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Autore: iron_spider    25/04/2020    1 recensioni
La sua mente è un caos infernale, ma ricorda il momento: ricorda la propria morte, ricorda il dolore rosso e scottante e Peter che urla, Rhodey che accorre al suo fianco. Ricorda di aver saputo che non avrebbe rivisto Pepper… ma ce l’avevano fatta. Avevano aggiustato il mondo, cancellato il tempo perso, risolto le cose. E il ragazzino era tornato. Piangeva, quel ragazzino che lo odiava per ciò che aveva fatto, ma era tornato. Era vivo.
E Tony Stark era morto. Ma adesso respira di nuovo mentre cerca di pensare, annaspando, con le mani che tastano le pareti che lo circondano, che lo racchiudono, che lo soffocano.
È in una bara. È sottoterra. È sottoterra, cazzo.

[Traduzione // Hurt-comfort // What If? // Tony&Peter // scritta pre-Endgame // Completa]
Genere: Angst, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 4
 


Tony rimane a guardare per un po’ il servizio, dando silenziosamente addio alla sua privacy, poi sale con riluttanza al piano di sopra per svegliare Pepper e trovare un modo per gestire la situazione. Il tutto divampa come un incendio, cresce e cresce finché non sente ne il peso che lo comprime da tutte le parti, schiacciandolo a terra.

Circa un’ora dopo la fuga di notizie, scopre chi l’ha tradito: un guardiano del cimitero di nome Randall Dour. Non è un supercattivo, né Thanos in persona tornato per vendicarsi in modo subdolo, né una sua ex spuntata fuori solo per gettar fango sulla sua tomba… no, solo un innocuo guardiano con un occhio pigro che inizia a rilasciare interviste, che parla troppo. Tony, in vita sua, ha visto in Pepper le più svariate sfumature di rabbia, ma non l’ha mai vista così furiosa. La stanchezza che le cerchia gli occhi è evidente, e lui in parte si sta pentendo di aver passato mezza nottata sveglio deprimendosi a morte. Le parole delle lettere gli echeggiano in testa, e quando pensa troppo a ciò che gli hanno detto si sente un bambino intrappolato in fondo a un pozzo mentre cerca disperatamente di arrampicarsi fuori.

Ha iniziato a fare brutto tempo da quando la notizia si è diffusa, e i rombi dei tuoni continuano a farlo sobbalzare. A volte, si chiede se il mondo voglia davvero il suo ritorno.

“Bene, è stato licenziato,” dice Pepper, digitanto meticolosamente sul computer. “E sto anche cercando di accusarlo per aver filmato un minore senza consenso.”

Tony alza lo sguardo. Peter è in cucina con Rhodey; osserva entrambi mentre cercano di cucinare delle uova alle cinque del mattino solo per lui. Si sente in colpa per il fatto che adesso siano tutti svegli a causa di questo sviluppo idiota in una situazione già abbastanza folle. Vorrebbe solo sentirsi di nuovo normale. Vuole la normalità. Odia quest’imbecille che si è lasciato prendere la mano decidendo di diventare ricco sfruttando la sua resurrezione, e odia – odia – il fatto di non avere il controllo su come il tutto è venuto alla luce.

Non sanno ancora abbastanza, ci sono ancora troppe domande irrisolte perché il mondo venga a conoscenza di questo casino. Ma sa che Pepper non ha né confermato né negato nulla… non che possano effettivamente negarlo, soprattutto ora. Nonostante la scarsa qualità del video, è maledettamente chiaro cosa sia successo. È chiaro che sia proprio lui, Tony Stark, e che sia sbucato fuori dalla propria tomba. Detesta vedere Peter coinvolto in tutto ciò, col suo volto diffuso ovunque in questo giro di gossip particolarmente nocivo.

La TV in salotto è spenta perché è già stufo di guardarla, anche se immagina che dovranno riaccenderla, prima o poi. Osserva Pepper che manda e-mail e scrive messaggi, con una linea corrucciata tra le sopracciglia. Controlla il robottino in modo che rotoli accanto a lei, dandole poi dei colpetti alla gamba per richiamare l’attenzione.

Scusa, scusa,” gli fa dire, rotolando avanti e indietro sul posto. Lei abbassa lo sguardo, fissando il congegno in cagnesco per un secondo prima di passare a lui. Non è certo che le piaccia, quel robot. Non riesce a capirlo, visto che l’intera situazione è sottosopra, al momento.

“Non osare scusarti per qualcuno che ha violato la nostra privacy,” dice poi, le parole aguzze. “Non m’importa se ha visto un raggio d’energia che sbucava dal sottosuolo; è un cimitero, è… insomma, è quello che è!” gesticola con veemenza, con le mani che tagliano l’aria fino ad atterrare in grembo con uno schiocco. Le si stanno infiammando le guance, coi solchi sulla fronte sempre più profondi. La ama quando è arrabbiata, soprattutto quando non è arrabbiata con lui, ma adesso cerca di non soffermarsi troppo su quel pensiero. “Non sono affari suoi! Come si permette di condividere qualcosa del genere col mondo intero e scatenare questi pettegolezzi? È rivoltante.”

Tony sospira. Il robot dice “pettegolezzi?” e Pepper serra la mascella.

“Non m’importa se sono veri,” replica. Le si incrina un poco la voce e poi scuote la testa. Fissa il robot, come se lo stesse analizzando, per poi incontrare i suoi occhi. “Non è giusto. E so che non sempre tutto è giusto, ovviamente, ma… odio… la razza umana. In questo momento. E la maggior parte delle volte.”

Tony annuisce. La capisce. Stava già covando la sua buona dose di timori per ciò che sarebbe accaduto in futuro: gestire le reazioni, i contraccolpi, la gente che avrebbe voluto dissezionarlo e usarlo per i suoi esperimenti, ma adesso devono giostrarsi con la stampa che si dà alle speculazioni prima ancora che lui abbia dato la notizia di persona. A volte vorrebbe non essere Tony Stark. A volte pensa che un banale Joe Smith sarebbe meglio. Se fosse un Joe Smith, a nessuno fregherebbe nulla nel vederlo tornare dalla tomba. Potrebbe morire e resuscitare più volte e nessuno lo saprebbe mai.

Essere famosi fa schifo.

“Per ora terremo la bocca chiusa,” dice Pepper, distogliendo rapidamente lo sguardo, e Tony sa che sta pensando che, adesso, lui ha sempre la bocca chiusa. “A chi importa quello che dicono? Non importa. Non volevamo esporci al riguardo, e quindi non lo faremo. Finché non vorremo. Voglio solo mandare a gambe all’aria questo stronzo.”

Non fa niente,” dice Tony, tramite il robot. “Il video ha già fatto un milione di visualizzazioni su YouTube, e sono in salita. Sono nei trend di Twitter. E anche tu. E anche War Machine e Hulk.” Tony è terrorizzato al pensiero che qualcuno scopra chi sia Peter. È un pensiero che gli pesa in testa ed è un macigno, esattamente come tutto il resto, e ha impostato una decina di allarmi per informarlo nel caso qualcosa dovesse trapelare.

Fuori, la tempesta imperversa.

