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Autore: Soul of Paper    26/04/2020    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 27 - L’Occhio


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.


“Dottoressa, proprio lei cercavo!”

 

“Dottore, che succede?” domandò, sorpresa: era a pochi passi dalla procura e Mancini si era fermato accanto a lei sulla sua auto, il finestrino dalla parte del passeggero abbassato.

 

“Un amico che ho all’Interpol ha fatto ricerche con il suo corrispondente a Miami e abbiamo trovato il faccendiere che si occupava degli affari della Tantalo. Se sale in macchina la accompagno da lui.”

 

“Dal faccendiere?”

 

“No, dal mio amico dell’Interpol. Il faccendiere sarà in collegamento da Miami.”

 

“Ma a Miami non è notte fonda, mo?”

 

“Diciamo che Mendoza lavora a tutti gli orari, dottoressa. E in ogni caso non poteva rifiutarsi. Gli hanno trovato talmente tanti affari poco chiari con gente che conta qui in Italia che non gli conviene.”

 

“Capisco,” rispose con un sorriso, aprendo la portiera e sistemandosi accanto a lui, che non perse tempo e partì con uno sprint che francamente la sorprese.

 

“Che cosa c’è, dottoressa?”

 

“Niente è che… la sua velocità alla guida mi sorprende, l’altra volta era più tranquillo.”

 

“A quest’ora nel traffico di Roma o si è decisi o non si va da nessuna parte, dottoressa. Un po’ come in molti ambiti nella vita, non crede?”

 

Ed Imma sorrise per la metafora e si limitò ad annuire mentre, in silenzio, procedevano nel traffico verso la sede dell’Interpol.

 

*********************************************************************************************************

 

“Ciao Giorgio!”

 

“Brian, come va?”

 

I due uomini si diedero delle pacche sulle spalle, come fossero amici da una vita. In effetti parevano più o meno coetanei.

 

“Dottoressa Tataranni, questo è Brian Martino, dell’Interpol, ci conosciamo dai tempi dell’università, Brian, la dottoressa Tataranni, il nuovo acquisto della procura.”

 

“Dottoressa, è un piacere!” esclamò, entusiasta, con un lieve accento americano, stringendole la mano in una presa decisa, “Giorgio mi ha parlato molto di lei, sono felice di conoscerla di persona.”

 

“Ah, sì?” chiese, stupita, “e di che cosa? Del mio pessimo carattere?”

 

“No, del lavoro eccellente che sta facendo a Roma e che ha fatto a Matera. E poi beh, sì, me l’ha detto che è… come si dice in italiano… strong headed?”

 

“Dal mio scarso inglese immagino significhi che c’ho la capa tosta? Anche se neppure questo è italiano,” ironizzò Imma, un poco in imbarazzo. Ma Mancini lo sembrava ancora più di lei.

 

“In senso buono, naturalmente, dottoressa,” si affrettò a precisare.

 

“Lo immagino, dottore. Allora, quando ci possiamo collegare con questo Mendoza? Come l’avete trovato?”

 

“Non perde tempo, vedo, dottoressa, dritta al punto,” rise il Martino, facendole segno di accomodarsi al tavolo, di fronte ad un proiettore, “possiamo chiamare quando vuole. Al momento il Mendoza è trattenuto alla stazione di polizia di Miami Dade. Per trovarlo… quelli che fanno il suo lavoro li conosciamo, dottoressa, è un giro stretto. Ma stanno sempre ai limiti della legge. Panama è un paradiso fiscale ma… ci possiamo fare poco, finché non importano o esportano cose illecite. E Mendoza è furbo, ai controlli è sempre risultato pulito. Ma abbiamo fatto una ricerca su chi più spesso ha clienti italiani e sono più o meno cinque persone. Mendoza ha fatto un viaggio a Panama proprio nei periodi in cui la signora Tantalo o il marito erano a Miami. E anche quando c’è andato… come si chiama il tennista?”

 

“Davidson.”

 

“Ecco. Era a Panama gli stessi giorni di Davidson e poi sono tornati a Miami lo stesso giorno ma con due voli diversi. Credo che lui si faccia portare il denaro da complici come Davidson appunto. Puliti, incensurati, insospettabili. Magari come diamanti o altre pietre preziose che si nascondono facilmente ed eludono i controlli. Poi si ritrovano alla destinazione, Mendoza recupera gli oggetti di valore e li porta i suoi contatti e… e se serve si riporta qualcosa durante il viaggio di ritorno con lo stesso metodo. Ci capiamo?”


“Certo, dottore.”

 

“Bene. Tra poco ci colleghiamo con Mendoza e insomma… lascio a lei l’interrogatorio, tanto parla benissimo l’italiano, oltre che lo spagnolo e l’inglese.”

 

“Meno male, perché il mio di inglese è assai maccheronico,” ammise con un mezzo sorriso, attendendo il collegamento.

 

E poi comparve un uomo elegantissimo, moro, pelle ambrata: sembrava un businessman di quelli di livello, più che un traffichino. Accanto a lui due agenti di polizia americani in uniforme.

 

“Rogelio Mendoza, questa è la dottoressa Imma Tataranni, il magistrato che si occupa del caso in cui si pensa siano coinvolti certi tuoi clienti. Come ti abbiamo già spiegato, se collabori possiamo chiudere ancora per un po’ un occhio su certi tuoi traffici, sempre se non ti fai beccare nuovamente.”

 

“Is she the prosecutor?” chiese Mendoza in inglese con accento spagnolo.

 

“Yes. Imma Tataranni, the prosecutor.”

 

“Ok, I get it,” rispose Mendoza con un sospiro, “dottoressa si dice, giusto? Che in Italia siete tutti dottori.”

 

“In America sono dottori solo i medici e chi fa i phd… come si dice in Italiano?” chiarì il Martino, un po’ imbarazzato.

 

“Dottorato di ricerca,” sospirò Imma, che però aveva ben altro per cui incazzarsi che se Mendoza la voleva o meno chiamare dottoressa, “senta, Mendoza, a me non me ne frega niente dei titoli, basta che arriviamo al punto. Lei gestiva i suoi affari per la signora Tantalo e/o per l’onorevole Lombardi?”

 

Vide che gli mostravano le foto di Maria Giulia Tantalo e di Lombardi.

 

“Per la signora, sì. L’uomo non l’ho mai visto.”

 

“Ne è sicuro, Mendoza?”

 

“Certo, dottoressa. Uno così me lo ricorderei. A handsome man, sembra un attore. Non passa inosservato. The lady has good taste. Come si dice in Italiano?”

 

“Che c’ha buoni gusti sugli uomini, immagino, Mendoza. Si riferisce anche a Davidson?” domandò, mentre gli mostravano la foto del giovane.

 

“Sì.”

 

“Davidson lo ha visto con la signora?”

 

“L’ultima volta che è venuta qui, sì. L’estate dell’anno scorso, non l’ultima.”

 

“E che cosa le ha chiesto di fare la signora? O Davidson?”

 

“Stavolta non voleva portare soldi a Panama, ma prenderli. Duecentomila euro in diamanti, più o meno. Davidson è partito con me e poi li portava lui al ritorno. Ovviamente ha preso il volo dopo il mio e l’ho bloccato subito al rientro a Miami, con i miei… collaboratori. Li abbiamo consegnati alla signora e poi non so come li hanno riportati in Italia.”

 

“Quindi Davidson e la Tantalo si sono incontrati con lei presente?”

 

“Sì, certo.”

 

“E come le sono sembrati… insomma…”

 

“Intende se avevano un affair?”

 

“Sì, ecco le sembravano intimi o solo professionali?”

 

“A me sembrava che… insomma… quei due a letto insieme c’erano andati, da come si comportavano. Certe cose si capiscono subito.”

 

Non parafrasava il Mendoza. E non solo per la conoscenza dell’italiano.

 

“Va bene. E quanto rimane alla Tantalo a Panama o in generale sotto la sua… gestione?”

 

“Dottoressa… certe cose sono legate dal… come si dice? Segreto professionale.”

 

“Lo era pure quanto ci hai detto prima, Mendoza. Tranquillo, che se ci aiuti conviene anche a te, a meno che non vuoi conoscere molto più approfonditamente il carcere di Miami Dade. Allora?” intervenne il Martino, perentorio.

 

“Diciamo negli anni… sui cinque milioni di dollari, più o meno.”

 

Ammazza! - pensò Imma: la Tantalo si era tenuta da parte un bel gruzzoletto e a quanto pare di nascosto dal marito.

 

“Va bene, grazie, io non ho altre domande,” rispose Imma e, dopo un paio di scambi di battute in inglese, da cui colse solo che il Mendoza chiedeva che la sua confessione rimanesse riservata per non rovinargli la piazza, il collegamento si interruppe.

 

“Questo dovrebbe aiutarla, immagino, dottoressa?” domandò Mancini con un sorriso ed avrebbe quasi voluto abbracciarselo per averle portato la prova che le mancava per iniziare finalmente ad indagare seriamente su Davidson e la Tantalo.

 

“Sì, mo i rapporti di Davidson con la Tantalo non sono più solo gossip. E lo dobbiamo convocare. Posso mandare Mariani e Conti a prelevarlo a Matera?”

 

“Ma certo, dottoressa! Gliel’ho detto che ha carta bianca su questo caso,” ribatté Mancini con un altro sorriso, prima di rivolgersi a Brian e dargli una pacca sulla spalla, “grazie mille, come sempre!”

 

“Ma figurati! Però quest’anno alla gara di triathlon vinco io, vedrai!”

 

In effetti parevano tutte e due molto fisicati, specie per l’età che avevano.

 

“Dottoressa, è stato un piacere conoscerla!” aggiunse poi il Martino, stringendole una mano, “è raro sentire Giorgio così… impressed da qualcuno. E ora capisco perché. Spero di rivederla magari in circostanze migliori.”

 

Imma annuì, anche se quella non è che le sembrasse una circostanza particolarmente spiacevole, anzi, ma alla fine si congedarono e uscirono dalla sala e poi dalla sede dell’Interpol. Guardò l’ora: era l’una passata.


“Dottoressa, le va se ci prendiamo qualcosa di pranzo e poi torniamo al lavoro? Conosco un bar qui vicino che non è niente male. Ed il servizio di solito è veloce, come piace a lei. E pure a me in realtà.”

 

“Va bene,” sorrise Imma, anche se le balenò in testa per un attimo Calogiuri e la sua gelosia per Mancini. Ma, alla fine, era solo un pranzo di lavoro e pure lui stava spesso in giro con la Ferrari o con altri colleghi.

 

Non c’era niente di male.

 

*********************************************************************************************************

 

“Buongiorno, maresciallo, cercava la dottoressa?”

 

“Buongiorno, signora Asia. Sì, la dottoressa è in pausa pranzo?”

