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Autore: TheGhostOfYou0    20/04/2020    3 recensioni
Un segreto in grado di distruggere una famiglia.
Un peccato tramandato di madre in figlia.
Anno 1469.
Francesco de’ Pazzi è vittima di un cognome importante ma non abbastanza, eclissato da quello della rivale famiglia de’Medici ed è pronto a tutto pur di ridare alla propria il prestigio che merita.
Fiammetta Canacci sogna una libertà che non le verrà mai concessa, fa parte delle piccola nobiltà fiorentina e lei, con un matrimonio, rappresenta l’unica possibilità per la sua famiglia caduta in disgrazia.
Sullo sfondo della Firenze del Magnifico i destini di un uomo in cerca di gloria ed un ragazza in cerca di se stessa sembrano intrecciarsi, stringersi intorno a quello della più potente famiglia del tempo, travolti in una spirale d’odio così profondo e violento da rendere difficile distinguere il bene dal male, fino ad i tragici eventi del 1478.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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2.Capitolo Secondo
 
Your enemy whisper,
So you have to scream
 
 Entrò nella sala senza accennare un saluto, sembrava che non ci fosse spazio per altri che per lui e quella sua rabbia prepotente, accecante.
 
“Vieri stai …”
Novella Foscari si interruppe e si voltò immediatamente attirata dai passi di suo marito. Erano veloci, lasciavano intravedere tutta la sua collera e a guardarlo da lontano sembrava quasi fosse sul punto di distruggere qualsiasi cosa lo ostacolasse, l’universo intero se necessario. La mantella blu che gli copriva le spalle fluttuava leggera nell’aria, come stesse per volare via, non riuscendo a seguire quel suo muoversi frenetico, quasi nevrotico e Novella, concentrandosi su quell’insignificante dettaglio, si rese conto dei bordi strappati, della piega innaturale e del tessuto stranamente consumato.
Fu sul punto di chiedere, ma poi i suoi occhi azzurri si spostarono sulla sua espressione tesa e contrariata e decise di tacere.
Non lo aveva mai visto così e ne ebbe quasi paura
  Che Francesco Pazzi non fosse un uomo semplice, Novella lo aveva capito già dai primi mesi di matrimonio, anzi, forse dal loro primo incontro, quando suo padre l’aveva presentata a questo giovane banchiere fiorentino che sarebbe stato suo marito solo perché entrambi i fratelli Medici l’avevano rifiutata. Già allora, dal modo quasi riluttante con cui aveva afferrato la sua mano, dal tono basso, il suo continuo borbottio ed i modi scontrosi, non maleducati né tanto meno rudi, ma freddi e scostanti, aveva compreso che la sua non sarebbe stata un’unione serena e che avrebbe dovuto combattere per ottenere quantomeno il suo rispetto.
 Il suo amore non lo chiedeva, non riusciva neanche ad immaginarlo.
 Gli unici momenti che le concedeva erano le notti ed anche queste non erano che il solo adempimento di un dovere. Non conosceva dolcezza, seppure fosse un amante passionale, capace di estasiarla e lasciarla senza fiato, non c’era tenerezza nei suoi gesti né tantomeno cura.
Se ci fosse stata lei o un’altra al posto suo, sarebbe stato uguale. Lui neppure la guardava.
C’era voluto un anno, la nascita di un figlio ed il rischio che entrambi morissero perché Francesco si rendesse conto di avere una famiglia a cui provvedere non solo economicamente, ma a cui regalare stabilità e magari affetto, a cui trasmettere valori. Qualcuno da proteggere, di cui prendersi cura, in cui rifugiarsi se avesse avuto bisogno di un porto sicuro, di amore incondizionato.
Perché Novella in quanto moglie, questo era tenuta a fare e questo era disposta a dargli.
Ma Francesco quel suo dono non lo accettò mai davvero, mai completamente.
Non cercò mai in lei un rifugio.
Era spesso nervoso e preoccupato, costantemente insoddisfatto, ma era anche capace di distinguere il lavoro dal privato, di nascondere i suoi turbamenti e sfoderare all’occorrenza un sorriso affilato, simile ad un ghigno sarcastico. A Novella piacevano quei sorrisi, le erano piaciuti da sempre, da prima che le piacesse suo marito, da prima che lo tollerasse addirittura.  Erano come una piega, uno squarcio perfetto sul suo viso spigoloso, nascondevano mille pensieri ed altrettanti segreti.
 Dopo sei anni di matrimonio, Novella non ne conosceva ancora alcuno.
 Avrebbe voluto, a dire il vero, indagare l’anima di Francesco, liberarlo di quei veli e di quei pesi che sembravano schiacciarlo, ridurlo ad un involucro vuoto, eppure lui non glielo permetteva nonostante nutrisse ormai un profondo, sincero affetto per lei.
 