Pepper sospira, sprofondando nel divano e pizzicandosi il ponte del naso. Tony si avvicina scalando di un posto, accostandosi e premendole un lungo bacio sulla guancia. Le fa il solletico sul collo col naso e a lei scappa una risatina, lasciando scorrere una mano sul suo fianco. Vuole dirle che la ama. Vuole dirlo lui stesso, e non con la voce metallica e acuta di un adorabile robottino nero.

“Okay, questo è decisamente, uh… troppo cibo,” annuncia Peter, avvicinandosi con un vassoio gigante e facendone tintinnare il contenuto ad ogni passo. Rhodey è subito dietro di lui, con un vassoio simile.

“Pepper,” interviene Rhodey. “Sono furioso. Il ragazzo sa cucinare e ce l’ha nascosto per mesi.”

Peter scrolla le spalle, ma non dice nulla e posa il vassoio sul tavolinetto di fronte a loro. È una colazione enorme, con uova al tegamino, toast alla cannella, pancakes, waffles, hash browns [1] e bacon. Pepper la fissa a bocca aperta, ridendo mentre Rhodey ne serve ancora, e regala un sorriso meraviglioso a Tony, che dal canto suo lo salva immediatamente in una foto mentale.

“Wow, ragazzi,” commenta Pepper. “Grazie… farete meglio ad aiutarci a finirla.”

“Ovvio,” replica Peter, scansandosi con aria fiera. Getta uno sguardo verso la mattinata piovosa. “Ho pensato che ci meritassimo qualcosa di bello, oggi.


Ben fatto, ragazzino,” dice il robot, e Peter s’impettisce. Tony è lieto che Pepper sembri abbastanza distratta dalla colazione da distogliersi per un attimo dall’urlar dietro alla gente per la questione della notizia. Lui è stressato, sono entrambi stressati, ed è bello poter pensare alle uova e ai pancake per qualche minuto, invece che alla morte e ai giornalisti idioti. Cerca di fingere che questo sia un momento del prima – prima di Thanos, prima che Peter sparisse. Un puro, perfetto momento nel quale non ci sono cattivi: solo le persone che ama e la sua colazione. E se volesse, potrebbe parlare. Ha ancora la sua voce.

“Dove sono Bruce e Happy?” chiede Pepper, allungandosi per prendere un toast.

“Happy sta facendo la doccia, e ha detto che sarebbe stata la doccia più veloce di sempre,” risponde Rhodey, aggirando il tavolino e collassando sul divano. “E Bruce sembrava al telefono, quando l’ho cercato prima.”

“Con chi?” chiede Pepper.

“Non sono sicuro,” dice Rhodey, afferrando uno dei bicchieri di succo d’arancia. “Ma stava alzando un po’ la voce.”

Tony ha un paio di ipotesi, la prima delle quali Natasha che, probabilmente, se la sta prendendo con lui per non aver condiviso il segreto. Questa notizia si sta rivoltando contro di loro. Sprofonda ancora un po’ nel divano e assottiglia lo sguardo verso Peter, ancora in piedi. Il ragazzo sembra stranamente sulle spine ogni volta che crede di non essere osservato. Incrocia il suo sguardo e lui si stampa in faccia un sorriso, così gli fa cenno di sedersi. Lui acconsente, non prima di aver dato un paio di pacche affettuose al robot.

“Tony, uh,” comincia poi, tormentandosi le mani ed evitando il contatto visivo. “Volevo solo dirti che mi dispiace, uh… avrei dovuto accorgermi di quell’idiota che ci filmava al cimitero. Ero distratto, non ero attento, avrei dovuto e, insomma… mi dispiace, volevo solo dirtelo.”

È come ricevere un pugno in pieno stomaco.

“Peter, no–”

“Non avresti potuto prevederlo.”

Tony gli dà una secca pacca sulla gamba. Gli frulla in testa quella dannata lettera e gli fanno male gli occhi per le lacrime solo al pensiero. Non vuole usare il robot per dire nulla, adesso, perché non gli sembra giusto, né abbastanza significativo, e pensa che non riuscirà mai a scardinare quel senso di colpa dalle mani imploranti di Peter. È inciso nel suo DNA, adesso. Quindi lo guarda e basta, gli passa un braccio sulle spalle e scuote la testa, sostenendo i suoi occhi. Cercando di dirgli, non penserò mai e poi mai che sia colpa tua.

Peter replica con un cenno d’assenso e Tony spera che gli dia ascolto, almeno su questo. È solo colpa di quello stronzo di Dour, e di nessun altro. Soprattutto, non di Peter.

Tony sente i passi di Bruce prima di poterlo vedere, per poi udire un “va bene!” sonoro quasi quanto il tuono che lo segue.

Tony si volta a guardare, così come gli altri. Bruce è al telefono, e sembra sofferente.

“Che succede?” chiede Rhodey, assottigliando gli occhi in direzione di Bruce mentre questi si avvicina a passo di marcia. “Qualcuno ti sta pressando? Se è la stampa, falli parlare con a Pepper, ha passato la mattinata a demolirli uno ad uno.”

Bruce si limita ad alzare lo sguardo, scuotendo la testa. Scosta il telefono dall’orecchio, preme un paio di tasti e volta poi lo schermo verso di loro. Porge a Tony una chiamata di Skype in corso con Natasha e Clint. Tony si affretta a ritirare il braccio dalle spalle di Peter, prendendo il telefono con entrambe le mani. Peter si fa piccolo, uscendo dall’inquadratura.

“Ecco a voi,” dice Bruce, dietro di lui e poggiato allo schienale così da essere visibile. “Adesso piantatela di strepitare, o finisce che mi arrabbio.”

“Cristo santo,” esclama Clint. Natasha rimane in silenzio. Entrambi si limitano a battere le palpebre per un paio di secondi, e Tony si apre in un sorriso sincero. Ogni volta che vede qualcun altro a cui vuole bene, quel dolore ineffabile emerge di nuovo dal centro del suo petto, con il comprensibile ma imbarazzante bisogno di tenersi stretto a tutti loro e non lasciarli mai andare. I capelli di Natasha sono cresciuti, e quelli di Clint sono tagliati corti. Lo fissano entrambi come se fosse un fantasma, e non può fargliene una colpa. È una definizione appropriata per ciò che dovrebbe essere.

Vorrebbe poter dire qualcosa. Qualunque cosa. Riesce quasi a contare tutte le volte che quel pensiero gli si è formato in testa, ribollente, espandendosi fino a conquistare tutta la sua materia grigia con una sola, singola preghiera: voce, voce, voce. Pepper si accosta a lui e inclina lo schermo così da essere nella ripresa, e le loro ginocchia si scontrano. Per un momento, Tony si sente come se potesse cantare. Recitare odi alla sua pelle, alla sua voce, a quello sguardo fiero e protettivo che riserva solo a lui. Per un momento, ha tutto sulla punta della lingua. Quando riporta lo sguardo a Natasha e Clint, ai loro occhi colmi di aspettativa che chiedono risposte, lo sente di nuovo. Come un vetro che si incrina. Come se ci fosse un muro nella sua testa che lui sta abbattendo, lento ma costante, un frammento alla volta.

