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Autore: DarkWinter    27/04/2020    7 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Partiamo!

Porta una pagnotta, un coltello e una lampada nella borsa

La passione che mio padre mi ha lasciato

Lo sguardo che mia madre mi ha rivolto.


 

La terra gira, ti nasconde

I tuoi occhi brillano nella luce splendente

La terra gira, trasporta te

trasporta noi, che ci incontreremo un giorno.


 


 


 

Poco prima dell’arrivo dei gemelli alla casa diroccata...

Il sole negli occhi e il calore di giugno erano insopportabili. Non c’era mai stato cosi’ tanto traffico sull’A1, pareva che all’improvviso tutti volessero andate a Central City. Anche se procedevano lentamente, Kate aveva la nausea. Col mal d’auto si doveva guardare la strada, ma lei voleva ostinatamente evitare ogni contatto visivo con Crilin, anche periferico.

Da quando avevano lasciato la Capsule Corp. era rimasta girata su un fianco, col finestrino leggermente aperto.

“Ehm...signorina Lang, se vuoi posso mettere l’aria condizionata.”

Poverino, quel ragazzo. Tentava di attaccare bottone, probabilmente cercava di consolarla e di essere civile. Sembrava anche lui a disagio a trovarsi ad avere a che fare con lei, anche se non l’aveva guardata come se venisse dallo Spazio. Kate era abituata agli sguardi della gente e aveva sempre saputo che non metteva gli estranei a loro agio: i suoi occhi e i suoi lineamenti non trasmettevano cordialita’. Tuttavia, chi la conosceva sapeva che non era una persona fredda e altezzosa. Non lo era piu’.

Anche sua figlia Lazuli era esattamente cosi’, in piu’ era pure maliziosa: era intimidatoria e ci marciava. Se questo Crilin aveva davvero conosciuto i suoi figli, forse aveva gia’ familiarita’ con quel tratto che tutti e tre condividevano.

“...In ogni caso, quando hai spaccato il vetro in faccia a Vegeta...ci vuole un bel fegato. Tanto di cappello.”

“Perche’ Vegeta e’ invulnerabile e sa volare, giusto? Me lo sono sognata?”

No, era vero. Ma Crilin penso’ che non fosse di certo il momento giusto per dire a quella donna che il marito di Bulma era il principe di una razza aliena quasi estinta, capace di distruggere pianeti e di trasformarsi.

Se Kate nuotava in un mare di dubbi dopo quello che le era stato detto, anche Crilin scoppiava dalla curiosita’. Per dio, aveva davanti la madre di Diciotto! Durante il viaggio aveva stentato a trattenersi dal chiederle informazioni sui gemelli, su com’era stata la vita con loro, quali erano le loro cose preferite, quando era il loro compleanno. Piccole cose che lo incuriosivano.

“Immagino che anche...il padre dei gemelli sia preoccupato.”

Crilin ebbe quasi paura che lei potesse picchiarlo. Non gli avrebbe arrecato alcun danno, ma lui aveva capito di che pasta era fatta.

“Altamente improbabile. Li ho cresciuti io, da sola.”

Evitando piu’ che pote’ lo sguardo del suo curioso interlocutore, Kate soppeso’ con attenzione i vantaggi del pronunciare parole che non erano state dette per piu’ di vent’anni. Non aveva mai raccontato a nessuno tutta la storia, nemmeno agli stessi gemelli. Era sempre stata una delle cose piu’ intime che aveva. Ma ora, paragonate a gente che volava e ai suoi figli che erano diventati cyborg a quanto pare, le sue avventure non le parvero piu’ cosi’ private. Improvvisamente le sembro’ naturale parlarne.

“...la nostra non e’ stata una storia d’amore; io e lui siamo stati insieme giusto il tempo di concepire i gemelli.”

Kate aveva passato tutto quel tempo a chiedersi se lui lo sapesse; lei non gliel’aveva mai detto, ma il ricordo che aveva era di un uomo intelligente.

