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Autore: DarkWinter    20/04/2020    7 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Quando aveva udito le parole di Bulma, Crilin si era sentito il cuore esplodergli in petto.

Come per Bulma, l’assurdita’ era stata parte della sua vita ormai da molto tempo e ci aveva fatto pace, ma c’erano cose che ancora gli mozzavano il fiato. E una di queste era stata la conversazione che aveva avuto al telefono con la sua amica.

Prese in fretta il sacchettino coi senzu e si precipito’ a rotta di collo in direzione della Capsule Corp.

La madre di Diciassette e Diciotto, la madre di Diciassette e Diciotto...”

Si ripeteva quelle parole a non finire, mentre il cielo fra la Kame House e West City sembrava non finire piu’. Crilin rischio’ persino di andare in collisione con un aereo di linea, sovrappensiero com’era. Lo evito’ all’ultimo secondo.

Anche se era in volo, non resistette al richiamare Bulma sul cellulare:

Fammi capire, Vegeta l’ha picchiata?”

No, per amor del cielo. A quanto pare voleva sapere da lei dove sono i cyborg e l’ha portata qui di peso.”

Vegeta che rapiva un’umana per trovare i cyborg? Ah certo, i due non avevano ki che gli Z Warriors potessero percepire, per cui erano impossibili da trovare. Ed evidentemente il saiyan non aveva voglia di andare alla cieca. Bulma non poteva vedere la faccia di Crilin, ma siccome capiva che quello zuccone doveva brancolare nel buio circa quella faccenda, gli racconto’ del podcast. Di come Vegeta avesse scambiato Kate Lang per 18, di come lei aveva scoperto che Kate era la madre di due gemelli umani che avevano le stesse sembianze dei cyborg.

N.16 l’ha confermato.”

N.16? E’ vivo??”

A quanto pare tu l’hai resuscitato. Sai, quando hai chiesto a Shenron di riparare ai danni di Cell. Dev’essere ancora a Central City, ha seguito Vegeta quando e’ andato a prendere la signorina Lang.”

Quando arrivo’ a casa di Bulma lei, trafelata, lo condusse al letto dove la madre della donna che gli aveva rubato il cuore giaceva addormentata.

Crilin trasali’: persino messa li’ in un letto ospedaliero, spettinata, con un collare ortopedico e un cavo che misurava il battito cardiaco attaccato al suo dito indice, era il ritratto di sua figlia. Dei suoi figli.

Lui si senti’ immensamente stupido. Non riusciva a capacitarsi di come non avesse potuto vedere subito che i cyborg avevano un legame di sangue, cosi’ somiglianti com’erano. Ma in verita’, che quella ragazza che gli aveva fatto provare il mitico colpo di fulmine avesse un gemello, cyborg anche lui, non gli era mai passato per l’anticamera del cervello. Quando se li era trovati di fronte, Crilin aveva pensato ad altro che a giocare a trova le somiglianze.

“Che ci fa anche lui qui, ora? Casa mia non è un lazzaretto!”

Seduta al capezzale di Kate, Bulma sbuffò. Il mondo non girava intorno a lui: “E buon pomeriggio a te, Vegeta.”

Il principe si sedette da qualche parte nella stanza, guardandosi intorno senza interesse.

Una volta che entro’ in possesso del senzu, Bulma lo sminuzzo’ e lo sciolse in una flebo. Presto i presenti videro Kate Lang rizzarsi seduta, con un sospiro. Sembrava spaventata, disorientata. A Crilin parve di rivedere il risveglio dei gemelli, su al palazzo del Supremo.

Ma lo spavento si trasformo’ presto in collera e la donna guardo’ duramente la prima persona su cui il suo sguardo era caduto:

“Lasciaci andare. Subito.”

Il senzu aveva riparato le sue lievi ferite; Kate si strappo’ il collare con un gesto freddo e preciso e, vedendo che era ancora completamente vestita si diresse verso Vegeta, passando oltre Crilin e Bulma senza nemmeno guardarli. L’uomo dalla camicia rosa rise sonoramente e le restitui’ quello stesso sguardo, non intimorito dalla sua voce tagliente:

“Dimmi dove sono i cyborg, quante volte devo chiedertelo? Vediamo chi si stanca prima.”

Kate ricordo’ quello che il tipo era andato farneticando, prima che la portasse su in aria e che lei perdesse conoscenza. La foto dei suoi figli, quelle parole senza contesto, cyborg, i cyborg, che lui ripeteva fino a sfinirla. Ma a sentirlo parlare cosi’ tanto dei suoi figli, un dubbio l’aveva assalita. Un dubbio che le fece stringere i pugni e gli occhi.