Il robot si muove avanti e indietro sul posto, come se riuscisse effettivamente a leggere le sue onde cerebrali, la sua pressione sanguigna, e fosse in attesa di qualcosa.

“Scusate se non vi abbiamo chiamato prima,” dice Pepper, poggiando il mento sulla sua spalla. “Non, uh… non ci aspettavamo che la notizia diventasse pubblica. Vi avremmo chiamato stamattina per farvi venire tutti qui e decidere come muoverci, ma il signor Dour ha dovuto complicare le cose.”

“Idiota,” brontola Rhodey.

“Come sta? Tony?” chiede Natasha, sporgendosi verso lo schermo. Deglutisce visibilmente, con gli occhi che scattano tra lui e Pepper. “Tony, come… oddio, come stai?”

Lui scrolla appena le spalle. Ha la tentazione di stringere il robot in braccio come un peluche e lasciar parlare lui: qualunque cosa pur di riempire quel dannato vuoto di silenzio che si sente addosso e lo inghiotte. Alza lo sguardo nel vedere Happy che entra nella stanza, con gli occhi che si fissano su di lui come se non si fosse aspettato di rivederlo lì. Tony alza le sopracciglia verso di lui, sorridendo, e Happy ricambia. Sente Bruce sussurrargli qualcosa riguardo al robot.

“Com’è potuto succedere?” esala Clint, prima che Pepper possa rispondere. “Che diavolo… non credevo questa potesse essere un’opzione ma, merda, l’avremmo scelta da tempo, se solo l’avessimo saputo.”

“Già, davvero,” mormora Peter, quietamente. Tony gli sorride, spingendolo appena con la spalla.

“Sta bene,” dice Pepper. “Solo che non ha voce. Ma ci stiamo lavorando.”

Natasha socchiude gli occhi, scuotendo la testa. “Peter è lì?” chiede.

“Proprio qui,” risponde Peter, appoggiandosi alla spalla di Tony.

“E, uh… Steve lo–”

C’è un tuono particolarmente forte, e Tony se lo sente nelle ossa. Sembra quasi che sia dentro la stanza.

“Dio, questa tempesta è assurda,” commenta Rhodey. “Non si sa nemmeno da dove spunti fuori, non era sui radar.”

Happy a quel punto stringe gli occhi, fissando il proprio telefono. Incrocia lo sguardo di Pepper. “L’hai ricevuto?”

“Sì,” replica secca lei.

Tony si dà un paio di pacche sul ginocchio, cercando di attirare la loro attenzione.

“Uh, l’avviso dice che… la porta sul tetto; qualcuno l’ha aperta. Stando ai filmati si sorveglianza, non c’è nulla fuori dell’ordinario.

“Che succede?” chiede Natasha, avvicinandosi ancora allo schermo.

Tony le rivolge una scrollata di spalle. Qualcuno sta cercando di entrare lì a forza? Ci mancava solo quella.

“Diamine, ora dice che c’è qualcuno nell’ascensore,” esclama Happy, alzandosi.

“Okay,” interviene Bruce. “Rhodey, perché non–”

“Vengo anch’io,” dice al contempo Peter, facendo per imitarlo, ma Tony scuote la testa, trattenendolo.

“Un attimo, Pep, c’è un ritardo nel–”

“Tony!” esclama una voce roboante, e si voltano tutti di scatto. Tony sente il cuore che cade a precipizio per lo shock, ma non per la paura, perché riconoscerebbe quella voce ovunque. Si gira e si ritrova davanti a Thor Odinson che si avvicina a larghe falcate. Non indossa il suo tipico abbigliamento da divinità. Ha un paio di… di jeans, e una t-shirt bianca. Ha ancora i capelli corti, ma la sua barba si è allungata e un po' selvaggia. Quando si avvicina, Tony nota che ha ancora l’occhio di vetro che gli ha dato Rocket.

“Porca miseria, Thor,” esala Bruce, portando una mano al cuore mentre si sorregge con l’altra allo schienale. “Cristo, mi hai quasi ucciso.”

“Maledette falle nella sicurezza,” borbotta Happy, scuotendo la testa e finendo quasi per inciampare nella poltrona davanti a loro. “Dobbiamo sistemare quelle dannate telecamere… sì, assolutamente.”

Anche Rhodey sembra sufficientemente sconvolto, ma Tony è piuttosto felice di realizzare che il tempo non era un segno dell’universo che tentava di rifiutarlo, ma solo Thor irritato per non essere stato messo parte al loro segreto.

“Evidentemente, la Terra ha trovato una cura alla morte,” esordisce Thor, con gli occhi fissi su di lui mentre si avvicina al divano che li ospita.

“Ehi, è Thor quello?” chiama Clint, dal telefono che Pepper gli sottrae di mano. “Non è giusto, così.”

“Ha…” comincia Peter, poi raccoglie le ginocchia al petto come un bambino, sorridendo a tutto spiano all’avvicinarsi di Thor. “Ha fatto irruzione al Complesso!”

“Arriviamo,” conclude Natasha, lapidaria.

“Aspettate,” dice Pepper, “non vi abbiamo nemmeno spiegato–”

E poi la chiamata si chiude. Tony scuote la testa, posando il telefono. Stanno accadendo fin troppe cose insieme, al momento.

“Mannaggia,” soffia via Pepper. “Thor, hai veramente fatto irruzione? Perché non c’era bisogno.”

“Ah, no?” chiede Thor. Sembra che abbia ancora tracce di fulmini sulla punta delle dita.

“Sistemiamo le telecamere,” sospira Pepper.

“Sì, va bene,” risponde Happy. “E dobbiamo arrangiare qualche letto. Penso che saremo presto al completo.”

Tony rilascia un respiro e si alza, approcciando Thor, che ha un’espressione di infantile meraviglia in volto nel vederlo, come se neanche lui riuscisse a credere ai propri occhi.

Annulla rapido la distanza che li separa e lo abbraccia con slancio, sollevandolo in aria. Tony emette uno sbuffo divertito e si aggrappa a lui mentre lo fa volteggiare in cerchio come una bambola di pezza, stringendolo con forza mentre ride roco tra le esclamazioni degli altri. Tony non ha mai veramente avuto la sua dose di bambinerie come questa quando era piccolo, e decisamente non da Howard, e per un istante sente di avere cinque anni, almeno finché Thor non lo posa di nuovo a terra. Gli vuole bene, a questo gigante. Thor l’ha sempre fatto sentire un po’ più vivo, e anche stavolta non fa eccezione.

“È incredibile,” dice il dio, con le mani piantate sulle sue spalle mentre ghigna raggiante. “È incredibile, stupefacente.”

“Non riesce a parlare,” interviene Peter, affiancandosi a Tony. “Non sappiamo perché. Ma per il resto, sta bene.”

Il sorriso di Thor si spegne in fretta, anche mentre arruffa i capelli di Peter a mo’ di saluto. “Questo non va bene,” commenta, guardando alternatamente i due. Il suo sguardo si fissa su Tony e sembra profondamente preoccupato. “Hai sempre così tanto da dire.”

