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Autore: Lady I H V E Byron    26/04/2020    1 recensioni
(Contest del "The XIII Order Forum" - "Through space and time, my heart will reach you)
Un crossover tra Kingdom Hearts e Descendants realizzato per gli amici del "The XIII Order Forum", in onore del decimo anniversario.
Le vicende dei protagonisti di Kingdom Hearts saranno legate a quelle dei Descendants...
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Re Topolino, Riku, Sora, Yen Sid
Note: Cross-over, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Più contesti
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7° mese: Kingdom Hearts Dream Drop Distance
Tema: Think of me

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Solo la luce del corridoio illuminava la cella.
Carlos era seduto al centro, fissando il vuoto.
Non aveva la sua benda: l’occhio era ancora giallo.
La sua Oscurità non era ancora svanita.
L’uomo con gli occhi rossi, Ansem, aveva rapito anche lui.
Era uscito un attimo dalla Torre Misteriosa per prendere una boccata d’aria e ammirare le stelle. Un momento per rimanere da solo e sgomberare la mente. Aveva dovuto insistere non poco affinché Jane non lo seguisse.
E lui, Ansem, era apparso dal nulla. Non gli aveva nemmeno dato il tempo di difendersi con il Keyblade che il Guardiano lo aveva afferrato e stretto forte da fargli quasi togliere il respiro.
Al suo risveglio, era in quella cella.
-Il tuo caro padre ci sarà utile.- gli aveva detto Ansem –Avrà bisogno del giusto incentivo per obbedire ai nostri ordini.-
“Mio padre?” pensò Carlos, confuso “Ma lui è morto.”
Lo aveva persino visto con i suoi occhi: suo padre Xigbar che cadeva di fronte a Sora e svanire.
Per lui era morto.
Una voce e dei passi in corsa lo distolsero dalla sua trance.
-Carlos? Carlos!-
La voce della speranza.
Xigbar.
Suo padre.
Si fermò davanti a lui, ansimando, riprendendo fiato dalla corsa.
Vedeva qualcosa di strano in lui. Sollievo.
E stava persino sorridendo.
Era diverso dai primi tempi in cui lo aveva conosciuto.
Carlos si alzò in piedi. I suoi occhi erano umidi di lacrime.
-Papà…!-
Non avrebbe mai creduto di rivederlo. Vivo.
Nonostante le sbarre, riuscirono ad abbracciarsi.
-Carlos… sei qui…-
Le dita di Xigbar stavano affondando sui capelli bianchi del figlio, fino a toccare la radice nera.
E le lacrime di Carlos stavano bagnando il cappotto nero, lo stesso che stava coprendo i suoi singhiozzi di commozione.
Si staccarono per un attimo, guardandosi negli occhi, per assicurarsi che fossero entrambi reali e non un frutto dell’illusione.
Le guance del ragazzo erano ancora umide. Ma sorrideva. Dopo tanto tempo, da quando era tornato umano, stava sorridendo. Vedere suo padre gli aveva donato speranza e sollievo. Era vivo.
-Papà, sei vivo!- esultò lui –Non riesco a crederci! Eri svanito. E, quel ragazzo, Sora…-
Xigbar scosse la testa.
-Tsk. Ci vuole ben altro di un sempliciotto armato di chiave gigante per eliminarmi…- si guardò la mano; poi prese quella del figlio e la mise a contatto con il suo petto.
Carlos sentì qualcosa muoversi all’interno del petto del padre. Un battito.
Infatti sorrise. Era tornato umano. Non era più un Nessuno.
-Ma se non altro, il ragazzino mi ha fatto un favore.- spiegò l’uomo, lasciando la mano del figlio –Eliminando il mio Nessuno mi ha fatto tornare umano.-
-Vuol dire che prima fingevi con me, papà?-
-Carlos, con te non ho mai finto.- la mano toccò di nuovo i capelli del figlio –In realtà, non ho mai perso il mio cuore. È troppo potente per svanire del tutto. Avevamo delle proiezioni di un cuore, ma provavamo davvero dei sentimenti. E quello che provavo per te non era una finzione. Ti volevo e ti voglio tutt’ora bene. E, fidati, questo non si sente dire spesso, da me.-
Carlos sorrise di nuovo. Suo padre era lì, di fronte a lui. Vivo. Non gli importava essere in una cella. Niente importava.
