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Autore: eli_mination    23/04/2020    1 recensioni
A Nuova Domino regna di nuovo la pace e i nostri eroi finalmente si concedono una pausa. Crow va a trovare i vecchi amici al Satellite, ma sulla via del ritorno incontra una ragazza che faceva parte del suo passato e che credeva di aver perso per sempre… Come, prego? La trama vi ricorda qualcosa? Significa che siete veterani di questa sezione!
(REMAKE DI “My love, My life”, FANFICTION SCRITTA DA ME E PUBBLICATA PER LA PRIMA VOLTA IL 28/06/2013)
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aki/Akiza, Crow Hogan, Jack Atlas, Nuovo personaggio, Yusei Fudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Beline

L’interno dell’edificio appariva come un parcheggio multipiano: spazi enormi con strisce sul terreno che delimitavano i posti auto. A volte era interrotto da alcune colonne, ma per il resto sembrava un comunissimo parcheggio di un centro commerciale. Ogni piano era identico a quello precedente, nessun cambiamento. La cosa che stupì di più la ragazza, però, furono le “finestre”. Non potevano proprio descriversi come tali, non avendo alcun vetro a separare l’interno dall’esterno, ma non era quello che turbava di più la ragazza.

“Da qui entra la luce…” disse a Crow, mentre esaminavano attentamente l’ultimo piano, il quinto. “Eppure dove mi trovavo io non entrava nemmeno un raggio di sole… Il meteo non cambiava mai, non c’era la pioggia, il sole che veniva filtrato dalle nuvole… Era tutto buio…”

Durante la loro esplorazione, i due non avevano trovato alcun indizio che potesse, in qualche modo, identificare il maledetto che aveva rapito Beline quando aveva solo quattordici anni. Sempre se ci fosse stato qualcuno a compiere effettivamente quel gesto…

“È come trovare l’ago in un pagliaio… Non c’è assolutamente nulla…” parlò tra sé Crow, osservando ogni singolo centimetro di quelle grandi stanze.

Per tutto il tempo Beline aveva il timore di non essere creduta. Dopotutto erano lì da un’ora e mezza circa a cercare indizi e non avevano concluso un bel niente. Tutti i pochi oggetti che avevano fatto parte della sua prigionia erano spariti. Il fatto che i piani del palazzo fossero l’uno la copia dell’altro, poi, non aiutava di certo. Cosa avrebbero detto alla polizia?

“Eppure io ricordo perfettamente qualsiasi cosa e sono sicurissima che io sono stata qui…” pensò irrequieta. Aveva paura che uno dei suoi ricordi si insinuasse di nuovo nella sua testa, causandole ulteriori visioni.

“Beline? Non ricordi assolutamente nulla della sera in cui sei scomparsa?” le domandò il ragazzo, avvicinandosi.

“Nulla di nulla…” sussurrò lei, sconsolata. La ferita che si era procurata cadendo dalla moto si faceva risentire, bruciando lievemente sulla gamba di Beline.

Crow si voltò, continuando ad esaminare attentamente il luogo circostante. Lei proseguì nella direzione opposta, la vista annebbiata dalle lacrime che volevano uscirle dagli occhi e la rabbia che ardeva dentro di sé.

“… perché, perché…” continuava a ripetersi, quando la suola della sua scarpa incontrò una superficie bombata, diversa da quella liscia del pavimento. Tolse il piede e vide un piccolo oggetto di metallo arrugginito. Per altri poteva essere una cosa insignificante, ma quando Beline si rese conto di ciò che aveva trovato…

“CROW! Ho trovato qualcosa!” esclamò, attirando l’attenzione del ragazzo, il quale accorse.

“Cosa hai…” e fissò l’oggetto che giaceva sul pavimento. “Ma… questo è…”

“Esatto!” esclamò felice Beline. “Me lo hai regalato tu!”

 

“Uffa, ma dove mi stai portando?” domandò Beline spazientita. Aveva una benda sugli occhi ed era guidata da Crow, che la stava portando in un luogo misterioso.

“Resisti! Manca ancora poco!” la rassicurò lui, continuando a camminare mano nella mano con la ragazzina e facendo attenzione che lei non inciampasse.

“Speriamo… Sono proprio curiosa di sapere cosa ti sei inventato…” disse lei in risposta. Dopo aver percorso a piedi un tratto che per la povera bendata sembrava infinito, finalmente Crow si fermò.

