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Autore: Tati Saetre    22/04/2020    14 recensioni
Ricordati che le i taxi a Londra sono neri, Bells. Non gialli. Neri. La raccomandazione di Charlie fa scattare una lampadina nel mio cervello, mentre porto una mano alla mia bocca.
Non ci posso credere.
Sono entrata in macchina di uno sconosciuto.
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Sesto capitolo - Segretaria sexy

Bella


Apro gli occhi di scatto, cercando di abituarmi alla luce gialla che me li fa subito richiudere. Allora sbatto di nuovo le palpebre leggermente, cercando di capire cosa c’è intorno a me. Mura bianche, un odore di spirito allucinante e tutti quei biip che continuano a farmi girare la testa. Sono in Ospedale. Ci metto un po’ a rendermene conto.

Che ci faccio qui? Provo a muovere la testa verso sinistra, e capisco che il mio collo è bloccato da qualcosa. Mi sforzo un po’, fino a vedere che anche l’altro lettino della stanza è occupato.

Da Edward. Con gli occhi aperti e una benda che gli circonda la testa mi guarda con un cipiglio divertito in faccia.

“Buongiorno, bella addormentata. Ce ne hai messo di tempo prima di svegliarti.”


Quella stessa mattina…


Basta, ho deciso. Farò leva sulla mia forza di volontà, e appena arriverò in ufficio parlerò con Edward. Non mi sta bene tutto questo. Non mi stanno bene i baci rubati, non mi sta bene che ogni scusa è buona per prendersi gioco di me. Non che gli riesca difficile farlo, dopo avermi conosciuto veramente. Eppure non mi sta bene. Stamattina mi sono svegliata con questo pallino nella testa: devo far valere le mie idee. Devo dimostrargli che non esiste solo la Bella divertente, ma esiste anche quella cazzuta. Quella che è in grado di fare molte altre cose, oltre a quelle già dimostrate. E’ una settimana che lo vedo di rado in ufficio, mentre mi sono occupata delle scartoffie che mi faceva recapitare da Alice. Forse è anche questo che non mi sta bene. Essere stata messa da parte. Eravamo partiti col piede giusto, cause pro bono da sola e le altre con il mio aiuto. Ma l’unica cosa che ha fatto con il mio aiuto è stata farsi accompagnare dalla Contessa, mentre tenevo il moccio ad entrambi. Ho appurato che non è un serial killer, e non mi ha uccisa in mille pezzettini lasciandomi nella campagna inglese. Anzi, avrebbe di certo fatto altro. Ma non ha aggiunto niente in macchina, lasciandomi sotto casa con un semplice: “Grazie e buonanotte.” Io pensavo di essere strana, ma lui non scherza. Scendo con uno sbuffo le scale, pensando che sì, oggi è proprio il giorno giusto. Per entrare nel suo ufficio e parlargli. Per dirgli che sono stata spedita qui per un motivo, ma che posso redimermi dai miei sbagli iniziali. Ricominceremo da capo! Era da tempo che non sentivo questa positività dentro di me. Ma dura davvero poco, perché appena apro il portone il diluvio universale è la prima cosa che mi accoglie. Perché non tiro su le tapparelle quando mi sveglio? Perché diavolo non controllo il tempo fuori, prima di mettermi in ghingheri per il discorso dell’anno, eh? Sbuffo, e penso che non posso salire a cambiarmi. Penso anche che non ho un ombrello con me, e non ho abbastanza soldi da spendere per il taxi. E non posso arrivare in ritardo. L’unica soluzione che mi resta è quella di correre fino alla fermata della metro, sperando di non rompermi l’osso del collo con questi tacchi.

L’ho già detto che odio Londra, no? Beh, se non l’ho detto è così.

Io odio Londra.


“Bella…”

Non. Dire. Una. Parola.” Punto un dito contro Alice, mentre cerco di salvare il salvabile. Peccato che non ci sia niente da salvare. Sono fradicia. Ho i capelli attaccati al viso e vestiti sono ormai la mia seconda pelle.

Tesoro…” Cerca di trattenersi dallo scoppiare a ridere da un momento all’altro. “Posso aiutarti?” Domanda dalla sua postazione, con una piega impeccabile e un trucco da make up artist. “Perché non ti decidi a prendere una macchina?”

