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Autore: ShanaStoryteller    20/04/2020    1 recensioni
Una raccolta di storie brevi che dipingono una nuova versione dei miti antichi.
O:
Quello che accadde a Icaro dopo la sua caduta, come Ermes e Estia si immischiarono e salvarono l’umanità e di come Ade voleva solo schiacciare un pisolino.
Genere: Dark, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Afrodite/Venere, Ares/Marte, Era/Giunone, Poseidone/Nettuno
Note: Lime, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Atena e Medusa



Credeva di essere nata senza la capacità di provare amore, che fosse destinata dalle circostanze della sua nascita a essere fredda e apatica e sola.

Emersa dal cranio di Zeus, era nata senza la passione e l’amore. Nessuno di quei due sentimenti l’aveva concepita e, dunque, nemmeno lei poteva concepirli. Pallade Atena era nata già adulta, dagli occhi di pietra e forte come l’acciaio. Atena era nata e nessuno pianse.




Aveva poca pazienza e provava poco amore per il resto della sua famiglia. Coloro che non la esasperavano di continuo – come i due esuberanti gemelli, Apollo e Artemide, i cui sorrisi erano talmente solari da risultare abbaglianti – li evitava. Non riusciva a sopportare la loro presenza.

Ermes era saggio ma bramoso, e non tollerava la sua avarizia. Efesto… lui era diverso, non sorrideva spesso ma aveva la dolcezza negli occhi e l’intelligenza nelle mani. Atena si sedeva di fianco a lui nella sua forgia e lui non la evitava né si stancava delle sue costanti correzioni. Accoglieva le sue critiche in silenzio, ora accettandole e correggendo le sue opere, ora ignorandole senza darle alcuna spiegazione. Le piacevano i suoi silenzi, i suoi occhi scuri, il modo in cui si era forgiato delle gambe migliori invece di tentare di ottenerne di nuove fatte apposta per lui. Zeus avrebbe potuto farlo, come pure i suoi fratelli, ma Efesto non gliel’aveva chiesto.

Afrodite nacque come lei e, per un momento, Atena pensò che non sarebbe più stata sola, che avrebbe avuto una sorella del cuore. Ma Afrodite era la personificazione dell’amore e della passione, e non soffriva per la loro assenza come Atena.

L’arrivo della sua nuova sorella fu un doppio colpo per lei. La dea era amata da tutti, desiderata da tutti, rincorsa da tutti. Incluso Efesto. Atena non riusciva a credere che la donna più desiderabile che esisteva avrebbe scelto un dio deforme che non aveva nemmeno un trono sull’Olimpo, ma si sbagliava.

Gli dèi facevano a gara per lei, le offrivano castelli e servitori e ogni sorta di doni stravaganti. Ares, tra tutti, competeva con foga inaudita per la sua mano, promettendole ogni sorta di bene che nessun uomo sano di mente avrebbe ceduto.

Efesto le offrì una sola rosa di bronzo forgiata con le sue stesse mani.

Afrodite andò a casa con lui. Il suo trono sull’Olimpo, più spesso vuoto che occupato, fu adornato di semplici fiori di bronzo.

Atena si disse che, in ogni caso, non lo desiderava e costrinse quello che rimaneva del suo cuore a tramutarsi in pietra.
 


Medusa era una normale ragazza di villaggio. Aveva capelli corvini e spessi, portati in trecce, pelle scura e stupefacenti occhi verdi. Molti la definivano bella, ma lei faceva del suo meglio per nasconderlo indossando semplici vesti verdi, non adornandosi il volto con il trucco e non portando alcuna collana scintillante al collo.

Era furba. Suo padre era un contadino, sua madre una levatrice, ma lei pensava di poter essere di più. Divenne sacerdotessa della dea Atena e venne educata dalle altre sacerdotesse, le sue nuove sorelle, Stheno e Eurydale.

I suoi sforzi di passare inosservata non ebbero successo a lungo. Catturò l’attenzione di Poseidone, un dio così terribilmente potente che le sue ginocchia tremavano a ogni suo sguardo. Medusa non lasciava spesso il tempio e il terrore le ghermiva il cuore quando scorgeva Poseidone che la aspettava al limitare del villaggio.

Non andò da lui. Sperava che la smettesse di aspettare.