“Eccoci! Ora ti puoi togliere la benda!” le disse, allontanandosi da lei e avvicinandosi al suo regalo.

“Finalmente!” esclamò lei, sciogliendo il nodo della sciarpa che le copriva gli occhi e restando esterrefatta davanti a ciò che vedeva. 

“Buon compleanno, Beline!” disse Crow, indicando la moto bianca e viola parcheggiata lì. “Allora, quante volte ti devo tirare le orecchie? Quattordici, giusto?” 

Beline ancora non ci credeva. Aveva davanti a sé la sua prima Duel Runner! Un sogno di una vita! Da quando aveva visto la Blackbird di Pearson si era innamorata di quel mondo e voleva a tutti i costi provare a diventare una duellante, magari gareggiare nei tornei di duelli turbo di cui aveva tanto sentito parlare. Avere una moto era sicuramente un grande passo avanti, le avrebbe permesso di allenarsi.

“Crow… non so davvero cosa dire…” sussurrò Beline. “L’hai fatta tu?”

“Beh, si… Pearson mi ha dato una mano prima che… ehm…” 

Gli occhi del giovane si incupirono. Erano passati pochi giorni da quel maledetto incidente e il ricordo era ancora vivo nella testa di Crow. Beline si lasciò sfuggire una lacrima, che spazzò via con un gesto del dorso della mano. Subito andò ad abbracciare il suo compagno di mille avventure.

“Grazie mille, Crow… vorrei potermi sdebitare un giorno…” gli disse, accarezzandogli i capelli.

“Oh, suvvia, non preoccuparti!” esclamò lui, riprendendo un po’ di entusiasmo. “Caspita, è il tuo compleanno e dovresti ricambiare ad un regalo? Ah, prima che mi dimentichi, ecco la chiave!”

Prese, dunque, dalla tasca dei suoi pantaloni, una chiave alla quale era attaccato un portachiavi fatto da un tappo di bottiglia di metallo colorato con le stesse sfumature di colore della moto.

“Si, anche questo l’ho fatto io!” disse Crow, indicandosi con il pollice. “Non è molto, ma è comunque un segno distintivo tutto tuo!”

Beline prese la chiave con entrambe le mani e le esaminò attentamente. Avrebbe fatto di tutto pur di non perderla.

“Bene, torniamo alla base, così proviamo anche il tuo nuovo bolide! Nei prossimi giorni ti insegnerò come si guida, va bene? In realtà è facile, tu sai andare in bicicletta… Devi tener conto che questa è una bicicletta senza pedali ma con un motore rombante!... Ah, scusami, sto divagando! Prendi, questo è il casco!”

Beline salì sulla moto, per quella volta come passeggera, e si mise il casco. Una scarica di adrenalina iniziò a correrle nelle vene. 

“Allora, sei pronta?” le domandò il giovane. “Reggiti bene a me, si parte!”

La moto partì con una sgommata e poco dopo si ritrovarono sulla strada verso casa, con il vento che picchiava forte sulla loro pelle. 

 

“Se è qui significa solo una cosa…” disse Crow, prendendo il tappo di bottiglia fra le mani. “Siamo nel posto giusto e tu sei stata qui…”

“Esattamente…” sussurrò lei.

“Beh, prove o non prove ti credo comunque. Purtroppo la polizia tende ad essere più scettica di me… In ogni caso, adesso avviso in centrale che possono venire qui, va bene?”

“D’accordo!” annuì Beline.

Crow le sorrise, circondandola con un braccio e lasciandole un bacio sulla tempia, tenendosi vicino a lei mentre componeva il numero di Trudge.

 

Jack

“Ehi, Jack! Buongiorno!”

La voce di Sheila fece sobbalzare il biondo. Normale, si era svegliato da poco, aveva aperto la porta della sua stanza e proprio in quell’istante aveva sentito quelle due esclamazioni. Nonostante ciò, non si scompose.

“Buongiorno a te, gemella di Crow.” Le rispose, abbozzando un sorriso sghembo. “A proposito di Crow… Per caso è tornato?”

“Ehm, non ancora… A quest’ora dovrebbe anche lavorare…” disse lei, guardandosi intorno. “C-comunque, Jack, forse non sarà il momento ideale… ma avrei bisogno di dirti una cosa importante…”

Lo sguardò di Jack squadrò Sheila.