Probabilmente proprio per questo, perché leggeva anche negli occhi di lei lo stesso sentimento e voleva custodirlo gelosamente.
Perché Francesco Pazzi non aveva paura di niente, tranne che di rimanere solo ed era certo in cuor suo che se solo le avesse svelato la verità dietro i suoi sorrisi, i suoi silenzi e la sua ira, l’avrebbe persa.
Se solo avesse visto di quali pensieri era capace, avrebbe avuto paura di lui.
Non sarebbe potuta fuggire via, in quanto donna, moglie e madre, eppure non gli sarebbe più appartenuta.  Avrebbe avuto il suo corpo, avrebbe avuto i loro figli ma non avrebbe avuto il suo appoggio, la sua devozione e l’avrebbe ridotta ad una prigioniera e nulla di più.
 
Quando Novella provava debolmente a scalfire le sue difese, Francesco le sorrideva, scuotendo il capo, per dirle che non era importante.
Lei sapeva che non era così, ma fingeva di crederci, lasciava che quel suo ghigno le facesse dimenticare la voglia di indagare sui malumori di lui, sostituendola solo un’incontrollabile fame d’amore.
 
In uno di quei sorrisi era stato concepito Vieri, il loro primogenito.
In uno di quei sorrisi Novella Foscari s’era innamorata di Francesco Pazzi.
 
“Cosa succede?” Domandò Novella, alzandosi dalla lunga tavola per raggiungerlo. Lui le dava le spalle e nonostante fosse fermo i suoi muscoli erano visibilmente tesi.
 Tremava.
Si avvicinò lentamente, silenziosa, camminando con il braccio proteso verso di lui e, quando gli fu abbastanza vicina, posò una mano sulla sua spalla, un dito alla volta, timorosa.
 Rimase ferma per alcuni istanti, in attesa di una sua reazione.
Ma lui era immobile, muto, e tutto era come congelato a metà tra un respiro trattenuto ed un’esplosione. Il tempo sembrava essersi bloccato nel mezzo di un istante, persino i bambini osservavano la scena ammutoliti, con gli occhi sgranati, e nonostante non capissero percepivano quasi una sacralità in quel momento.
O forse avevano solo paura.
 