Tuttavia, lo sguardo sollevato di Xigbar si tramutò in sorpresa e preoccupazione: scostando accidentalmente una ciocca di capelli notò che qualcosa del figlio era cambiato.
-Carlos, il tuo occhio…!- notò; non sembrava preoccupato, quanto incuriosito.
Carlos si inquietò. Si era dimenticato del suo occhio giallo. Era troppo felice di aver ritrovato suo padre, a tal punto da dimenticare il suo segno di Oscurità.
Si toccò la palpebra sottostante l’occhio giallo. Poi scattò improvvisamente all’indietro.
-Oh, papà, ho troppe cose da raccontarti!- esclamò, preso da un’insolita euforia; girò per tutta la cella -Prima di tutto, dopo la distruzione di Auradon, mi sono ritrovato in un castello bianco e ti ho visto! Poi ti ho visto svanire nel nulla e il ragazzo con il Keyblade ha ucciso anche me. Mi sono risvegliato nella Terra di Mezzo e c’erano tutti i miei amici e la Fata Smemorina! Io ho proposto a tutti di addestrarci nel Keyblade e tutti mi dicevano “Ma sei fuori? Perché dovremo farlo?” e io “Per difendere ciò che ci resta!” e poi siamo andati dallo stregone Yen Sid e ora tutti noi abbiamo un Keyblade. E, durante un allenamento, ho quasi ucciso Chad, il figlio di Cenerentola, ma non volevo! Ed è allora che ho questo occhio! Yen Sid dice che è legato all’Oscurità che si è formata da quando ho ucciso mia madre...!-
-Aspetta, aspetta, aspetta!- lo fermò Xigbar, confuso dalla spiegazione; ma anche sorpreso da un particolare –Vorresti dire… che TU hai un Keyblade?!-
-Sì. Vuoi vederlo? Oh, no! È rimasto alla Torre Misteriosa! Quell’Ansem deve avermelo fatto cadere quando mi ha catturato!-
-E… anche i tuoi amici hanno un Keyblade…?-
-Sì…- l’inquietudine tornò in Carlos –Yen Sid dice che grazie ai poteri legati al Keyblade, Ben, Audrey e Chad potrebbero ricostruire Auradon. E noi possiamo aiutarli.-
Xigbar si guardò intorno, serio.
-Ok, figliolo.- disse, rivolto al ragazzo -È meglio se mi racconti dettagliatamente cosa è successo dalla distruzione di Auradon. Non c’è nessuno a guardia della prigione, abbiamo tutto il tempo che vogliamo. E non la spiegazione a razzo che mi hai fatto prima.-
Si misero entrambi a sedere. Carlos aveva fatto del suo meglio per spiegare in modo dettagliato gli eventi succeduti alla caduta di Auradon: la sua tramutazione in Nessuno, il suo divieto imposto da Xemnas di rivolgere la parola al padre, della sua “morte” per mano di Sora, il suo risveglio nella Terra di Mezzo, la sua idea di divenire custode del Keyblade, il suo addestramento.
Xigbar gli chiese in particolare di dettagliare quest’ultimo fatto. Sembrava interessato e affascinato che il figlio detenesse un Keyblade.
Si era rassegnato all’occhio giallo del figlio; il sinistro, proprio come il suo. Dopotutto, era frutto dell’unione di due persone malvage: era impensabile che sarebbe rimasto incorrotto per sempre.
Tuttavia, stava ugualmente provando dispiacere. Per Carlos. Puro istinto paterno.
-Povero figliolo. Mi dispiace ti sia capitata questa seccatura…- disse, indicandogli l’occhio giallo –Non lo meriti. Se solo fossi riuscito a portarti via da Auradon…-
-Non ha importanza.- tagliò corto Carlos, accennando un sorriso –Ora so che sei vivo. E sei di fronte a me. Non mi importa di nient’altro.-
Le dita delle loro mani erano intrecciate, forse per sostenersi l’un l’altro.
