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Autore: Mercurionos    22/04/2020    2 recensioni
ULTIMO CAPITOLO: Alba e Cenere:
E lì, nell’ombra silenziosa e fredda,
sotto lo scampanellio della pioggia,
Vegeta volse lo sguardo alle proprie spalle,
e la vide.
L'Impero Galattico di Freezer, tirannico dittatore di tutto ciò che esiste: un periodo oscuro e inenarrato. Il rinnovato nucleo dell'impero attende tre guerrieri saiyan, gli ultimi della propria specie, predestinati a mostrare il proprio valore all'Universo. A partire dagli ultimi giorni del Pianeta Vegeta, fino a quel fatidico 3 Novembre, e oltre, nel massimo rispetto del magnifico Manga di Akira Toriyama.
Parte di "Dragon Ball: Sottozero", la vita dell'eroe che non abbiamo visto crescere.
Genere: Avventura, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nappa, Nuovo personaggio, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dragon Ball - Sottozero'
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Cuore Puro di Rabbia – Febbraio 765 del Calendario Terrestre
 
CRACK!
 
Il rumore che producevano le sue dita era un suono grave, fastidioso e penetrante, uno che difficilmente avrebbe mai potuto ignorare. Ma Vegeta decise di continuare, sorvolando sul dolore nelle sue mani, l’incessante scricchiolio che attraversava i suoi pugni.
 
CRACK! CRACK!
 
Non volle smettere. Non gli interessava. Le sue dita forse si erano rotte, forse il caldo che provava era il sangue scuro che a fiotti stava sgorgando sotto i suoi guanti, di minuto in minuto più grigi per la fuliggine metallica che riempiva l’aria della stanza. Ormai per il saiyan era difficile vedere, respirare, anche soltanto reggersi in piedi. Ma ogni volta che pensava di percepire la stanchezza avere la meglio sul suo corpo stringeva i denti, urlava alle bianche pareti della camera gravitazionale, e si scagliava nuovamente all’attacco.
 
CRACK!
 
Sentì provenire il rumore da tutti i suoi legamenti, ogni osso del suo corpo rigido come la roccia gemette all’unisono, terrorizzato ed esausto da tutto quel combattere. Vegeta atterrò sul pavimento irrorato di sudore, la mente concentrata sui piccoli marchingegni fluttuanti che lo stavano aiutando nell’allenamento. In quell’istante, il suo corpo cedette. Vegeta cadde in ginocchio, sentì una violenta scarica incunearsi nello scheletro quando le sue gambe toccarono il pavimento. Voltò lo sguardo verso il pannello di controllo della stanza e il numero che stava cercando brillava ancora, ricordandogli quell’obiettivo che al momento gli parve impossibile da raggiungere. Se Goku era riuscito a sopportare una gravità tanto alta, non c’era nessun motivo per cui il suo principe non avrebbe dovuto vincere uno sforzo doppio, se non maggiore. Ma Vegeta non riuscì a rialzarsi. Stremato poggiò una mano sulle piastrelle rosse della stanza, ma le dita dilaniate dalla fatica non vollero collaborare. Il saiyan cadde a terra e il suo mondo si oscurò silenzioso.
 
“Grazie al cielo hai installato quel programma di emergenza, papà.”
“Oh beh, non potevo di certo far trasformare il tuo futuro marito in un budino!”
“La vuoi piantare, razza di degenerato?”
Il dottor Brief rispose alla figlia con la sua tipica risata allegra e abbandonò il locale che da qualche mese ospitava Vegeta. Dopo aver raccattato l’uomo esanime dal pavimento della camera d’allenamento, Bulma lo aveva medicato ed infilato nel suo letto. Lo osservò per qualche minuto, guardò il suo petto gonfiarsi e sgonfiarsi stremato dell’odissea che era la sua quotidianità, le gambe tremanti per lo sforzo al quale venivano costantemente sottoposte, le mani irrequiete che di tanto in tanto lasciavano danzare libere le robuste dita sotto la coperta. Poggiò una guancia sul tavolo accanto al letto, proseguendo la sua osservazione del saiyan. La stanchezza ebbe però la meglio anche su Bulma, quindi ella chiuse gli occhi e si abbandonò ad un meritato sonno.
 