Il principe la lascio’ fare: resto’ assolutamente calmo quando lei prese un alambicco di vetro da un piano di lavoro e lo frantumo’, sbattendolo con un grugnito contro la sua fronte.

“Sei stato tu...tu hai preso Lapis e Lazuli, i miei bambini? Ridammeli!”

Crilin sgrano’ gli occhi nell’udire la donna senza paura chiamare Diciassette e Diciotto con i nomi che lei aveva dato loro. Il ragazzo capi’ in un istante quanto profondo era stato l’impatto della sua richiesta al drago: quei due erano stati davvero umani, persone normali, figli di una madre. Lui li aveva liberati da una bomba, aveva dato loro la possibilita’ di incontrare di nuovo quella loro madre, se l’avessere voluto. Quella donna, li’ in piedi a lottare in nome di un amore senza limiti, li aveva cresciuti nel suo corpo e dati alla luce, li aveva visti crescere. Crilin provo’ un sentimento che lo travolse; un sentimento che lo fece sentire piu’ vicino a Diciotto.

“Vedi, Crilin, da chi ha preso sua figlia?”

Vegeta si scrollo’ di dosso le schegge di vetro, mentre Kate si senti’ riempire da una strana inquietudine nel vedere ancora una volta che quell’uomo pareva invulnerabile: non gli aveva fatto niente. Il principe si giro’ verso la donna e l’afferro’ per il bavero della giacca.

“Ma tu sai chi sono io?” tuono’ “come osi?”

Bulma e Crilin osservavano, pronti a intervenire ma anche assorbiti da quella scena appassionante:

“Ehi, Bul, non dovremmo fare qualcosa?”

Bulma fu sorpresa dalla freddezza di mente che Kate Lang stava mantenendo, mentre un alieno che avrebbe potuto ucciderla con una sola mano la strattonava con foga.

“Non me ne potrebbe importare di meno, di chi sei tu: ma se sei quello che ha preso Lapis e Lazuli, ne risponderai a me. Non si tolgono i figli alle loro madri. Mai.”

In quel momento gli occhi di quella umana erano cosi’ freddi e taglienti che avrebbe potuto passare per una macchina assassina anche lei. Inaspettatamente, quelle parole lapidarie fecero riflettere Vegeta.

Si ritrovo’ a pensare al momento in cui Cell aveva freddato Trunks del futuro, alla propria disperazione: in quel momento, anche lui era stato un genitore che aveva perso un figlio. La sua reazione era stata chiara, cristallina nella sua mente. In quel momento aveva voluto annientare il mostro, fare tutto quello che era in suo potere per vendicare suo figlio. Quella era una madre che ne aveva persi addirittura due. Per una volta, Vegeta rinuncio’ alla collera. Chiuse gli occhi e mollo’ la presa:

“Io non c’entro, pazza lunatica. E’ stato il dottor Gero, ma ormai non importa piu’. N.17 l’ha ucciso, io l’ho visto farlo.”

“Chi e’ n.17?”

“Tuo figlio, diamine! Gli ha tagliato la testa con un colpo solo.”


 

Kate si sentiva vuota.

Lei non era un’assassina, non aveva mai ucciso. Eppure, nel trovarsi di fronte a quello che credeva fosse il carnefice dei suoi figli, penso’ che avrebbe potuto farlo: lei era una madre, non c’era niente al mondo che non avrebbe fatto per loro. Uccidere era solo un punto di quella lista.

Ma poco dopo il suo castello era crollato; lui aveva dichiarato la sua innocenza e lei gli aveva creduto, istantaneamente. Per quanto minaccioso e scorbutico l’uomo dai capelli ritti non ce l’aveva negli occhi. Anche se non voleva crederlo, Kate non gli aveva letto in faccia quel crimine orribile. Non era lui.

Tutto quello che le rimaneva era un pugno di rabbia inerte. Ancora una volta.

Abbattuta, si era lasciata cadere sul letto in cui si era svegliata. Avrebbe voluto che quel Vegeta e tutto quello che era uscito dalla sua bocca fossero solo uno scherzo.

Avrebbe voluto tornare indietro di poche ore, quando non sapeva se accettare o meno l’invito di Ronan del podcast. Prima che quel Vegeta spuntasse nella sua vita, causandole ancora piu’ guai, ancora piu’ lacrime: Kate non riusciva piu’ a capire per cosa sentirsi sollevata o per cosa sprofondare ancora di piu’. Il suo cervello si rifiutava di credere.

A Bulma sembro’ di sentirla piangere in silenzio.

Kate rizzo’ la schiena sentendo qualcuno toccarla. Vide la donna che si era presa cura di lei sedersi di nuovo al suo fianco:

“Spero che tutto si sistemera’, che ritroverai i tuoi gemelli. Forse anche loro ti stanno cercando.”

