coppia di giovani rampolli, anche se la situazione economica di lui appariva sempre meno dorata.

 

“Mi dica, cosa vuole sapere?”

 

“Mi conferma che il suo fidanzato, Amedeo Spaziani, ha lasciato il suo appartamento alle ore ventitre la sera prima che morisse suo padre?”

 

“Sì, glielo confermo, ma l’avevo già detto al maresciallo qui,” ribatté con un sottotono della serie perché mi fai perdere tempo?

 

Non fosse che c’aveva di meglio da fare, l’avrebbe tenuta lì ore di proposito solo per quello.

 

“In che rapporti era con il signor Spaziani, il padre?”

 

“Quasi nessun rapporto negli ultimi anni. Lo conoscevo tramite mio padre al circolo, è così che ci siamo conosciuti io e Amedeo. Ma poi da quando si è risposato… Amedeo si è molto allontanato dal padre e di conseguenza ho avuto poche occasioni di rivederlo.”

 

“Quando l’ha visto l’ultima volta?”

 

“Un paio di anni fa, al circolo, poco prima che le sue condizioni peggiorassero e quindi poi di casa non è quasi più uscito. La data precisa ovviamente non la ricordo.”

 

“In che rapporti era il suo fidanzato con suo padre?”

 

“Tesi. Per via della matrigna. Ma Amedeo voleva bene al padre, era preoccupato per le sue condizioni di salute, ma era più preoccupato ancora che la sua nuova moglie se ne approfittasse.”

 

“Ed economicamente com’è messo il suo fidanzato, che lei sappia?”

 

“Beh, bene, molto bene, credo,” rispose ed Imma notò che pareva sinceramente stupita di quella domanda, “insomma, l’azienda a quanto ne so va molto bene e ha un alto tenore di vita. Facciamo spesso viaggi. Mi fa regali abbastanza costosi. Come io a lui del resto. Insomma, non ci possiamo lamentare.”

 

“Bene,” disse, senza elaborare oltre, ma lanciando un’occhiata d’intesa a Calogiuri.

 

Amedeo Spaziani stava mentendo sulla sua situazione economica, sicuramente alla fidanzata ma forse pure ad altri. E vivendo evidentemente al di sopra delle sue possibilità per nascondere i problemi finanziari.

 

E l’eredità del padre a quel punto poteva essere un ottimo movente.

 

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“Calogiuri, tutto bene? Ti vedo pensieroso.”

 

“Sì, sì, scusami, cioè, scusatemi”

 

“Tanto non c’è nessuno in giro, puoi pure darmi del tu. Allora, che ti prende? Sono cinque minuti buoni che fissi lo stesso foglio di quel fascicolo e non è da te.”

 

“No, niente, riflettevo sul caso,” mentì ma venne accolto da un’occhiata scettica.

 

“Le palle le sai raccontare proprio male, Calogiuri. Allora, mi vuoi dire che succede?”

 

“L’anno scorso alla festa annuale, mi hai detto che Mancini ti ha tenuta impegnata quasi tutta la sera, giusto?”

 

“Sì, mi ha presentata a mezzo mondo. E quindi?” chiese, perplessa, prima di aggiungere, con un sorriso, “Calogiuri, non dirmi che sei un tipo geloso perché lo stereotipo di uomo del sud proprio non ti si addice. E ti ho già detto che non ti devi preoccupare.”

 

“No, ma… poi ti ha mai fatto che ne so… omaggi o regali…?"

 

“Ma chi, Mancini?” domandò, ancora più perplessa, “no, ovviamente no, perché avrebbe dovuto? Qui in procura non c’è l’usanza, per quanto ne so, ovviamente. Manco io e te ci siamo mai fatti regali. Se no ad ogni ricorrenza ci dovremmo svenare, siamo talmente in tanti.”

 

“No, niente, curiosità, volevo capire quanto fosse… gentile, insomma,” provò ad abbozzare, anche se dentro sentiva l’ansia mista a fastidio che montavano.

 

I fiori ad Irene non li aveva mandati il procuratore capo. Ed Imma ancora pensava che fosse un gesto professionale.


“Calogiuri, comunque, guarda, di Mancini non ti devi preoccupare. A quanto ne so io, da quando è rimasto vedovo non ha avuto storie ufficiali. E le sue storielle se le fa ben lontane dalla procura, non è stupido.”

 

Si chiese se gli stesse implicitamente dando dello stupido, ma lei si affrettò ad aggiungere, con un sorriso, “niente di personale, Calogiuri.”

 

Gli leggeva veramente nella mente, Irene. Lo conosceva troppo bene, ormai.

 

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“Dottoressa! Buongiorno, com’è andata la sua domenica?”

 

“Bene, dottore, la ringrazio. Anche per i fiori, ma non doveva disturbarsi,” rispose, perché sapeva che fosse la cosa cortese da fare e perché voleva valutare la reazione di lui.

 

“Ma si figuri! Lo consideri un piccolo ringraziamento per l’altra sera e per il lavoro fatto in questi mesi. Allora, mi dica, aveva bisogno di me?” le chiese con un sorriso e Imma cercò di capire se ci fossero doppi sensi ma le sembrava semplicemente cordiale.

 

“Sì, riguardo al caso di Alina. Abbiamo rintracciato una collega che era presente su entrambe le scene del crimine. Si chiama Maja, ma ora va sotto lo pseudonimo Monique. Voglio mandare uno degli uomini ad un appuntamento con lei. Ma mi serve la sua autorizzazione per i fondi e ovviamente per la missione sotto copertura, anche se di brevissima durata.”

 

“Va bene, dottoressa, non c’è problema. La ragazza lavora qui a Roma, immagino?”

 

“Certo.”

 

“Perfetto, quindi a parte i fondi per l’appuntamento non le serve altro, presumo. E tanto li riavremo indietro. Chi vuole mandare della PG?”

 

“Calogiuri,” proclamò, anche se la lingua si rifiutava di cooperare.

 

Oggettivamente era quello di cui si fidava di più e sarebbe sembrato sospetto, oltretutto, se non avesse mandato lui. Sperava di non pentirsene, ma dai tempi di Lolita erano cambiate molte cose e si era ripromessa di essere meno gelosa.

 

“Non proprio il prototipo dell’uomo che va ad escort. Ma Carminati, che ha il physique du rôle in effetti rischia di entrare un po’ troppo nella parte,” ironizzò Mancini, prima di aggiungere, “d’accordo, dottoressa, ha la mia autorizzazione. Noto che si fida moltissimo del maresciallo Calogiuri, del resto lavorate insieme da molto tempo.”

 

“Sì, dottore.”

 

“Devo dire che anche la dottoressa Ferrari lo considera il suo braccio destro. Ha fatto un ottimo lavoro con lui a Matera, dottoressa.”

 

“Grazie, dottore. Ma il potenziale era ed è del maresciallo.”

 

“Allora buon lavoro, dottoressa. Mi faccia poi avere il rapporto di come andrà l’operazione.”