“Perché non ho il tempo di imparare a guidare di nuovo.” Sbuffo, gocciolando su tutto il pavimento della hall. “Alice, aiutami.” La mia è una preghiera, mentre il folletto si alza e la seguo fino ad una stanza dove non avevo mai messo piede.

“Cos’è questo posto?”

“Il mio ufficio.” Risponde, mentre tira fuori da un cassetto un phon da viaggio, un beauty-case e un cambio di vestiti.

“Hai un ufficio?” Chiedo accigliata, mentre poso la mia borsa e la mia valigetta bagnate come me per terra.

“Quando lo studio chiude e devo finire di lavorare vengo qui. Era l’ufficio di un altro legale, e quando se ne è andato Cullen e McCarty hanno deciso di darlo a me. Passo molte notti in questo ufficio.” Svela, passandomi un telo bianco. “Asciugati in bagno. Poi lavati il viso per togliere tutto quel trucco colato. Qualcosa di waterproof no, eh?”

Water-che?” Alza gli occhi al cielo sbuffando.

“Sei un caso perso. Menomale che ci sono io!” Saltella sul posto, indicandomi il piccolo bagno. Ci entro, iniziando a spogliarmi con calma. I brividi mi accolgono subito, e tremo. Mi manca solo l’influenza.

“Tieni, indossa questi.” Mi passa dalla porta un cambio, il suo cambio. Alzo un sopracciglio, guardandola dallo spiraglio della porta.

“Alice…”

“Che c’è?”

“Siamo molte diverse io e te.” Annuncio, guardando i vestiti nella mia mano. C’è proprio tutto. Un reggiseno, una camicia bianca, delle calze auto-reggenti che credo di non aver mai utilizzato in vita mia, e una lunghette nera.

“Ti entrerà tutto alla perfezione! Su, cambiati.” Non è più un consiglio, ma un ordine. Quando vedo la mia immagine riflessa nello specchio il mio primo pensiero è quello di dire ad Alice che sono malata. Che non potrò andare a lavoro oggi. Che faccia finta che non sia mai arrivata in ufficio.

“Bella?”

“Io non esco da questo bagno!”

“Bella, dai! E’ impossibile che non ti siano entrati.”

“Sono strizzata in questi vestiti. Io non esco.” Ribatto di nuovo, guardando l’espressione più sconsolata che potessi fare. Scherza?

“Alice, tu sei più bassa di me. Tu sei molto più magra di me. Tu non ti rendi conto…”

“Tesoro, puoi uscire da quel bagno? Ti prometto che se è troppo andrò io stessa a prenderti un cambio a casa tua.” Non so perché mi lascio convincere dalla sua voce soave. Ma lo faccio. Apro piano la porta del bagno, rivelandomi a lei.

“Su, dimmi cosa c’è che non va!” Dice, guardandomi dall’altro al basso.

“Cosa? Forse questo?” Indico la mia scollatura. I miei seni molto più sodi di quelli di Alice sono strizzati nel suo reggiseno, sicuramente una misura o forse anche due in meno della mia. Non riesco neanche ad allacciare la camicetta bianca fin sopra la scollatura, perché i bottoni non si congiungono. La gonna mi fascia il di dietro facendo vedere proprio tutto. E’ come se non la indossassi.

“Sei uno schianto, tesoro. Fossi in te brucerei tutti tuoi completi per iniziare a indossare quello.” Mi indica, sorridendo soddisfatta.

“Alice, non posso. Lo capisci? Non posso. Sembro la segretaria porno di un film a luci rosse. Quella che entra in ufficio e si stende sulla scrivania del suo capo.” Non so perché - o forse sì - ma arrossisco subito al pensiero. Perché non ho immaginato una segreteria porno qualunque. Ho immaginato me stessa mentre mi sdraio sulla scrivania di Edward. Era un giorno partito con positività, eh?

“Tesoro, per favore. Ti pare che se fosse stato troppo non te lo avrei detto? Comunque ho tutta la tua giornata già programmata. E non c’è niente di diverso dalle altre. Quindi starai chiusa nel tuo ufficio tutto il giorno. Ti giuro che se per la pausa pranzo ancora non ti sei abituata a quei vestiti, ti accompagno veramente a casa. Te lo giuro.” Anche stavolta mi lascio convincere. Perché sono così stupida? Eppure Alice è stata così carina da prestarmi i suoi vestiti, ed ora è dietro di me mentre asciuga i miei capelli. Dopo pochi minuti, sono con la faccia rivolta verso l’insù mentre si occupa del mio trucco. Non tutti lo avrebbero fatto. E di certo io devo imparare da questa lezione e portare un cambio nel mio ufficio. Perché non mi smentisco mai?