-Quindi, il tuo Keyblade può mutare forma? Un mitra a canne mobili?-
-Sì, adoro quella forma.-
-Sei proprio mio figlio. Ti alleni tutti i giorni?-
-Continuamente. Ma non mi sento soddisfatto. Sento che mi manca qualcosa, papà. Non mi sento ancora abbastanza forte. Ho deciso di diventare custode del Keyblade non solo per proteggere quello che ho e per ritrovarti. Voglio misurarmi con Sora, affrontarlo e vendicare quello che ti ha fatto. Ma non mi sento ancora abbastanza forte. Non mi sento al suo livello. Yen Sid mi ha raccontato tutto di Sora, i suoi viaggi, i suoi nemici, le sue esperienze. Non sono assolutamente al suo livello. Come se non bastasse, di recente ci ha raccontato la storia della Guerra dei Keyblade. Teme che presto o tardi ce ne sarà un’altra, alla quale parteciperà Sora e non noi! Dice che non vuole coinvolgerci nella guerra per non distoglierci dal nostro principale dovere di aiutare i due Principi e la Principessa della Luce a ricostruire Auradon. Mi sento così… frustrato!-
Stava stringendo un pugno e ritirando entrambe le labbra. Era arrabbiato. E invidioso. Entrambi sentimenti oscuri.
L’occhio di Xigbar stava fissando il figlio apparentemente impassibile. Non era chiaro cosa stesse provando: se preoccupazione, soddisfazione o inquietudine. Anni come guardia del castello di Radiant Garden e come Nessuno lo avevano formato nel controllo dei sentimenti. Non mentiva riguardo a quello che aveva sempre provato per il figlio.
Ma di fronte non aveva più il ragazzo dolce e gentile che aveva conosciuto e, a modo suo, amato. Era cambiato: era più oscuro, nell’animo.
Era simile a lui. Stava diventando la sua copia.
Gli scappò un sorriso malefico. Ma per un attimo. Parlò con tono rassicurante.
-Forse è meglio così, figliolo.- cercò di calmarlo –Il tuo maestro non ha torto sulla guerra che verrà. I Sette Guardiani della Luce contro i Tredici Cercatori dell’Oscurità. Il ragazzino, sì, verrà coinvolto. E anche io.-
Carlos impallidì.
-Cosa…?-
-Non devi preoccuparti per me, Carlos.- tagliò corto Xigbar -Tu devi pensare a ricostruire Auradon. Non voglio che tu sia coinvolto in qualcosa di pericoloso. E se sei con lo stregone, noi due saremo costretti ad essere nemici. E io non voglio essere costretto incrociare le mie armi contro di te.-
-Papà, io non voglio perderti di nuovo. Ho faticato per ottenere un Keyblade e ho quasi ucciso un mio amico, per ritrovarti!-
-Lo so. Ma a volte dobbiamo compiere delle scelte difficili per salvare coloro che amiamo.-
Strofinò di nuovo la sua mano sui suoi capelli. Carlos pianse di nuovo.
-Non piangere, figliolo.- gli disse, con tono confortevole –Non mi hai ancora perduto. E sono certo che ci rivedremo di nuovo, stavolta per davvero.-
Carlos si insospettì.
-“Per davvero”? Cosa intendi dire…?-
Xigbar guardò in alto, serio.
Improvvisamente, la terra tremò.
Il ragazzo si inquietò, guardandosi nevroticamente intorno.
-Papà, che succede?-
Un’altra scossa, più forte. Padre e figlio si separarono, a causa dell’impatto.
-Il tempo sta per scadere.- rivelò l’uomo, recuperando l’equilibrio -Come al solito, ho sottovalutato la situazione.-
-Cosa intendi dire, papà?-
-Tu sai che non siamo davvero qui, vero?-
Carlos si guardò di nuovo intorno: sapeva di trovarsi nel Castello Che Non Esiste. Ricordava Ansem, il Guardiano che lo aveva afferrato. E la Torre Misteriosa. Ma non ricordava cosa era successo antecedentemente. Poi ebbe un’epifania.
-Questo posto non è reale.- realizzò -Niente di quello che sto vivendo ora è reale.-
Xigbar sorrise con occhio triste.
-Mi dispiace, Carlos. Era l’unico modo per incontrarti.- rivelò –Sono costantemente sott’occhio. Non posso spostarmi nei mondi come prima senza che qualcuno faccia la spia.-
Erano nel mondo dei sogni. Xigbar aveva trovato il modo di incontrare il figlio attraverso i sogni.