Tony quasi si strozza e gli rivolge un sorriso. Solleva un indice e si volta, allungandosi per prendere il telecomando oltre lo schienale del divano. Sia Pepper che Rhodey lo osservano con sguardi affettuosi, e Tony deve ricordarsi che deve un abbraccio a entrambi anche solo per averlo guardato a quel modo.

Il robot si avvicina rotolando oltre l’angolo del divano e si ferma davanti alla punta degli stivali di Thor.

Però ho costruito questo piccoletto, per il momento,” fa dire al robot. “Quindi… ciao Thor! Mi sei mancato!

Thor lo fissa come se fosse effettivamente mancato a quel congegno, e non a Tony, e Bruce scoppia a ridere, lasciando ricadere il capo in avanti. “Sei molto bravo, con queste cose,” commenta l'asgardiano, spostando l’attenzione su Tony. I suoi occhi si illuminano, brillanti, e lo fissa con intensità, la mascella contratta. Gli stringe la spalla. “Sono– sono immensamente lieto che la notizia sia vera. Che tu sia tornato. Mi dispiace di aver fatto irruzione qui. Se può farti stare meglio, è stato facile solo perché io sono io. Ho fatto in modo di… ricalibrare le vostre serrature e gli impianti di sicurezza. Ero solo molto scontento per non aver ricevuto un messaggio–”

“In nostra difesa,” interviene Peter, proprio mentre Pepper e Rhodey stanno per fare lo stesso. “Quel tipo in TV ha spifferato tutto prima che decidessimo di renderlo pubblico.”

La rabbia ribolle negli occhi di Thor, che si rivolge a Bruce. “Ho visto quell’uomo. Dour, era questo il suo nome? Dobbiamo ucciderlo? Io credo che dovremmo.”

Bruce piazza una mano sulla sua spalla. “Non penso che ci metterebbe in buona luce.”

“Thor, pensiamo alla colazione,” dice Rhodey. “L’ha preparata quasi tutta il ragazzo.”

“Oh,” replica Thor, voltandosi verso quest’ultimo. “Devo preoccuparmi?”

“No,” risponde lui, suonando offeso. “È buona. L’ho assaggiata.”

Thor sorride, e sorride ancor di più quando guarda di nuovo Tony. Gli getta un braccio sulle spalle e Tony sente di nuovo quella sensazione, mentre lo accompagna verso gli altri, mentre Thor chiede altri dettagli sulla sua resurrezione e continua a guardarlo come se fosse davvero importante, come se riaverlo indietro fosse una delle cose più belle che potesse accadere. Vedere insieme lui e Bruce, in questo esatto momento, rievoca il fantasma di quelle notti passate con i Vendicatori, e riesce a sentire l’eco della loro gioia prima che tutto andasse in malora. È la ragione per cui porta la sua squadra così vicina al cuore, per cui li sente come anime affini, come una famiglia. Sente anche l’eco della propria voce, della propria risata. Ci sono così tanti echi nella sua testa, che riverberano e gli si condensano in gola, pronti ad essere ripetuti.

Non vede l’ora di riavere tutti loro assieme. Non vede l’ora che Peter ne faccia parte. Già riesce a vedergli sbrilluccicare gli occhi. Sa che hanno passato del tempo insieme, mentre lui non c’era, ma la reazione di tutti nel riaverlo qui l’ha infine convinto che è proprio lui stesso, l’ultimo pezzo del puzzle. Che forse, senza di lui, era incompleto.

Spiegano a Thor i dettagli. Fanno colazione. La tempesta scema perché Thor non è più irritato per essere stato escluso. Happy continua a fissare Tony come se non riuscisse a credere che sia davvero lì, e alla fine lui quasi lo manda gambe all’aria con un abbraccio per farlo smettere. Pepper continua a seminare devastazione tra i giornalisti e Tony tenta di non pensare all’inevitabile conferenza stampa che dovrà fare senza la sua cazzo di voce. Istiga il robot a rappare per distrarsi e per far ridere gli altri, e Peter ride così forte da farsi uscire il succo d’arancia del naso, e poi ha l’aria di qualcuno mezzo annegato per il paio di minuti successivi, con orrore di Tony. Il telefono del ragazzo prende a squillare quando May vede il telegiornale, e Peter è costretto a parlarci a lungo, fino a dare il telefono a Tony, che la sente piangere nel suo orecchio senza essere in grado di risponderle; pensa che dovrebbero farla venire qui, così che possa vederlo, e riesce a malapena a sentire qualcosa oltre i suoi singhiozzi. Ricevono degli aggiornamenti da Natasha e Clint quando sono a circa tre quarti d’ora da lì e, alla fine, scoprono cosa sta accadendo all’esterno solo quando Happy accende la
TV.

“Cristo,” impreca Pepper, ribollendo d’ira. E ribolle davvero, sembra sul punto di sputare fuoco. Tony prova solo un senso di rassegnazione mentre fissano tutti lo schermo
, e Peter corre a guardare fuori dalla finestra.

Il telegiornale mostra una ripresa da un elicottero fuori dal Complesso, dove la stampa è sciamata accalcandosi ai cancelli. A quanto pare sono tutti accorsi in un’ondata nel corso dell’ultimo quarto d’ora, e da quell’altezza sembrano una miriade di formiche… il tipo di formiche che Tony spazzerebbe volentieri via con un litro di Raid.

Si passa le mani sul volto e vorrebbe urlare, fare qualunque cosa pur di sfogare la frustrazione. Non gli piace questa sensazione, il modo in cui stiano tutti premendo su delle ferite fresche, scavando nella sua psiche, inventando la loro versione dei fatti e degli eventi mentre lo usano come il loro bambolotto zombie personale da vestire a piacimento.

“La sicurezza è già impegnata a sbarazzarsi di loro,” dice Happy, controllando il telefono.

“Non li vedo, da qui,” replica Pepper, digitando qualcosa sul portatile.

Magari dovremmo trasferirci in Canada, come ha fatto Steven,” dice il robot, e Tony solleva le sopracciglia, indicandolo coi palmi come se avesse detto qualcosa di intelligente per conto proprio.

“Non sono sicurissimo che lì gli piaccia,” commenta Thor, affiancandosi a Peter per guardare fuori dalla finestra.

Tony si volta verso Bruce, che scrolla le spalle, negando col capo.

Peter rilascia un sonoro sbuffo. “Posso andare laggiù?”

No.

“No.”

Un coro di no.

Peter incrocia le braccia.

“Però non gli do torto,” dice Rhodey, burbero. “Pure io ho una certa voglia di andare là in armatura e dare loro una lezione.”

Dai il buon esempio,” lo redarguisce Tony, tramite il robot. Sia Rhodey che Peter lo guardano storto.

Rimangono in osservazione in pesante silenzio per un paio di minuti, mentre la sicurezza riesce a rispedirne indietro un paio, ma non intaccano minimamente la mandria di circa cento giornalisti assembrati là fuori, come maledette sanguisughe.

“Steve è qui,” annuncia Pepper, leggendo un messaggio sul telefono. “Lo faccio entrare dal retro.”