“Non ho una spazzola per i boccoli, ho cercato di allisciarli.” Annuncia, mentre mi dirigo di nuovo verso il bagno. Non riesco a muovermi troppo bene con questa gonna, passi lenti e studiati. Sudati, più che studiati. Ma quando arrivo di nuovo davanti allo specchio vorrei sprofondare. La famosa segreteria porno sarebbe più pudica di me. La matita nera contorna i miei occhi - io non lo faccio mai, se non mettere un po’ di mascara -, e un rossetto scarlatto segue benissimo le linee delle mie labbra. Appoggio le mani sul lavello, e respiro a fondo.

Tutto il giorno in ufficio, come i precedenti. Non vedrò nessuno a parte Alice.

Cosa potrebbe andare storto?

Ma mi dimentico sempre che il mio nome è Bella Swan.


Immersa fra tutte quelle scartoffie non mi sono resa conto che il tempo è passato così velocemente, non finché il telefono dell’ufficio suona e sobbalzo dalla paura. Se c’è una cosa che ho davvero imparato a Londra è quella di controllare lo schermo di qualsiasi telefono prima di rispondere.

Interno due uguale Edward. Quell’Edward che è una settimana che non mi chiama, e decide di farlo proprio oggi.

“Sì?”

“Isabella, lascia stare quello che stai facendo e vieni nel mio ufficio.”

“Cosa?!”

“C’è qualche problema?”

Edward…

“Io e Emmett siamo qui.” Non mi lascia il tempo di replicare, perché mi attacca in faccia. Ho le mani sudate, e le strofino sulla gonna di Alice.

Perché proprio oggi? Perché? E soprattutto, perché a diciotto anni i miei mi hanno permesso di farmi un tatuaggio sul mio petto, proprio il centro che divide il mio seno? E’ quello che mi domando, mentre cerco di avvicinare i lembi della camicia il più possibile. Ma non ci riesco. Perché quella camicia sembra scoppiare da un momento all’altro, e quel tatuaggio è molto visibile. Non solo la mia scollatura sarà la protagonista delle occhiate che riceverò, ma lo sarà ancora di più quel disegno. Conto fino a dieci e respiro profondamente prima di uscire dal mio ufficio. Alice mi lancia un’occhiata scettica, mentre le sussurro con il labiale un semplice ‘tu me la pagherai.’ Allarga di più gli occhi, cercando di farmi capire che lei non c’entra niente. Almeno è quello che spero. Busso piano alla porta di Edward, e la apro con ancora più lentezza. So già quello che mi aspetta. Ma di certo non lo immaginavo così plateale. Emmett è in piedi, e appena la serratura scatta si gira nella mia direzione. Resta fermo così, imbambolato come se vedesse una donna per la prima volta. La mascella di Edward invece sembra voler toccare terra da un momento all’altro. Dopo avermi fissato per tutta la mia lunghezza non solo una, nemmeno due ma ben tre volte, accascia le spalle sullo schienale della poltrona. So di essere rossa come un peperone, perché sento il sangue affluire in ogni parte del mio corpo.

Emmett!” E’ la voce di una donna a riportarci sul pianeta terra, che proviene dal divano alla mia destra. Una donna non bella, no. Una dea.

Amore!” L’avvocato sembra riprendersi subito dai suoi pensieri. “Tesorino, ti presento Bella. Direttamente da Seattle.” Si avvicina alla donna, stringendola una mano. “Bella, lei è Rosalie. Mia moglie.” Calca così tanto sulle ultime parole che penso lo faccia più per se stesso che per lei. Rosalie si alza, mostrando le sue gambe lunghe fasciate da un paio di jeans che le stanno a pennello. Si avvicina a passo lento verso di me, senza mai staccare lo sguardo dal mio. Sta marcando il territorio. Non le do tutti i torti, in fondo. Nell’ufficio del suo uomo si è appena presentata una segretaria porno. Non che io e Rosalie abbiamo qualcosa in comune, eppure il suo sguardo potrebbe incendiarmi da un momento all’altro.