 

“Veramente è tutta la mattina che non si è vista, sarà in giro a fare qualche sopralluogo dei suoi, immagino,” commentò la ragazza con un sorriso bianco smagliante, “vuole lasciarle detto qualcosa?”

 

“No, non vi preoccupate, la sentirò io direttamente, grazie,” rispose, uscendo dall’ufficio.

 

Quella mattina era uscito da casa di Imma un po’ prima di lei, ma non sapeva di impegni suoi quella giornata. Magari c’era stato qualche caso imprevisto e non c’era niente da preoccuparsi.

 

Provò a chiamarla ma il cellulare squillava a vuoto.

 

Alla fine si rassegnò, le lasciò un messaggio chiedendole dove fosse e di richiamarlo, e si avviò verso l’ufficio di Irene, visto che aveva un lavoro da finire anche con lei.

 

“Calogiuri!” esclamò, sorpresa, quando bussò e poi entrò, “ti aspettavo più tardi.”

 

“Sì, ma è che non trovo la dottoressa Tataranni e allora… tanto vale che ci portiamo avanti noi due, se voi potete.”

 

“Certo che posso. Anzi, mi fai proprio comodo, che con Mariani e Conti via almeno mi dai una mano tu a compilare questi rapporti.”

 

“Perché? Dove sono Mariani e Conti?”

 

“Ah, ma non lo sai?” gli chiese, stupita, “sono andati a prelevare Davidson a Matera. Mancini è stato stamattina con Imma all’Interpol ed hanno interrogato un certo Mendoza, il faccendiere della Tantalo. Che ha confermato che Davidson è implicato con lei. Lo stanno andando a prendere per interrogarlo.”

 

Calogiuri si sentì come se avesse appena ricevuto uno schiaffo: non solo perché Imma era via con Mancini da ore, ma soprattutto perché non aveva mandato lui a Matera e non l’aveva nemmeno avvertito degli sviluppi sul caso. Aveva dovuto scoprirlo da Irene.

 

E questo lo faceva sentire escluso e gli faceva malissimo.

 

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“Dottò, buongiorno! E chi è questa bella signora? Che ve siete deciso finalmente a trovavve na donna? Pure se alcune clienti staranno a lutto, staranno, che signora mia, questo qui c’ha la fila che je sta a core dietro. Ma lui niente, core più veloce,” ironizzò il barista, rivolgendosi a lei che si sentì di nuovo imbarazzata.

 

Evidentemente, almeno pubblicamente, Mancini aveva una vita quasi monacale. Poi in privato chissà, che per gli uomini un’astinenza quinquennale era non solo improbabile ma pure impossibile. Specie per uno piacente come Mancini.

 

“No, Remo, la dottoressa è una collega. Stiamo in pausa pranzo. Che ci prepari qualcosa di veloce? Per me un’insalata delle tue.”

 

“Sì, che sempre leggero volete stare. E a voi dottoré, che ve porto? Volete vedere il menù?”

 

“Ma no, va bene l’insalata pure per me.”

 

“Annate tutte due de fretta, eh? Dottò, forse avete trovato qualcuna che ve tiene er passo,” commentò il cameriere, ironico, sparendo rapidamente dentro al bar.

 

Loro erano in un tavolino antistante, con una vista fantastica sul parco del Pincio.

 

“Mi scusi ma sa, vengo spesso qui a mangiare, nei fine settimana soprattutto. Stare a casa a mangiare da solo è triste e quindi… almeno qui vedo un po’ di gente. Ma immagino lei mi possa capire, vivendo sola.”

 

Ad Imma per poco non andò di traverso l’acqua ma annuì, potendo in effetti capirlo: il periodo post separazione da Pietro, quando era ancora a Matera e non aveva sentito Calogiuri per mesi era stato tosto. Soprattutto appunto i weekend, pur non essendo un tipo molto socievole di suo.

 

“Ma… mi scusi se mi permetto, dottore, ma… se patisce così tanto la solitudine, com’è che in questi anni non ha cercato una nuova compagna? Insomma… a parte i commenti del barista, immagino che le occasioni non le mancheranno, poi col suo lavoro conosce un sacco di gente,” gli chiese, incuriosita, perché, se non stava più a lutto, o si voleva dare alla pazza gioia senza impegnarsi, o la cosa non si spiegava. Di sicuro non era il tipo che faticava a trovare una donna.

 

“Per carità, dottoressa, in questi anni non è che sono stato un monaco di clausura, lei mi capisce. Però… non ho mai trovato nessuna che mi prendesse di testa ed emotivamente e… alla mia età il lato fisico è piacevole, sì, ma non basta più. Faccio un lavoro complicato e, se tornare a casa la sera da solo è triste, tornare a casa da una persona che è un peso ulteriore invece che qualcuno che mi stimoli e mi renda la vita più leggera… no grazie.”

 

Ad Imma venne da sorridere perché lo capiva fin troppo bene. Con Calogiuri era stata davvero ma davvero fortunata e se ne rendeva conto ogni giorno di più. Tornare a casa la sera, per quanto amasse il suo lavoro e ne fosse quasi drogata, non era mai stata una prospettiva tanto piacevole.

 

“E lei, dottoressa? Ha iniziato a guardarsi intorno o è ancora troppo presto?” le chiese all’improvviso ed Imma si trovò a cercare una risposta che non fosse una bugia ma che non svelasse nemmeno del tutto la situazione. Per qualche mese ancora lei e Calogiuri non potevano uscire allo scoperto: era a Roma da troppo poco tempo perchè risultasse credibile una loro relazione nata post separazione.

 

“Diciamo che dopo la fine di un matrimonio ventennale ci sto andando con i piedi di piombo, dottore,” rispose, e non era del tutto una menzogna, in fondo, per poi aggiungere, per sdrammatizzare, “e per il resto… pure se mi guardassi intorno, non è che ci sia esattamente la fila, col carattere che mi ritrovo.”

 

“Dottoressa, solo gli uomini insicuri temono una donna forte al proprio fianco. Una persona sicura di sé ed intelligente non può che apprezzarla, mi creda. E infatti dopo la festa annuale ho sentito vari apprezzamenti nei suoi confronti. Sia in procura, che pure tra alcuni degli invitati. Quindi la fila credo proprio che ci sia, forse è lei che non la vede, ma c’è.”

 

Imma si sentì di nuovo un po’ in imbarazzo e quindi decise di sviare il discorso, con un, “va beh… vorrà dire che se la troverò glielo farò sapere, dottore. Per intanto che ne ha pensato delle rivelazioni del Mendoza? Secondo lei la Tantalo come può avere accumulato una cifra simile, pur essendo ricca di famiglia? Affari con gli altri della cupola?”

 

Mancini fece un sospiro e poi un mezzo sorriso che Imma non capì e cominciò ad illustrare la sua tesi.

 

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“Eccoci qui, dottoressa, aspetti.”

 

Imma, sorpresa, lo vide scendere dall’auto e aprirle la portiera, cosa che non avrebbe dovuto fare, essendole superiore.

 

Ma era pur vero che era sempre gentile, Mancini.

 

Lo stesso avvenne alla porta, quando la fece passare per prima.

 

Fecero in tempo a fare pochi passi verso la scala e si trovò di fronte Calogiuri, con un’espressione strana.

 

“Calogiuri, per caso cercavi me?”

 

“Sì, dottoressa, ho alcune novità da riferirvi.”

 

“Va bene, allora vi lascio. Ancora grazie per l’ottimo lavoro, dottoressa, attendo il rapporto quando avrà modo di interrogare Davidson,” proclamò Mancini, salendo le scale al suo solito passo rapidissimo.

 

“Andiamo nel mio ufficio, Calogiuri,” lo invitò, precedendolo sulle scale e sentendo dopo un po’ i suoi passi familiari seguirla.

 

Arrivarono in ufficio e chiusero la porta dietro di loro.

 

La sua ossigenata cancelliera comparve dall’altra porta.


“Buongiorno dottoressa, volevo dirle che l’ha cercata il maresciallo Calogiuri, ma vedo che l’ha già trovata, e che ho convocato la signora Spaziani per domani, come da lei richiesto. Le serve altro?”

 

“Sì, grazie, mi vada a sollecitare al REGE le informazioni sulla famiglia Spaziani e me le fascicoli come le ho spiegato. Grazie, può andare.”

 

“Va bene, dottoressa,” rispose asciutta, uscendo.

 

Non ci poteva fare niente, ma tra i capelli ossigenati, i vestiti da Ferrari dei poveri e quel rossetto rosso fuoco che si ostinava a mettere, più il modo in cui sembrava sempre avere un palo nel sedere, le stava sul gozzo. Rimpiangeva terribilmente Diana.

 

“Calogiuri, che fai lì impalato? Accomodati!” gli fece segno, mentre lei si sedeva al suo lato della scrivania.

 

Calogiuri annuì e fece come chiesto ma notò una strana tensione nella mandibola. Ormai lo conosceva troppo bene.

“Allora, che cosa volevi dirmi, Calogiuri?”

 

“Ho fatto le ulteriori verifiche bancarie su Amedeo Spaziani, dottoressa. Ed effettivamente risulta che un paio di mesi fa ha provato a chiedere un prestito alla banca, ma senza risultato.”

 

“Beh… questo potrebbe dare un ulteriore movente. Evidentemente aveva bisogno di liquidità. Dobbiamo indagare di più sull’azienda e sulle finanze personali di Spaziani. Te ne occupi tu?”

 

“Sempre se non volete affidare il compito ad altri,” replicò, sarcastico, la mandibola che si strinse nuovamente.


“Che vuoi dire?”

 

Lui si guardò intorno e poi girò intorno alla scrivania e si sedette accanto a lei. In quella posizione la sovrastava completamente. Qualche mese prima non avrebbe mai osato farlo.

 

“Perché hai mandato Mariani e Conti a Matera e non me?” le chiese, in un tono basso, “e perché non mi hai avvisato degli sviluppi su Davidson e sei andata da sola con Mancini? Di questa indagine pensavo mi occupassi io, come del maxiprocesso.”

 

“Mancini è riuscito a sollecitare l’interpol tramite sue conoscenze personali, Calogiuri. Mi ha intercettata stamattina e mi ha chiesto di andare con lui a fare questa videoconferenza. Mica potevo rifiutare ed eravamo già in due. Anzi, meno male che i suoi amici hanno sbloccato la situazione, che con Santoro erano mesi che stavamo al palo. E se ho mandato Mariani e Conti e non te è perché voglio che ci sia anche tu ad interrogare Davidson con me, Calogiuri, e mi servi riposato e non reduce da oltre dieci ore di viaggio. Chiaro?”

 

Calogiuri annuì ma vide che era ancora in tensione, dal modo in cui teneva le spalle.