Un giorno, un messaggero si recò al tempio, grondante di sudore e con gli occhi spalancati. “Sacerdotessa Medusa!” Boccheggiò. “La prego, venga con me! Mia moglie… il parto è difficile, le levatrici hanno detto di venire da lei. Deve aiutarci!”

Medusa esitò. Non era una discepola di Artemide, ma sua madre le aveva insegnato bene. Il loro era un piccolo villaggio; se si fosse rifiutata di aiutare, se avesse messo la sua paura al disopra dei bisogni di una neo-madre, non sarebbe stata degna di chiamarsi sacerdotessa di alcuna dea. “Fai strada.” Disse, inghiottendo la sua paura e sollevando la veste per seguire l’uomo fuori dalla sicurezza del tempio, fino al villaggio.

Il parto fu lungo e difficile; ebbero successo, ma solo in parte. La madre era salva, ma solo uno dei due figli che portava in grembo respirava. Il padre la ringraziò, anche mentre toccava la guancia dell’infante che non erano riuscite a salvare, e Medusa tentò di non chiedersi se sarebbero sopravvissuti entrambi se non avesse esitato. Probabilmente no, ma sapeva che quella possibilità l’avrebbe assillata comunque.

L’uomo si offrì di riaccompagnarla, ma lei rifiutò, non volendo separarlo dalla sua nuova famiglia, e affrontò il lungo ritorno verso il tempio da sola.

Era quasi arrivata quando le apparve un uomo, che camminava tranquillo al suo fianco. I suoi occhi erano del colore del mare in tempesta, dalla pelle abbronzata, alto e possente. “Ti aspettavo.” Disse, le labbra inarcate da un lato.

Medusa lo fissò col cuore in gola e non riuscì a pensare a niente da dire. Quindi scappò.

Era sui gradini del tempio quando un braccio forte la prese per la vita. “Non così in fretta,” mormorò Poseidone, le labbra lungo il suo collo, “abbiamo appena avuto l’occasione di conoscerci.”

“Non possiamo,” disse, disperata, non intenzionata a resistergli per evitare di scatenare la sua ira, “siamo nel tempio della vergine Atena!”

“Solo sui gradini,” si insinuò sotto la sua veste, “non le dispiacerà. Non è un problema, vero? Sei così carina.”

Si morse il labbro per impedirsi di piangere. Poseidone era il dio del mare e lei era solo una donna mortale. “No,” sussurrò, inviando un’ultima supplica alla sua dea patrona, “non mi importa.”
 


Atena era furibonda. Nelle sue giornate migliori, non aveva pazienza per i misfatti di Poseidone, ma la sua sacerdotessa nel suo tempio… non aveva il potere di uccidere il dio, ma era determinata a impartirgli una lezione.

Entrò con foga nel suo palazzo e i servitori si sparpagliarono alla sua vista.

“Mia signora Atena,” la accolse una voce dolce, divertita, “che piacevole sorpresa.”

Si voltò e rivolse uno sguardo truce alla sorridente Anfitrite. Non sapeva come comportarsi con quella donna. Era la personificazione del mare stesso e più simile a un essere come la grande Madre Gaia che a una dea. Eppure, si accontentava di essere la moglie di Poseidone, di essere il mare che lui comandava.

“Sai dove si trova tuo marito?” Le chiese.

“Sempre.” Le rispose, sempre con lo stesso dolce sorriso, e Atena sentì un brivido percorrerle la schiena, inspiegabile. “Come posso aiutarti, mia signora e dea?”

“Mi deve un risarcimento,” sbottò, “ha stuprato una delle mie sacerdotesse nel mio tempio. Esigo soddisfazione.”

Anfitrite sorrise e Atena si ricordò all’improvviso che si trovava nel bel mezzo del mare, nel bel mezzo del regno di Anfitrite. Non era quello il luogo dove adirarla. “Se è soddisfazione che brami, non dovresti cercare mio marito.” Atena aprì la bocca, ma Anfitrite la interruppe: “Occupati della tua sacerdotessa, mia signora e dea. Non c’è niente per te qui.”

Atena era troppo saggia per combattere una battaglia persa in partenza. Lasciò il palazzo a mani vuote.
 


Medusa era immersa in una fonte termale, le ginocchia al petto e il mento su di esse. Non aveva raccontato a Stheno ed Euryale degli eventi della scorsa notte. Come poteva, quando l’avrebbero sicuramente cacciata se avesse rivelato loro che non era più degna di servire in un tempio della Vergine Atena?