Kate sapeva di avere gia’ visto quella donna.

“Bulma Brief, piacere. Questa e’ la mia impresa Capsule Corp.”

“Dottoressa Brief. Che onore.”

Kate le strinse la mano e un piccolo barlume di gioia le riaccese gli occhi. Aveva ben presente quella scienziata, era una persona che aveva sempre ammirato per la sua intelligenza, per il fatto che si fosse fatta strada in un mondo che era quasi monopolio degli uomini riuscendo anche ad essere madre. Era la dimostrazione che non si deve sempre scegliere cosa sacrificare.

“Ti ho sentita parlare al podcast, sai? Per quello che hai fatto, sei stata grande. Mi dispiace per mio marito, per tutto questo. Non so come scusarmi.”

Bulma e Crilin stentavano a immaginarsi quello che doveva passare per la testa di quella povera mamma: in pochi minuti aveva appreso che i suoi figli erano diventati cyborg, avevano assassinato il loro carceriere e a quanto pare erano vivi.

In un altro dei suoi momenti eroici, Crilin prese le mani di quella Diciotto scura:

“Io li ho conosciuti, Lapis e Lazuli. Li ho visti anche qualche tempo fa...ti assicuro che sono vivi e vegeti, anche se non so dove si trovino. Avverti la polizia, continua a cercarli! Non possono essere cosi’ lontani, devono saltare fuori.”

Una parte di Kate voleva credere a Bulma Brief e a quel ragazzo vestito come un monaco Shaolin. Voleva credere che lui li avesse incontrati, prova che non erano stati uccisi e che quindi prima o poi lei li avrebbe ritrovati. Lo voleva con tutta se stessa.

Ma la speranza era pericolosa, troppe volte aveva creduto a gente che credeva di averli visti o conosciuti. Era sempre finita in niente.

Era naturale che lei avrebbe continuato la sua ricerca, ma non avrebbe accettato aiuti da sconosciuti che non fossero poliziotti.

“Vuoi che ti accompagni a casa? Possiamo andarci in macchina, Central City e’ abbastanza vicina. O puo’ accompagnarti Crilin, se preferisci.”

Kate diede alla dottoressa Brief un cenno d’assenso. Guardandola lanciare a Crilin delle chiavi, penso’ che di certo non avrebbe voluto tornare a casa in volo.

Mentre scendeva con Kate nei garage della Capsule Corp., Crilin continuava a ripetere quel nome nella sua mente: Lazuli, Lazuli. Suoni vellutati, dolci come miele.

“Ehm...signorina Lang, ti va se parlo dei tuoi figli durante il viaggio?”

Da come lei lo guardo’ Crilin capi’ da chi i cyborg avevano ereditato la capacita’ di lanciare coltelli con gli occhi. Contrariamente a quello che aveva pensato, non c’entrava niente con le loro modificazioni.

Il guerriero scelse una delle macchine che Bulma gli aveva messo a disposizione. Osservo’ Kate chiudere seccatamente la portiera e storcere il viso da lui:

Questa sara’ una luunga guida...”

Non disse mai alla madre che Diciotto l’aveva baciato e che lui l’aveva stretta a se’ quando lei non sapeva nemmeno di essere ancora viva, accarezzando il suo viso e i suoi capelli. Non le disse che aveva rischiato il mondo per lei, letteralmente. Perche’ Crilin l’amava.

Aveva saputo di amarla fin da quel momento che sembrava ormai lontano, quell’istante in cui aveva calpestato il telecomando sotto gli occhi sbarrati di lei.


 

/

Di nuovo per strada. Di nuovo in macchina.

Nel momento in cui suo fratello aveva visto il parcheggio, Diciotto sapeva gia’ che avrebbe dovuto prepararsi mentalmente alla sua tediosa ossessione per la guida. Diciassette aveva trovato un SUV e ne aveva studiato la cromatura nera opaca, bella tamarra, poi senza preavviso aveva affondato il pugno nel finestrino e aveva tolto il blocco portiere. Dopo aver smanettato con qualche cavo era uscito dal parcheggio investendo in pieno un altro sfortunato veicolo sulla sua traiettoria.

“Ora dove stiamo andando? Son Goku e’ morto, ti ricordo.”

“Dobbiamo trovare un posto dove stare, no?”

Avrebbero potuto andare di nuovo alla Kame House; dove viveva Crilin, esatto. Diciotto si spazientiva quando suo fratello faceva domande senza pensare. Se c’era qualcuno che avrebbe aperto casa propria per loro, era il piccoletto. Gia’ che c’erano, guidare per guidare…

Avevano guidato per un giorno e una notte, ben oltre il limite di velocita’, fin quando ad un certo punto la macchina aveva esaurito il carburante. Diciotto aspetto’ che suo fratello la precedesse lungo la strada senza marciapiedi: discretamente e con soddisfazione, emise un ki blast che polverizzo’ quella tamarrata di un SUV.