“Uh,” Bruce tentenna, fissando la
TV a braccia conserte. “Sei sicura?”

“Sì,” risponde Pepper, stringendo il telefono con così tanta forza che Tony teme possa romperlo come ha fatto Cap. “Perché, cosa–”

“Quella è la sua auto,” dice Thor. Indica la
TV
e poi fuori dalla finestra, avanti e indietro per un paio di volte. Tony non è certo di cosa riesca a vedere, da qui. Probabilmente non molto.

“Cosa?” chiede Peter, spostandosi sulle punte dei piedi.

Tony respira sonoramente dalla bocca, con la ruga in mezzo alle sopracciglia che si fa così profonda da dolergli, quasi. Osserva la telecamera che cambia angolo, più vicino, in mezzo al caos: l’auto di Steve è un SUV nero con vetri oscurati, e avanza direttamente in mezzo alla folla, scansando da parte loro e le telecamere.

“Beh, ormai è arrivato al cancello,” dice Rhodey. “Quindi–”

Tony sente un battito mancato.

Sta scendendo,” fa dire al robot, che non esprime neanche lontanamente il suo sbigottimento.

Tutti i giornalisti prendono a vociare rivolti a Steve non appena esce dall’auto, e lui ha in faccia quell’espressione che ricorda a Tony un genitore deluso. Indossa un completo e si erge più alto di tutti gli altri mentre apre la portiera del guidatore.

Si ritrova circa dieci microfoni puntati in faccia.

“Dovreste vergognarvi, tutti voi,” dice, e parla più forte di quanto Tony si sarebbe aspettato. Le grida scemano attorno a lui mentre guarda in cagnesco la folla. “Come osate presentarvi qui a questo modo? Come avvoltoi? Dopo tutto ciò che quest’uomo ha fatto per voi, per il mondo? Nessuno di voi sarebbe vivo se non fosse stato per lui. Ha letteralmente dato la vita per voi, e voi siete qui, a cercare di spremere fuori una storia dalle sue sofferenze. Questo è vergognoso, è opportunismo–”

“Esatto,” grida Bucky, sporgendosi dal sedile del passeggero per affacciarsi dalla portiera. “Quindi, levatevi dal cazzo.”

Il filmato viene oscurato e passa di nuovo ai reporter stazionati all’esterno, che sembrano significativamente più imbarazzati di prima.

“Ho l’impressione che Steve si sia appena dichiarato a te in diretta,” commenta Rhodey.

Tony sorride tra sé, scuotendo la testa. Apprezza anche l’aggiunta di Bucky, considerando che conteneva una parolaccia, il che è decisamente un tabù per le telecamere. E crede che lui lo sappia, così come l’impatto che avrebbe avuto. È stato un bel gioco di squadra.

“Speriamo che le ramanzine di Capitan America convincano tutti a farsi gli affari propri,” commenta torvo Peter, tornando indietro per sedersi di nuovo sul divano.

Pochi minuti dopo, l’ascensore si apre lasciando uscire Steve. Tony si volta, e lo vede inchiodare in fondo al corridoio. È stata più o meno la distanza da cui l’ha visto quando ha subito il colpo finale – in quell’ultimo paio di istanti in cui ha avuto l’impressione di vedere più chiaramente, come se fosse imbevuto in tutti coloro che lo circondavano, nei loro pensieri ed emozioni, e riusciva a vedere l’esatto punto occupato da ognuno di loro. E ricorda di aver visto Steve, lontano, agghiacciato dall’orrore. Ha condiviso con lui il campo di battaglia in molte occasioni e l’ha anche affrontato, a volte, ma quel momento è scolpito nella sua memoria sopra tutti gli altri, chiaro e brillante. Forse perché è stato l’ultimo.

Si alza, lancia un’occhiata agli altri e nessuno apre bocca, si limitano a fissarlo sorridendo stupidamente. Alza gli occhi al cielo, mentre il robot rotola avanti e indietro di fronte a Happy come un cane da guardia. Tony si avvicina a Steve per salutarlo, come se fosse un giorno come tanti altri in passato, e non il giorno dopo essersi risvegliato dalla morte. Solo un banale martedì.

Anche Steve è silenzioso. Si scansa da parte quando gli si avvicina, facendo perno con una mano sul muro e portando l’altra al petto, e Tony teme che stia per avere un infarto, come aveva detto Peter. Bucky è accanto a lui, con indosso una camicia e un paio di pantaloni formali, e il tutto è fottutamente strano. Ha ancora i capelli lunghi, legati in una coda morbida all’indietro, e fa un sorriso impacciato prima di rivolgergli un cenno col capo.

“Tony,” dice, e il suo sorriso si fa più sincero quando lo guarda davvero. “Sono… sono davvero felice che tu non sia morto.”

Tony ricambia con un lieve cenno d’assenso. Anche lui è felice che Bucky non sia morto, perché sa quanto questo fatto tenda a sconvolgere Steve. Steve, che ha ancora l’aria di qualcuno sul punto di svenire. Ha le guance decisamente verdognole.

Bucky si schiarisce la gola. “Ho, uh– quello che è successo là fuori–”

Non riesce a completare la frase, perché Steve si fa avanti di colpo, avvolgendo Tony in un abbraccio. Si sono abbracciati forse un paio di volte in vita loro, ma Tony chiude gli occhi e si concentra su questa perché, e la cosa non lo sorprende, l’uomo più forte del mondo dà degli abbracci superlativi.

Direbbe di certo qualcosa, se solo potesse. È decisamente uno di quei momenti in cui direbbe qualcosa. Ma non sa cosa diavolo direbbe, se riuscisse a parlare. Steve gli dà un paio di pacche sulla schiena, scuotendo la testa.

“Non dirò niente neanch’io.”

Queste lacrime arrivano rapide e le combatte con tutto se stesso – non può piangere sulla spalla di Capitan America con mezza stampa mondiale fuori dal cancello; hanno sicuramente nascosto un drone da qualche parte.

“È un problema se rimaniamo?” chiede Bucky. “So… so che lui vuole chiederlo, ma non vuole nemmeno imporsi. Specialmente perché, insomma, con tutto quello che…”

Tony si ritrae, guardando negli occhi Steve, e lui scuote la testa, abbassandoli. Tony fa un cenno del capo, e il robot si avvicina, fermandosi impaziente ai loro piedi. Tiene una mano sulla spalla di Steve, digitando sul telecomando.

Potete rimanere quanto volete. PS Questo l’ho fatto io. PS Ho anche imparato il linguaggio dei segni, ma tutti gli altri ancora no.”

Steve ride, ancora commosso. “Devi sempre stare un passo avanti a tutti, eh?”

Cerco solo di stare al passo con voi,” [2] dice il robot, e Tony solleva appena un angolo della bocca.
 