 

“Mi vuoi dire che ti succede?” gli chiese, alzandosi in piedi per affrontarlo faccia a faccia.

 

“Che mi succede… che mi sono sentito escluso. Ho dovuto avere queste notizie da altri. E poi non mi piace l’atteggiamento che ha Mancini quando sta con te. Siete stati a pranzo insieme, immagino?”

 

“Sì, mi ha invitata, era ora di pranzo e mica potevo dirgli di no. Ma come lo sai?”


“Perché non hai più il rossetto e la mattina lo metti sempre. Quindi o avete mangiato o-”

 

“O abbiamo mangiato,” lo interruppe, mettendogli le braccia intorno al collo e sussurrandogli, “mi piace quando noti questi dettagli da detective e quando fai il geloso, se a piccole dosi. Ma ti ho già detto che non hai nulla di cui preoccuparti, veramente.”

 

“Me lo auguro,” rispose, in un modo che era talmente da lei da strapparle una risata.

 

“Che fai, mi rubi pure le battute mo, maresciallo?” gli chiese, avvicinandosi all’orecchio per sussurrargli, “e comunque il rossetto in un certo modo me lo puoi levare solo tu.”

 

“Me lo auguro,” ripetè, stavolta più ironico e, dopo essersi guardato intorno, le stampò un rapido bacio, le accarezzò una guancia ed uscì dall’ufficio.

 

In fondo la gelosia di Calogiuri non era poi così male.

 

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“Davidson, si sieda.”

 

Era proprio bello, Davidson, pure evidentemente mezzo stravolto dal viaggio Roma - Matera sulla volante. Erano le 22 ormai ma aveva voluto interrogarlo subito, per approfittare della stanchezza e sperare che si tradisse di più.

 

Il classico prototipo dello sportivo: alto, atletico, biondo e con gli occhi chiari. Pantaloni e polo bianche, cardigan elegante. Pareva uscito da uno di quei poster delle band di ragazzetti che Valentina teneva in camera quando andava alle medie.

 

Davidson si sedette di malavoglia sulla sedia della sala degli interrogatori. L’aveva preferita al suo ufficio, incuteva più timore. Calogiuri era accanto a lei, pronto a prendere note, Mariani e Conti rimasero sulla porta, pur avendo anche loro un aspetto abbastanza stravolto.

 

“Allora, signor Davidson, immagino intuisca perché la abbiamo fatta convocare qui.”

 

“Veramente no. Stavo facendo una lezione al circolo e mi trovo trascinato fino a Roma,” rispose, con un marcato accento britannico.

 

“Eh ma lei qui a Roma ha delle conoscenze, no, signor Davidson? La signora Tantalo ad esempio…”


“Chi?”

 

“Signor Davidson, ma ci prende per scemi? Maria Giulia Tantalo, la moglie dell’onorevole Lombardi, quello che sta in coma ormai da più di un anno? La sua allieva al circolo del tennis? Le dice niente?”

 

“Ah, sì, ma è tantissimo che non viene più a lezione. Credo viva qui a Roma ormai.”

 

“E su questo lei c’ha ragione, signor Davidson. Ma vede… qui in Italia c’è un bel detto che se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto.”

 

“Maometto? Che c’entra la religione musulmana?”

 

“Niente, è una metafora. Vuol dire che anche se la signora Tantalo non veniva più a Matera, lei magari veniva spesso qui a Roma. La sua macchina - bellissima, tra l’altro, complimenti! - ha un gps ed un navigatore satellitare di ultima generazione. Oltre all’apparecchietto dell’assicurazione ed il telepass. Non ci vuole nulla per risalire ai suoi spostamenti. E lei viene a Roma almeno una volta al mese signor Davidson, a volte anche quasi tutti i fine settimana.”

 

“E allora? Mica è un reato? A Matera non c’è niente mentre qui a Roma… ci sono tanti posti per la nightlife. Sono giovane e voglio divertirmi.”

 

“E sarebbe pure giusto, signor Davidson. Peccato che qui a Roma appunto ci stia anche la signora Tantalo. Comunque, vedo dai suoi spostamenti che lei l’anno scorso è stato a Miami. E poi ha fatto un viaggio a Panama. Come mai?”

 

“Per un torneo di tennis, che ho vinto.”

 

“Peccato che, facendo verifiche a Panama, quel torneo non esista affatto. E che ho un testimone che mi ha confermato che lei con la signora Tantalo l’anno scorso ci ha fatto un bel viaggietto a Miami, in voli separati, of course. E che è andato a Panama per ritirare una sommetta da niente, giusto un duecentomila euro, appartenenti alla stessa Tantalo. La signora si deve fidare molto di lei Davidson, per lasciarle una cifra del genere.”

 

“Non so chi sia questo testimone ma he is full of shit. Non so come si dica in Italiano.”

 

“Non serve la traduzione, grazie, ma quello che naviga in un mare marrone qui è lei, signor Davidson, se non dice la verità. Allora, mi vuole dire che questo testimone non dice la verità? E che, dopo pochi mesi da quell’evento, lei ha ricevuto centomila euro da una vincita mai esistita, con i quali ha peraltro comprato la sua auto, costosissima per un istruttore di tennis dal suo reddito. Centomila euro, esattamente metà della cifra che si era riportato da Panama. Allora?”

 

“E allora… ok, ho gestito degli affari per conto della signora Tantalo. E ho avuto in cambio una percentuale.”

 

“Il cinquanta percento? Mi pare una percentuale molto generosa, signor Davidson!”

 

“La signora Tantalo ha grandi disponibilità economiche e… voleva darmi una mano, e sì, è molto generosa, tutto qui,” ribadì, deciso, ed Imma capì in quel momento che, senza altre prove in mano, avrebbe continuato a sostenere questa tesi all’infinito.

 

O era molto fedele alla Tantalo o era molto spaventato.

 

“Allora, per il momento le prendiamo impronte e DNA, signor Davidson, e faremo alcune verifiche. Lei ovviamente è in stato di fermo per traffico internazionale illecito di diamanti e complicità in evasione fiscale. Per il resto, credo che qualche giorno in cella magari le schiarirà le idee. Mariani, Conti, portatelo via.”

 

Ed i due marescialli fecero come richiesto, mentre lei rimase sola con Calogiuri che finiva di annotare il tutto.

 

“Che ne pensi?” gli chiese, buttandosi sulla sedia, sentendosi distrutta.

 

“Che Davidson ovviamente ha molto da nascondere. Speriamo con DNA e impronte di ottenere qualcosa di più concreto. Per intanto almeno da qua non può muoversi,” rispose, chiudendo il computer e poi aggiungendo, con uno sguardo eloquente, anche se con tono neutro, visto che c’erano le telecamere, “e per il resto vi vedo abbastanza provata, dottoressa. Forse è meglio andare a riposare e ragionarci a mente fresca?”

 

“Mi pare una buona idea, Calogiuri,” ammise, con un sorriso grato, raccogliendo le sue cose, “passa una buona serata.”


“Anche voi, dottoressa!” le augurò, strappandole un altro sorriso.

 

Perché con lui era certa che lo sarebbe stata.

 

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“Che ci fai già qui?”

 

Se lo trovò davanti, che usciva dalla camera da letto indossando una delle tute che aveva lasciato lì da lei come abbigliamento da casa.

 

“Col motorino ho fatto prima. E, visto l’orario, mi sono permesso di ordinarci due pizze a domicilio. Anzi due pinse, di quelle che ti piacciono tanto. Spero che ti vadano, dovrebbero arrivare tra poco.”

 

D’istinto, se lo abbracciò forte forte, godendosi il suo profumo: un misto di docciaschiuma e di ammorbidente che ormai le era tanto familiare. Per lei quelle premure erano meglio di qualsiasi dichiarazione d’amore. Anche se pure le dichiarazioni non le disdegnava affatto ultimamente. E poi aveva mangiato solo l’insalatina light dell’atletico Mancini e aveva una fame tremenda.

 

“Faccio in tempo a farmi una doccia e a cambiarmi, Calogiù? Senza risparmio energetico, però, che se no altro che mangiare!”

 

Calogiuri rise ed annuì. Imma si affrettò a svestirsi, raccogliere i capelli, buttarsi in doccia, uscirne e indossare camicia da notte ed una delle sue vestaglie.

 

Sentì il campanello che suonava ma ci pensò Calogiuri ad aprire, anche se era un poco rischioso, ma alla fine il ragazzo delle consegne chi mai poteva conoscere?

 

Arrivò giusto in tempo per vedere Calogiuri che si portava i cartoni sul tavolino davanti al divano, dove già stavano pronti i piatti e due bottiglie di birra.

 

“Proprio da seratina da pensionati,” ironizzò Imma, sedendoglisi accanto, mentre lui, come sempre, la guardava in quel modo che le faceva capire quanto apprezzasse le sue mise domestiche.

 

“L’unico vestito da pensionato qua sono io,” si schernì Calogiuri, aprendo uno dei cartoni e chiedendole se volesse per prima quella bianca con la mortazza, come si diceva a Roma, o quella rossa con la salsiccia.

 

Calogiuri ormai conosceva i suoi gusti.

 

“Bianca,” rispose, mentre lui la divideva in due e gliene passava una metà su un piatto, “e comunque tu puoi vestirti come ti pare che sempre bello resti, Calogiuri, quindi non vale.”

 

Calogiuri sorrise, un poco imbarazzato, e lei approfittò del momento per accoccolarglisi contro, mezza abbracciata, mentre continuavano a mangiare e a bere sorsate di birra.

 

“Ci vediamo qualcosa per completare il quadro da pensionati?”

 

“Va bene… Calogiù. Dai, proseguiamo con Scandal che nelle ultime sere lo abbiamo un po’ trascurato, tra una cosa e l’altra. Vediamo se il presidente riesce a diventare ancora più cretino. Anche se, essendo un politico, è assai probabile.”

 

Calogiuri sorrise e le porse il telecomando e poi si sentì abbracciare più forte, mentre si godeva il calore di Calogiuri e della mortazza ed il freddo della birra che le scendeva in gola.

 

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“Imma, vuoi un’altra birra per caso? O qualcosa di dol-”

 

Si zittì quando si rese conto che Imma aveva gli occhi chiusi ed il respiro lento: si era addormentata abbracciata a lui.

 

Avevano finito di mangiare da una ventina di minuti al massimo ed era già crollata: doveva essere davvero stanchissima.

 

Dio, quanto era bella! Con un angolo della bocca leggermente sporco di pomodoro ed il viso rilassato e sereno, come non lo era praticamente mai di giorno.

 

Cercando di fare il più piano possibile, per non svegliarla, spense la televisione, prese un tovagliolino di carta, le pulì la bocca e poi se la prese in braccio.

 

“Calogiù…” la sentì mormorare nel dormiveglia, stringendosi più a lui.