Quando i primi raggi di sole sfiorarono il suo volto, Vegeta si svegliò di colpo. Tartassato dal dolore che pulsava nei suoi muscoli, lasciò scivolare libero lo sguardo nella stanza scarsamente illuminata e capì dove si trovava. Non fu sorpreso di essere in quella situazione e, spronato da una sensazione di curiosità, piegò a fatica il massiccio collo verso il lato del letto. E Bulma era lì. Nuovamente Vegeta si trovò in circostanze scomode per il suo intelletto fissato con l’allenamento: voleva alzarsi, costringere le proprie stanche carni a perpetrare quell’autodistruttiva routine di esercizio fisico, ma era calamitato da quella donna. Si sentì in trappola, allora decise di raccogliere le poche forze che gli erano rimaste in corpo e di alzarsi, scattando come una molla. Le sue vertebre crepitarono doloranti, tanto forte da svegliare Bulma.
 
La donna alzò repentina il capo, spaventata dal rumore. Incrociò subito lo sguardo assente di Vegeta e vide le sue pupille rintanarsi a fissare un angolo della stanza.
“Ma buongiorno, Vegeta.”
Nessuna risposta.
“Allora, hai dormito? Come vanno le tue… Beh, tutto? Riesci ad alzarti oggi?”
“Ovvio.” Le disse fulminandola con gli occhi.
“Oh, che aggressivo! Potresti anche ringraziarmi, una volta tanto.”
“Devo andare ad allenarmi.”
Bulma saltò in piedi, buttando per terra la sedia sulla quale aveva dormito.
“Scordatelo! È la quarta volta questo mese che ho dovuto scrostarti dal pavimento della Gravity Room, datti una calmata.”
“Come? Ho detto che devo allenarmi, e non me lo impedirai.”
Indispettita, Bulma portò le mani sui fianchi e si piegò verso lo scontroso ospite: “Questo è da vedere! Non ci vuole niente ad aggiungere uno zero all’indicatore della gravità. Diventerai un ottimo yoghurt gusto saiyan, stupido.”
Vegeta voltò il capo, scrutando gli edifici della Città dell’Ovest oltre la finestra della propria stanza.
 
Temendo di aver offeso il saiyan, Bulma sollevò la sedia dal pavimento e vi si sedette sopra. Sbuffò, poi si rivolse nuovamente all’uomo con tono pacato: “Senti Vegeta, smettila di allenarti. Non hai già chiesto abbastanza al tuo corpo? Perché continui a fare così?”
Vegeta si voltò bruscamente: “Mi pare ovvio, no? Non ho alcuna intenzione di farmi ammazzare da quei rottami mezzi umani.”
“Cosa ci vuole? Tanto ci penserà Goku, no?” affermò la donna con aria di sufficienza, poggiandosi al piccolo tavolo.
Vegeta balzò giù dal letto con gli occhi animati da una fiamma dorata; si chinò verso Bulma, mostrandogli l’ampia fronte e la aggredì con lo sguardo bieco: “Ne ho abbastanza di questa storia! Sempre quel dannato Kakarot! Prima mi lascia andare, poi diventa il super saiyan e adesso questo? Anche quel ragazzo del futuro ha pensato bene di superarmi!”
“Vegeta.”
“Io resto qui ad allenarmi ogni giorno, ogni giorno tento di superare i miei limiti, ma tu pensi soltanto a quel maledetto! Anche nel futuro non hai fatto altro che tentare di riportare in vita quel deficiente!”
“Vegeta!”
“Cosa vuoi?!?”
“Non è che… sei invidioso di Goku?”
 