I gemelli non sapevano in che distretto si trovavano ora. Diciotto continuava a guardarsi intorno, pensosa. La nebbia che le avviluppava il cervello era ancora persistente, ma fu come se le venne inflitto un colpo al diaframma quando vide in lontananza una mastodontica insegna a neon.

“Diciassette, ti ricordi quello?”

Un centro commerciale, Stella del Centro.

“Si’, ci andavano qualche volta, io e te. E qualcosa mi dice che siamo nel distretto di Central City. Mi accompagni a prendere da mangiare?”


Poco dopo i gemelli erano immersi nel vociare chiassoso del centro commerciale.
“Questi sì che sono vestiti!”
Nessuno riusciva ad accorgersi di Diciotto che, veloce come un lampo, afferrava dagli scaffali quello che più le piaceva per infilarlo in una borsa. Si era persino accollata il compito di prendere dei vestiti nuovi anche per suo fratello.
“Certe abitudini sono dure a morire, vero?” Diciassette la guardò e si mise a ridere “anche prima avevi sempre una borsa stile tata magica.”
Tata magica, che roba e’?”
Il ragazzo la fissò, scandalizzato: “Come chi è? Quella che aveva il potere di riordinare le stanze con uno schiocco di dita e che metteva tutto, anche le lampade da pavimento, in una borsa. Era un film, nostra mamma ci cantava sempre la canzone quando eravamo piccoli.”
Questa volta fu lei a guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite: Diciassette si ricordava di loro mamma?
“Certo che no. Però mi ricordo questo particolare; mi accompagni a prendere da mangiare?”
Diciotto iniziò a scartabellare una pila di top paillettati, innervosita dalla sua amnesia: non si ricordava della tata magica, ma in ogni caso una che aveva solo quel tipo di “potere” era sfigata.
 
  Diciassette non sopportava sua sorella: l’aveva accontentata, l’aveva accompagnata a fare man bassa in buona parte dei negozi di trucchi, vestiti e roba da donna che c’erano lì dentro. Lei l’aveva costretto a cambiarsi, consegnandogli dei vestiti che aveva preso poco prima. Coi suoi vecchi vestiti in una busta, erano già dieci minuti che lui aspettava su una panchina perché lei doveva fare la pipì.
Il ragazzo guardava alternamente le proprie scarpe e la gente che usciva da una porta di vetro che si apriva e si chiudeva alla sua destra. Al di là si vedevano delle donne sedute mentre altre le pettinavano.

Che due palle. Ogni tanto Diciassette guardava dentro, osservando divertito tutte quelle signore coi capelli bagnati, gonfi a riccioli o nascosti da caschi che sembravano aggeggi da astronauti.
Si girò e si accorse del suo riflesso in uno degli specchi e rimase a guardarlo. Fu così che vide che anche la donna di fronte a quello specchio lo stava guardando. Per qualche strano motivo gli sembrava quasi sua sorella.
Poi si tolse la cuffia che lei gli aveva calcato in testa. Che senso aveva una cuffia quando persino li’ dentro faceva caldo?
La donna continuava a guardarlo. No, lo stava fissando. Prima aveva alzato lo sguardo sul riflesso nello specchio, poi si era voltata e gli aveva inchiodato addosso i suoi occhi.
Il cyborg non si prese il tempo di notarne il colore.
Si sentì prendere da un’agitazione strana, infondata, come se si fosse trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Qualcosa gli diceva che doveva andarsene di lì.
Si alzò di scatto e corse via, proprio mentre la donna abbandonava di corsa la poltrona per gettarsi sulla porta.
 
Adesso tornerò da Diciassette. Poverino, mi starà aspettando…” 
Diciotto era appena uscita dal bagno: girò l’angolo e vide suo fratello che le veniva incontro, camminando con passo nervosamente spedito.
Senza proferir parola lui l’afferrò violentemente per un braccio e la condusse velocemente verso l’uscita sul tetto.
“Oi? Cosa ti è preso, non volevi da mangiare?” Diciotto lo seguì quando lui volo’ via, visibilmente irritata “Diciassette? Che diavolo hai?”
“Non mi parlare.” mugugnò lui senza guardarla in faccia.