§


Natasha e Clint si fanno vivi una mezz’ora dopo. Tony non può dire di aver fatto molto in vita sua per sorprendere Natasha, in vita sua, e anche stavolta ha la stessa impressione. Anche se hanno parlato, prima, si sarebbe aspettato di vederla più turbata, sulla falsa riga di Clint che sviene quando gli si avvicina troppo e lo guarda meglio – Rhodey la considera una vittoria. Ma Natasha si limita a prendergli il volto tra le mani e a baciarlo sulla guancia, per poi stringerlo come se il suo sollievo cancellasse qualunque altra emozione. Clint riesce finalmente ad alzarsi, pungolato da Thor, e poi gli piange sulla spalla abbracciandolo a lungo. Natasha li osserva e basta, da sopra la spalla di Clint, e Tony non riesce a leggere il libro del suo volto. Abbraccia a lungo anche Peter, e Tony si chiede da quanto non si vedano.

La stampa si è sfoltita poco dopo la strigliata di Steve, e il resto leva le tende quando si fa viva la polizia. Il tono dei notiziari cambia, in seguito: non sono più tanto incentrati sulle speculazioni, quanto sull’empatia, e Tony non riesce a capire se gli piaccia o meno. Non vuole la pietà di nessuno, è l’ultima cosa che vuole dopo un’altra presentazione alla signora Morte, ed è per questo che non vuole fare una conferenza stampa finché non riavrà la sua voce. Sa come deve apparire dall’esterno – piccolo, insignificante, rotto – e non somiglia affatto all’uomo che era. Queste persone – la sua famiglia – hanno il permesso di vederlo in questo stato perché lo rendono più forte, perché lo stabilizzano, perché ogni singolo sorriso di Peter e Rhodey cancella i singhiozzi e l’orrore dei momenti in cui lui stava morendo – e così si sente sulla strada giusta. Hanno il permesso di vedere il suo silenzio, di viverlo con lui, di guardarlo costruire robot e imparare il linguaggio dei segni – e Tony fa una foto di Pepper e Peter che compongono il segno per “ti amo” e cerca di non piangere di nuovo di fronte a tutti loro.

Lo capiscono. Sono comprensivi, gli importa, lo perdonano. Il vasto pubblico, invece, è tutta un’altra storia. Così come la stampa, e ne hanno dato dimostrazione oggi, più volte.

Tony riesce a sentire la propria voce. La sente quando Natasha gli chiede dell’idiota che ha divulgato il video. La sente quando Steve gli racconta del trasloco in Canada. La sente quando quella di Thor si spezza nel parlare del primo mese senza di lui. Lo consolano, condividono ciò che prova, parlano della volta in cui sono andati a mangiare fuori alla prima ricorrenza, al Double Eagle Steakhouse, e si sono ubriacati così tanto che li hanno buttati fuori dal locale. Ovviamente, la notizia ha fatto il giro del mondo, ovviamente Happy ha dato di stomaco in un vicolo, ovviamente Rhodey è stato quasi investito e Peter è stato quasi arrestato per aver bevuto ancora minorenne. Tony cerca di alzare il volume del robot per sgridarli nel sentire che hanno rimediato a Peter un documento falso – fatto veramente male – e sente la propria voce salirgli in gola. È così vicino, così dannatamente vicino, ma non abbastanza da sfondare il muro. È ancora in piedi, con le crepe che si allargano.

Vorrebbe iniziare a condurre qualche ricerca, ma iniziare è la parola chiave. Cosa dovrebbe cercare? Dove? Ha la sensazione che, in passato, gli bastasse lanciarsi nel vivo della questione, ma adesso tutto gli sembra velato, nascosto, come se fosse perso in mezzo alla nebbia senza alcuna via d’uscita.

Deve ricordarsi che è Iron Man. Ma, soprattutto, è Tony Stark. Non c’è problema che non possa risolvere. Deve solo trovare la forza per farlo.

“Quello era il terzo pic-nic,” racconta Clint, poggiando i piedi sul tavolino.

“Sicuro?” chiede Pepper, guardandolo a malapena mentre digita qualcosa sul portatile. “Pensavo fosse il quarto.”

“No, il quarto è stato l’ultimo che abbiamo fatto,” dice Bruce, in piedi dietro la poltrona mentre mangia un sacchetto di patatine “Quando quel paparazzo si è rotto il naso.”

Happy trattiene una risata. “Si è rotto, certo,” commenta. “Tutto da solo.”

“Non è colpa mia se è corso incontro al mio pugno,” scrolla le spalle Natasha. Rhodey sogghigna, annuendo attorno a una cucchiaiata di gelato. Tony adora il fatto di starsene semplicemente seduti insieme a parlare e mangiare. Adesso che la stampa se n’è andata, la giornata è tornata a girare per il meglio.

“Noi eravamo già in Canada, quando è successo,” commenta Steve, scambiando un’occhiata con Bucky. Una cappa di senso di colpa gli cade addosso, in quel momento, ed evita il contatto visivo con gli altri. Il robot oscilla vicino al suo piede come se fosse lui, a voler porre delle domande, e si chiede che storia ci sia dietro quel fatto. Tutti sembrano avere una personale porzione di rimpianti e rimorsi, anche Peter, che se ne sta vicino alla finestra da quando l’ultimo tizio della NBC [3] se n’è andato.

“Immagino che fare pic-nic nel cimitero non sia una grande idea,” osserva Clint, serrando la mandibola.

“Quando sarà tutto sistemato,” interviene Thor, con voce più morbida del solito,
dobbiamo farne un altro. Tutti quanti. Non al cimitero, da qualche altra parte più… bella. Tipo il vostro Central Park.”

“Sarebbe un campo di battaglia per le telecamere,” commenta Steve, ma sta sorridendo

“Ha ragione, però,” dice Bucky, di colpo. “Uh… dovremmo farlo.” Si schiarisce la voce. Tony sorride.

Non pensavo ti importasse,” dice il robot, avvicinandosi alla sua gamba.

“È solo che… mi piacciono i pic-nic,” butta lì Bucky, senza guardarlo.

Tony trattiene una risata e rialza lo sguardo. Peter è stato piuttosto silenzioso, il che non è da lui, e gli ricorda fin troppo la propria versione attuale e sottotono. Spedisce il robot verso di lui, facendolo rotolare proprio contro il suo piede.

Peter Parker. Sei pregato di tornare alla festa. Sei stato convocato.

Peter ride, abbassando lo sguardo sul robot per poi tornare in salotto.

“Il progetto scolastico di Peter, Tony,” riprende a parlare Pepper, guardandolo con occhi brillanti. “È la cosa più bella che–”

“Già, è davvero una roba strappalacrime,” sbuffa Happy, lanciando un’occhiataccia a Peter mentre si siede accanto a Tony. “Me ne ha fatto vedere una parte quando lo sono venuto a prendere a scuola il terzo mese e a momenti ci mando a sbattere in macchina.”

Di nuovo quell’affetto. Lo sente irradiarsi da lui ogni volta che guarda il ragazzo. Tony vorrebbe dare a Peter il mondo, aiutare May a crescerlo e presentargli opportunità che lui stesso non ha mai avuto, solo per dimostrargli quanto lui sia buono e importante. Il cuore di Peter è troppo grande di dieci taglie, e vorrebbe solo vederlo al sicuro, felice. Non vuole che provi il dolore che ha già messo suo malgrado sulla sua strada.

Peter fa segno di no. “Non è ancora fatto per bene. Devo… beh, adesso avrà un finale migliore.”