Vegeta ammutolì. Bulma ne approfittò per sfoggiare il sorriso più malefico che riuscì a produrre con le proprie labbra: “Voglio dire, capisco che hai il lusso di poter vedere una ragazza bellissima come me ogni giorno, ma non devi certo sentirti minacciato da Goku, caro il mio Vegetino.” La donna si alzò ancora una volta e gli poggiò l’indice sul petto fasciato di garze, ma venne subito respinta con un rapido gesto dell’uomo.
“Lasciami stare.”
“Ehi! Guarda che mi fai male! Non sono mica robusta come voi zucconi saiyan. Siete solo capaci di combattere e di farvi male a vicenda, voi.”
La luce sinistra che serpeggiava negli occhi di Vegeta s’infiammò nuovamente, intimorendo la bella terrestre. Bulma indietreggiò, schiacciata dall’invisibile forza che scaturiva dal saiyan, ma quello non si quietò per lo sgomento animatosi nello sguardo della donna.
 
“Tu non sai nulla dei saiyan.” disse Vegeta, recuperando il controllo sulla propria aura, poi uscì dalla stanza.
Bulma si lasciò cadere sul letto di Vegeta. Ancora spaventata dall’impeto d’ira dell’uomo, lasciò vagare le dita sulle morbide lenzuola. Riuscì a distinguere la forma della schiena di Vegeta, dove poggiavano le sue spalle, ma non sentì alcun calore provenire dal giaciglio appena abbandonato. Strinse la mano in un pugno e, forse infervorata da un lieve guizzo d’ira, si lanciò verso l’uscio della camera e corse dietro a Vegeta.
 
“Sei un cretino!” urlò la donna attraverso il vuoto corridoio della Capsule Corporation.
Vegeta si voltò annoiato e infastidito dall’insistenza della terrestre, sicuro che il proprio sguardo sarebbe bastato come risposta.
“Sono stanca di stare dietro al tuo autolesionismo! Ti ho offerto il mio aiuto soltanto perché so che non hai un posto dove andare, né nessuno che riesca a chiamarti amico! Quindi piantala di fare l’egoista!”
“Io non ho chiesto il tuo aiuto, donna.” Grugnì provocatorio Vegeta, ponendo particolare enfasi sul gentile epiteto.
“Ti ho detto di smetterla! Sai perfettamente come mi chiamo! – Bulma si fermò per inspirare e rincarare la dose, tornando subito all’attacco – E sai cosa? Vuoi startene da solo? Perfetto. Stattene da solo. Quando capirai che anche quel deficiente di Goku riesce a vivere meglio di te soltanto perché si è fatto degli amici forse la pianterai con questa scenata!”
“Non paragonarmi a Kakarot!”
“Perché? Tanto lo fai già abbastanza da solo, Vegeta.”
“Non dire fesserie!”
“Come no. Va’ all’inferno, Vegeta.”
“…Ci sono già stato.”
“Perfetto, allora vedi di non tornarci. Non ho proprio voglia di sotterrarti in giardino.”
Così Bulma voltò le spalle al principe dei saiyan, e lo lasciò in balia dei suoi pensieri confusi.
 
Quello stesso giorno, dopo il tramonto, Bulma andò a trovare il padre nella sua officina. L’anziano quanto arzillo signore stava montando un grande esoscheletro sferico, e la figlia riconobbe in fretta di che progetto si trattasse: “Ehi papà, come mai stai ricostruendo la navicella di Goku?”
“Oh, ciao tesoro. Me l’ha chiesto il tuo ragazzo, non te l’ha detto?”
Bulma trasalì. Nonostante le parole facilmente equivocabili, comprese subito che il padre stesse parlando di Vegeta e non di Yamcha.
“Vegeta ti ha chiesto di fabbricare un’astronave?”
“Beh, sì. La vuole come quella che ho fatto per il viaggio su Namecc, così ho pensato di terminare i progetti che avevo per il primo modello. Quel Goku non mi ha permesso di mettere a posto lo stereo… Tesoro, che ti succede? Mi sembri quasi pallida. Hai mangiato per bene?”
Bulma scosse rapidamente la testa: “No, io… Non preoccuparti, sto bene. Posso darti una mano?”
“Sì, certamente. Potresti installare la macchinetta del caffè al primo piano della nave?”
“Primo piano?”
“To l’ho detto che Goku non mi ha fatto finire il progetto originale. Ora voglio farla proprio per bene. Più veloce! Più ergonomica! E con molti più optional di serie!”
 