“Rosalie.” Annuncia, allungandomi una mano. “La moglie di Emmett.” Ripete le parole di suo marito, ma con un tono ben diverso.

“Isabella. E’ un piacere conoscerla.” Stringo la sua mano, e sento che la sua stretta potrebbe sgretolarmi da un momento all’altro.

“Tu ora mi accompagni alla macchina.” Non usa un tono autoritario, eppure sembra che Emmett lo conosca molto bene. Perché non se lo lascia ripetere due volte, prima di alzare le spalle nella direzione di Edward ed uscire dalla stanza insieme a sua moglie.

“In cosa posso esserti utile?” Brava. Educata e coincisa. Se non fosse per questi vestititi, poteva essere la giornata perfetta per il mio grandioso discorso. Ma non so quanto possa prendermi sul serio, a questo punto.

“Accomodati.” Ecco, questo era proprio quello che non doveva succedere. Perché quando mi siederò la camicetta si allargherà ancora di più, e la gonna salirà sulle mie gambe. Nel mio ufficio non ho dato molto peso a questi fattori. Nessun problema se il pizzo del reggiseno usciva fuori e se il laccetto delle autoreggenti si lasciava intravedere.

Ma qui…

Trova la forza, Bella. Trovala.

Mi siedo, tenendo le mani ancorate ai lembi della gonna. In questo modo sembra non risalire più di tanto, eppure non posso fare a meno di notare lo sguardo di Edward. Lì, fermo in mezzo alla mia scollatura. Non so da quanto tempo mi sta guardando, mentre cerco di fare una cosa così semplice come sedermi.

“Edward. Puoi guardarmi negli occhi?” Li sbatte di scatto, come se si fosse svegliato da una trance momentanea.

“Dirlo non è difficile come farlo.” Butta di nuovo le spalle sulla sedia, afflosciandosi completamente.

“Mi dispiace. Ho avuto un problema stamattina.”

“Spero che la tua casa si sia allagata o che gli alieni stanotte abbiano rapinato l’intero guardaroba. Sennò no, non trovo una giustificazione.” Arrossisco, abbassando la testa. Mi sta esplicitamente dicendo che è troppo. Che tutto questo non fa al caso mio. Che la segretaria sexy non mi si addice come ruolo. Ma un conto è pensarlo, un altro è sentirselo dire. Respiro di nuovo a fondo, prima di aprire bocca.

“Ripeto, in cosa posso aiutarti?”

“Abbiamo un appuntamento nell’aula delle conferenze.” Annuncia deciso, sistemando i documenti che sono davanti a lui.

Di tutti i giorni, ma proprio di tutti, perché oggi? Perché?

“Ottimo. Di che si tratta?”

“Una video conferenza. Da Seattle. Con Aro Volturi.” Pronuncia l’ultima frase guardandomi dritto negli occhi. Io non ci voglio credere.

“Devo assolutamente partecipare?” Domando appena. Lui annuisce, prima di alzarsi e sorpassare la sua scrivania. Mi alzo anche io, cercando di abbassare con un colpo solo la gonna. Ma fa una cosa che mai mi sarei aspettata. Si toglie la giacca, mostrando i suoi muscoli tesi coperti da una camicia bianca.

“Che fai?” Chiedo quasi impaurita. Che la mia mise gli abbia dato l’ok senza che io dicessi nulla? No, non è possibile. Ma lo sta facendo. Si sta spogliando. Dio, Dio, Dio. Ma tutti i miei pensieri vengono interrotti quando mi passa il suo capo.

Mettila.”

“Cosa? Perché?”

“Mettila e basta.” Non conosco il suo tono autoritario, ma assecondo il suo gesto. La prendo per poi infilarmela. Arriva fino alle ginocchia, e mi copre completamente. “Andiamo.” Mi precede, e quando apre la porta dell’ufficio trova Emmett con una mano alzata che stava per bussare. Guarda prima lui senza giacca, e poi me con la sua giacca. Poi lo rifa. E lo rifa ancora.

“Non dire una parola.” E’ l’unica cosa che gli dice Edward, prima che tutti e tre ci avviamo verso la stanza delle conferenza. Quando passiamo davanti alla piccola reception di Alice, non posso non notare la sua faccia soddisfatta.