Crilin odio’ che il traffico avesse ripreso a scorrere; voleva dare tutte le sue attenzioni a Kate Lang.

“Non li amava?”

“Oh, li avrebbe amati.”

La vide sorridere mentre pensava forse a qualche ricordo, o a quelle stesse parole che in altre circostanze non avrebbe mai confessato.

Kate non volle assolutamente lasciare che le si leggesse in faccia il flashback che stava vivendo. Le ritornò in mente quel lontano mattino di settembre nel distretto di South City. Lei in piedi sulla banchina ad aspettare la nave Ragamuffin, pallida e sfinita ma con le guance in fiamme. Ventiquattro anni, Lapis e Lazuli solo una promessa di vita rannicchiata sotto le pieghe del vestito; e il loro padre che piangeva, dicendo addio alla ragazza del suo cuore. Sapeva che doveva lasciarla andare.

“Spiegami un po’. La natura della relazione fra te e i miei figli.”

Quando la guardo’ e vide una nuova vivacita’ nei suoi occhi, Crilin penso’ che in quel momento assomigliasse tantissimo a Diciassette. Resto’ imbambolato per un attimo:

“Io ero li’: quando sono stati attivati.”

Brutta parola. Pessima scelta.

“Loro...sono stati programmati per essere nostri nemici. Ma si sono ribellati al dottor Gero, non sono mai stati carnefici disumani.”

Il volto di Kate ritorno’ impenetrabile e Crilin si maledi’ per le sue infelici scelte lessicali. Ma era la verita’ nuda e cruda. E in un certo senso sentiva che quel grado di verita’ era tutto quello che voleva, doveva dare alla madre. Lei non avrebbe accettato menzogne.

“Io ho avuto l’occasione di fare qualcosa per loro e l’ho fatto. Ora loro sono liberi. Possono vivere in pace.”

Forse Kate avrebbe preferito non saperlo.

Attivati, dottor Gero, disumani.

Se da un lato si stava convincendo ad accettare che quella fosse la verita’, la sua testa si rifiutava sempre di credere che due cyborg potessero persino essere qualcosa di reale. Istintivamente si prese la testa fra le mani, per non farla scoppiare.

Ormai erano quasi a Central City, Kate guardo’ fuori dal finestrino:

“Frena la macchina, Crilin.”

Lui la guardo’ stupito: “Non siamo ancora a casa tua.”

“Io scendo qui. Buona vita.”

Kate penso’ di lasciarsi tutta quella faccenda alle spalle scendendo dalla macchina e incamminandosi verso un posto che aveva visto, in cui avrebbe potuto schiarirsi le idee mescolandosi alla folla e distraendosi con il baccano della musica nei negozi.

“Aspetta! Devo portarti a casa!”

Senza girarsi a guardare Crilin, Kate continuo’ spedita verso l’edificio dalla grande insegna, facendo un gesto a caso che voleva essere di ringraziamento. Conosceva bene la Stella del Centro, Lazuli ci andava sempre. Tutte le volte tornava con vagonate di roba più o meno comprata.

Quel giorno Kate aveva deciso che si sarebbe fatta una messa in piega: se non avesse fatto qualcosa per distrarsi era sicura che le sarebbe venuto un infarto. Andare dal parrucchiere la rilassava.

Come si aspettava il centro commerciale era affollato e mentre la parrucchiera la pettinava, dallo specchio Kate guardava la gente passare come una fiumana. Vedeva benissimo anche le persone sedute su una panchina a riposarsi.
 C’erano un nonno che mangiava il gelato in compagnia della sua nipotina, una ragazza che scriveva al cellulare e una donna che portava una sciarpa sui capelli; ma quello che aveva immediatamente attirato la sua attenzione era stato un ragazzo.
Portava  una cuffia in testa, dei jeans neri e delle scarpe da tennis, la maglia smanicata era bianca. Sembrava annoiato, continuava a battere i piedi sul pavimento e teneva le braccia vigorose incrociate sul petto.
Kate non aveva una buona visuale da quello specchio, ma si era accorta che aveva un bel profilo; le ricordava quello di Lapis.
Alzò le spalle, tanto ormai credeva di vederli dappertutto.
Continuava a guardarlo, fantasticando su quanto le sarebbe piaciuto che quel bel ragazzo fosse stato suo figlio.
Siccome continuava a fissarlo attraverso lo specchio, vide anche che si era tolto la cuffia.
Kate ci rimase di sasso; le nocche delle sue mani sbiancarono quando lei afferrò i braccioli della poltrona, col sudore freddo.