 

“Shhh, riposati,” le sussurrò, dandole un bacio sulla tempia prima di adagiarla sul letto che, per fortuna, era ancora tirato giù da quella mattina.

 

La coprì, si svestì e ci si infilò anche lui. Dopo poco la sentì muovere e vide che si levava la vestaglia e la buttava per terra e poi la sentì abbracciarsi a lui.

 

Ricambiò, ritrovando dopo poco la loro posizione preferita in cui dormire. Ed il respiro di lei vicino al suo collo, lento e regolare, lo cullò presto in un sonno profondo.

 

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“Signora Spaziani, immagino lei conosca il motivo di questa convocazione.”

 

Galiano le aveva telefonato poco dopo averlo interrogato al bar, lo sapevano dalle intercettazioni telefoniche. Ma non si erano detti nulla di compromettente, solo rassicurazioni sul fatto che sarebbe andato tutto bene. Ma Galiano era un avvocato e non era scemo.

 

“Andrea me ne ha parlato, sì, che l’avete interrogato,” rispose la donna, con un tono rassegnato.

 

Almeno non aveva mentito, ma magari glielo aveva consigliato Galiano.

 

“Sentite, io lo so che non mi fa onore ma… io amavo Ferdinando, veramente. Solo che dopo tutti questi anni da sola, in mezzo alla malattia e alla sofferenza… io non ce la facevo più. Andrea è stato come… una fuga… un momento felice in mezzo a tanti problemi. Ma io non avrei mai fatto del male a mio marito e neanche lui. Amavo moltissimo Ferdinando, cercavo di dedicargli più tempo che potevo e speravo di poterlo avere ancora con me finché non fosse stata troppa la sofferenza per lui, pur con tutte le difficoltà. E Andrea è un bravo ragazzo, è giovane, ha una carriera brillante ed è ricco, perché mai avrebbe dovuto uccidere un povero malato? Non lo avrebbe mai fatto, non ha senso!”

 

“Magari per averla tutta per sé? O per aiutarla ad avere una sua indipendenza economica?”

 

“Se avesse fatto una cosa del genere non glielo avrei mai perdonato e non glielo perdonerei mai, ma non lo ritengo capace di una cosa così. E comunque io economicamente avevo tutto quello che mi serviva, non sono mai stata una che spendeva follie e non mi mancava nulla. Perché avrei dovuto uccidere mio marito? Inoltre io quella sera non sono mai uscita, potete verificarlo.”

 

“Sì, lo abbiamo già verificato ed effettivamente lei non è mai uscita. Ma magari qualcun altro ha agito al posto suo. Lei era un’infermiera, vero?”

 

“Certo, l’ho fatto per parecchi anni dopo la laurea e-”


“Ed immagino quindi sappia fare le iniezioni in vena?”

 

“Certo! Sono capace di farle, come tutte le infermiere del resto.”

 

“Suo marito è stato ucciso con un’iniezione di insulina dritta in vena. Cosa inusuale, visto che di solito si somministra con siringhe ipodermiche. Molto probabilmente chi l’ha fatto sperava che il foro dell’iniezione si confondesse con quello fatto lo stesso giorno per un altro farmaco anti Parkinson. Quindi conosceva le prescrizioni farmacologiche settimanali del defunto.”

 

“Ma io non sono uscita di casa.”

 

“Ma avrebbe potuto insegnare al signor Galiano a fare un’iniezione in vena?” le chiese, sporgendosi in avanti sulla scrivania e guardandola dritta negli occhi.

 

“La verità? Certo che avrei potuto insegnarglielo, come avrei potuto insegnarlo a chiunque abbia la mano ferma e non abbia paura del sangue. A rischio della mia incolumità, se avesse dovuto testare su di me le prime volte. Ma Ferdinando aveva il parkinson ed era pieno di spasmi. Per questo cercavano di evitargli le iniezioni il più possibile, perché erano rischiose, e questo infermieri e medici esperti che lo seguivano ogni settimana. Lei pensa davvero che io possa avere insegnato ad un avvocato come fare un’iniezione in vena a pochi millimetri da un altro foro, ad una persona che il braccio non lo tiene fermo salvo forse legarlo e nemmeno così? Lei si rende conto quanto è improbabile che uno come Andrea potesse riuscirci senza fare un macello?”

 

Imma si bloccò e ci ragionò su: in effetti era improbabile, molto improbabile, salvo…

 

“Quindi secondo lei deve essere stato un professionista a fare quell’iniezione?”

 

“Certo, un professionista, e pure esperto. So che ora lei può pensare che io ne abbia ingaggiato uno, ma in ogni caso Andrea non c’entra niente, è impossibile, mi creda.”

 

Ed Imma non seppe da cosa rimase più colpita: se dal modo in cui difendeva il Galiano, peraltro con la logica, o se dal fatto che preferisse spostare nuovamente i sospetti su di lei come mandante piuttosto che implicare lui.

 

Di solito gli amanti assassini finivano per incolparsi a vicenda alla prima difficoltà.


E questo la portò a pensare ad altri due amanti, e per una volta non erano lei e Calogiuri ai tempi.

 

“D’accordo, signora Spaziani. Per oggi può bastare,” concluse, congedandola rapidamente.

 

“Le credete, non è vero?” chiese Calogiuri, non appena furono nuovamente soli ed Imma, per tutta risposta, compose un numero che una volta era assai familiare e mise in viva voce.

 

“Dottoressa Tataranni?! Quanto tempo! Non mi dica che è tornata a Matera, che si stava così bene senza di lei che sollecitava autopsie ogni due ore.”

 

“No, Taccardi, non si preoccupi, sto ancora a Roma. Ma ho bisogno di un parere medico e di lei mi fido di più che del suo collega di qua che conosco ancora poco,” chiarì, spiegandogli la vicenda e quanto sostenuto dalla Spaziani, “che ne pensa, dottore? Davvero è necessario un professionista?”

 

“Beh, dottoressa, vista la situazione… direi che o questo avvocato ha avuto la fortuna del principiante, o sì, decisamente solo un professionista molto abile poteva fare un’iniezione del genere ad una persona in quello stato di salute. Qualcuno che di iniezioni in vita sua ne ha fatte una marea e può farle ad occhi chiusi, diciamo, e anche così è pericoloso.”

 

“D’accordo, grazie dottore, è stato prezioso come sempre.”

 

“Ah, pur che resti a Roma sono ben felice della consulenza, dottoressa. Buon proseguimento!” rispose, sarcastico, chiudendo la chiamata.

 

“Però a questo punto può essere stata sia la moglie che il figlio. Chiunque dei due avrebbe potuto assoldare un professionista con pochi scrupoli. Certo, la signora forse aveva più conoscenze tra i medici ma…”

 

“Ma poteva evitare di indirizzarci da un professionista, visto che era l’unica con un alibi di ferro,” concluse per lui Imma, guardandolo con orgoglio, “proviamo a capire chi conosceva il figlio, invece. Magari se frequentava qualche clinica in particolare, a parte quella dov’era ricoverato il padre. Puoi verificare tu, Calogiuri?”

 

“Certamente, dottoressa,” rispose con uno dei suoi sorrisi luminosi, ma uno sguardo furbo che la portò a lanciargli di rimando un’occhiata interrogativa.

 

“C’è altro, maresciallo?”

 

“No, io andrei, dottoressa, anche perché avrei un impegno per stasera.”

 

“Ah, sì? Impegno galante?” gli chiese sarcastica, cercando di trattenere la delusione, ma poi lo vide scrivere qualcosa sul suo taccuino, strapparne un foglio e passarglielo.

 

Ti porto a cena e poi a ballare.

Ti passo a prendere alle 20?

 

Le scappò un sorriso: una volta non avrebbe mai osato organizzare una cosa così senza chiederle prima il permesso. Ma del resto il giorno dopo era sabato e potevano riposare.

 

“Sì, sempre se non mi danno buca.”

 

“Non credo proprio, Calogiuri, che tu corra questo rischio: dovrebbe essere proprio scema per darti buca. Allora buona serata!”

 

“Buona serata a voi, dottoressa!” rispose, facendole l’occhiolino e sparendo oltre la porta.

 

E mo doveva tornare a casa e cercare di rendersi presentabile in poco più di un’ora. Non sarebbe stato facile.

 

Ma almeno sapeva già cosa indossare.

 

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“Ce la fai a salire sulla moto?”

 

“Se non mi si strappa la gonna sì, se no mi toccherà rimanere col cappotto tutta la sera, Calogiù,” ironizzò, infilandosi il casco e sedendosi dietro di lui e con la gonna a tubino non era facile, ma almeno era molto elasticizzata.

 

Calogiuri sorrise e si rimise alla guida.

 

Lei gli si strinse più forte che poteva e sfrecciarono sulle stradine di Roma, in mezzo al traffico del venerdì sera.

 

“Dove mi porti, Calogiù? Solito posto?”

 

“No, stavolta ho voluto cambiare. Vedrai.”

 

E costeggiarono il Tevere fino a fermarsi di fronte ad un ristorante che, almeno dall’insegna, era specializzato in pesce e aveva dei tavolini che fronteggiavano il fiume, con una vista bellissima dell’isola Tiberina e della città illuminata.

 

“Calogiù, ma questo posto costerà ben più della trattoria! Facciamo alla romana, però, allora,” intimò, puntandogli un dito al petto.

 

“Sono settimane che non mangiamo fuori. Posso offrirti qualcosa per una volta? Che mangio sempre da te e-”

 

“E la spesa a volte la fai tu e-”


“E mi vuoi offendere?!” le domandò, incrociando le braccia, con un tono deciso di cui fu assai orgogliosa, anche se non poteva darlo a vedere, “se non potessi permettermelo non ti ci avrei portata qui. Risparmiamo sempre: che male c’è a concederci qualcosa una volta ogni tanto?”

 

“Va bene, va bene, mi arrendo, maresciallo!” concesse, piantandogli un bacio sulle labbra e sussurrandogli, “grazie mille!”

 

Lui sorrise di rimando e poi, a braccetto, entrarono al ristorante.

 

Calogiuri diede il suo nome e furono accompagnati ad un tavolo con una vista davvero eccezionale ed Imma si levò il cappotto.

 

“Ma… ma…” esclamò Calogiuri, guardandola in un modo che le fece venire un caldo tremendo.

 

“Prima o poi dovevo indossarlo, no, Calogiuri? E mi sembrava la serata giusta,” commentò: aveva messo il famoso tubino con gonna nera e il top leopardato che le aveva regalato a natale.

 

“E… ma quelli sono… ce li hai ancora?!” domandò, sembrando commosso, ed Imma capì immediatamente a che cosa si riferiva: aveva raccolto i capelli ed aveva indossato gli orecchini in stile Gaudì che le aveva portato in dono da Barcellona, in quella che sembrava una vita precedente ma era poco più di un anno prima.