“Questo è un problema enorme, Cullen” Ripete ormai Aro per la milionesima volta. Siamo tutti e tre seduti intorno al lungo tavolo, mentre dallo schermo in alto vediamo una stanza molto simile a questa dove ci sono Aro e i suoi fratelli. Una stanza che conosco molto bene.

“E’ un problema che risolveremo noi. Qui, a Londra.”

“E invece mi dispiace non essere d’accorto con te.” Se c’è una cosa che non mi è assolutamente mancata di Seattle, è la voce viscida di Aro. “La Contessa è nostra cliente, ora.” Perché è proprio quello il motivo di questa call: la Contessa. Che non trovando un appoggio da Cullen&McCarty, si è rivolta al loro studio affiliato. A km di distanza. Ma non sembra essersi posta il problema, a quanto pare. “Mi dispiace per voi, se devo essere sincero. La pubblicità che vi farà quella donna di darà del filo da torcere, Cullen.” Il suo tono non sembra per niente dispiaciuto, però

“Noi laviamo i panni sporchi in casa nostra, Aro.” E’ Emmett a rispondere, anche se non è mai stato interpellato. La risata di Aro fa rimbombare anche queste pareti.

“Va bene, McCarty. Va bene. Ma non c’è da preoccuparsi, la Contessa sarà molto felice di vincere la sua causa. Eppure mi domando… perché non avete accettato? Non ha chiesto una cosa così difficile.” Anche se vorrei uscire da questa stanza, la domanda di Aro è l’eco della mia. Di quella che mi sto facendo da giorni, ormai. E’ perché Edward l’ha rifiutata? Ma non mi sembra così plausibile come scusa per rinunciare a tutti quei soldi.

“Come ho già detto, i panni sporchi li laviamo in casa nostra. C’è altro che vuoi aggiungere?” E’ sempre Emmett a parlare, ma non prima di lanciare uno sguardo fugace nella direzione di Edward. Lui è lì, fermo e pensieroso. Perché non ha accettato? La curiosità mi sta logorando.

“Sì, un ultima cosa.” Si schiarisce la voce, prima di mettere alla luce il suo sorriso maligno. Quello che conosco molto bene. “Ti trovo in forma, Isabella. Che l’aria inglese abbia cambiato le tue idee? Se così fosse, puoi tornare qui quando…” Ma la comunicazione viene interrotta da Edward, che sbatte il portatile chiudendolo con forza.

Tu. Nel mio ufficio. Adesso.” E’ l’unica cosa che dice, prima di alzarsi e andarsene.


“Voglio sapere solo come cazzo ti è venuto in mente di vestirti così.” E’ l’accoglienza che mi riserva, mentre chiudo la porta alle mie spalle. Non ho più la sua giacca, che tengo stretta nelle mie mani. La appoggio con calma sul bracciolo del divano.

“Sono i vestiti di Alice. Ma non credo di doverti dare spiegazioni.” Dico con calma. Ne ho abbastanza. Davvero abbastanza. Di essere trattata come una bambola di pezza. Di essere alla mercé di tutti, che sia per il mio bene o meno.

“Tu mi devi delle spiegazioni.”

“Io non ti devo proprio niente. Se non si tratta di lavoro, non ti devo niente.” Stringo i denti, e evito di puntargli un dito contro. E’ sempre Edward Cullen. E’ sempre uno dei miei capi.

“No, hai ragione. Allora potevi evitare di salire su quella cazzo di macchina. Potevi evitare di dar sfogo ai tuoi pensieri come se fossi il tuo migliore amico da una vita. Non mi devi niente, è vero. Dovevi solo comportarti da persona normale!” Io stamattina sono uscita da casa pensando a un discorso da fargli. Sono uscita da casa dicendomi che dovevo fargli capire che in me c’era di più, che non sono una persona così fittizia. Ma credo di aver sprecato abbastanza il mio tempo, e di non aver un’altra possibilità.

“Londra non ha niente per me.” Dico, cercando di ricacciare indietro il nodo che ho in gola. “Ti farò lasciare i fogli da firmare da Alice. Me ne torno a casa.”

“Quale casa?”

La mia. A Seattle.”