“Francesco.”
Quello di Novella fu un sussurro, la voce le uscì così flebile e strozzata che pensò non potesse essere sua. Era una voce già consapevole di quello che sarebbe successo di li a poco, terrorizzata, scossa, incerta che non le apparteneva. Non le era mai appartenuta.
Non aveva mai temuto suo marito, non ne aveva avuto alcun motivo in tutti quegli anni. Eppure c’era qualcosa di diverso in lui questa volta, qualcosa che non riusciva a distinguere ed identificare, a cui non sapeva dare un nome ma che aveva percepito immediatamente.
E Novella, quando si trattava si sensazioni, non sbagliava.
Francesco si voltò con uno scatto, il palmo della mano aperto fendé l’aria con un suono simile ad uno strappo e si infranse contro il volto di Novella con tanta forza che il suono secco dello schiaffo riecheggiò tra le mura, assieme al gemito della donna, che indietreggiò e si aggrappò al bordo del tavolo per non cadere.
E poi fu di nuovo tutto immobile, se possibile più freddo di prima. Tutto, per Novella, aveva la consistenza di un sogno, persino il dolore le pareva ovattato e lontano.
 Rimase chinata, con gli occhi chiari puntati sul pavimento, la schiena curva,  piegata, spezzata ed i capelli che coprivano il volto e quasi la proteggevano dalla realtà degli eventi.
C’era il volto di Francesco nella sua mente.
Non lo schiaffo, non il bruciore ardente, non la sue dita impresse nella carne morbida ma il suo volto sconvolto, più simile a quello di una bestia feroce che a quello di un uomo.
Le sopracciglia aggrottare formavano rughe profonde sulla fronte, le labbra ridotte ad una linea dritta e sottile, la mascella contratta, i denti stretti, le guance se possibile più scavate, gli occhi che erano due fessure nere, velati d’ un’ ombra sinistra e sconosciuta, cerchiati di occhiaie scure.
E la sua pelle, la sua pelle sembrava andare a fuoco, rossa e tirata che lasciava intravedere le vene sulle tempie e sul collo, così tanto gonfie che sarebbero potute scoppiare da un momento all’altro.
  Quello non era suo marito.
Non poteva essere lui.
 
Francesco aveva ancora la mano alzata, guardava Novella ma non la vedeva. Era una furia cieca la sua, senza colpevoli né innocenti. C’erano solo vittime.
  Fu Vieri a riportarlo alla realtà, con un verso, un mugugno che somigliava ad un vagito, un pianto trattenuto.
Francesco provò per un secondo l’istinto di avvicinarsi a lui, prenderlo per i capelli e tirarlo giù a forza dalla sedia, per insegnarli a comportarsi da uomo, per fargli comprendere da subito che avrebbe visto cose ben peggiori nella sua vita, che gli augurava di vederle perché i grandi uomini sono destinati a soffrire e lui veniva da una famiglia di grandi uomini.
Anche se suo padre non lo era, anche se il loro nome sarebbe stato presto cancellato, anche se stava sbagliando tutto.
I Pazzi erano grandi uomini, in grandi difficoltà e la debolezza tra di loro non era accettabile.
Quello che era successo tra le quattro mura del loro palazzo non era niente rispetto a tutte le difficoltà che avrebbero dovuto superare, perché la politica è un gioco più grande di dieci uomini messi insieme e quando si mischia ai soldi è capace di schiacciarti.
Uno schiaffo non era niente, niente.
Ma non era così per Vieri, perché quella donna piegata era sua madre e l’uomo che lo stava spaventando era suo padre e lui aveva solo cinque anni e fratelli che ormai avevano iniziato a piangere attorno a lui.

Francesco avrebbe voluto zittirli tutti.
E poi buttare giù il palazzo con le proprie mani e rimanere in piedi su quelle ceneri per poter risorgervi.
 
Novella, come l’avesse letto nel pensiero, alzò finalmente il capo, scoprendo dai lunghi capelli biondi la guancia infuocata.
Lo guardò truce, con la coda dell’occhio, inchiodandolo con una tacita accusa da cui non si sottrasse. Ricambiò lo sguardo con altrettanta intensità, cercando di decifrare i suoi stessi contrastanti sentimenti, senso i colpa, odio, rancore. Ma per chi?
 