Il corridoio cominciò a sgretolarsi, come fosse in balìa di un forte vento.
Anche la cella di Carlos fece la stessa fine. Il ragazzo dovette aggrapparsi alle sbarre, per non essere trascinato. Xigbar gli prese una mano, anche lui aggrappandosi a una sbarra.
-Mi dispiace, Carlos! Davvero! Ma ti prometto che ci rivedremo, nel mondo reale!-
-Papà, come posso trovarti?-
Il vento era sempre più forte: padre e figlio stavano per separarsi.
-Pensa a me.- disse -Per il resto, lascia che sia il tuo cuore a guidarti.-
Quell’ultima frase, separò Carlos da Xigbar, lanciandolo verso il vuoto.
Carlos si svegliò di soprassalto.
Era ancora buio.
Si trovava nel suo letto, in camera sua.
La luna illuminava la città. Si trovava a Crepuscopoli, in comunità, con i suoi amici. Come ricordava. Era da una settimana che non tornava alla Torre Misteriosa. Ecco come si era reso conto di essere in un sogno.
Yen Sid era impegnato con l’Esame di maestria del Keyblade con Sora e Riku, ecco perché aveva mandato via i profughi di Auradon. Forse per proteggerli dagli eventi che si stavano verificando. O per evitare un incontro tra Sora e Carlos e prevenire ogni tentativo di vendetta di quest’ultimo.
Sora. Il ragazzo che aveva ucciso suo padre.
Ma lo aveva riportato nel suo stato originale. Umano.
Non sapeva se essergli grato o odiarlo.
Da quando era tornato umano, Carlos non aveva più provato alcun sentimento positivo. Solo odio per Sora.
E al solo pensiero di suo padre contro di lui…
Sembrava sicuro, rilassato, tranquillo. Forse i timori del ragazzo erano inutili. O suo padre voleva rassicurarlo, nascondendo la sua reale preoccupazione con parole confortanti.
Non poteva permetterlo. Non poteva permettere che Sora gli impedisse di riunirsi con suo padre.
Doveva trovarlo.
E per farlo, doveva solo lasciarsi guidare dal suo cuore.
Possa il tuo cuore essere la tua chiave guida.
Carlos strinse la mano a pugno sul suo petto e guardò la luna. Il suo occhio giallo brillò alla sua luce.
-Papà…- mormorò –Ora so come trovarti.-
 
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-Xigbar.-
Saix. Di nuovo.
Era accanto al suo letto.
Un vizio che non aveva perso, nonostante non fosse più il secondo in comando dell’OrganizzazioneXIII, quello di svegliare i membri dell’Organizzazione all’improvviso.
-Cosa vuoi?- domandò maleducatamente l’ex-numero II, alzandosi dal letto.
Saix non era solo: c’era anche il giovane Xehanort nella sua stanza. Faceva paura quanto quello anziano. Stesso sguardo e stesso tono freddo e subdolo. Xigbar non avrebbe esitato ad eseguire i suoi ordini.
-Sora è sempre più vicino a noi.- rivelò, forse con una lieve nota di soddisfazione nel suo tono –Conosci la tua parte del piano. Fatti trovare pronto al nostro segnale.-
Xigbar appoggiò entrambi i piedi per terra, per mettersi gli stivali.
-Sì, sì… datemi un attimo e poi sarò ai vostri ordini.-
Fu lasciato da solo nella stanza. Saix sarebbe tornato nella Sala Circolare e il giovane Xehanort di nuovo a giro nel mondo dei sogni per confondere i due custodi del Keyblade.
Usare quel potere aveva quasi sfinito Xigbar.
Decise di lavarsi il volto con acqua fredda, per riprendere le forze.
Non doveva mostrare esitazioni o segni di debolezza di fronte a Sora.
Ciononostante, la sua mente era ancora fissa su una cosa.
-Dunque, anche il mio caro figlioletto ha un Keyblade…?- sibilò; non era affatto preoccupato per il figlio o la sua condizione -Davvero interessante. Questo renderà le cose più facili…-
Sorrise. Ma non era un sorriso soddisfatto, da genitore orgoglioso del proprio figlio.
Era un sorriso malefico.
   
 
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