 

Quando i gemelli videro dall’alto un edificio in rovina in piena campagna, ci si sistemarono. Addio Kame House, ormai. Diciassette aveva rovinato i piani di Diciotto con i suoi atteggiamenti, ancora una volta.
In quella specie di rustico avevano trovato pentole, sacchi di coperte, quattro brande, il tutto in una stanza in buono stato, col tetto ancora integro.
Diciotto stava diventando isterica, non riusciva a capire cosa stesse succedendo a suo fratello. Da quando l’aveva prepotentemente portata via dal centro commerciale non le aveva più rivolto la parola, gli parlava ma lui non reagiva.

Si era strappato di dosso i vestiti nuovi e aveva rimesso quelli di sempre, aveva preso posto su una delle brande e lì era rimasto, rannicchiato e con la faccia rivolta al muro.
Diciotto aveva usato l’unica arma che le rimaneva, forza bruta a parte:
“Su, Diciassette, guarda fuori: volano bistecche! E cheeseburger, te li stai perdendo!”
Tutto quello che ne ricavava era un raggomitolarsi ancora più stretto.

Una volta si era appisolato. Per tutta la durata di quel mini pisolino aveva mugolato e scalciato e poi era messo a rigirarsi furiosamente:

“No! Merda!”

Non era un vero sonno, ma Diciotto penso’ che lui stesse sognando; si era buttato all'indietro, picchiando la testa contro il muro e lasciandoci delle crepe. Era riuscito a strapparle una grassa risata.

Ancora assonnato, Diciassette si era sfregato un occhio e aveva intuito dalla postura di sua sorella che lei richiedeva spiegazioni:

“Ho sognato che stavamo distruggendo una citta’. Una figata, non c’era nessuno. Un macello assurdo, solo io e te. Poi arrivava un super saiyan, combatteva con noi e mi uccideva. Mi tirava un ki blast nelle palle...”

Lei rise ancora. Rise forte indicandolo, le vennero le lacrime: “Minchia se sei scarso! Un super saiyan, Vegeta?”

“Non saprei, ma prima di me uccideva te. Ti disintegrava. Boom.”
Diciotto smise subito di ridere.

Dopo quel breve episodio, Diciassette era ridiventato apatico. Sua sorella si stava preoccupando che c’entrasse qualcosa con la sua parte cibernetica: magari qualche processore gli era andato in tilt e l’aveva fatto diventare catalettico, o magari era scarico.
 “Ma perché mi viene da pensare una cosa del genere? Siamo cyborg sofisticatissimi, cioè esseri umani imbottiti di circuiti e reattori…” 

Poi si convinse che lui stesse continuamente pensando alla sua rossa e perciò fosse scombussolato. Dopotutto, quello era stato il suo umore negli ultimi tempi.
Diciotto si annoiava, per cui parlava con suo fratello anche se sapeva che non le avrebbe risposto: “Strano: perché in un posto così abbandonato c’è una stanza ristrutturata e abitabile come questa? E cosa vogliono dire quei graffiti?”
Aveva notato un emblema dipinto su un muro, sembravano quasi due lettere. C e M.

Al terzo giorno passato li’ con Diciassette che faceva i capricci, la noia fu così forte che Diciotto non ce la fece più. Torno’ alla Stella del Centro per avere un po’ di tempo da dedicare a se stessa.

Ritorno’ in un negozio che la attirava e ci passo’ minuti felici senza il desiderio di rubare, ma solo provare e vedersi bella. Stava guardandosi allo specchio mentre indossava un prendisole giallo colza, volteggiando discretamente per far girare la gonna a ruota.

“Lazuli?”

Diciotto senti’ qualcuno parlare forte.

“Lazuli!”

Diciotto si giro’ e vide una ragazza che la fissava, quasi con shock. Se voleva uno specchio, ce n’erano degli altri. Perche’ doveva dare fastidio a lei?

“Laz, vecchia troiona! Sei proprio tu?” la ragazza le corse incontro e le prese le spalle, poi la strinse e sorrise “splendida come sempre. Mi sei mancata tanto. Tutto e’ perdonato.”

Diciotto si libero’ dall’abbraccio e la guardo’ con fastidio: “Chi sei? Che vuoi da me?”

“Ma come? Sono io, Sara.”

Diciotto non l’aveva mai vista. Doveva averla scambiata per qualche altra vecchia troiona.
“Sempre la solita scoppiata, davvero non ti ricordi di me? E dov’eri finita, tutti ti stanno ancora cercando. Tua madre e’ disperata.”

Sua madre?

La confusione nella testa di Diciotto si fece sempre piu’ grande. Sentiva che quelle parole avevano un senso remoto, ma l’incapacita’ di collegarle alla sua realta’ le diede un altro attacco di panico. Quando quella Sara si avvicino’ per un altro abbraccio, Diciotto la spinse via con un colpetto; Sara sbatte’ contro uno scaffale qualche metro dietro di lei, che cadde a terra con un tonfo e ne butto’ giu’ altri a sua volta, come un domino.