Tony gli arruffa i capelli e gli strappa un piccolo sorriso.

Poi un portale di apre proprio accanto a Thor. Un portale, in salotto.

“Ma che diavolo..?” esclama Happy, sobbalzando e quasi cadendo dalla sedia.

Tony sa cosa sta succedendo. Ha già visto questo genere di trucchi, e li ha visti fare a un certo mago stronzo… e il suddetto mago stronzo sbuca dal portale, spolverandosi le vesti e guardandosi attorno come se non fosse sicuro di essere nel luogo giusto.

“Bene,” dice Happy, guardando Pepper. “Abbiamo davvero bisogno di un protocollo per i supereroi. Che succede, se uno di quelli che sa fare questo genere di cose viene controllato mentalmente? Il caos, ecco. Tony è tornato, e dobbiamo proteggerlo–”

Che dolce,” commenta il robot, su input di Tony.

“Sono qui proprio per Tony,” dice Stephen Strange, chiudendo il portale dietro di lui con uno svolazzo. Non è cambiato dall’ultima volta che l’ha visto, con mantello e tutto. Si alza, ma Strange gli si sta già facendo incontro, aggirando il divano nello stesso momento senza prestare attenzione a nessun altro.

“Uh, sì, non sono sorpreso, è per questo che siamo tutti–” comincia Rhodey.

“Tony,” esordisce Strange, interrompendolo e un po’ a corto di fiato. “Dobbiamo parlare.”

Tony assottiglia gli occhi.

Niente shock?” chiede il robot, suonando accusatorio mentre sbuca da dietro l’angolo. “Niente abbracci? Niente monologhi su quanto mi ami? So che non abbiamo passato molto tempo insieme, Dottore, ma–

Strange si limita a fissare la piccola sfera nera come se non ne fosse minimamente impressionato. Incrocia di nuovo i suoi occhi. “Dobbiamo parlare da soli.”

Da soli?” gridano tutti quasi all’unisono. Anche Bucky. Tony cerca di non sbottare a ridere. Si sente di nuovo fuori di testa. Ci si sta quasi abituando.

“Uh…” comincia Peter, alzandosi e accostandosi a Tony. “Quello che stava dicendo Happy, riguardo al controllo mentale…”

“Ti assicuro che sono nel pieno possesso delle mie facoltà mentali,” dice Strange, guardandolo a malapena.

“Tony non riesce a parlare,” interviene Pepper, alzandosi ma rimanendo immobile dietro al divano. “Non può, fisicamente. È per questo che ha un, uh, robot, nel caso te lo stessi–”

“Va benissimo,” dice Strange, e sembra serio, motlo serio, anche più del solito. Tony trova il tutto fin troppo strano, e inizia a innervosirsi un po’. Cerca di non darlo a vedere, e di nascondere anche il fatto che condividerà comunque qualunque informazione Strange gli dirà. Almeno con Pepper. Si gira, facendo un cenno d’assenso a quel gruppo di volti ansiosi, e poi fa cenno a Strange di seguirlo, afferrando il telecomando del robot mentre quello gli tiene dietro rotolando.

Tony fa strada lungo il corridoio e poi dentro una delle stanze degli ospiti, che è sicuro finirà per essere occupata stanotte. Entrano e il robot si inceppa mentre cerca di salire sul tappeto. Chiude la porta dietro di sé. Non si è mai immaginato da solo in una camera da letto con Stephen Strange, ma a quanto pare in questo nuovo mondo tutto è possibile.

Lo stregone si pianta i palmi sui fianchi e sembra stordito per un istante, il che lo stupisce, considerando quant’era concentrato poco fa. poi scuote la testa e sospira.

“Prima di, uh… sono contento, sono… molto contento di vederti, Tony,” dice, annuendo tra sé. “il tuo sacrificio, è stato… sei… insomma, sono contento che questo sia stato il risultato.”

Tony non sa come dovrebbe sentirsi, adesso, faccia a faccia con lui, e la sua mente sta sfrecciando in troppe direzioni differenti, come in uno di quei libri a scelta multipla in cui si perdeva per ore da piccolo durante i lunghi viaggi in auto. Intuisce che, qualsiasi cosa Strange debba dirgli, e che deve davvero dirgli al di là di tutto il suo imbarazzo e quell’esordio sentito, è importante.

Cosa è successo?” fa dire al robot. “Sono contento di essere tornato. Molto lieto di non essere morto, ma ho l’impressione che ci sia del marcio in Danimarca [4], dalle tue parti.

Strange sospira. “Circa una settimana fa, c’è stata un’effrazione nel Sanctum. Di solito siamo in grado di fermare questi episodi prima ancora che avvengano, ma questa persona – o persone, non ne siamo certi – sapevano ciò che facevano. Hanno fatto piazza pulita di tutta la sicurezza, si sono mossi come ombre nottetempo e non ho capito cosa avessero rubato fino a quasi un intero giorno dopo. Poi ho capito cosa fosse successo.

Tony sente il cuore che batte furiosamente.

Cosa hanno rubato?” chiede il robot, rotolando avanti e indietro con ansia di sua iniziativa.

“Un libro,” risponde Strange.

Tony sente cadergli la mandibola.

Un libro?” chiede il robot, e sembra quasi che stia cercando di urlare. “Stai dando di matto per un mucchio di scartoffie?

“Un libro di incantesimi,” aggiunge Strange. “Il tipo che non hai mai visto né sentito prima. Il tipo che mi fa sentire estremamente negligente ad aver perso di vista il libro, anche se potrebbe essere proprio il motivo per cui sei tornato da noi.”

Tony lo fissa, mettendo insieme i pezzi.

Aspetta,” dice il robot, e Tony percepisce la sua voce impennarsi ancora. Come un geyser che sobbolle preparandosi ad eruttare verso il cielo. Quasi si sente speranzoso. “Aspetta,” dice di nuovo il robot, e Tony darebbe qualunque cazzo di cosa per poterlo dire lui stesso.

“Non lo so per certo,” dice Strange. “Ma mi sembra la conclusione più logica. Sto ancora lavorando con alcuni miei file di backup criptati, ma sono convinto che chiunque abbia rubato quel libro l’abbia fatto con l’intento di lanciare l’incantesimo di resurrezione per riportarti in vita.”

Quella frase rimane appesa nell’aria come l’alba che preannuncia una tempesta. Tony si sente congelato, privo di forze e bloccato nel momento in cui sa qualcosa di più, ma non abbastanza, e ci sono solo dei piccoli spiragli di luci che fendono il buio. Ma non riesce a connetterli.

Magia. Ovvio, doveva essere per forza magia.

“Si dice che sia l’incantesimo che recitò Merlino per riportare in vita Artù. Quindi sei in buona compagnia, se ho ragione. E la coincidenza di questo tempismo mi porta a pensare di avere ragione.”

Tony scuote la testa e sente un po’ di nausea.