“Hai sanguinato?”

Sollevò la testa di scatto e si ritrovò a fissare occhi grigi e freddi. “Mia signora!” Boccheggiò, e si affrettò a premere la fronte contro la roccia, prostrandosi come poteva nella fonte.

“Ti ho fatto una domanda.” Disse Pallade Atena.

Medusa sentì le lacrime raccogliersi agli angoli degli occhi, ma le scacciò con un battito di ciglia. “No, mia signora. È stato gentile.”

Quelle parole erano aspre nella sua gola, ma erano vere. Non era stato brusco con lei, non l’aveva ferita come si narrava di lui nelle storie, non l’aveva lasciata sanguinante, ma solo con un vago intorpidimento che sarebbe stato semplice da ignorare, se causato da altro.

“Non essere ridicola.” Disse Atena con durezza, afferrandole il mento e costringendola a guardarla. “Non c’è niente di gentile in quello che ti ha fatto. In ogni caso. Farò in modo che né lui né nessun altro uomo ti possa più toccare.”

Sentì la paura attanagliarle la bocca dello stomaco. A Medusa non erano piaciute le mani di Poseidone su di lei; si era sfregata la pelle fino a lasciarla in carne viva per scacciare la sensazione del suo tocco che ancora vi aleggiava. Ma non pensava di rimanere una sacerdotessa per sempre. Avrebbe voluto un marito, un giorno, e dei figli suoi e quel desiderio non era qualcosa che le azioni di Poseidone avevano cambiato.

Ma Atena era una dea e lei era solo una donna mortale.

“Ti ringrazio, mia signora.” Disse, e chiuse gli occhi.

Qualunque cosa le avesse fatto, Medusa sperava che non avrebbe provato dolore.
 

 
Atena si trovava in una delle grandi biblioteche quando Afrodite si sistemò accanto a lei. Respinse l’ondata istintiva di amarezza che la colpì alla vista della dea e disse: “Afrodite. Avresti potuto avvertirmi del tuo arrivo.”

“Se l’avessi fatto, non saresti qui.” Le rispose a tono la dea, e Atena mantenne un’espressione neutra di fronte a quell’accusa del tutto esatta. “So che non sei paziente, sorella, ma non pensi che il trattamento da te riservato alla tua sacerdotessa sia un po’ troppo severo? Non è colpa sua se ha attirato l’attenzione di Poseidone.”

Le ci volle un momento per capire di chi stesse parlando. “La trasformazione di Medusa non è una punizione, ma un dono.”

Afrodite sbuffò: “Un dono magnifico. Normalmente non mi intrometterei nelle tue faccende, ma la ragazza ha pregato nel mio tempio per mesi. Ritrasformala.”

“Cosicché possa cadere preda di un altro uomo?” Scattò Atena, punta sul vivo dal suo rimprovero in un modo che si rifiutò di mostrare. “Non penso proprio.”

“Così com’è ora, nessun uomo potrà neanche amarla.” Disse. “Perché le vuoi negare la felicità?”

Atena chiuse bruscamente il libro che aveva tentato di leggere, furente. “Stupida ragazza, perché dovrebbe mai volere l’amore di un uomo dopo quello che le ha fatto Poseidone?”

“Non tutti sono come te, Pallade Atena.” Disse Afrodite, e c’era un qualcosa di crudele nella piega delle sue labbra. “Non tutti sono disposti a trasformare quello che gli reca dolore in pietra.”

Lo sapeva. Atena supponeva che fosse inevitabile che la dea dell’amore sapesse cosa si celava nel suo cuore, ma strinse comunque i pugni. “Gliel’hai detto?”

“Mio marito è ignaro di tutto tranne che delle sue macchine, come sempre.” Disse. “Restituisci a Medusa la sua forma originaria.”

Atena non era disposta a farsi comandare da una mezza dea imbellettata che non dichiarava guerre e non vinceva vittorie. “Mi rifiuto. Sono nel giusto per quanto riguarda la mia sacerdotessa.”

Afrodite scosse la testa, ma la lasciò finalmente sola.
 


Medusa non smise di pregare Afrodite, ignorando i lunghi anni in cui le sue preghiere rimasero inascoltate.

Teneva i suoi serpenti stretti in un velo e loro riposavano di buon grado sulla sua testa.