 

“Naturalmente, dottore, buon lavoro anche a lei.”

 

Si chiuse la porta dietro di sé e scosse il capo: Mancini era perfettamente normale con lei. L’idea che potesse avere dei doppi fini doveva esserle stata trasmessa dalla gelosia di Calogiuri, ma non c’era nulla di cui preoccuparsi.

 

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“Avevate bisogno di me dottoressa?”

 

“Sì,” rispose, facendogli cenno di sedersi, anche se fu tentata di chiedergli se fosse una domanda retorica. Perché la risposta la conosceva benissimo.

 

“Ascolta, Calogiuri, ti devo parlare per due motivi. Il primo è per il caso di Alina. Mariani è riuscita a fissare un appuntamento con Maja Varga, una escort presente sia alla festa in cui è stato ritrovato Lombardi, sia a quella in cui è morta Alina. Ora dobbiamo incontrarla e portarla in procura. Dovresti quindi fingerti il cliente e… diciamo che è già stata fermata per detenzione di droga, quindi se ne ha con sé hai la scusa buona per portarla qui e farmela interrogare.”

 

Calogiuri sembrò un attimo stupito: forse non se lo aspettava vista la sua gelosia o forse anche lui stava ripensando a Lolita. Ma alla fine le fece un sorriso bellissimo che la ripagò della lotta interna che aveva fatto con se stessa per chiederlo proprio a lui.

 

“Naturalmente, dottoressa, vi garantisco che farò del mio meglio per ripagare la vostra fiducia.”

 

Ed Imma ricambio il sorriso, ma poi gli fece un’occhiata eloquente e gli intimò, “sarà meglio, Calogiuri.”

 

Rimasero per un attimo in silenzio, poi sospirò e sganciò la bomba, “Calogiuri, ti ricordi l’avvocato che è nei tabulati telefonici di Barbara Spaziani?”

 

“Chi? Andrea… Andrea…”

 

“Galiano.”

 

“Sì, volete interrogarlo, dottoressa?”

 

“Sì, ma non è questo,” sospirò nuovamente, prima di aggiungere, a voce più bassa, “è il figlio di Chiara Latronico.”

 

Calogiuri spalancò un attimo la bocca e poi la richiuse: gli aveva raccontato a grandi linee di com’era andata con Chiara in hotel e di avere conosciuto suo figlio, ma non come si chiamasse. Ma ora il momento era giunto.

 

“E… e che cosa pensate di fare?”

 

“Vorrei interrogarlo, ovviamente ma… ma magari non qui in procura, per cominciare. In un bar, ad esempio. Che te ne pare, Calogiuri?”

 

“Ma lo chiedete a me?” domandò, sorpreso.

 

“E a chi se no?”

 

“Credo… credo sia una buona idea. Volete quindi contattarlo voi, visto che… insomma… lo conoscete?”

 

“Sì, così penserà a un incontro personale. Ma vorrei mi accompagnassi, Calogiuri.”

 

E Calogiuri le regalò di nuovo quel sorriso luminoso, come se gli avesse fatto un regalo, anche se era una bella gatta da pelare.

 

“Naturalmente, dottoressa. Grazie della fiducia.”

 

“Magari così ti metterai in testa che di te mi fido. Invece… invece di qualcun’altra non mi sarei dovuta fidare e mo… questo complica tutto.”

 

“Ma… ma intendete… insomma… la Latronico?” le chiese, in poco più di un sussurro.


“Già.”

 

“Ma… ma quando ha iniziato a chiedervi di incontrarvi a Matera, Spaziani era ancora vivo e vegeto.”

 

“Ma quando ci siamo incontrate a Roma no.”

 

“E voi pensate che… sapesse che il figlio è coinvolto in quest’indagine?”

 

“Ti stupirebbe veramente, Calogiuri?”

 

“Non… non so che dire. Se non che forse dovreste parlarne anche con lei.”

 

“Oh, su questo ci puoi scommettere, Calogiuri. Ci puoi scommettere.”

 

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“Dottoressa. Non mi aspettavo questo invito, sinceramente. Mia madre nel frattempo è rientrata a Matera e-”

 

“E capirà le ragioni dell’invito tra poco, avvocato. Prego, si accomodi,” ribattè, facendogli segno di sedersi all’altra sedia libera del tavolino del bar, per poi fare segno verso il suo accompagnatore, “il maresciallo Ippazio Calogiuri.”

 

“Piacere, ma… come mai è qui? E lei non mi dava del tu l’ultima volta che ci siamo visti?”

 

“Eh, lo so avvocato. Ma purtroppo questa volta non è una visita di cortesia e ho preferito per intanto convocarla al bar invece che in procura ma… diciamo che lei è persona informata sui fatti di un’indagine che sto seguendo.”

 

“Quale indagine?”

 

“Suvvia, avvocato. Il nome Barbara Spaziani o Ricci, che dir si voglia, non le dice niente?”

 

Andrea Galiano deglutì visibilmente e apparve nervoso. Per essere un avvocato non era affatto al livello dello zio, anche se nel suo ambito non necessitava della stessa faccia di bronzo.

 

“Immagino sia una domanda retorica, dottoressa, e che lei conosca già la risposta.”

 

Almeno non era scemo.

 

“Immagina bene. Abbiamo i tabulati telefonici e risultano chiamate dal numero a lei intestato dello studio alla signora a tutte le ore, perfino a tarda sera. Ora, o la signora ha una parcella da decine di migliaia di euro da saldare di cui nessuno al suo studio è a conoscenza, o mi pare evidente che il vostro rapporto non sia squisitamente professionale.”

 

Il Galiano si passò una mano sugli occhi e poi ammise, “vedo che già sapete tutto. In effetti io e Barbara ci siamo conosciuti anni fa, quando era venuta col marito per la separazione dei beni prima del matrimonio. Poi non ci siamo più rivisti per molto tempo. Ma mi hanno richiamato quando lui doveva essere ricoverato, per fare un accordo in base al quale lui le versava un mensile. Il signor Spaziani temeva che, in caso contrario, il figlio lo avrebbe contestato, conoscendolo. E poi ci siamo rivisti ad un bar per le carte, quando lui era già in ospedale, e… lei sembrava veramente a pezzi. Ed abbiamo iniziato a parlare anche di altro oltre che del lavoro. All’inizio ci mandavamo giusto qualche messaggio ogni tanto, lei mi aveva colpito molto e sembrava molto sola, mi faceva… tenerezza? Non lo so. Ma poi insomma… i messaggi sono aumentati e… ed è nata un’amicizia.”

 

“Un’amicizia che vi fa telefonare fino a mezzanotte e pure oltre? A volte anche tutti i giorni? Mi pare un po’ stretta come amicizia… le ricordo che possiamo inviare la scientifica a far analizzare il suo appartamento e certe tracce restano molto a lungo e non si tolgono facilmente. Ci basta un capello o una traccia di DNA residue. Allora? Non le conviene dirci subito tutto? Lo sa anche lei come funziona, no?”