Che maldestra. Era nervosa…

Turbata dalla forza inaudita dietro a quel gesto, Sara mantenne le distanze da Lazuli ma la guardo’ con occhi malinconici, massaggiandosi un braccio sanguinante.

“Lazuli, perche’? Mi hai ferita, guarda...”

“Non so chi tu sia, ne’ tu hai idea di chi sono io. Non mi parlare mai piu’.”

Fini’ per prendere con se’ il vestito giallo. Sotto gli occhi increduli di Sara, Diciotto corse fuori dal negozio cosi’ velocemente che lo spostamento d’aria causato dal suo passaggio fece cadere altri scaffali. Il nodo allo stomaco si serro’ ancora piu’ stretto, duro.

Il perche’, non lo sapeva nemmeno lei.

Ma qualcosa rallento’ la sua corsa. Sospiro’, girandosi a guardare Sara che si stava rialzando da terra. Con l’aria di chi non vuole demordere, Diciotto si mise una mano fra i capelli e si ridiresse nel negozio.


 

Intanto, nell’edificio diroccato le ore passavano; ad un certo punto Diciassette udì berciare e abbaiare, mentre dei passi lontani rimbombavano su per le scale che conducevano alla stanzetta ammobiliata. Anche se si stava quasi addormentando il suo udito sopraffino gli consentì di accorgersene; tuttavia continuò beatamente a ignorare tutto, anche quando un quartetto di uomini con un cane dall’aspetto aggressivo comparve rumorosamente nella stanza e senza complimenti lo accerchiò.
“Ehi, tu” esordì uno, cominciando a pitoccarlo con forza “come ci sei entrato qui? Vattene subito!”
Acciambellato sulla branda con la faccia verso il muro, il cyborg non si mosse né li degnò di un’occhiata.
“Ma chi è?” disse un altro.
Il primo continuava a toccacciarlo insistentemente: “Ma roba da matti! Ehi topo di fogna, alzati di qui. Sei nel territorio del Commando Magenta.”
Alzò la voce e gli assestò un pugno fra le scapole. Diciassette non reagì.
“O ti alzi subito o ti ammazziamo” ringhiò un terzo, facendo cioccare sul pavimento qualcosa di metallico.
“Balle! Lo ammazziamo subito!” il primo che era entrato diede una spallata a quello con la mazza di metallo, gliela strappò di mano e la fece sibilare in direzione della testa di Diciassette, che la bloccò con una mano e si alzò in piedi, lasciando di stucco l’uomo.

L’unico membro del gruppo che non aveva ancora parlato ruppe il suo silenzio, osservando perplesso il viso dell’intruso: “Ma e’ un ragazzino!”
Diciassette gettò uno sguardo piatto e veloce al gruppetto: erano in quattro, come pensava.
Sembravano banditi, erano di mezz’età e portavano abiti di pelle con l’emblema CM, Commando Magenta, oltre che varie armi come catene, coltelli, sbarre e mazze metalliche; uno teneva in mano un fucile d’assalto.

Il cane ringhio’ e annaspo’ nel tirare con forza la catena crudele che gli stringeva il collo mentre Diciassette lo guardava, serio.

Uno dei banditi libero’ la bestia, spingendola malamente col piede : “Avanti, Botz: sbrana!”

Ma Botz non attacco’, come se avesse capito che l’animale di fronte a lui era piu’ forte. Quando vide Diciassette alzare una mano istintivamente si accuccio’ per terra, guaendo e guardando in su con occhi dolci mentre cominciava a fidarsi delle carezze che ricevette. Sempre tenendo salda la mazza di metallo, il cyborg guardo’ storto l’uomo che aveva dato un calcio al cane.
Quello che teneva l’altra estremita’ della mazza era rimasto interdetto, ma si riscosse presto e cercò di togliergliela di mano.
Diciassette fece un sorrisetto di scherno, tirando leggermente se la prese.
“Ma tu guarda ‘sto stronzo!”

Un altro bandito sbuffo’ oltraggiato, caricando il fucile e sparando.
Aveva mirato dritto all’occhio destro del cyborg, ma si sentì le ginocchia tremare quando il proiettile si spiaccicò come burro sulla sua cornea.
Il ragazzo mise Botz al sicuro, sbatté innocentemente le palpebre e con elegante ferocia si fiondò sul primo che gli capitò a tiro: con una mano lo afferrò per la giacca e lo lanciò giù dal balcone della stanza; l’urlo flebile del bandito si prolungò fino a venire rimpiazzato da un tonfo e da un crash udibile solo ai timpani rinforzati del giovane.

Diciassette guardo’ gli altri con occhi duri, cattivi: “Ops. E’ scivolato.”
“Tu sei pazzo!”