Nel tempio, il suo sguardo non era un problema perché le sue sorelle non erano uomini e non potevano essere tramutate in pietra. Ma quando qualcuno giungeva al tempio, si nascondeva nella sua stanza rifiutandosi di uscire, terrorizzata all’idea di poter tramutare qualche buon viaggiatore in pietra per errore.

C’era un uomo ferito nel tempio: un eroe, segnato con il marchio degli dei.

Stheno chiese a Medusa di vegliarlo, dicendo che era lei la migliore guaritrice delle tre. “È freddo ed è stato toccato dagli dèi.” Disse Stheno con impazienza, trascinandola fuori dalla sua stanza. “Non lo trasformerai in pietra.”

Medusa si arrese e curò le sue ferite, attenta a non tenere lo sguardo su di lui nel caso si fosse svegliato.

Era un bell’uomo, l’unico che avesse visto in molto tempo. La sua pelle era di un bronzo intenso, i capelli folti e scuri, gli zigomi alti. Le sue labbra erano piene e morbide, come scoprì quando le sfiorò con cautela con le dita. “Il suo nome è Perseo.” Le disse Euryale.

“Perseo.” Ripeté lei, e arrossì.

Andava da lui durante la notte e si sedeva al suo fianco. Sulle prime si limitò a guardarlo, aspettando che la sua ferita guarisse e che lui si svegliasse e andasse via. Ma i giorni passavano, e lui guariva, ma lentamente. Iniziò a parlargli, descrivendogli i suoi giorni d’infanzia. Gli raccontò dei suoi genitori, del suo studio per diventare una levatrice, di come avesse rifiutato quella strada per diventare una sacerdotessa di Atena. I giorni divennero settimane, e gli parlò di Poseidone, del dono (maledizione, dicevano le sue sorelle quando pensavano che lei non potesse udirle) che Atena le aveva fatto, del futuro che aveva bramato e che ora aveva perduto per sempre.

Gli teneva le mani mentre parlava, tracciando le linee dei suoi palmi, ed era terrorizzata e piena di speranza per l’arrivo del giorno in cui si sarebbe svegliato.

Quel giorno arrivò. Si nascose nella sua stanza con le ginocchia al petto, come il giorno in cui Atena le aveva fatto visita.

Sentì dei passi e poi qualcuno bussò alla sua porta. “Medusa?” La chiamò una voce profonda. “Sei qui? Sono Perseo.”

Sciolse lentamente la sua posizione e si avvicinò alla porta. Non l’aprì, ma vi premette contro la fronte. Desiderò sapere com’erano i suoi occhi.

“Se… Se ci sei, volevo… Volevo. Io… Grazie, Medusa. Per esserti presa cura di me. Non sarei vivo se non fosse per te. Non potrò mai ripagare la tua gentilezza.”

Rimase lì in piedi, in attesa, ma lei non riuscì a trovare il coraggio di parlargli.

“Tranquilla,” disse, questa volta con voce più dolce, “non importa, non serve che tu dica niente. Spero che ci incontreremo ancora, sacerdotessa Medusa.”

Era da tempo che non piangeva. Non si stupì quando si accorse delle sue lacrime.




I giorni divennero settimane che divennero mesi. Fece del suo meglio per dimenticare l’uomo che non aveva mai incontrato davvero.

Poi, lui tornò.

Si trovava nella biblioteca quando Euryale venne a cercarla, dicendole che doveva recarsi nella stanza principale.

Lo scorse appena e fuggì, affrettandosi ad allontanarsi prima di ucciderlo per errore. Euryale le bloccò il cammino, guardandola severa. “Non lo trasformerai in pietra, Medusa. Vai.”

“Sacerdotessa Medusa,” la chiamò con quella stessa voce piena, “indosso una benda. I nostri sguardi non si incontreranno. Non fuggire da me, te ne prego.”

Prese un respiro profondo e costrinse il suo cuore a placarsi e le sue gambe a smettere di tremare prima di riuscire a voltarsi per guardarlo. Fece passi di piombo fino a quando non fu di fronte a lui. Aveva delle nuove cicatrici dall’ultima volta che l’aveva visto, e voleva toccarle.

Le porse una piccola scatola. “Sappi che questi sono tuoi, a dispetto della tua risposta, sacerdotessa Medusa. Non sono un oggetto di scambio. Sono un regalo.”