 

“Va bene… diciamo che… che abbiamo anche iniziato a vederci di persona… e c’era qualcosa di più di un’amicizia... e il resto ve lo potete immaginare.”

 

“Ce lo possiamo immaginare sì, signor Galiano e-”

 

“Ma non voglio che pensiate male di Barbara: lei amava davvero suo marito, anche se mi rendo conto che sembri assurdo che lo dica io. Solo che era sola da tanti anni, sempre in mezzo alla sofferenza, alla malattia e io… credo le dessi un po’ di leggerezza. Ma lei passava anche tantissimo tempo dal marito, lui era la sua priorità e lo sapevo, l’ho sempre saputo.”

 

“E a lei questo andava bene signor Galiano?”

 

“Che intende dire?”

 

“Che magari… diciamo che eliminato l’ostacolo primario… sareste stati più liberi di vivervi la vostra amicizia. Va bene la signora Spaziani, che rispetto a lei non aveva alternative alla solitudine, ma lei sembrava investire tutto il suo tempo libero in questo rapporto, insomma, essere molto interessato, forse in tutti i sensi. Anche perché resta la possibilità che i soldi di Spaziani potessero fare gola pure a lei che, a quanto vedo dai suoi conti, sta bene economicamente ma non è certo a livello della ricchezza di Spaziani.”

 

Il Galiano spalancò gli occhi e sembrò spaventato e poi deluso e poi quasi rassegnato, “senta, dottoressa, io mi rendo conto che… che tra mio zio e mio nonno la mia famiglia non abbia proprio dei precedenti stellari. Ma io non ucciderei mai una persona, mai. Meno che mai un povero malato. E non avrei dato mai un dolore del genere a Barbara, veramente. Lei è devastata dalla morte del marito, pur con tutta la sofferenza che è stato vederlo stare male per tanto tempo.”

 

“Ha un alibi per la sera e la notte della morte di Spaziani, avvocato?” tagliò corto, con un sopracciglio alzato.

 

“Io… io… non… non ce l’ho. Sono… sono uscito verso le ventuno. Dovevo vedermi con Barbara a Trastevere, per cenare insieme. Ma lei mi ha chiamato e mi ha detto che non se la sentiva di uscire quella sera, che era troppo stanca dopo la giornata in ospedale. E così sono tornato a casa.”


“A che ora è rientrato?”

 

“Verso mezzanotte, più o meno.”

 

“Mezzanotte? O quella sera c’era un traffico tremendo a Roma, avvocato, o tre ore per andare e tornare…. Qualcuno che l’ha vista? Al ristorante magari?”

 

“No, al ristorante non ci sono andato. Ho preso giusto un panino da uno di quei chioschetti sul lungotevere, quelli ambulanti, non mi ricordo quale esattamente. E poi sono andato a farmi una passeggiata al Gianicolo e a vedere la città illuminata. Dopo sono tornato in auto.”

 

“Quindi lei da solo è andato in piena notte, al freddo, a passeggiare in un parco?”

 

“Mi piace Roma di notte, la vista, mi calma e mi dà pace.”


“E c’è qualcuno che possa testimoniare di questa passeggiata?”

 

“C’era in giro qualche coppietta ma… ma non so che dirle dottoressa, nessuno che credo possa ricordarsi di me. Erano presi a fare altro.”

 

Ed Imma si scambiò uno sguardo con Calogiuri.

 

“Quindi in sostanza non ha un alibi ed era pure fuori da casa.”

 

“Dottoressa, non pensavo di averne bisogno, né che succedesse quello che è successo.”

 

Imma sospirò: ovviamente non aveva prove su Galiano ma era molto sospetto.

 

“Lei si rende conto che quando ci siamo visti in hotel Spaziani era già morto? Ed immagino lei sapesse benissimo che mi occupavo io del caso, o dalla signora Spaziani, o perché lo avrà sentito frequentando la procura. Se non avesse avuto niente da nascondere, poteva parlarmene allora, no? Invece che mettermi e mettersi ora in questa posizione. Ricordo ancora come mi diceva che non avremmo mai dovuto avere a che fare in procura e che mi avrebbe fatto ricredere su di lei e sulla famiglia Latronico. Al momento, mi creda, non in positivo.”

 

“Lo sapevo, sì, dottoressa ma… ma non volevo compromettere Barbara che, veramente, oltretutto non c’entra niente. Non sarebbe stato corretto da parte mia nei suoi confronti, non crede?”

 

“Quello che credo o non credo al momento, signor Galiano, è un problema suo ma non la riguarda. Comunque può andare, ma non lasci la città e si tenga a disposizione.”

 

L’uomo sospirò, la guardò con quegli occhi marroni simili a quelli materni - e forse pure un po’ ai suoi - e se ne andò senza dire un’altra parola, probabilmente sapendo che sarebbe stato inutile.

 

“Che ne pensi, Calogiuri?” gli chiese poi, vedendolo pensieroso.

 

“A me, a parte il non volere ammettere la relazione, è sembrato sincero, ma immagino di non essere il più abile a capire quando la gente sta mentendo.”

 

Si chiese se solidarizzasse con Galiano per via della relazione con la Spaziani. I parallelismi erano evidenti pure a lei. Le relazioni extraconiugali dovevano essere una caratteristica di famiglia.

 

La verità era che pure a lei non era sembrato bugiardo, non completamente. Del resto aveva ammesso spontaneamente di essere uscito quella sera, anche se magari già sapeva che dalle telecamere - o magari da un portiere - lo avrebbero potuto verificare. O dalle celle del cellulare. Era pur sempre un avvocato, in fondo.

 

Non sapeva se prevalesse il desiderio di essere scettica e cauta o quello di fidarsi. Di sicuro sapeva che era difficile restare obiettiva e rimaneva molto arrabbiata con lui per non averle detto niente da subito.

 

Prese il cellulare e compose un numero che aveva salvato come Chiara L., forse mo l’avrebbe rinominato volentieri C. Latronico, per ricordarsi esattamente perché non ci si potesse fidare.

 

“Imma?” rispose, dopo un po’ di squilli, “ma che bella sorpresa! Mi fa molto piacere sentirti! Io sono rientrata a Matera, ma forse lo immaginerai. Dimmi.”

 

O era una grande attrice o sembrava realmente felice di sentirla.

 

Ma i Latronico erano dei grandi attori.

 

“Non è una chiamata di cortesia. Tuo figlio è coinvolto in un mio caso. Era l’amante della moglie di un uomo ucciso in una casa di lungodegenza. E non ha un alibi. Oltretutto i fatti sono avvenuti prima che ci incontrassimo a Roma. Volevo avvertirti che ovviamente credo sia meglio non ci sentiamo più e che ti potrei dover convocare per chiederti notizie su tuo figlio e i vostri incontri qui a Roma. Ho già parlato con lui.”

 

Sentì silenzio, tanto che dubitò che la linea fosse caduta o che la Latronico fosse svenuta.