Quello col fucile scarico’ a più non posso tutti i colpi, mentre gli altri tentavano di dare addosso a Diciassette. Lui alzò un braccio e devio’ la traiettoria delle pallottole, alcune rimbalzarono contro il muro e altre si spezzarono a contatto con la sua mano nuda. Il cyborg colpì uno dei due con un raggio fotonico, si accorse che portava una pistola e la prese in prestito, ricordandosi all’improvviso di aver perso la sua da tempo.
“No! Non spararmi!”

Appena vide il ragazzo avvicinarsi il bandito getto’ a terra il fucile svuotato, alzando le mani in segno di resa.
Diciassette scopri’ i denti in una specie di sorriso beffardo. Mise la canna della pistola contro il suo naso: “Ehi, veramente tu hai sparato per primo.”

Quando il bandito fini’ a terra supino, non aveva piu’ una faccia.
Quello che era stato colpito dal fascio di energia rantolava e si contorceva per terra, Diciassette ebbe la compassione di finirlo con un colpo di pistola: “Tanto è comunque morto.” 
Il silenzioso, l’ultimo rimasto, tremava; in mano stringeva un coltello, che lascio’ cadere. Diciassette si preparo’ a uno svogliato interrogatiorio:
“Dimmi tutto quello che devo sapere. Chi e’ il Commando Magenta?”

L’uomo non riusci’ a guardarlo in faccia; se il capo fosse venuta a conoscenza anche di una sola parola che lui stava per dire, probabilmente gli sarebbe costata la vita. Ma in quel momento, quel ragazzo di fronte a lui gli faceva paura. Molta, molta di piu’ di qualsiasi Cloe Mafia.

“Siamo la gang di Central City, siamo stanziati poco lontano da qui. Cloe Mafia e’ il nostro leader, fin dai tempi dei Neri...”

“Chi sono i Neri?”

Il bandito confessò ogni dettaglio sul Commando: controllavano l'intero traffico di droga nel distretto di Central City, all'occasione erano anche sicari. Il loro trafficante di armi, nonché maggior cliente era un signorotto negli Yunzabei Heights; il loro quartiere generale comprendeva da solo sei isolati per un totale di due km quadrati.

Avevano ottenuto più potere dopo la sconfitta dei Neri, una gang defunta di cui nessuno aveva mai visto i leader. Lui ricordava due figure in nero che di tanto in tanto assaltavano gli isolati in cui i luogotenenti erano stazionati e prendevano tutti i soldi. Uno dei due concludeva sempre quei raid con delle sparatorie che per quanto violente, non uccidevano mai nessuno. La loro fortuna era cambiata con un incidente:

“Non abbiamo avuto prominenza fino al giorno del treno. Qul giorno ci siamo scontrati con i leader dei Neri e Cloe ha smascherato la ragazza... l'ha ceduta alla polizia. Non proprio lei ma il suo DNA, un capello sul suo passamontagna. Da quando abbiamo messo la polizia alle calcagna dei Neri tutto è andato in discesa per noi. Tre anni fa dopo i leader sono scomparsi. Noi...abbiamo ucciso gli altri.”

Il bandito cercava di capire quale fosse la natura di quell’assassino sanguinario che si era preso il suo edificio. Registro’ quanti piu’ dettagli pote’. Il viso da ragazzo dai tratti spigolosi, la sciarpa arancione legata intorno al collo, I canini appuntiti, gli orecchini ad anello. I suoi occhi ghiacciati e il suo alito caldo, contro la propria mano. Fu proprio quel binomio a scombussolarlo nel profondo: uno sguardo cosi’ tanto freddo da sembrare meccanico e il calore di un corpo umano non potevano stare insieme, non ne capiva la ragione: era una paura animale, quella provata dalla lepre prima di essere infilzata dagli artigli dell’aquila.

Ebbe solo un pensiero: appena quella mattina Cloe aveva tenuto una riunione speciale e aveva informato tutti loro, i suoi ragazzi, che il giorno prima aveva crivellato di colpi un intruso e che costui non era morto. Le pallottole non avevano perforato nemmeno i suoi indumenti.

“Tu...Sei tu l’androide n.16?”

“Cyborg n.17, se mai. Come conosci Sedici?” ruggi’ il ragazzo, inginocchiato di fronte a lui.

Il bandito era cosi’ vicino al suo viso da riuscire a vedere un’ombra scurire il suo sguardo, le pupille dilatarsi.

“Ho solo sentito parlare di lui, ti giuro! Nemmeno...nemmeno Cloe sa dov’e’ andato. Ti prego, ti prego, sono solo un semplice scagnozzo. Non ho fatto del male all’androide.”