“Cosa mi dovrà mai dire?” pensò, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.

“Scusami, se vuoi fai prima colazione…” iniziò a dire lei, ma Jack la interruppe.

“Stai tranquilla, la colazione può aspettare!” esclamò Jack, conducendola nella sua stanza.

I due si sedettero sul letto, l’uno di fronte l’altra. Sheila sembrava abbastanza nervosa.

“Ehi, che succede? Qualsiasi cosa devi dirmi, non preoccuparti!” la tranquillizzò Jack, notando il suo comportamento strano.

“Scusami… è che non so come potresti reagire…”

“A cosa?” le chiese lui, con una mano sulla sua spalla.

Sheila trasse un respiro profondo, mentre tremava leggermente e sembrava sull’orlo delle lacrime.

“Ecco… Questa è una cosa che non ho mai detto a nessuno… Più che altro perché solo recentemente l’ho capito… Prima non mi ponevo affatto il problema perché non provavo attrazioni sentimentali per nessuno… Il massimo era una profonda stima e affetto, ma mai al punto di innamorarmi di qualcuno. Devo dire che mi sentivo strana, non avevo mai capito il perché… Finchè…”

Jack rimase in silenzio, guardandola comprensivo. Non aveva idea di dove volesse andare a parare, ma il suo cuore sperava che dicesse quelle parole che voleva sentirsi dire da lei.

“…finchè ho capito di essere anormale, credo. Insomma, non sono come voi a cui piacciono…”

Jack abbassò lo sguardo, per poi tornare a guardarla negli occhi e prendendole le mani.

“…le persone del sesso opposto al vostro…”

In quel momento il cuore di Jack non si spezzò, ma sentì una piccola crepa formarsi sopra. Sheila non avrebbe mai potuto amarlo. Gli occhi del ragazzo non riuscirono a reggere lo sguardo della ragazza di fronte a lui. Come aveva fatto a non capirlo sin da subito?

“Volevo dirtelo perchè, nonostante tutto, sei sempre stato un buon amico e so che tra me e te c’è un ottimo legame… Spero solo che la percezione che tu hai di me non cambi dopo questa… ehm, confessione…”

Jack continuò a tenere lo sguardo fisso verso il basso. A quel punto Sheila scoppiò a piangere.

“Mi dispiace, Jack…” singhiozzò rumorosamente. Il ragazzo, a quel punto, abbracciò la sorella del suo amico.

“Non devi piangere, non è colpa tua. Il tuo modo di essere non è un crimine…”

“Si, ma…” disse lei, sciogliendosi dall’abbraccio e asciugandosi le lacrime con il palmo della mano. “Dovevo dirvelo prima… Avevo paura…”

“E di cosa?” ridacchiò Jack, cercando di riprendersi un po’. “Rimani comunque la nostra Carota preferita, Sheila!”

Sheila rise per il nomignolo.

“Avresti dovuto dircelo prima, effettivamente… Adesso sai che puoi fidarti di noi!” disse Jack, positivo.

“Cavolo, mi stupisco di me stesso. Ho appena scoperto che una cotta che ho e che dura da anni è lesbica… Eppure sto bene… Certo, potrei stare meglio, ma sono comunque stupito!”

“Hai totalmente ragione, però ero maledettamente confusa… Avevo anche paura della vostra reazione…” disse Sheila, con le mani sul viso.

“Tuo fratello lo sa?” chiese Jack, ricevendo da lei una scossa di capo come risposta.

“Ho paura di dirglielo… Anche se adesso mi sento meglio… Sono contenta che tu mi accetti, stupido!” disse poi, sorridendo.

Jack ricambiò il sorriso. Si sentiva un po’ deluso dalla notizia, ma ciò non cambiava l’affetto che aveva sempre provato per la sua sorellina acquisita. Sentì che questa chiacchierata aveva unito di più il loro legame. Sarebbe sempre stato un legame fraterno, ma per Jack andava bene lo stesso. Se Sheila era felice in quel modo, lo era anche lui.

“È bello avere qualcos'altro in comune!” disse scherzosamente Jack, uscendo dalla stanza, seguito dalla ragazza.

“Cavolo, è vero! Dimenticavo che anche a te non piace il pesce!” lo stuzzicò lei.

“Sempre la solita…” pensò il ragazzo, scendendo le scale.

  
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