 

“E certo che ce li ho ancora! Li ho dovuti tenere per un po’ in un cassetto a Matera, ma mo mi sembrava la serata giusta pure per loro.”

 

“Imma…” sussurrò, allungando una mano per stringere la sua e lei la strinse fortissimo di rimando.

 

Perché anche per lei era lo stesso e si stava commuovendo come una scema: ce l’avevano fatta, nonostante tutto e tutti ed erano lì insieme, a dispetto di ogni probabilità.

 

E non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte.

 

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“Mi hanno detto che questo posto dovrebbe essere abbastanza tranquillo. Solo musica per ballare, niente discoteca, ma non è una balera da pensionati.”

 

Imma, incuriosita, entrò a braccetto a lui ed in effetti il volume della musica - un tango argentino - era abbastanza tollerabile. Ed il posto non era affollatissimo, nella pista si ballava veramente.

 

Il problema è che lo si faceva fin troppo.

 

Guardò le coppie in pista ed erano quasi tutti bravissimi, gente che evidentemente andava a scuola di ballo: le donne che ruotavano e si flettevano come niente, gli uomini che le guidavano come non avessero fatto altro nella vita. Sembravano quasi pronti ad una puntata di ballando con le stelle.

 

“Calogiù, ma tu vorresti veramente che io e te ballassimo in mezzo a queste persone? Ma ti rendi conto del livello?” gli domandò, imbarazzatissima, che loro giusto i lenti potevano fare.

 

“E va beh, che fa? Non sono tutti così bravi, lo vedi, no? E l’importante è che ci divertiamo io e te, mica è una gara. Loro stanno concentrati su loro stessi. E poi tanto chi ci conosce?” le fece notare con uno di quei sorrisi disarmanti che facevano sembrare pure le follie più grandi così raggiungibili e facili.

 

“Calogiuri…” sospirò, prima di avviarsi verso il guardaroba per mollare il cappotto e tenere solo la borsa piccolissima a tracolla. Che soldi, cellulare e documenti col cavolo che li lasciava in giro!

 

Calogiuri la imitò e poi si avviarono sulla pista, anche se un poco in disparte. Per fortuna finì il tango ed iniziò una musica un poco più tranquilla, di cui non riconobbe il genere, ma gli altri iniziarono tutti a ballarla in modo simile quindi evidentemente sapevano di cosa si trattasse.

 

Beati loro!

 

“Vuoi un cocktail per scioglierti un po’?” si sentì sussurrare all’orecchio e scosse il capo fermamente.

 

“Per carità che sono già scoordinata così, ci manca solo l’alcol! Guida tu, Calogiuri e speriamo che qualcuno ce la mandi buona!”

 

Con un sorriso, lui la prese e fece come richiesto e lei cercò di lasciarsi andare e concentrarsi solo su di lui e sulla musica. Ed, in qualche modo, ballarono in sincronia e dopo pochi minuti non gliene fregò più niente degli altri o del fatto che stessero inventandosi un ballo tutto loro. Era tra le sue braccia, in un locale pubblico per di più, dove erano solo due persone come tante, tra altre centinaia, e poteva starci fin quando le pareva, godendosi il tepore del corpo contro il suo ed il modo in cui il battito gli accelerava quando gli si appoggiava al petto.


E tutto il resto davvero non aveva importanza.

 

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Si guardò un attimo intorno in cerca di Calogiuri: alla fine era dovuta andare in bagno ed era stata un’esperienza meno traumatica del previsto, visto il genere di locale e l’orario.

 

Ma non lo vide.

 

Anzi sì, era poco distante, attaccato al muro ma circondato da due tipe, presumibilmente sulla trentina, anche se era difficile valutare con tutto quel trucco, che se lo baccagliavano marcandolo, letteralmente, a uomo.

 

Normalmente le sarebbe partito un impulso di gelosia, ma lo vide talmente in difficoltà sul come levarsele di torno che francamente le venne quasi da ridere.

 

Stava per avvicinarsi e farle sparire con un paio di battute ben assestate, quando si sentì prendere per un polso.


Si voltò e vide un ragazzotto, sulla trentina pure lui, vestito con una camicia e pantaloni neri, la camicia aperta fino quasi a metà pancia. Per carità, c’aveva pure i muscoli ed un’abbronzatura palesemente frutto di abuso di lettini solari, ma era ridicolo lo stesso.

 

“Mi lasci immediatamente!” intimò con sguardo assassino, strattonandogli via il polso e per fortuna lui mollò la presa.

 

“Va bene, va bene, ma perché sei così scontrosa?! Sei qui da sola? Vuoi ballare?” le chiese con un sorriso sbiancato artificialmente, avvicinandosi però di più a lei che, a furia di indietreggiare, si trovò con le spalle al muro.

 

“No, non sono da sola e non voglio ballare,” chiarì e stava per mollargli un pestone al piede - o una ginocchiata altrove - se non la faceva respirare, quando sentì una voce poco distante e decisamente incazzata.


“Lei è con me, grazie!” si inserì Calogiuri, con lo sguardo omicida che aveva sempre quando la vedeva in pericolo, anzi, forse pure peggio.

 

“Scusa, scusa amico, non avevo capito!” alzò le mani l’altro, che rispetto a Calogiuri era più basso e molto meno piazzato, e sparì tra la folla alla velocità della luce.

 

“Tutto bene?”

 

“Sì, Calogiù, non ti preoccupare. Gli hai giusto giusto salvato i gioielli di famiglia,” ribatté e Calogiuri scosse il capo e scoppiò a ridere, in quel modo affettuosamente esasperato che adorava.

 

Con la coda dell’occhio vide le due tipe ancora ferme vicine al muro, con uno sguardo deluso, e ci godette proprio a prenderselo a braccetto e riportarlo verso la pista.

 

E ripartì nuovamente un tango, ma stavolta non gliene importava nulla se sarebbero risultati ridicoli.

 

Si lasciò trascinare da Calogiuri e, come sempre, il resto del mondo sparì, mentre stavano in quella bolla tutta loro.

 

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“E ora l’ultima canzone della serata!”

 

“L’ultima?” chiese, sbalordita, “ma che ora abbiamo fatto, Calogiù?!”

 

“Sono… sono le cinque di mattina,” ammise, imbarazzato, ed Imma era sconvolta per quanto fosse volato il tempo, pur con qualche pausa qua e là, e dalla sua resistenza in piedi, anche se oggettivamente su tacchi molto più comodi dei soliti.

 

Ma tra le braccia di Calogiuri il tempo scorreva, da sempre, troppo in fretta.

 

“Va beh… facciamo questo ultimo ballo ormai e poi andiamo.”

 

E si godettero il lento, abbracciati stretti stretti, finché la musica finì.

 

Tra i pochi altri superstiti della serata - la maggior parte aveva già abbandonato da mo - andarono a recuperare i cappotti.

 

“Voi siete nuovi, vero?” chiese all’improvviso una donna in fila davanti a loro.

 

“Beh, sì, è la prima volta che veniamo. Noi non abbiamo mai ballato, si vede, immagino.”

 

“Si vede che non avete fatto lezioni ma siete molto portati, tutti e due, e avete tanta sintonia. E una grande resistenza: tutte quelle ore in pista. Io faccio lezioni in una scuola qua vicino, se siete interessati magari potete venire a dare un’occhiata.”

 

“Ma guardi, non lo so, siamo molto presi col lavoro.”

 

“Ma abbiamo corsi anche serali! Vi lascio il mio biglietto da visita, pensateci!” esclamò lei, ignorando le proteste, porgendole un cartoncino pieno di scritte laminate e che era troppo sgargiante perfino per lei.

 

“Qualcosa mi dice che non sei così entusiasta all’idea, dottoressa,” le sussurrò Calogiuri, quando ebbero recuperato i cappotti e furono a distanza di sicurezza dagli altri.

 

“Mi ci vedi a ballare in mezzo ad una classe affollata, Calogiuri? Che poi come minimo vogliono fare feste, pranzetti, cenette, uscite a ballare e-”

 

Calogiuri rise, scuotendo il capo e piantandole un bacio sulla tempia, per poi sussurrarle, “a me va benissimo se continuiamo a ballare solo io e te, dottoressa.”


“Pure a me, maresciallo, pure a me.”

 

“Però perché non riprendi almeno con l’equitazione? Sabrina ci aveva lasciato il numero del suo amico e alla fine non ci siamo ancora andati.”

 

In effetti era vero, ma con tutte le spese dei primi mesi a Roma aveva voluto rimandare quella evitabile delle lezioni di equitazione.

 

“Se ci vieni con me si può fare, anche perché coi mezzi mi sa che non è molto raggiungibile.”

 

“Lo sai che non devi neanche chiedermelo, dottoressa. E poi lì possiamo essere solo noi due e farli noi i pranzetti e le cenette. Da soli.”

 

Imma se lo abbracciò più forte, mentre uscivano dal locale e raggiungevano il motorino.

 

“Vuoi andare a casa o ti va di fare un’ultima pazzia per stasera?”

 

“Cioè?” gli chiese, intrigata, perché straordinariamente la stanchezza non la sentiva nemmeno, forse per merito dell’adrenalina, e poi avevano la notte successiva per recuperare.

 

“Lo vedrai,” rispose misterioso, passandole il casco, ed Imma, sempre più curiosa, se lo infilò, per poi stringersi a lui non appena si mise alla guida.

 

Benedetti i motorini e chi li ha inventati!

 

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“Allora, che te ne pare?”

 

“Che sto alzando l’età media, Calogiù,” ironizzò, mentre si allontanavano da qualche altra coppietta di giovani ventenni che avevano avuto la stessa idea di Calogiuri.

 

Erano alla terrazza del Gianicolo per ammirare il sole che sorgeva ed il panorama di Roma da un’angolazione che non aveva ancora visto. Avevano fatto uno stop ad un chioschetto poco distante per prendere due meritatissimi bomboloni alla crema, che dopo tutte le calorie bruciate ci volevano proprio.

 

“E dimmi, qui ci avresti portato qualcuna, Calogiù? Visto che il posto lo conosci,” lo punzecchiò, mentre si piazzavano in un punto tranquillo ma da dove si poteva comunque godere il panorama.

 

“Ci sono stato con i ragazzi qualche volta a prendere il cornetto caldo, dopo la discoteca. Qui vicino ci sono alcuni locali notturni.”

 

“Va beh… diciamo che te la passo, maresciallo, anche se ti ho già detto che del passato non sono gelosa.”


“Ma non riciclerei mai un posto usato con qualcun’altra con te! Ed in ogni caso non ci sarebbe paragone.”