“Non… Imma, lo so che la nostra famiglia è quella che è… ma… mio figlio non farebbe mai male a una mosca, veramente: lui è buono, è generoso, pure se fa l’avvocato. Non… io spero che tu non creda veramente che-”

 

“Poteva parlarmene lui per primo e dirmi la verità ma non l’ha fatto, non-”

 

“Ma se non l’ha fatto è stato sicuramente per non peggiorare la situazione di questa… signora, di cui, credimi, non sapevo niente. O forse per non deludermi, non so, visto che gli ho sempre raccomandato di evitare le donne impegnate e non fare come suo zio e suo nonno. Però… però, veramente, non ammazzerebbe mai qualcuno, non il mio Andrea. Né coprirebbe un omicidio.”

 

“Se è innocente non ha niente da temere. Ma io devo fare come sempre il mio lavoro. Anzi, lo devo fare con ancora più scrupolosità proprio per…  per tutti i pregressi.”

 

“Certo, Imma, lo capisco, ma-”

 

“Mi farò viva io se devo convocarti per un interrogatorio. Devo andare mo,” tagliò corto, perché non sapeva che altro dire e non voleva farsi imbambolare.

 

“Spero che ci potremo risentire per altre ragioni quando tutto questo sarà finito,” rispose la Latronico, anche se le sentiva la voce tremare un poco.

 

Ma Imma chiuse la comunicazione.

 

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“Tutto bene, Calogiuri?”

 

“Sì, dottoressa, non vi preoccupate, riuscite a vedere bene la telecamera?”

 

“Sì, al momento sì.”

 

“E l’audio?”

 

“Buono, Calogiuri. Cerca di rimanere così, mi raccomando, che se ti leva la giacca è un problema,” disse, apparentemente con un tono professionale, visto che stava su una camionetta a poca distanza da lui con Mariani e Conti.

 

Ma la realtà era che sperava che quella a svestire Calogiuri non ci si avvicinasse nemmeno lontanamente. E non solo per la telecamera nascosta nel taschino. Sperò Maja non la notasse, né notasse gli auricolari.

 

“D’accordo, dottoressa,” rispose e gli colse una lieve ironia nella voce, “chiudo.”

 

Col cuore in gola, si costrinse a stare calma, mentre lo vedeva entrare in quell’hotel elegante e lo sentì chiedere della stanza che aveva prenotato, sotto falso nome, ovviamente.

 

Non gli chiesero i documenti ed il receptionist gli passò una chiave magnetica con un sorriso complice.

 

Avrebbero sorriso tutti molto meno in quell’hotel, non appena l’operazione fosse stata conclusa, perché una bella inchiesta per favoreggiamento della prostituzione, più svariate altre imputazioni, non gliela levava nessuno.

 

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Arrivò alla stanza indicata sul cartoncino che accompagnava la chiave. Penultimo piano, zona evidentemente al riparo dagli occhi indiscreti. Si chiese se Maja non fosse l’unica ad utilizzare questo hotel a questo scopo. Del resto, di ricchi annoiati che magari chiedono qualche extra durante il soggiorno ce ne dovevano essere parecchi.

 

Aprì la porta e si trovò di fronte alla Varga, vestita con un abitino nero che definire succinto sarebbe stato riduttivo, e che gli fece un grande sorriso, un’espressione sorpresa sul volto.

 

“Tu sei Marco Caltagirone?”

 

“Sì, perché?”

 

“No, è che dalla chat ti immaginavo diverso. Più vecchio e… e insomma non mi sembri il tipo che ha bisogno di pagarla una donna.”

 

“Ma viaggio tanto per lavoro e non ho molto tempo da perdere. E poi… sai quante donne si avvicinano a me solo perché sono ricco? A quel punto tanto vale pagare una professionista, che è quasi più onesto,” rispose, ripetendo la scusa ufficiale che si erano inventati e sperando suonasse convincente nel suo cinismo e maschilismo.

 

Se lo avessero sentito sua madre e sua sorella lo avrebbero, giustamente, menato.

 

“Vero! Lo dico sempre anche io. Almeno noi non fingiamo di volere altro da voi e voi non fingete di volere altro da noi. Anche se… secondo me non tutte ti si avvicinano solo perché sei ricco. Ma, a proposito, se mi dai i soldi, così possiamo cominciare la… seduta,” rispose, pratica, nemmeno fossero dal medico.

 

Calogiuri estrasse il portafoglio di pelle, preso in prestito da Mancini che lo aveva di marca buona, ed un plico di banconote da cento. Maja le contò e si accertò che ci fossero i mille euro promessi.

 

“Benissimo… ci sono tutti. Allora, che cosa preferisci fare per iniziare?” gli domandò, con un sorriso ed un tono di voce che immaginò dovessero risultare seduttivi, avvicinandosi e mettendogli le mani sulle spalle.


“Aspetta!” la bloccò, prima che potesse levargli la giacca o comunque spostargli la telecamera.

 

“Ah, sei uno di quelli ai quali piace guardare mentre mi spoglio?”

 

“Anche, ma… prima non avresti qualcosa per… tirarci un po’ su... se capisci cosa intendo?”

 

“Come no! Ma sono cento euro extra,” rispose Maja e Calogiuri pensò che pure sullo spaccio facesse una bella cresta. Estrasse un’altra banconota dal portafoglio e gliela diede.

 

“Perfetto. Allora… ecco qui…” proclamò, tirando fuori un piccolo rotolino bianco ed una specie di carta di credito dalla borsetta, che era rimasta su una delle sedie, ed appoggiandolo su uno dei tavolini, dove lo aprì, lasciandone uscire una polvere bianca.

 

Calogiuri aveva visto abbastanza.

 

“A te l’onore…” fece segno lei, ma lui ribatté, “no, prima le signore.”

 

E, mentre Maja si chinava, le bloccò i polsi dietro la schiena.

 

“Ah, ti piace giocare, eh?” gli chiese spingendoglisi contro con il fondoschiena proprio , in quella posizione imbarazzante e Calogiuri si sentì avvampare, e faticò quasi a recuperare le manette dal retro della giacca.

 

Come la ragazza sentì la manetta su un polso, iniziò a divincolarsi, “no, certe cose non le faccio e-”

 

“Maja Varga, sei in arresto per detenzione e spaccio di stupefacenti,” la interruppe, chiudendole anche l’altro polso e Maja prima si bloccò, poi iniziò a divincolarsi ancora di più, “stai calma e non succederà niente.”

 

“Maledizione!” urlò lei, seguito da una serie di epiteti intelligibili in quello che doveva essere ungherese ma che di sicuro erano come minimo insulti.

 

Dopo un altro po’ di minuti in cui cercava di tenerla bloccata, finalmente la porta si spalancò ed entrò Mariani. Conti doveva essere rimasto giù in reception con il receptionist e chissà chi altri.

 

“Dai, Calogiuri, ti dò una mano così la portiamo fuori. Signora Varga, ha un cappotto da indossare?”