Ora anche il ragazzo la stava fissando.
“Lapis…” il respiro di Kate era un soffio.

Non voleva crederci, non riusciva a crederci. Sull’orlo del pianto, si alzo’ dalla poltrona e coi capelli ancora bagnati corse più veloce che poteva verso l’uscita del salone: “Lapis!”
Ma nello stesso istante in cui Kate aveva raggiunto la porta il ragazzo si era già dileguato.
 

Crilin non se n’era andato via. Non sapeva se Kate sarebbe ritornata presto, ma non se l’era sentita di piantarla li’. Era rimasto in macchina ad ascoltare la musica, guardando le auto che passavano. Dallo specchietto, da cui poteva vedere l’ingresso della Stella del Centro, il guerriero aveva improvvisamente scorto un bus passare, e appena dietro qualcuno che aveva corso fin quando il bus non era stato troppo veloce da inseguire. La sua attenzione fu attirata dalla lucentezza di una chioma nera.

Di fretta, Crilin rimise la macchina in moto e costeggio’ Kate, che con gli occhi e il viso rosso camminava con fare arrabbiato:

“Signorina Lang! Non avevi bisogno del bus, ero qui.”

Freno’ all’improvviso quando lei gli taglio’ la strada per risalire in macchina.

Lui non oso’ domandarle cos’era successo; sembrava avesse visto un fantasma.

Coi capelli tutti bagnati, Kate inchiodo’ Crilin con uno sguardo che non ammetteva repliche:

“Alla centrale di polizia. Ora.”

Diede una sberla sulla mano a Crilin e armeggio’ nervosamente col navigatore, risparmiando a lui il compito di inserire l’indirizzo.


“Ho visto mio figlio.”

Kate battè le mani sulla scrivania del detective. Tre anni di vuoto, in cui ogni tredici febbraio aveva scritto delle lettere riassuntive e dei pensieri per il loro compleanno. Cosi’ tanto tempo passato a soffrire. Era stata cosi’ vicina a lui, il destino le aveva fatto ballonzolare quella possibilita’ davanti agli occhi per poi togliergliela senza remore.

Crilin era seduto di fianco a Kate, e lei era cosi’ nervosa ed emozionata che non gli aveva nemmeno impedito di seguirla. Ora riusci’ a spiegarsi la sua reazione e trasali’ nel rendersi conto che i gemelli erano stati ancora una volta a un passo da lui. Dannato ki dei cyborg, se solo fosse stato come il suo Crilin li avrebbe trovati all’istante. Chissa’ dove se n’erano scappati, questa volta.

Chissa’ se avrebbe rivisto ancora la sua Diciotto, la sua Lazuli.

Il detective aveva convocato la squadra che si stavano ancora occupando del caso gemelli. Non erano riusciti a contattare il capitano, ma potevano gestire Kate da soli. Non c’era bisogno di disturbare il capitano mentre era in pattuglia nel quartiere piu’ pericoloso di tutto il distretto.

“Ne sono sicura, credetemi, quello era Lapis: l’ho visto con i miei occhi!”
Un agente cliccò col mouse, sul suo desktop apparve una foto, che mostrò a Kate:

“Ecco, questa è una foto di suo figlio, risale all’epoca della scomparsa. Sicura che fosse veramente lui, signora?”
Crilin guardo’ di sfuggita e vedere Lapis prima che diventasse n.17 gli fece venire nostalgia di qualcosa che non aveva mai perso. Li’ era solo un normale ragazzo umano, ancora ignaro dei terrori che l’aspettavano. Ripensò all'attuale Diciassette, stupendosi nel vedere che dall'esterno nessuno avrebbe mai capito che oramai era, in teoria, un’arma.