Non per sua moglie, né per i suoi figli. Forse per se stesso, per quei pensieri che gli ossessionavano la testa, fantasmi lontani, serpenti che sussurravano al suo orecchio e prevedevano catastrofi in un mondo dove il sole ancora sembrava splendere.
Piero de’Medici era morto.
La notizia era riecheggiata a Firenze veloce, smuovendo reazioni contrastanti negli animi dei cittadini: c’era chi credeva fosse giunto il momento della liberazione, chi invece vedeva in Lorenzo una speranza, chi lo riteneva troppo giovane ed inadatto a prendere il posto di suo padre.
Nessuno sembrava vedere qualcosa di diverso in lui, qualcosa che per Francesco era così ovvio da sembrare ridicolo.
Firenze aveva smesso di essere una Repubblica da decenni ormai,  ma con Lorenzo i Medici sarebbero diventati detentori indiscussi del potere, una nuova dinastia di Cesari pronti a governare sulla loro personale Roma.
 Ed il matrimonio di Lorenzo con Clarice Orsini non era altro che l’ennesima conferma dell’espansione rapida del loro controllo e della loro influenza. Non c’era bisogno di tempo per capire, conosceva Lorenzo da sempre e sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per portare avanti la politica di suo nonno Cosimo e di suo padre.
 Perché potevano chiamarla Repubblica, ma di fatto i Medici erano i signori di Firenze e se il debole governo di Piero aveva permesso alla famiglia Pazzi di prosperare, questo non sarebbe durato a lungo.
Francesco lo sapeva.
C’era una voce nella sua testa, a dirglielo.
 
Non si accorse neppure che Novella aveva chiamato la servitù e fatto portar via i bambini e che ora era davanti a lui, dritta, con il petto in fuori, il mento alzato e lo sguardo di un soldato pronto alla guerra che non si doveva permettere di rivolgergli.
Era una donna, dopotutto.
Eppure non le disse nulla, rimase in silenzio a guardare la sua pelle arrossata ed il suo volto tondo e pensò che era bella, che era sua moglie ed era lì per farlo star meglio.
Posò una mano sulla sua guancia, lì dove prima l’aveva colpita forte, carezzò la pelle con il pollice. Lei rimase ferma a guardarlo impassibile ed i suoi grandi occhi lo rimproveravano senza parlare.
Francesco lasciò scivolare la mano sul suo collo, stringendolo appena, poi sospirò.
“Tu sei qui per rendermi felice.” Affermò, cercando di cogliere qualsiasi cosa nel suo sguardo.
Novella non rispose, scosse il capo, si allontanò e lui la lasciò andare cercando di trovare le parole giuste per dirle che aveva bisogno di lei, che non era bravo a parlare con le donne, che di solito non parlava mai davvero con loro, ma bastava il calore del suo corpo a calmarlo ed il sapore dolce delle sue labbra.
 “È tutto ciò che cerco di fare ogni giorno.” Rispose, dopo secondi di teso silenzio. “Ma tu non me lo permetti.”
Francesco la osservò, lesse sul suo bel viso la preoccupazione, la paura, la delusione e quella prepotente paura di rimanere solo gli strinse il petto.
 Capì che non poteva perderla, non per uno schiaffo, non per Lorenzo de’Medici.     
“Piero de’Medici è morto. Lorenzo prenderà il suo posto.” Spiegò,contraendo automaticamente la mascella.
Novella scosse il capo, accennò un sorriso triste ed amareggiato, perché sperava ci fosse qualcosa di serio, qualcosa di importante, qualcosa di grave dietro la rabbia di suo marito.
“Non capisco.” Replicò.
“Ci porteranno via tutto.” Sussurrò Francesco, chinando il capo. “Ci porteranno via tutto.” Gridò, sferrando un pugno contro il tavolo.
“Perché non riesci a vederlo?” Chiese, con la voce salda che lasciava trapelare una sfumatura disperata, spezzata e stanca. La voce di un uomo solo. 
Avrebbe voluto ci fosse qualcosa di grave, dietro la rabbia di suo marito, dietro al suo schiaffo, all’espressione folle che aveva colorato il suo volto, ma non c’era niente se non le sue fantasie morbose.
“Tutto quello che vedo è la tua insensata gelosia, Francesco.”
   
 
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