 

Lo videro su una delle sedie e provò a metterglielo addosso, ma continuava a muoversi. Alla fine però si arrese e si lasciò coprire.

 

“Dovevo capirlo… eri troppo bello per essere uno che va ad escort, quando puoi avere gratis tutte le donne che vuoi…” proclamò infine, scuotendo il capo, quasi a darsi della cretina, prima di farsi condurre da Mariani alla porta.

 

“Operazione conclusa,” proclamò al microfono, aspettando che gli auricolari riprendessero vita, “che devo fare ora? Chiamo la scientifica per la stanza?”

 

“Difficilmente ci sarà qualcosa a parte le tracce di Maja e tue ma vale la pena fare un tentativo. Noi abbiamo bloccato il receptionist e mo vado a parlare con il direttore dell’albergo. Bel lavoro Calogiuri! Se vuoi puoi raggiungermi per l’interrogatorio.”

 

Le sentì il sollievo e l’orgoglio nella voce. E, come sempre accadeva in questi casi, quel senso di gioia, di pace e di soddisfazione profondissima lo invasero al sapere che lei era fiera di lui.

 

E questa era la cosa che contava di più.

 

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“Allora, signora Varga, la avviso che al momento è accusata di detenzione e spaccio di stupefacenti. Visto l’arresto precedente, si aggiunge l’aggravante della reiterazione del reato. Ma siamo disposti a venirle incontro, se lei risponde ad alcune nostre domande.”

 

“Sulla droga?” chiese Maja, sembrando sorpresa, e guardandosi in giro nell’ufficio di Imma: probabilmente si aspettava di finire in un commissariato o in caserma.

 

“Anche, ma più che altro su una ragazza che… diciamo che lavorava spesso con lei. Sappiamo che si chiamava Alina ed ecco la sua foto,” disse Calogiuri, mostrandole l’immagine meno peggio della ragazza tra quelle scattate all’obitorio.

 

Maja spalancò gli occhi, il labbro le si contrasse per un secondo, ma poi scosse il capo e disse con una voce solo in apparenza ferma, ma con un lieve tremore che non riusciva del tutto a celare, “non la conosco, anzi, non la conoscevo, visto che mi pare evidente che sia morta.”

 

“Ascolta, Maja," intervenne Imma, "ti dò del tu perché sotto tutto quel trucco credo tu abbia meno anni di quelli che dimostri. Abbiamo le prove che tu e lei eravate diciamo… al lavoro insieme almeno in due differenti posti. Alla festa dove l’onorevole Lombardi… è sfortunatamente finito in overdose e pure alla festa dove Alina è stata ritrovata morta. Guarda caso sempre overdose. E il risultato lo vedi in quella foto. Ora, non ci prendere per scemi: è evidente che vi conoscevate e se collabori noi-”

 

“Io non parlo. Io non so niente. Non voglio fare una brutta fine. Se dovete arrestarmi per la droga, fatelo, meglio in galera che morta.”

 

“Ascolta Maja, io non so se chi ha ucciso Alina stia cercando di fare fuori anche altre persone che magari potevano sapere qualcosa o meno. Ma sappiamo che Alina è stata con Lombardi quella sera. Credimi che sei più al sicuro se parli con noi, piuttosto che se rimani là fuori a fare questo mestiere qui a Roma. Ti daremo protezione e comunque la tua testimonianza al momento rimarrà diciamo anonima. Non faremo il tuo nome ad altri e non sveleremo la tua identità, se non, qualora fosse necessario, al processo, ma nel frattempo sarai protetta e pure dopo. A quelle feste c’erano diverse ragazze, no? Difficilmente potranno risalire a te, soprattutto se mo sparisci per un po’ dalla circolazione. Vuoi davvero rimanere là fuori e rischiare di fare la fine della tua amica?”

 

“Non era mia amica.”

 

“Io invece credo di sì, visto come hai reagito vedendo la sua foto. Non era una delle tante colleghe, non è vero? Non vuoi che abbia giustizia?”

 

“Giustizia,” rispose, con una risata, “beata lei che ancora ci crede!”

 

“Lo so che la giustizia non sempre funziona. Ma ti garantisco che io faccio il possibile e pure l’impossibile per portare fino alla fine i miei processi e non mollo.”

 

“Le interesserebbe veramente così tanto la morte di… di una come me, se non ci fosse di mezzo Lombardi?”

 

“Stavo indagando sulla sua morte prima di scoprire il collegamento con Lombardi e avrei continuato a farlo con lo stesso scrupolo pure senza sapere di lui. Per me il mestiere che fai non conta. L’unica cosa che ti contesto è che spacci quella merda, seppure a uomini che va beh… non sono esattamente dei santi. Ma immagino ormai ne sia dipendente pure tu.”

 

“No… cerco di prenderne pochissima… lavorando da sola non sono come le ragazze del giro di Alina, che obbligano a prenderla per renderle dipendenti fisicamente. Però i clienti se la aspettano e devo avercela con me. Fa parte degli… strumenti del mestiere.”

 

“Senti… raccontami quello che sai. Forse leverò qualche cliente dal giro, ma sarai poi più sicura se vorrai… continuare a fare questo lavoro. Tu e le tue colleghe. E se invece vorrai fare altro… possiamo darti una mano.”

 

“E che cosa, eh? La cameriera? La badante? La colf? Ora ho un bell’aspetto, ma quanti anni mi restano? Con quello che guadagno, io e la mia famiglia in Ungheria possiamo garantirci il futuro anche per quando non potrò più fare questo lavoro.”

 

“Possiamo darti un’identità nuova e potresti studiare. Visto come parli perfettamente la nostra lingua sono sicura che non avresti problemi a farlo e a trovarti un lavoro remunerativo ma meno pericoloso. Vuoi davvero rischiare di fare la fine di Alina? Ne vale la pena?”

 

Maja sbuffò e rimase per un po’ in silenzio, poi scosse il capo.


“Va bene… tanto ormai sono compromessa… tanto vale che non rischi di tornare là fuori. Che cosa volete sapere?”

 

“Beh… perché non ci racconti dall’inizio. Da quanto conoscevi Alina? In che rapporti eravate?”

 

“Ci siamo conosciute meglio proprio dopo la festa di Lombardi. Ma prima era da qualche mese che la vedevo in giro, insieme alle altre ragazze. Mi contattò qualche giorno dopo quello che è successo a Lombardi appunto. Sapeva che io lavoravo in modo indipendente e lei era scappata da quelli che la gestivano, aveva pure cambiato colore e taglio dei capelli, si metteva le lenti colorate spesso, sembrava molto spaventata. Però non aveva soldi e quindi voleva continuare a fare questo lavoro, ma come me. Io glielo dissi che era pericoloso, che alla fine rimanendo nel giro rischi che ti ribecchino, perché sì, Roma è una città grande ma alla fine dove girano i soldi insomma… quasi tutti conoscono tutti. Ma lei non sapeva come fare e quindi mi ha fatto tenerezza e le ho dato una mano a iniziare a lavorare e a trovarsi un posto dove stare. A patto che non dicesse a nessuno che l’avevo aiutata io, naturalmente.”