“Ti ringrazio.” disse istintivamente, confusa. “La mia risposta a cosa?”

Le sorrise. Le sue labbra sembravano ancora più belle a quel modo. “Mia signora Medusa, ti sentivo quelle notti in cui eri al mio fianco, tutte quelle lunghe ore in cui la tua voce mi ha guidato indietro verso il regno dei mortali. Ho viaggiato per il mondo e non ho ancora incontrato una donna straordinaria quanto te. Ti vorrei prendere in moglie, mia signora Medusa, se lo vorrai.”

Le sue ginocchia tremarono e le mani di lui si avvolsero attorno ai suoi gomiti, tenendola in piedi. “Non posso,” si strozzò, “non posso, ti ucciderò.”

“La scatola che tieni in mano contiene un paio di occhi.” Disse con dolcezza. “Togli la mia benda.”

Non poteva essere. Non poteva aver detto quello che pensava avesse detto. Sollevò una mano, tremante, e rimosse la benda.

Dove si dovevano trovare i suoi occhi c’era solo vuoto. La cicatrice era ridotta, denotando che erano stati rimossi con preciso intento. “Se terrai i miei occhi per te, non dovrai più preoccuparti di tramutare la gente in pietra. Dubito che siano belli quanto i tuoi, ma desidero comunque che li abbia tu. Voglio che tu possa godere dei benefici che comportano, che tu diventi mia moglie o meno..”

Medusa passò con cura la preziosa, preziosissima scatola su una mano e posò l’altra sulla nuca di Perseo, tirandolo a sé e premendo le sue labbra sulle sue. Lui le avvolse un braccio attorno alla vita, con cura, stringendola a sé. Era caldo e forte, e la sua bocca era morbida e docile. Era tutto quello che sperava sarebbe stato essere tenuta da un uomo.

Il suo velo si sfece, e quando i serpenti si liberarono, Perseo rise. Erano liberi e adulti, arrivandole quasi alla vita. Si allungarono, strusciandosi contro di lui. “Sono amichevoli, vedo.” Le disse, tenendo sollevata una mano per fargliela studiare. “Posso prenderlo come un sì, mia signora Medusa?”

.” Disse, e lo baciò di nuovo perché ora poteva farlo.




Atena sedeva su un tetto, guardando Medusa dall’alto mentre questa stendeva il bucato nel caldo sole estivo. Gli occhi marroni di Perseo le stavano splendidamente sul volto, e lo sguardo di Atena venne attirato dal gonfiore del suo ventre.

Sentì un cambiamento nell’aria al suo fianco. “Sei venuta a rinfacciarmi la mia ignoranza?”

Afrodite sospirò e si appoggiò a lei, spalla contro spalla. “Cara sorella, non lo farei mai.”

Rimasero sedute in silenzio per un momento, finché Atena non cedette. “So che pensi che sia fredda-”

Afrodite scoppiò a ridere e Atena, stupita, si zittì. “Il tuo carattere è abbastanza incandescente da ridurre l’intero Olimpo in cenere.” Le disse, gioiosa. “Fredda non sarebbe mai una parola che userei per descriverti. Testarda, certo. Meschina, altrettanto. Ma non fredda.”

“Sono l’unica dea senza un amante.” Disse, atona, perché tutti sapevano di Artemide e delle sue donne o di come Estia usasse il suo voto di castità per scoraggiare i pretendenti e niente più.

“Dunque?” Le chiese Afrodite. “Non vedo che importanza debba avere. Poseidone giace con più persone di tutti noi messi assieme, eppure è freddo come le profondità dell’oceano in cui vive.”

Atena la fissò con occhi spalancati e le confessò qualcosa che non aveva mai detto a nessuno: “Non credo di essere nata con la capacità di poter amare.”

Sua sorella sorrise, dolce, e disse: “Spesso, l’amore è sacrificio.” Nessuna delle due guardò Medusa, che aveva preso la mano di suo marito cieco per posarla sul suo ventre. La sua risata fu allegra e fendette l’aria quando sentì suo figlio muoversi. “Quella è un’arte che conosci bene, sorella.”

Per un solo momento, le dita di Afrodite si intrecciarono alle sue e sentì le sue labbra calde sulla sua fronte.

Poi, fu di nuovo sola.



Note traduttrice: 
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Note dell’autrice:

Spero che vi sia piaciuta!

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