“Certo che tu una volta eri di poche parole ma mo sei diventato fin troppo bravo ad usarle, Calogiuri! E comunque io invece non ho mai fatto l’alba con qualcuno, neanche da ragazzina. In discoteca prima non ci potevo andare e poi non ci volevo andare e… vedere l’alba e mangiare i cornetti caldi, figurati! Era già tanto se uscivo la sera qualche volta!”

 

Anche con Pietro non l’aveva mai fatto: lui odiava ballare e finivano sempre per rientrare relativamente presto, anche quando erano giovani.

 

“Guarda che neanche io l’ho fatto spesso e… ed è la prima volta che lo faccio con la persona che amo, quindi non me la scorderò mai.”

 

“Calogiù…” sussurrò, completamente sciolta, stampandogli un bacio sulla bocca e sentendo il rumore di liquido che si rovesciava a terra, mentre Calogiuri evidentemente faticava a tenere la bomboloni e cappuccini in mano senza far cascare qualcosa.

 

“Dai, mo mangiamo e beviamo prima che combiniamo un macello, ho capito.”

 

Calogiuri le porse il sacchetto e lei si afferrò avidamente un bombolone e poi cercò di bere il cappuccino da quel bicchiere plasticoso che sembrava uscito da un film americano.

 

“Ma come si beve da sti cosi? Sa tutto di plastica!”

 

“Aspetta!”

 

Glielo prese di mano e levò il coperchio e poi fece lo stesso.


“Facciamo un brindisi, Calogiù?”

 

“E a che cosa?”

 

“Alle prime volte, alla Città Eterna, a noi due e questi primi mesi insieme. E alle occhiaie che c’avremo per tutto il fine settimana e forse pure oltre!”

 

“Le occhiaie ti donano. E comunque spero di poterti regalare altre prime volte anche migliori di questa.”

 

“Pure io, Calogiù, pure io!”

 

Toccarono i bicchieri, poi finalmente bevvero ed Imma sentì con piacere il liquido caldo scenderle nello stomaco e riscaldarla dall’aria frizzante del mattino.

 

“Allora, ne valeva la pena sì o no?” le chiese dopo un po’, indicando la città tinta dall’arancione del sole che cominciava a spuntare all’orizzonte.

 

“Sì, ma non soltanto per il panorama, Calogiù” gli rispose, stampandogli un altro rapido bacio al sapore di crema e Calogiuri per poco non si versò addosso un po’ di cappuccino.

 

“Ho capito, ho capito, cercherò di contenermi prima che ci facciamo la doccia tutti e due!” lo sfotté, addentando un altro morso di bombolone.

 

“Se mi distrai non è colpa mia!”

 

“Bisogna avere mano ferma per fare il tuo mestiere, Calogiuri. Sto solo cercando di mantenerti in allenamento.”

 

“Sei tremenda! E quando arriviamo a casa… altro che mano ferma...” le sussurrò scatenandole un brivido.


“Ci conto!”

 

Si sorrisero e poi, in silenzio e mezzi abbracciati, ammirarono l’alba di un nuovo giorno insieme.

 

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Erano in motorino che costeggiavano il Tevere, quando si sentì toccare una spalla.

 

“Calogiù, senti, perché non andiamo un salto dal panettiere vicino a Piazza del Popolo? Così prendiamo il pane per oggi e pure qualcosa per la seconda colazione quando ci svegliamo, che mi sa che ne avremo bisogno.”

 

“Agli ordini, dottoressa!” proclamò, deviando verso il ponte ed attraversandolo, guidando nelle strade ancora mezze deserte del sabato mattina fino a raggiungere il panettiere.

 

Lo avevano scoperto durante le visite al Pincio ed era il loro preferito, ma di solito andavano ad uno più vicino alla procura, per comodità.

 

“Torno subito!” proclamò Imma, scendendo dalla moto e mollandogli il casco.

 

Aveva i capelli ancora raccolti ma con qualche riccio sfuggito qua e là e non l’aveva mai vista così bella: era talmente luminosa, nonostante la stanchezza, che sembrava splendere di una luce tutta sua, ancora più del solito.

 

Avrebbe dovuto portarla a ballare più spesso.

 

La vide allontanarsi ed entrare in panetteria e sorrise all’idea che tra poco sarebbero stati a casa, lontani da sguardi indiscreti, e poi-

 

E poi vide un uomo molto familiare correre sul marciapiede, a non molta distanza da lui.

 

Merda!

 

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“Grazie e buon sabato!”


“Anche a lei!” rispose, con un tono che suonò stranamente cordiale alle sue stesse orecchie, ma era così felice che non riusciva a trattenersi.

 

Uscì e per poco non finì addosso ad uno di quei fissati che correvano pure di primo mattino, in barba al buonsenso e al vivere civile.

 

“E stia attento, porca miseria!” urlò, perché felice va bene, ma c’era un limite alla sua pazienza ed il fissato si fermò e si voltò verso di lei, iniziando a scusarsi prima di bloccarsi bruscamente.

 

“Dottoressa?!” chiese, alzando gli occhiali da sole e guardandola prima incredulo e poi mortificato, “mi scusi! Si è fatta male?”

 

Merda!

 

“No, no, dottore, non si preoccupi, per fortuna ci siamo mancati di poco,” rispose, in panico, guardando alle spalle di Mancini per cercare Calogiuri. Ma nel punto dove prima stava il motorino non c’era più nessuno. Forse si era già avveduto del procuratore capo e si era levato da lì per tempo.

 

“Ma che ci fa lei qui?”


“Ci compro il pane ed i bomboloni per la colazione, anzi, vuole favorire?” gli chiese, per sviare i sospetti, aprendo il sacchetto.

 

“I bomboloni? Non pensavo fosse così golosa, dottoressa, o non fa colazione sola?” le chiese, con un tono strano, ed Imma si diede mentalmente della deficiente, “e non è un po’ lontana da casa sua?”

 

“No, è che mi viene a trovare mia figlia, sa è sabato. E questa panetteria è la sua preferita.” 

 

Era ormai una maestra a raccontare balle. E Mancini ci aveva pure creduto, a giudicare dallo sguardo quasi commosso.

 

“Eh… cuore di mamma! Ma fa bene, dottoressa, un po’ la invidio in realtà. Io invece mi faccio la mia corsa mattutina in solitaria, ma che ci vuole fare: è la vita da single e poi mi devo tenere in forma per il triathlon.”

 

“Guardi, per come è veloce credo che ulteriori allenamenti non le servano, dottore.”

 

“Beh, potrei dire lo stesso di lei. Non ho mai incontrato una donna che riesca a tenere il mio passo quanto lei, con quei tacchi poi, non so come fa,” disse, guardandole i piedi, per poi soffermarsi sul cappotto, che per fortuna copriva il vestito da sera, “ma del resto il ghepardo è tra gli animali più veloci del mondo!”

 

“Questo però è leopardato, dottore,” replicò, sorridendo, mentre cercava mentalmente un modo di smarcarsi e di capire dove fosse finito Calogiuri.

 

“In ogni caso le sta benissimo,” proclamò deciso, squadrandola di nuovo da capo a piedi in un modo che le causò un moto di imbarazzo, per poi soffermarsi di nuovo sul viso, “e anche questa pettinatura. Li dovrebbe raccogliere più spesso i capelli: ha un viso così bello che è un peccato coprirlo.”

 

Ed Imma si sentì arrossire del tutto: non ci era abituata ai complimenti - escludendo Calogiuri e in parte Pietro. E poi a lei il suo viso non era mai piaciuto del tutto.

 

“Mah… mo non esageriamo, dottore…”

 

“E perchè? Ha un viso particolare, ma proprio per questo è bello, ha carattere. Che ormai tutte le donne paiono fatte con lo stampino. Lei invece tira dritto per la sua strada e non si fa condizionare ed è una cosa che ammiro molto.”

 

“Pure lei tira dritto, dottore, fin troppo che quasi non mi investiva,” ironizzò, per deviare la battuta, e poi aggiungere, “anzi, la lascio alla sua corsa che le ho già fatto perdere troppo tempo e torno a casa a preparare per mia figlia, anche se chissà a che ora arriverà.”

 

“Va bene, dottoressa,” replicò lui con un tono ed uno sguardo che lasciavano trasparire come avesse colto perfettamente il tentativo di deflettere, ma l’avesse compreso di buon grado, “allora buon fine settimana a lei e a sua figlia!”

 

E, con un ultimo sorriso, si voltò e si mise a correre.

 

Imma si guardò in giro, cercando di nuovo Calogiuri e, quando Mancini fu sparito dalla visuale, sentì il rumore di un motorino alle sue spalle e lo vide arrivare.

 

“Calogiù! Ma dove ti eri nascosto?”


“Ho visto Mancini e l’ho superato e sono andato più avanti, sperando col casco non mi notasse,” spiegò, prima di incrociare le braccia e proclamare con tono per nulla felice, “e comunque avete parlato parecchio. Che voleva?”

 

“Sapere perché ero qui. Mi sono inventata che stavo prendendo la colazione per me e Valentina che ama questa panetteria. E poi… va beh… niente… si è scusato per avermi travolta ed è stato gentile come al solito.”

 

“Gentile in che senso?”

 

“Ma niente… mi ha fatto qualche complimento sul cappotto e sulla pettinatura, cose così…” minimizzò, anche perché Mancini era il capo e non voleva che Calogiuri facesse colpi di testa o si rodesse il fegato: ci dovevano lavorare, era inevitabile.

 

Anche se in cuor suo sperava che Mancini fosse galante per carattere e basta, e che Calogiuri si sbagliasse sul suo conto quando diceva che aveva un interesse nei suoi confronti.

 

“Che stai bene con quel cappotto e quella pettinatura te l’ho sempre detto pure io ma… non è molto professionale, mi pare.”

 

“Ma mo stiamo fuori servizio e mica mi è saltato addosso, Calogiuri,” ironizzò, ma lo vide contrarre la mascella.

 

“E meno male! Ci mancava solo quello!”

 

“Anche perché, in caso, si sarebbe beccato un bel ceffone.”

 

“Veramente?” le chiese con un sorrisetto che le fece capire che non gli sarebbe affatto dispiaciuto.

 

“Che non mi conosci, maresciallo? C’è solo un uomo che al momento è autorizzato a saltarmi addosso e, se poco poco stiamo ancora qui a discutere, dovrà aspettare domani per farlo, perché sarò troppo stanca ora del rientro a casa.”

 

“Imma…” soffiò con quel tono affettuosamente esasperato e si sentì prendere per la vita e travolgere da un bacio da farle tremare le ginocchia, mannaggia a lui!

 

“Allora?” le chiese, quando le lasciò prendere fiato.

 

“Allora in qualche modo la prima e la seconda colazione le dovremo pure smaltire, Calogiù. Ma veloce mo!” ordinò, infilandosi il casco e salendo in sella, aggiungendo poi, quando lui si fu riposizionato davanti a lei, “magari solo mo e non dopo, possibilmente!”