 

“Ti ha detto qualcosa di cos’è successo la sera in cui è morto Lombardi?”

 

Maja sospirò per un attimo e sembrò esitante, poi annuì, “sì, mi aveva detto che… che le era stato ordinato dai… dai suoi capi di mettergli della ketamina nel bicchiere.”

 

Ketamina… un anestetico potente, la droga dello stupro. Svanisce dopo poche ore. Con Lombardi svenuto, dargli un'overdose di cocaina sarebbe stato un gioco da ragazzi.


“Sai chi erano i suoi capi?”

 

“No, quelli che gestivano il suo giro di ragazze. Io in certe cose non ho mai voluto entrare e non lo voglio sapere.”

 

Insomma, molto probabilmente c’entrava quel gentiluomo di Quaratino e la sua compagna. O almeno i suoi uomini.

 

“E quindi ha fatto come le è stato ordinato?”

 

“Sì, non poteva fare altro. Quelli sono gente che non scherza.”

 

“E poi? Ti ha detto altro?”

 

“Sì… mi ha detto che ha lasciato la stanza, come le era stato ordinato ma… ma ha incrociato lo sguardo con un uomo che ci è entrato poco dopo. Ed aveva molta paura perché lui aveva notato che lei lo aveva visto.”

 

Imma sentì il battito accelerare dall’eccitazione, “e com’era questo uomo? Te lo aveva descritto?”


“Mi ha detto che era abbastanza giovane, bello, ma che aveva l’occhio del serpente.”

 

Ed il sangue dal fluire fin troppo rapidamente le si gelò nelle vene.

 

“L’occhio del serpente? E che vuol dire?”

 

“Non lo so… io… io mi sono spaventata quando mi ha raccontato queste cose e le ho detto che non volevo sapere altro e che doveva scordarsele pure lei e non parlarne con nessuno.”

 

Imma sospirò ma non si arrese: doveva tirarne fuori qualcosa di buono da questo interrogatorio.

 

“E quindi tu ed Alina eravate in contatto in questi ultimi mesi?”


“Sì, spesso le davo dritte sulle feste dove andavo pure io o cercavo di passarle i nomi di clienti che volevano… variare un po’.”

 

“Ed è così che siete finite insieme alla festa dov’è… stata uccisa?”


“Sì, esatto.”

 

“Eri presente anche quando è stata aggredita, qualche settimana prima?”

 

Maja la guardò, stupita, “e lei come lo sa?”

 

“Non importa come lo so. Allora?”

 

“No, a quella festa non c’ero. Ero tornata in Ungheria dai miei genitori per il natale. Però Maja mi ha detto di essere stata aggredita, era molto spaventata. Io l’avevo avvertita che doveva cambiare aria per un po’, andare altrove, ma lei sperava non c’entrasse niente con quello che era successo con Lombardi, perché il cliente che l’aveva aggredita era uno sconosciuto. E nel nostro mestiere succede che qualche cliente abbia gusti un po’ strani e… si faccia prendere la mano.”

 

“E della sera della… morte di Alina, che mi dici? Hai notato niente di strano? Sai con chi si era appartata?”

 

“Un uomo alto, moro, piazzato ma… non era uno che avessi mai visto prima. Io mi sono ritirata presto in camera con un mio cliente, poi quando abbiamo finito sono tornata a casa mia. Non avevo sentito niente di strano… non potevo immaginare che…” si interruppe, mentre le scendeva una lacrima, “l’ho saputo dai telegiornali.”

 

“E non era lo stesso uomo dell’aggressione, quindi?”

 

“Non penso: me lo aveva descritto come abbastanza basso e tracagnotto. E poi, se avesse riconosciuto qualcuno si sarebbe spaventata, ma era tranquilla quella sera, almeno finché non l’ho vista più.”

 

“Pensi che sapresti riconoscere chi c’era a quest’ultima festa? O qualcuno che c’era alla festa di Lombardi?”

 

“A quella di Lombardi è più difficile, a quest’ultima penso di sì, anche se c’era molta gente e non conoscevo tutti.”

 

“Sai… sai come si chiamasse Alina di cognome? Di dove fosse?”

 

“Sì, Holub. Era della zona di Charkiv, vicino al confine russo. Aveva ancora una sorella lì, a cui doveva mandare soldi. Altro non so.”

 

“Va bene. Per oggi basta così. Ora il maresciallo ti accompagnerà da una collega e faremo in modo di mandarti in un luogo protetto sotto falso nome e vedrai che ti troverai bene,” la rassicurò, anche se Maja non sembrava molto convinta e squadrava Calogiuri con ancora meno convinzione, probabilmente avendocela con lui per averla incastrata.

 

“Seguitemi e non vi preoccupate. La dottoressa quando dà la sua parola la mantiene.”

 

“Mi dai del voi ora? Sei proprio un tipo strano e diciamo che delle tue rassicurazioni me ne faccio poco, maresciallo. Ma non ho molte alternative,” sospirò, alzandosi, ancora ammanettata e lasciandosi prendere per un braccio e condurre fuori.

 

Imma era orgogliosa di lui e di come aveva gestito la situazione, anche se quando Maja si era avvicinata un po’ troppo aveva avuto un moto di inevitabile fastidio. Ma Calogiuri era stato pronto, rapido e professionale.

 

Era maturato negli ultimi anni, pur essendo ancora un po’ troppo ingenuo a tratti. E alla fine, in fondo, era anche quel residuo di innocenza, nonostante tutto, il suo bello.

 

Ma doveva dargli più fiducia, perché se la meritava, ed imparare ad essere meno insicura.

 

*********************************************************************************************************

 

“Dottore perché ci ha fatto convocare?”

 

Guardò alla sua destra, sorpresa di vederci Santoro.

 

“Perché ho preso una decisione, in seguito al suo rapporto sull’interrogatorio di Maja Varga, dottoressa,” esordì Mancini, facendo segno ad entrambi di accomodarsi.


“E sarebbe?” chiese Santoro, guardandola in cagnesco.


“Ad oggi è evidente che il caso di Alina Holub e di Lombardi sono collegati. E che quello di Lombardi non è stato affatto un tragico incidente. Ho deciso quindi di unire le due inchieste. E, visto il progresso delle indagini avvenuto grazie all’intervento della dottoressa Tataranni, ho deciso che sia più giusto affidarlo a lei.”

 

“Che cosa?!” esclamò Santoro, livido, in quello che era praticamente un urlo.

 

“Dottor Santoro, la prego di moderare i toni,” lo redarguì Mancini, lanciandogli un’occhiataccia di cui Imma non lo avrebbe ritenuto capace, “la dottoressa Tataranni ha riaperto questo caso che era fermo da mesi e mi pare giusto che ci lavori lei con occhi freschi. Lei ha avuto l’opportunità per oltre un anno, Santoro, e non abbiamo fatto alcun progresso rilevante. Sto solo facendo il mio lavoro e ciò che è meglio per quest’indagine, che oltretutto è l’unico tassello ancora mancante al maxiprocesso, che si dovrebbe chiudere a breve.”