“Ma questo incantesimo,” ricomincia Strange, col chiaro scopo di farlo sentire peggio, “insomma... dalle storie che lo circondano, è pericoloso. Gran parte delle informazioni è andata perduta e sto cercando di reperirne altre, ma non è stato usato per un millennio per un motivo. So un solo dettaglio per certo: mette alla prova la forza della persona che è stata riportata in vita. Se sia degna di essere tornata al mondo, dopo averlo abbandonato. E sapendo della tua voce, ecco… è in sostanza una conferma, almeno per me. Chiunque conosca un briciolo Tony Stark, sa che è un ottimo oratore.”

Tony fa un verso senza volerlo, quasi strozzandosi per la seconda volta in un giorno, anche se, cazzo, stanno parlando di magia, e incantesimi e resurrezioni e Re Artù, maledizione, e di Merlino e di un mucchio di altra roba assurda. Si sente. Completamente. Folle. È tornato dalla morte, e ha lasciato la propria sanità sottoterra.

Quindi pensi…” comincia il robot, anche se non lo sta controllando – la maggior parte delle volte crede che parli per conto suo, e sente quasi un involontario e irrazionale moto di gelosia. “Quindi pensi,” gli fa ripetere, “che chiunque abbia rubato questo libro…

“… sapesse che conteneva l’incantesimo di resurrezione,” completa Strange, facendo brevemente avanti e indietro tra l’armadio e la sua posizione iniziale. “Sapevano che lo avevo io, conoscevano abbastanza bene le mie difese da poterle aggirare e intendevano riportarti in vita, a dispetto dei rischi che comporta l’incantesimo. È troppo, per essere una coincidenza, che accada tutto questo e poi tu torni in vita. È stato per forza rubato per te.”

 
§

 
Non c’è molto altro da dire, dopo. Non ci sono state né conferme né smentite su nessun fatto per tutto il giorno, e quest’ultimo della lista non fa differenza. C’è solo un’aria di forte sospetto, unita a nuove idee e possibilità. Sa che il quartier generale di Strange è strettamente sorvegliato e sprangato, col suo arsenale di sortilegi che tiene praticamente tutto sotto controllo, e si chiede chi diavolo sia stato in grado di aggirarne le difese senza farsi scoprire. Si chiede se abbiano rubato altre cose, se abbiano davvero rubato il libro per lui, per riportarlo in vita, o per qualche altra ragione, e abbiano pensato a lui solo in un secondo momento. No, non può essere: è una decisione troppo enorme, a meno che non stiano riportando in vita la gente a casaccio, ma in quel caso non crede che finirebbe mai nella lista di nessuno.

Strange se ne va, e gli assicura che lo terrà informato nel caso di ulteriori sviluppi. Tony sta già progettando di scansionare
i filmati della scorsa settimanale delle telecamere di sorveglianza sulla strada del Sanctum, e di mettersi alla ricerca di impronte digitali che potrebbero aver lasciato; poi, deve compiere qualche ricerca concreta su questo incantesimo di resurrezione, o qualunque cosa sia, e vedere quali nefandezze salteranno fuori.

Ma prima ha bisogno di una boccata d’aria nei polmoni 
prima di morire lì sul posto. Decide di andare sul tetto senza dirlo agli altri: l’elicottero della stampa se n’è andato e sa comunque che lui non si tratterrà a lungo. Lascia il robot nell’ascensore e gli sembra quasi che lo stia osservando, quando le porte si chiudono. Sente la tentazione di dargli un nome, e continua a oscillare tra uno da cane, tipo Ginger, e uno da umano, tipo Arnold. Ha anche l’impressione di dover sottoporre le proposte al giudizio di Peter, prima di compiere decisioni avventate.

Gli piace pensare a quelle scemenze, invece che alla magia e alla morte e ai misteri irrisolti. A chissà quale incantesimo che sta cercando di metterlo alla prova, visto che è stato riportato in vita. Era ovvio che avrebbe preso la sua voce, era ovvio. Sente che c’è una versione di se stesso imprigionata proprio in mezzo al proprio petto, mentre scuote le catene e si avventa contro le sbarre, urlando per essere liberata fino a farsi mancare l’aria.

Riesce di nuovo a sentire la propria voce. La sente brontolare in gola, sente le vibrazioni sulla punta della lingua. Magari è davvero forte abbastanza. Magari gli serve solo una spinta nella direzione giusta.

E la ottiene quando apre la porta sul tetto e varca la soglia, trovandosi di fronte alla fantastica visione di Peter Parker in piedi sul cornicione dell’edificio, intento a guardare in basso.

Gli balza il cuore in gola ed è come se tutto inizi a scorrere alla velocità dell’iperspazio. Non è Spider-Man, non ha il costume e ciò vuol dire che non ha scusanti, che è solo Peter, Peter in pericolo, Peter vicino alla morte, Peter senza costume, e se cade è finita – è finita – e a Tony servirebbe il suo personale libro di incantesimi di resurrezione, perché non lascerebbe che il ragazzo rimanga morto, assolutamente no, per alcuna ragione al mondo, lo sanno tutti ormai–

Scatta verso di lui con la paura che gli avvolge il cuore, paura di perderlo, di spaventarlo, di fare la mossa sbagliata. Gli fanno male gli occhi e il suo petto è costretto e il suo corpo non ne può più di stare al passo coi suoi continui sbalzi d’umore.

E poi grida. La sua voce ritorna con veemenza, con tutto ciò che ha provato fino a quel momento che vi si aggrappa per poi scagliarla via, nell'aria. Con la parola che in questo momento è più importante di ogni altra, quella che deve essere pronunciata per richiamare l’attenzione di Peter, perché è in pericolo e lui non vola come Tony. Non lo faceva prima. E non lo fa di certo adesso.

Quindi, grida:

“Peter!”

Così forte che a malapena riconosce la propria voce. E Peter si volta, ad occhi sbarrati, stordito dallo sgomento.

E poi sorride. 



§



Tradotto da Lazarus, come forth - Chapter di iron_spider da _Lightning_


Note di traduzione:
 
[1] Gli hash browns sono frittelle di patate comuni nelle colazioni anglosassoni; ho preferito non tradurle in quanto piatto tipico.
[2] Lo “you” inglese può ovviamente voler dire sia “tu” che “voi”. L’ho tradotto come “voi” per mantenere un lieve senso d’ambiguità simile all'originale. Ovvero, Tony potrebbe rivolgersi sia a Steve come singolo, sia a tutti gli altri, includendo comunque Steve nel conto.
[3] National Broadcasting Company, una rete americana.
[4] Citazione all’Amleto di Shakespeare, come da traduzione ufficiale della tragedia.


Note della traduttrice:

Cari Lettori... lo ammetto, mi ero dimenticata di avere questa traduzione in corso.
Ho deciso di riprenderla ora, spinta un po' dalla noia, un po' dal blocco dello scrittore, un po' da quella Guascosaccia di Miryel che mi ha dato l'input mettendo giusto recentemente una sua traduzione (non l'avete letta? Eccola qua!)
Quindi, niente, aspettatevi altri aggiornamenti <3 E non scordatevi di andare a regalare qualche kudos su AO3 all'autrice originale, trovate i link a piè di traduzione!

Grazie a tutti coloro che hanno letto, seguito, aggiunto la storia alle loro liste e/o commentato <3 

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