Tu non torni da Aro.” Il suo tono di voce è tagliente, mentre fa il giro della scrivania per arrivare difronte a me.

“Io faccio quello che voglio. Perché tu” e stavolta punto un dito proprio sul suo petto. “Tu non hai nessun potere su di me. Tu non decidi per me, solo io posso decidere per me. E se me ne voglio andare, me ne vado!” Alzo il tono delle voce, e l’ho spinto così tanto che arriva a toccare con al schiena il mobile di vetro dietro di lui.

“E cosa farai a Seattle, eh? Aprirai le gambe per Aro?” Allargo entrambe le braccia per strillare, dimenticandomi di un piccolo particolare. La camicia. Entrambi i due bottoni che erano chiusi per pietà sul mio seno saltano. Completamente. Ora non ha una visuale completa della mia scollatura. Ora ha la visuale completa del mio reggiseno. E’ un istante quello che ci separa dal guardarci negli occhi a baciarci appassionatamente. Non ha nulla a che fare con il primo bacio. Questo è un cercarsi continuo. I nostri denti cozzano, mentre faccio leva sulle sue spalle e mi do una spinta per salirgli in braccio.

Peccato dire che non sono una piuma, e che la gonna non mi permette di darmi lo slancio necessario.

Peccato dire che lo spingo così forte, che la sua testa sbatte su quello che c’è dietro di lui. E poi un solo rimbombo, perché la vetrina esplode.

La prima cosa che fa è darmi una spinta, allontanandomi da lui.

La seconda è posare una mano dietro la sua testa, riportandola poi davanti ai nostri occhi. Quello è sangue. Quello è davvero tanto sangue.

“B-bella?!” Ma non rispondo, perché credo di svenire.


Apro gli occhi di scatto, cercando di abituarmi alla luce gialla che me li fa subito richiudere. Allora sbatto di nuovo le palpebre leggermente, cercando di capire cosa c’è intorno a me. Mura bianche, un odore di spirito allucinante e tutti quei biip che continuano a farmi girare la testa. Sono in Ospedale. Ci metto un po’ a rendermene conto.

Che ci faccio qui? Provo a muovere la testa verso sinistra, e capisco che il mio collo è bloccato da qualcosa. Mi sforzo un po’, fino a vedere che anche l’altro lettino della stanza è occupato.

Da Edward. Con gli occhi aperti e una benda che gli circonda la testa mi guarda con un cipiglio divertito in faccia.

“Buongiorno, bella addormentata. Ce ne hai messo di tempo prima di svegliarti.”

C-che è…

“Che è successo?” Da voce ai miei pensieri, mentre annuisco. “Vuoi prima la parte in cui mi salti addosso o quella in cui cerchi di uccidermi?”

Non posso crederci.

“E-Edward…”

“Sì, scusa. Lo so, non c’è bisogno che ti sforzi.”

“C-come stai?”

“Bene, tutto sommato. A parte le schegge di vetro che hanno dovuto togliermi dalla testa. E dalle tue mani.” Aggiunge, mentre alzo la destra. E’ fasciata.

“P-perché sei così v-vigile…” Ma la mia frase viene interrotta dalla porta che si apre di scatto, mostrando il padre di Edward con un camice e… una bambina. Una bambina che gli salta addosso. Una bambina che urla la parola “papà”, prima di ricoprirlo di baci.

“Bella? Bella, tutto bene?”

“Non credo.” Sussurro appena, immaginando solo la mia faccia shoccata. “V-vedo tuo padre in camice e una b-bambina che non assomiglia molto che ti chiama p-papà. H-ho le allucinazioni.” Sussurro debole, sentendo la mia gola sempre più secca.

“Bella? Bella?” Ma stavolta non rispondo a quel richiamo. Perché svengo di nuovo.



Note finali:

Buonasera lettori! Non ho moltissimo da dire, se non un grazie immenso. Per la risposta allo scorso capitolo, perché mi avete fatto sentire tutto il vostro calore anche da lontano. Io vi adoro, e non smetterò mai di dirvelo! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e ho una domanda per voi. Chi mi risponderà correttamente, avrà uno spin-off di Taxi in esclusiva!

Secondo voi, che tatuaggio ha Bella in mezzo al suo seno? Sono sicurissima che ci potete arrivare!

Vi mando un abbraccio fortissimo, e grazie per aver letto!

   
 
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