 

“Attenta a ciò che chiedi che potrei tenerti impegnata fino allo sfinimento, se mi provochi.”

 

“E questa sarebbe una minaccia, maresciallo?”

 

“No, è una promessa,” le sussurrò, facendole l’occhiolino e, con quel sorriso da impunito, avviò il motorino e ripartirono verso quella che ormai era casa.

 

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Il rumore di una suoneria lo risvegliò di soprassalto. Aprì gli occhi con una fitta di mal di testa e vide quelli di Imma spalancati, un’espressione preoccupata sul volto palesemente stanco. Guardò l’ora: erano le undici del mattino e si erano addormentati che erano le quasi le nove, intenti com’erano a mantenere la promessa.

 

“Mi sa che è il tuo, Calogiuri,” pronunciò con la voce arrochita dal sonno e lui si voltò ed afferrò il telefono sul comodino, temendo un richiamo in servizio per il quale non era sicuro di poter essere lucido.

 

In un certo senso lo era: sua madre.

 

“Pronto, mà?”

 

“Ippà! Ma che voce c’hai? Che stai male?”

 

“No, mà, no. Solo che ancora a letto stavo, ieri sera sono uscito, è sabato mattina.”

 

“Eh, bravo che accussì nun combini niente, come al solito tuo! Nu vacabbùnnu sei! Di notte se dorme, di giorno attivi bisogna stare, mica a ddurmì fin a menzujùrnu come li signuri!”

 

“Sì, mamma, sì, ma mi sveglio presto tutta settimana,” le rispose, alzando gli occhi al soffitto: non sarebbe mai cambiata.

 

Imma gli lanciò un’occhiata preoccupata e vide che cercò, se possibile, di fare ancora meno rumore.

 

“E poi invece ca ddurmì, potresti pure degnarti de venì a trovare la tua famiglia, che da natale è che non ti fai vedere e mo tra poco è pasqua! Che se nemmeno a pasqua vieni ti disconosco!”

 

“Mamma, mancano settimane ancora a pasqua. E comunque ci vengo, tranquilla, ci vengo,” sospirò, perché non poteva fare altrimenti, che altrimenti sua madre glielo avrebbe rinfacciato a vita.

 

“E meno male! E ogni tanto la strada per il paese tuo te la potresti pure ricordare!”

 

“Mà, e lascialo un po’ in pace che c’avrà gli impegni suoi!” sentì la voce di sua sorella di sottofondo, e poi più vicina, “Ippà, non darle retta e goditi Roma, tu che puoi!”

 

“Figli degeneri che mi sono capitati! Che disgrazia!”

 

“Va beh, mà, mo devo proprio andare. Ci vediamo a pasqua, tranquilla. Rosa, ciao e dai un bacio a Noemi da parte mia!”

 

“Sarà fatto, fratellino, fai il bravo, anzi no!” gli urlò la sorella, seguita da qualche altro borbottio materno a cui mise fine chiudendo la telefonata.

 

“Scusami, ma… non so se hai sentito ma…”

 

“Ma a pasqua devi andare da tua madre che si chiede dove sei finito. In effetti la capisco pure,” commentò Imma con un sorriso, scarmigliandogli i capelli.

 

“Ma tu da che parte stai?”

 

“Dalla tua! Ma sono pure io mamma e capisco che le manchi.”


“Sì, perché non può più criticarmi in continuazione o cercare qualcuna con cui maritarmi,” proclamò sarcastico ed Imma lanciò un’occhiataccia che paradossalmente gli fece tornare il buonumore.

 

“Ecco, sul maritarti magari non la ascolterei troppo a mammà, se fossi in te, Calogiù,” intimò, puntandogli un dito al petto, seria, ma poi finendo per sorridere pure lei.

 

“Tranquilla, non c’è pericolo.”

 

“Sarà meglio! E comunque mi sa che pure io pasqua la passerò con mia figlia e… forse anche con Pietro, se riusciamo, per comodità. Ti dispiacerebbe?” gli chiese, tornando serissima.

 

“Imma… lo so che hai una figlia e che… o fate pranzi e cene separate o alle ricorrenze sarà inevitabile rivedersi. Per me non è un problema. Spero solo… spero solo di poterci essere pure io un giorno, in modo ufficiale.”

 

“Lo spero anche io, Calogiù, e presto. Ma occhio a cosa speri, che le ricorrenze con mia figlia potrebbero essere devastanti!”

 

“Pure quelle con mia madre, credimi!” ironizzò lui e vide Imma farsi malinconica, con uno sguardo amaro.

 

“Dubito tua madre mi vorrà alle ricorrenze, Calogiù. Va bene che ti vuole maritare ma… io già non piacevo alla mia prima suocera ed io e Pietro siamo quasi coetanei. A tua madre quando saprà di me le piglierà un colpo, lo sai, sì?”

 

“Ed in caso vorrà dire che le ricorrenze le passerò da te, ma… ma a me non importa dell’opinione di mia madre, cioè… vorrei che lei vedesse che persona straordinaria sei, ma anche se così non fosse, io non ho bisogno della sua approvazione. Tanto è impossibile averla o quasi e non dipende da te.”

 

“Calogiù,” gli sussurrò, e la sentì attaccarglisi al collo e stringerlo forte e ricambiò, baciandole la fronte ed accarezzandole i capelli. Avrebbe potuto rimanere così per sempre, anche se era stanchissimo.

 

Ma, dopo un poco, sentì il fiato di lei sul suo petto farsi più lento e si rese conto che si era riaddormentata. Doveva essere esausta.

 

Con un sorriso li coprì meglio, spense la luce sul comodino e sperò di riuscire ad avere ancora qualche ora di sonno.

 

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Sentiva le gambe di piombo mentre faceva i gradini della procura, ancora terribilmente assonnata.

 

Anche se non si sarebbe mai pentita della notte in bianco e del sabato con sveglia alle due del pomeriggio, la notte tra sabato e domenica non era bastata a recuperare del tutto il sonno perso. Ma mo era lunedì e toccava lavorare.

 

Arrivò in cima alle scale e sentì delle urla che provenivano da un ufficio lì vicino, dopo poco vide la Ferrari uscire come una furia, sbattendo la porta del suo stesso ufficio.

 

Come la vide si bloccò, poi fece un sospiro e le si avvicinò.

 

“Ma che succede? Tutto a posto?” le chiese Imma, perché non l’aveva mai vista tanto infuriata e non era da lei, sempre così calma e composta.

 

“No. Il giudice ha accolto l’istanza dell’avvocato di Eugenio Romaniello di rinviare l’udienza, perché vogliono avere il tempo di risentire alcuni degli imputati e dei testimoni e sostengono di non averlo avuto a causa del loro numero. E siccome c’è di mezzo pasqua, il venticique aprile ed il primo maggio…”

 

“Quando è l’udienza alla fine?”

 

“A metà maggio. Perdiamo un mese e mezzo e per cosa? Per dargli il tempo di intimidire e corrompere quelli che avevo convinto a testimoniare? Anche il giudice… sembrava d’accordo con rimanere su dei tempi serrati e adesso cambia opinione così di botto. Non mi piace, Imma, qua sta succedendo qualcosa.”

 

E, per una volta, non poteva darle torto.

 

“Pensi che Romaniello abbia trovato un modo di… convincere il giudice?”

 

“Non lo so… è vero che dei legami con Roma li avevano ma… a Milano pure avevo avuto dei problemi a volte, ma non all’ultima udienza, porca miseria!”

 

“A me la hanno anticipata un’udienza, a ferragosto praticamente, figurati. Comunque se serve andare a parlare di nuovo con queste persone io posso aiutarti, ovviamente.”

 

“Ci serve un altro testimone a prova di bomba come il fratello… qualcuno che non abbia più niente da perdere e tutto l’interesse a collaborare. Ma la maggioranza di quelle persone sono accusate di reati più piccoli e Latronico e Quaratino continuano a sostenere di non saperne niente di Eugenio Romaniello, anche se è inverosimile.”

 

“Il Quaratino probabilmente è coinvolto nel giro di ragazze che c’era alla festa di Lombardi e-” si bloccò, perché un percorso le si delineò chiaro in mente.

 

C’era una sola persona rimasta che poteva fornire la testimonianza decisiva, perché altro che reati minori... ma bisognava capire come inchiodarla e convincerla a parlare.

 

Ed era Maria Giulia Tantalo.

 

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“Dottoressa, come state?”

 

“Calogiuri, dimmi che hai buone notizie, almeno tu!” esclamò, perché ne aveva veramente bisogno dopo la tegola che le era caduta in testa quella mattina.

 

“Avete saputo dell’udienza, deduco.”

 

“Deduci bene, Calogiuri,” sospirò e lui la guardò con quegli occhi azzurri enormi e colmi di preoccupazione che la intenerivano sempre, “dai, dimmi che cos’hai per me.”

 

Calogiuri fece un sorrisetto carico di doppi sensi che la portò, nonostante tutto, a ricambiare, mannaggia a lui, e poi si schiarì la voce e spiegò, “riguardo al caso Holub e Lombardi ho delle novità. Le impronte di Davidson erano effettivamente tra quelle ritrovate alla festa. Ce n’erano un paio nella stanza stessa, insieme ad una traccia di DNA, sul comodino dove c’era la cocaina, in una zona stranamente priva di impronte. Probabilmente ha cercato di cancellare le tracce dopo aver drogato Lombardi ma…”

 

“Ma non ci è riuscito del tutto. Del resto non è certo un professionista del crimine. Questa è un’ottima notizia, Calogiuri! A questo punto non ci resta che riconvocarlo per un nuovo interrogatorio e tramutare il fermo in custodia cautelare. Alla richiesta ci penso io, tu puoi andarlo a prendere?”

 

“Sarà un piacere, dottoressa!” proclamò con un sorriso smagliante, prima di sparire oltre la porta.

 

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Stava aspettando impazientemente che Calogiuri tornasse, quando il telefono squillò.

 

Il nome di Pietro sul display la fece immediatamente preoccupare.

 

Decisamente non era un giorno fortunato.

 

“Pietro, dimmi, è successo qualcosa?”

 

“No, Imma, non è successo niente di grave. Stai in pausa pranzo?”

 

“No, oggi probabilmente lo salterò perché ho un interrogatorio urgente. Dimmi.”

 

“Eh… è che… Valentina continua a rifiutarsi di venire a Matera a parlarmi e risponde a malapena ai miei messaggi.”

 

“Benvenuto nel club, Piè!” sospirò, sapendo bene come ci si sentisse, “ma vedrai che se le è passata con me, le passerà pure con te.”