 

“Ma questo non è un buon motivo per togliermi il caso! La dottoressa Tataranni è stata solo fortunata a trovare il cadavere giusto al momento giusto. Io non avevo tutti gli elementi e-”

 

“E la maggior parte degli elementi che già aveva glieli ha forniti la dottoressa Tataranni stessa da Matera, Santoro, ho studiato tutto il fascicolo.”

 

“Lo stesso può essere detto della dottoressa Ferrari e del maxiprocesso allora. Vuole affidare pure quello alla dottoressa Tataranni?”

 

“Il maxiprocesso è stato volutamente lasciato dalla dottoressa Tataranni e la Ferrari ha fatto un lavoro encomiabile ad entrare a poche udienze dalla fine e cercare di portarlo a termine. Anche se la parte investigativa è praticamente tutta farina del sacco della dottoressa Tataranni. Ma almeno la Ferrari è stata collaborativa e ha utilizzato correttamente il lavoro di squadra con la dottoressa e con il maresciallo Calogiuri e stanno ancora facendo progressi. Lei è fermo da mesi, anche con questa richiesta all’Interpol, che ho verificato non essere più stata sollecitata. Sono tempistiche inaccettabili e me ne occuperò personalmente, Santoro. Lei è giovane ed è brillante, ma su quest’inchiesta ha avuto una lentezza e un’inazione che non sono giustificabili, vista l’importanza del caso e del maxiprocesso.”

 

“Ma secondo lei l’Interpol si scomoda rapidamente per scoprire gli interessi di Lombardi e consorte a Panama? Senza uno straccio di prova che ci sia qualcosa di sospetto nel suo malessere se non l’opinione di altri indagati, che però non ci danno uno straccio di certezza. La testimonianza della Varga ha rimesso tutto in discussione ma-”

 

“Ma ci è voluta la dottoressa Tataranni che insistesse, insieme alla Ferrari, per collegare le inchieste, Santoro. Pensa che non l’abbia saputo? Mi dispiace ma questo caso passa a chi se ne è realmente occupato finora. E non è lei. E ora, se non le dispiace, vorrei parlare da solo con la dottoressa Tataranni.”

 

“Va bene, dottore,” sibilò Santoro con un tono omicida, squadrò Imma con uno sguardo da non finisce qui ed uscì sbattendo la porta.

 

Imma rimase per un attimo in silenzio, poi si voltò verso Mancini, non sapendo se essere più ammirata o preoccupata.

 

“Dottore, ma è sicuro? Santoro non l’ha presa molto bene, direi.”

 

“Non mi importa nulla dell’ego ferito di Santoro, dottoressa. Gliel’ho già detto: quello che per me contano sono i risultati e chi può portarli. E non si deve preoccupare per ritorsioni di Santoro, io-”

 

“Ma no, dottore, non è per quello, che ad inimicarmi i colleghi ci sono abituata. Ma insomma… vorrei evitarle problemi.”

 

“Stia tranquilla e pensi a lavorare, che a Santoro ci penso io. Disporrò affinché Mariani le fornisca tutto il materiale sul caso Lombardi. Le lascio carta bianca, dottoressa, se vuole sentire qualcuno che fosse pure già stato interrogato. Le chiedo solo di avvertirmi se volesse sentire politici. Non glielo negherò se fosse necessario, ma preferirei evitare di attirare un certo tipo di attenzioni, specie se il movente, alla fine, fosse una vendetta privata.”

 

“Non lo so, dottore. Di sicuro a mio avviso in qualche modo c’entra Romaniello, essendo probabilmente coinvolto il Quaratino. Ma la descrizione dell’uomo entrato nella stanza di Lombardi effettivamente non è incompatibile con Richardson. Ma non ne abbiamo la certezza. A questo punto ci servono quei dati dall’Interpol, dottore, per avere qualcosa in mano per interrogarlo.”

 

“Ci penso io, dottoressa. Ho un paio di amici all’Interpol e solleciterò la pratica. Vedrà che se Lombardi o la Tantalo avevano affari a Miami e Panama ne troveremo traccia. Il giro dei faccendieri è meno ampio di quello che si pensa.”

 

“Bene, la ringrazio dottore, per la fiducia e per l’interessamento personale,” rispose Imma, soddisfatta anche se pure un po’ preoccupata per cosa avrebbe potuto combinare Santoro, “aveva bisogno di parlarmi anche di altro?”

 

“Sì, dottoressa. Mi hanno invitato a presenziare a un convegno a Milano per parlare, tra le altre cose, di ingerenze tra istituzioni e criminalità organizzata e come combatterle. Ora, lo so che a logica potrei portare con me la dottoressa Ferrari, che si occupa del maxiprocesso, ma le ho parlato e concorda con me che è più giusto che lo faccia lei, che si è trovata in prima persona in mezzo a questo conflitto a Matera e a dover capire come portare a termine il processo. Vorrei portasse il suo esempio. Mi accompagnerebbe quindi al convegno?”

 

“E… e quando sarebbe?” domandò, stupita, perché di solito la tenevano a distanza siderale da occasioni nelle quali c’era da parlare in pubblico, conoscendo il suo carattere.

 

“A inizio aprile. Dopo, si spera, l’ultima udienza del maxiprocesso. Lei potrà quindi discuterne più liberamente, sebbene manchino ovviamente due gradi di giudizio. Il convegno durerà due giorni ed inizia presto la mattina, quindi ci toccherà trascorrere due notti a Milano. Per lei è un problema?”

 

Imma ci riflettè un attimo: a inizio aprile non aveva impegni. Certo, stare via due notti col procuratore capo… Calogiuri probabilmente non ne sarebbe stato entusiasta, ma del resto si trattava di lavoro e non doveva certo chiedergli il permesso.

 

“Va bene, dottore, non c’è problema. Mi può magari mandare qualche informazione in più sull’evento, così mi organizzo?”

 

“Certamente, dottoressa. Procedo con le prenotazioni e le farò avere tutto. E poi mi piacerebbe che la sua presentazione la rivedessimo insieme qualche giorno prima, per coordinarci. E mi sarebbe molto utile se lei invece controllasse la mia di presentazione, già che ci siamo.”

 

“Dottore, io non sono la persona più adatta a parlare in pubblico.”

 

“Ma a correggere gli altri è un’esperta.”

 

Le scappò un sorriso e dovette ammettere che era vero, “va bene, dottore. C’è altro o posso andare?”

 

“No, no, la lascio al suo lavoro, dottoressa. E complimenti per come ha saputo trovare il collegamento tra la Holub e Lombardi. Non molti avrebbero avuto quell’intuizione e ci ha visto giusto.”