Diciassette ebbe un tuffo al cuore. Abbasso’ lo sguardo per un momento e si senti’ felice. Sedici era vivo ed era la’ fuori, esattamente come aveva pensato lui.

Il bandito teneva le mani alzate, respirando affannosamente.

Diciassette non aveva dubbi sul fatto che Sedici fosse incolume, non gli interessava questo Commando Magenta. Annoiato da come il bandito non potesse portarlo da Sedici e non avendo piu’ nulla da chiedere, sparo’ un colpo che lo uccise immediatamente.
 


Diciassette si sentiva bene. Ci volevano proprio quei quattro bifolchi! Gli avevano dato una sferzata di adrenalina, si sentiva di nuovo in sé.
Così questo era un covo di banditi…”

Si tolse la sua maglia nera, macchiata di sangue, poi diede un rapido sguardo alla stanza: c’erano frammenti metallici di proiettile, tre cadaveri.
Alzò le spalle e in un lampo incenerì i resti dei due banditi, non voleva che sua sorella lo sapesse e si preoccupasse. Poi saltò giù sull’acciottolato del cortile, dove giaceva il primo che aveva ammazzato. Sentendo odore di carne essiccata, il cyborg si avvicino’ al cadavere e trasse dalla sua tasca un pachetto di bocconcini per cani.

La caduta era stata notevole e il cranio dell’uomo si era aperto come un uovo, schizzando roba qua e là con un effetto aerografo.

Bleah…”  

Diciassette storse il naso: anche se era mezzo macchina, anche se aveva per qualche minuto sperimentato con divertimento il modo Terminator, lo spettacolo disturbo’ il suo stomaco vuoto. Si affrettò a distruggere anche l’ultima traccia di quel massacro.

Nella stanzetta, Botz era uscito dal suo cantuccio e guardava Diciassette con la testa inclinata.

Il ragazzo gli diede i bocconcini e rimase ad accarezzarlo. Botz sembrava chiedergli “vuoi giocare con me?”

“No, scusami. Ora voglio riposare un po’. Se vuoi, resta. A dopo.”

Botz si godette gli ultimi grattini sul collo e si distese sul pavimento. Non avendo più niente da fare, Diciassette si tolse le scarpe, la cintura e la sciarpa; si mise comodo sulla branda e chiuse gli occhi non accorgendosi che, per la prima volta da quando era diventato cyborg, era scivolato in un vero sonno.

/

Sedici aveva visto molti piu’ umani di quanto avesse mai immaginato in quei pochi giorni. Aveva visto in poco tempo tante sfumature di terrestri dalla gioia della sana famiglia Brief alla crudelta’ di quella donna gangster. I suoi circuiti lo facevano pensare e ripensare a quella Cloe, a come un’umana potesse uccidere altri umani con cosi’ tanta leggerezza.

Mentre camminava pensoso per le strade di Central City, Sedici aveva sentito qualcosa, un lieve aumento di potere da parte di qualcuno che conosceva. Non sapeva se un androide come lui potesse provare speranza, ma Sedici voleva che quell’energia appartenesse a uno dei cyborg: aveva appreso dai Brief che, per ragioni oscure, loro due si erano separati da Cell prima che questo venisse ucciso, quindi erano vivi e tutto quello che lui doveva fare era trovarli.

Il segnale che l’aveva attirato ora aveva smesso di manifestarsi, ma Sedici gia’ sapeva da dove provenisse. Volo’ di nuovo sopra il territorio del Commando evitando di guardarlo, fino a giungere in campagna.

Vide un edificio solitario. Una vecchia casa di pietra, diroccata ma robusta.

Sedici la perlustro’ e non vi trovo’ nessuno. Salendo all’ultimo piano, apri’ una porta e boccheggio’ per lo stupore quando vide Diciassette. Era tutto intero, vivo; giaceva su un fianco, aveva gli occhi chiusi e non si era accorto di lui, ma Sedici constato’ che stava bene. Stava solo dormendo.

Ai suoi piedi, anche un grosso cane bianco con orecchie rosa a punta sonnecchiava. I movimenti di Sedici erano stati troppo leggeri e non aveva un odore vivo, il cane aveva continuato a russare tranquillo.

Sedici penso’ che fosse curioso che Diciassette potesse dormire come un umano, non gliel’aveva mai visto fare durante i giorni che avevano passato insieme in giro per il mondo, prima di Cell.
E l’androide si sorprese delle sue stesse emozioni, constatando che poteva provare divertimento: senti’ la voglia di ridere nel vedere che Diciassette stava sbavando sul cuscino.

Lo lascio’ stare e si sedette vicino alla finestra, aspettando Diciotto.


 


 


 


 


 

   
 
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