 

Anche se tu non hai accanto uno come Calogiuri, che ha conquistato le simpatie pure di tua madre, ma Cinzia Sax che è simpatica come la sabbia nelle mutande! - pensò, ma non lo disse, perché non poteva e perché non erano affari suoi.

 

“Sì, ma pensavo… forse potrei venire a Roma questo fine settimana, per parlarle, che ne dici?”

 

“Che il fine settimana è l’unico momento in cui passa un po’ di tempo con Samuel. Non hai un paio di giorni da prendere in settimana? Credimi che forse apprezzerebbe di più la tua compagnia allora.”

 

“Sì, ma… non vorrei venire lì per niente. Non è che… potresti parlarle tu e spiegare che voglio venire a trovarvi a Roma?”

 

“A trovarci?” chiese, stupita per l’uso del plurale.

 

“Beh, sì, già che sarò lì, vorrei incontrare anche te, vedere come ti sei sistemata a Roma. Che c’è di male?”

 

“Niente… ma…”

 

“Ma non vuoi perché vivi già con lui?”

 

“No, ognuno c’ha il suo appartamento, Pietro. Non che sarebbero affari tuoi a questo punto,” sospirò, perché non è che non volesse parlare con Pietro, ma non voleva altri tentativi di avvicinamento da parte sua, “è che… visto quanto ci siamo detti l’ultima volta a Matera non so se sia una buona idea, lo capisci?”

 

“Lo so… ma… se non sono venuto a Roma finora forse era proprio perché… perché non volevo vedere quanto e come la tua vita fosse cambiata, Imma. Ma, anche se non è che c’abbia tutta questa voglia di vedervi insieme tu e lui, anzi... forse vedere come la tua vita sta proseguendo mi darà un altro senso di chiusura. Non lo so.”

 

Si chiese se stesse ancora andando dalla psicologa e, in caso, se questo esperimento avrebbe fatto meglio o peggio.

 

“Pietro… che ti posso dire… se lui fosse a casa mia quando vieni di sicuro non lo caccio via, anche se probabilmente ci lascerebbe pure soli, gentile com’è.”

 

“Eh, certo, gentilissimo è. Ho visto come ci ha lasciati soli, quando avevamo un matrimonio felice. Solissimi.”

 

“Pietro…” sibilò, perché non cominciava proprio bene questo ipotetico incontro.

 

“Lo so, lo so che la colpa è principalmente tua e che… che il tuo maresciallo non mi doveva niente, che manco mi conosceva. Ma non è stato correttissimo neanche lui, se permetti. Ma va beh… è inutile che mi faccio il sangue amaro mo: tanto ormai quello che è stato è stato e le corna me le sono prese e mo me le tengo.”

 

“Pietro…”

 

“Senti, se lui starà lì con te… cercherò di essere civile ovviamente. Ma voglio parlare con te e non con lui, in fondo abbiamo una figlia in comune ed è giusto che ci proviamo, no, ad avere buoni rapporti?”

 

“Dipende da quanto buoni li vuoi, Pietro, non per cattiveria, ma per il tuo bene, anche se non avrei diritto a preoccuparmene mo.”

 

“Lo so. E no, non ne avresti. Affatto.”


“Comunque, a proposito di buoni rapporti, per pasqua, se Valentina scenderà a miti consigli, volevo farla di nuovo tutti insieme, se per te va bene. Anche se magari tua madre c’ha altri piani.”

 

“No, per me va bene,” si affrettò a dire Pietro, sembrandole fin troppo entusiasta, “comunque se ne parli con Valentina del mio viaggio a Roma… così vedo che posso fare col lavoro.”

 

“Va bene, Pietro, ci provo, ma cocciuta com’è non ti prometto niente. Ti faccio sapere. Mo però devo tornare a lavorare.”

 

“D’accordo. Grazie Imma…” rimase per un attimo in sospeso e poi aggiunse, “e buon lavoro!”

 

“Pure a te!”

 

Mise giù mentre cominciava a sentire i primi accenni di un mal di testa, quando bussarono alla porta.

 

“Avanti!”

 

Calogiuri entrò con Davidson al seguito. Stavolta, avendo le prove, non serviva la stanza degli interrogatori. Sperava di cavarsela in fretta.

 

Calogiuri lo fece sedere, ancora ammanettato. Poi, quando si fu accertato che fosse calmo, gliele levò e se le rimise in tasca.

 

“Allora, signor Davidson, la vedo un po’ sbattuto. Immagino la sua permanenza in cella al momento non sia delle migliori.”

 

“Non avete niente contro di me! Quello che state facendo è... è.... inhuman e-”

 

“E le faccio risparmiare il fiato che, oltre ai traffici da Panama, in mano c’abbiamo altro eccome. Le sue di mani, Davidson, che hanno lasciato delle belle impronte proprio sul comodino dove sono stati ritrovati i residui della cocaina che ha ridotto in coma l’onorevole Lombardi. Insieme a tracce del suo DNA, saliva. Nella fretta, nel nervosismo, le devono essere sfuggiti, del resto lei non è certo un sicario professionista, signor Davidson. Ma questo fa passare la sua imputazione a tentato omicidio, con una serie di aggravanti come la premeditazione, giusto per dirgliene una.”

 

“Io… magari sono entrato in quella stanza durante la festa… come fate a provare che ho lasciato quelle tracce dopo che Lombardi è stato drogato?” ribattè ed era furbo Davidson, glielo doveva riconoscere.

 

La Tantalo se l’era scelto bello sì, ma mica scemo.

 

Per l’agitazione probabilmente però, Davidson iniziò prima a toccarsi il collo - cosa che indicava chiaramente che stesse mentendo - e poi si passò un dito nel colletto della t-shirt, allontanandola dalla pelle, come se si sentisse soffocare.

 

E fu in quel momento che la vide: una macchia nera e grigia, tonda.

 

Lanciò un’occhiata a Calogiuri e lui ricambiò in un modo che le fece capire di non avere avuto un’allucinazione. La volta precedente che l’avevano interrogato aveva il cardigan e la polo col colletto, era impossibile vedergli il petto.

 

“Può levarsi la maglietta, signor Davidson?” gli chiese, decisa e professionale, anche se si rendeva conto che la frase suonasse comunque da maniaca.

 

“Come?” chiese, sbigottito.

 

“La t-shirt. Se può togliersela un attimo che dobbiamo verificare una cosa.”

 

“Ma non potete chiedermi una cosa del genere, io-”

 

“Lei è in stato di fermo e quindi possiamo chiederglielo eccome. Si levi la maglia, Davidson, suvvia, bastano giusto due minuti e le garantisco che vederla come mamma l’ha fatta non mi interessa. Ho visto di meglio. Si sbrighi.”

 

Calogiuri fece un colpo di tosse ed Imma vide che stava trattenendosi dallo scoppiare a ridere ma, allo stesso tempo, aveva le guance leggermente rosate e lo sguardo compiaciuto.

 

Davidson sospirò e, dopo aver lanciato un’occhiata implorante Calogiuri, manco gli stesse chiedendo soccorso, infine si levò la maglietta.

 

E, al di là dei muscoli che sì, la Tantalo proprio bene se l’era scelto - anche se Calogiuri per lei restava mille volte meglio - trovò quello che stava cercando e dovette trattenere un’esclamazione di esultanza.

 

Nel mezzo del petto c’era un tatuaggio: un occhio che pareva effettivamente quello di un serpente, circondato nella parte inferiore ai lati da una specie di ferro di cavallo. Doveva essere una roba del Signore degli Anelli, se non ricordava male.

 

“L’occhio di Sauron?” chiese Calogiuri, rinfrescandole la memoria.

 

“Ero appassionato di The Lord of the Rings da ragazzo. E allora? I tatuaggi non sono vietati in Italia, no?”

 

“No, certo che no. Peccato che la ragazza che le ha fatto trovare Lombardi incosciente e con cui vi eravate incrociati - e che mo è morta proprio per aver avuto la sfortuna di incrociare l’occhio suo e pure quello di Sauron, Davidson - avesse detto chiaramente ad altri di aver visto entrare nella stanza di Lombardi una persona con l’occhio del serpente. E quello, magari circondato da una camicia un poco sbottonata, pare proprio l’occhio di un serpente, non le pare?”

 

Davidson iniziò a sudare visibilmente, nonostante fosse ancora mezzo nudo, ed Imma si guardò bene dal dirgli di rivestirsi. Non per lo spettacolo, ma per il vantaggio psicologico che le dava.

 

“Allora, signor Davidson? Ma ci prende per scemi? Lo sa che se confessa avrà almeno delle attenuanti, sì? Con le prove che abbiamo lei al processo è spacciato e vuole veramente prendersi tutta la colpa? Chi le ha ordinato di mandare in overdose Lombardi?”

 

Ma Davidson rimase muto, rifiutandosi di parlare.

 

“Lo sa che succede a chi finisce in galera imputato in questo caso o nel maxiprocesso, no, Davidson? Vuole davvero correre questo rischio? Perché mo è ancora in custodia qui ma, se si va avanti così, io devo tramutare il fermo in arresto e a quel punto finisce in carcere per forza.”

 

Ma Davidson continuò a non parlare: evidentemente era un osso duro e fedele alla Tantalo o ai suoi complici.

 

“Chi ha ucciso la povera Alina, Davidson? La ragazza che ha dato la ketamina a Lombardi per stordirlo.”

 

Di nuovo rimase in completo silenzio, con le braccia incrociate.


Imma si massaggiò le tempie esausta e lanciò un’occhiata preoccupata a Calogiuri: se andavano avanti così non ne avrebbero cavato un ragno dal buco.


E l’occhio di Sauron pareva quasi fissarla beffardo e pericoloso quasi quanto l’originale.

 

E, non seppe bene perché, ma in mente le tornò Eugenio Romaniello.


Nota dell’autrice: Ed eccoci alla fine di questo capitolo, come avete visto Imma e Calogiuri sono in ballo sia coi processi, che stanno arrivando sempre più nel vivo, sia con vari casini che li travolgeranno dal prossimo capitolo. Imma c’ha Pietro da un lato e Mancini dall’altro, Calogiuri ha la Ferrari e poi c’è pure “mamma sua” che inizia a chiedersi che fine abbia fatto il figlio. E diciamo che nei prossimi capitoli succederanno diversi scossoni ma che potrebbero anche portare a nuove consapevolezze.

Spero che la storia continui a mantenersi piacevole e non noiosa. Vi ringrazio di cuore per averla seguita fino a qui, ringrazio chi l’ha messa nei preferiti e seguiti e un grazie enorme a chi recensisce, cosa che oltre a farmi un sacco piacere e darmi una grande carica, mi stimola a fare sempre meglio e a capire cosa vi convince di più e cosa dovrei migliorare.

Il prossimo capitolo arriverà come sempre puntuale domenica 3 maggio.

Grazie ancora!

 
   
 
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