 

“Grazie, dottore. Diciamo anche che la sorte è stata dalla nostra parte, per una volta. Buon lavoro anche a lei.”

 

Ed uscì dall’ufficio, un po’ stranita, anche se non avrebbe saputo dire esattamente il perché.

 

*********************************************************************************************************

 

“Ho sentito che Mancini ti ha affidato il caso Lombardi.”

 

Imma annuì, mentre tagliava un altro degli involtini di carne preparati da Calogiuri. Era proprio bravo a cucinare, ma temeva che le sarebbero rimasti sullo stomaco quando gli avrebbe dovuto dare l’ulteriore notizia.

 

“Sì, ha sorpreso anche me. Santoro non l’ha presa bene, ovviamente.”

 

“Il caso te lo meriti di gestirlo tu, Imma, e Santoro avrebbe dovuto farsi da parte molto tempo fa,” fu il commento sorprendente di Calogiuri, che le strappò un sorriso grato, “certo, mi stupisce Mancini sia arrivato a tanto. Vitali non lo avrebbe mai fatto ma… da quando sono qui nemmeno lui ha mai tolto un caso a qualcuno.”

 

“Lo so, Calogiuri, è un bel rischio per lui e… ora sarò ancora più sul libro nero di Santoro. Ma almeno possiamo lavorarci insieme al caso Lombardi e, se la fortuna ci assiste, magari riusciamo a trovare la quadratura del cerchio in tempo per l’ultima udienza del maxiprocesso.”

 

“Già…” commentò, pensieroso, mangiando un altro boccone, “Irene ovviamente ne sarebbe felice, specie se potesse aiutarla con Eugenio Romaniello.”


“E te credo che Irene sarebbe felice, Calogiuri. Ma vedremo,” commentò, sarcastica, prima di potersi trattenere, per poi aggiungere, più esitante, “però ho anche un’altra novità.”

 

“E cioè? Spero sia una buona notizia.”

 

“Dipende… ancora non lo so… insomma… Mancini mi ha invitato ad accompagnarlo ad un convegno a Milano a inizio aprile, per parlare della mia esperienza a Matera sull’ingerenza tra criminalità e istituzioni. Dovrò stare via due notti perchè dura due giornate.”

 

“Ah.”

 

Secco, di poche parole, il suo viso si rabbuiò per un attimo, mentre si concentrava a tagliare l’involtino rimastogli nel piatto.

 

“Calogiuri-”

 

“Se ne parli così, è perché immagino che tu abbia già accettato,” la interruppe, alzando di nuovo lo sguardo per incrociare il suo.

 

“Eh, beh, certo che ho accettato, Calogiuri. Mica posso dire di no, lo sai, è il mio lavoro.”

 

“No, lo so, lo so, e per carità fai bene ad andarci e, di nuovo, te lo meriti, Imma. Ma è solo che… chiamami paranoico ma Mancini ci sta provando con te, è evidente.”

 

“Quindi perché uno apprezzi il mio lavoro e voglia mostrarlo ad altri deve essere per forza interessato a me?!” sibilò, cominciando ad irritarsi.

 

“No, Imma, certo che no. Per apprezzare il tuo lavoro basta vedere come lavori. Non è questo. Ma… Mancini è cambiato completamente nei tuoi confronti dopo la festa annuale. Sono ingenuo forse, ma persino io l’ho notato. E non sono stato l’unico, se è solo per questo.”

 

“Che vuoi dire?”

 

“Che… che in molti commentano su come Mancini ti abbia messo gli occhi addosso, Imma, ancor prima di quello che è successo oggi.”

 

“Se è per quello in molti commentano anche che tu e la Ferrari siate una coppia da mesi, pure se di nascosto e-”

 

“E non è vero, ovviamente. Come ben sai.”

 

“E allora perché devi dare retta ai pettegolezzi su Mancini?”

 

“Perché tu a quelli sulla Ferrari dai retta e comunque-”

 

“E comunque non si tratta dei pettegolezzi. Si tratta di come si comporta quando è con te. Il tono di voce, il linguaggio del corpo e-”

 

“Ed è la stessa cosa che sto provando a spiegarti su Mancini. Non puoi non aver notato il suo atteggiamento nell’ultimo periodo.”

 

“Come tu non hai mai notato quello di Irene in tutti questi mesi?”

 

“Ma Irene non è cambiata, è sempre stata così, e invece-”

 

“E invece a me sembra che si prenda sempre più confidenza. Mentre Mancini è sempre stato rispettoso delle distanze di sicurezza.”

 

“A me non sembra proprio, però… a me basta che tu ci stia attenta e che se si avvicina troppo me lo dici.”

 

“E lo stesso basterebbe a me,” sospirò Imma, che ancora ricordava i segni di rossetto che gli lasciava l’amichevole Ferrari, “Calogiuri, lo so che non sono proprio un modello di fedeltà coniugale, ma ho avuto due uomini nella mia vita e con uno è durata più di vent’anni e il secondo sei tu. Secondo te mi lascerei tentare da Mancini, pure se fosse? Ho te e non c’è paragone.”

 

Calogiuri sospirò ma poi fece un mezzo sorriso, “e anche tu non hai paragoni per me. E lo sai.”

 

“Sì, so di questa tua cecità selettiva,” ironizzò Imma, alzandosi dalla sedia e sedendosi a cavalcioni su di lui, prima di piantargli un bacio sulle labbra e ritrarsi proprio quando lui stava per rispondere, dopo lo stupore iniziale.

 

“Che hai in mente, dottoressa?”

 

“Secondo te, maresciallo?” gli chiese sorniona, avvicinandosi e sussurrandogli in un orecchio, “ho proprio voglia di… vedere una puntata di Scandal.”

 

E si alzò bruscamente, avviandosi verso il divano e prendendo il telecomando. Calogiuri rimase per un attimo paralizzato, poi la guardò tra il frustrato e il divertito.


“Imma!” fu l’ultima parola coerente che sentì, un suono che era quasi un ruggito, prima di ritrovarsi spalmata sul divano, un corpo forte sopra il suo, il telecomando che le veniva preso dalle mani, travolta da un bacio che altro che Scandal….

 

Italians do it better.


Nota dell’autrice: Eccoci arrivati alla fine di un altro capitolo, come vedete qualcuno si sta interessando parecchio a Imma e i casi gialli proseguono. Nel prossimo capitolo avremo qualche altro pezzo del puzzle a riguardo ed Imma e Calogiuri che cercano di fare i conti con queste interferenze esterne nel loro rapporto e con le loro insicurezze.

Spero davvero che la storia continui a mantenersi piacevole da leggere ed interessante, vi ringrazio di cuore per continuare a seguirmi e come sempre ogni commento positivo o negativo che sia mi aiuta tantissimo sia come motivazione sia a tarare la scrittura, quindi se vorrete lasciarmi una recensione vi ringrazio di cuore.

Il prossimo capitolo arriverà come sempre puntuale domenica prossima 26 aprile.
Grazie ancora!

 
   
 
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