A notte inoltrata Bulma decise di lasciare il laboratorio per andare a coricarsi. Passando per i corridoi della sua gigantesca casa, lanciò un’occhiata fuori dalle finestre e, come immaginava, Vegeta era sul balcone proprio sopra al giardino. Bulma si fermò a guardare l’uomo, illuminato dalla fredda luce proveniente dalla città: tutte le sere Vegeta, dopo l’intenso allenamento, si recava sul balcone ad osservare il panorama notturno. Bulma non sapeva cosa cercasse nelle luci cittadine, ma quella sera lo sguardo del saiyan era rivolto verso il cielo. Istintivamente, anche Bulma alzò lo sguardo, ma non riuscì ad intravedere nulla: era difficile vedere le stelle dal centro della Città dell’Ovest e non comprese cosa stesse cercando Vegeta. Stanca, decise di lasciar perdere.
 
Qualche giorno più tardi la navicella fu ultimata. Vegeta stava per salire a bordo, ma venne fermato dalla donna con cui non aveva parlato per giorni interi. Bulma si avvicinò a lui, tremando flebilmente.
“Sei sicuro di voler partire?”
“Sì. Devo farlo.”
“No che non devi. – Bulma incrociò le braccia indispettita – Non mi hai nemmeno detto per quale motivo hai deciso di andartene.”
“Non…”
“E non ti azzardare a dire che non sono affari miei.”
“…Non riesco a migliorare restando sempre qui, ho bisogno di viaggiare.”
Bulma sbuffò: “E quando hai intenzione di tornare?”
“Dipende.”
 
Bulma rimase leggermente angosciata da quella risposta, ma non si lasciò scoraggiare e, a pieni polmoni, chiese: “Vuoi che venga con te?”
Sorpreso dalla richiesta di Bulma, Vegeta tentò di ricomporsi quanto prima, stroncando le aspettative della donna: “Lo spazio non è posto per te.”
“Perché, per te invece?”
Il respiro del saiyan si mozzò. Vegeta girò la testa verso la nave, ripensando a ciò che era successo poco più di un anno prima. Effettivamente, l’ultima volta che era stato nello spazio era morto, come arrogantemente aveva ricordato a Bulma nella loro animata discussione di qualche giorno prima.
“Devo andare da solo.” Disse l’uomo, serio ma crucciato in volto, mentre si incamminava sulla rampa dell’astronave.
“Vegeta! – Bulma richiamò ancora l’attenzione del saiyan, che un’ultima volta si girò verso di lei – Se vuoi tornare, qui c’è un posto per te!”
Vegeta appoggiò una mano sui comandi del portellone, senza staccare gli occhi di dosso a Bulma. Disse soltanto: “Lo so.” Poi sigillò l’entrata della navicella.
Bulma restò a guardare il vascello con le mani giunte attendendo il decollo.

La rotonda astronave a strisce bianche e nere si librò in volo qualche istante più tardi, roteò in aria, poi svanì oltre l’atmosfera. Vegeta restò incollato agli oblò rotondi della nave, osservando come lentamente il pianeta si rimpiccioliva, sempre più lontano da lui. Vista dallo spazio la Terra era stupenda, una visione che pochi corpi celesti potevano eguagliare. Il principe dei saiyan la guardò attentamente per i pochi istanti in cui restò nel suo campo visivo, ma, una volta scomparsa nel buio del cosmo, l’immagine della Terra venne sostituita a quella di un altro pianeta.
Era un pianeta bellissimo, attraversato da strisce di terra rossastra, intervallate dall’oceano che aveva lo stesso identico colore dei capelli della donna che Vegeta aveva abbandonato sulla Terra. Vegeta ricordava ancora l’ultima vista che gli era stata concessa sul pianeta con cui un tempo condivideva il nome, ma il ricordo portò con sé un’amara verità: era una terra che aveva chiamato casa, ma alla quale non sarebbe mai potuto tornare; era il mondo che avrebbe dovuto proteggere, ma Vegeta non si era trovato lì nemmeno quando venne ridotto in polvere.

 
   
 
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