Il guerriero si senti’ pero’ sollevato nel pensare che almeno per ora i terrori erano finiti.

Kate rimase davanti allo schermo, guardando ossessivamente ogni particolare dell’immagine: “Non è cambiato di una virgola…”
“Come scusi?”
“Non è cambiato. Il Lapis che ho visto io è totalmente identico a questa foto.”
Il detective si sedette di fronte a lei: “Signora. Quando Lapis è scomparso aveva diciotto anni se non mi sbaglio, giusto?”
“Sì. È esatto”.
“E adesso, stando a quello che ci ha detto lei, è vivo e ne avrebbe ventuno, compiuti.”

Kate annuì. Che razza di domanda era, non era capace di fare una semplice addizione?

Se solo Kate avesse accettato quello che le era stato detto! Crilin strinse i pugni dal nervoso nel vedere come lei si intestardiva a volersi affidare alla polizia: lui, Bulma e Vegeta le avevano gia’ detto che erano vivi.
Il detective sospirò costernato: “Mi dispiace, ma non penso davvero che il ragazzo che lei ha visto fosse lui. Sa com’è, anche se ormai a quell’età non si cambia più tanto è impossibile non cambiare di una virgola in quel lasso di tempo. Specialmente per un giovane uomo, a ventun anni si e’ meglio strutturati che a diciotto. Mi corregga”.
Effettivamente il ragionamento del detective filava. Era vero, non era di certo come passare dall’adolescenza all’eta’ adulta, ma effettivamente non era possibile. Lapis era perfettamente uguale a come se lo ricordava, tranne ovviamente per i vestiti.

“Ma era lui! Ne sono sicura!”
Kate avrebbe potuto sbagliarsi su qualsiasi cosa, ma non su suo figlio. E Lazuli? In teoria avrebbe dovuto esserci anche lei, e di sicuro c’era.
Però Kate si rendeva sempre più conto della sua componente emotiva, un fattore che di sicuro giocava in prima fila in tutta quella faccenda: possibile che quel giovane dai lunghi capelli neri fosse stato solamente un’allucinazione?

“La sua teoria è certamente valida, detective; ma mi dica solo, in quanti hanno questo aspetto?”

Tutti si girarono a guardarla; cosi’ tante persone e fisionomie passavano sotto gli occhi di quei poliziotti, ma quella tavolozza gioiello di capelli nerissimi e occhi di acquamarina, quelle fossette sulle guance? Per quanto li riguardava erano effettivamente solo di Kate Lang.

E di suo figlio Lapis, già.

Davanti a quella verita’ inconfutabile, il detective ammise che forse lei non si era sbagliata.

“Va bene, signora. Vale la pena prendere la sua testimonainza in considerazione.”

Sotto lo sguardo ferreo di Kate il detective prese in mano il telefono; l’apparecchio suonò a vuoto nelle mani, chiamando finalmente il capitano Weiss.

 

/

 

Quando aveva abbandonato il quartier generale del Commando Magenta Sedici era volato via, stando rasente alla cima degli edifici.

Non si era allontanato molto: presto le sirene insistenti di un’auto della polizia lo avevano incuriosito. Si era stanziato su un balcone fatiscente e i suoi sensori ottici avevano registrato subito un poliziotto con un megafono in mano:

“Signore, scenda a terra. Subito.”

Gli ricordo’ quella volta a West City, quando si era illegalmente immerso in quel laghetto per accarezzare i cigni.

“Mani in alto, dove posso vederle.”

I suoi circuiti calcolarono che il poliziotto lo credesse affilliato a quella mostruosa Cloe.

Il poliziotto sembrava stupito dal suo aspetto, ma non indugio’ ad ammanettarlo.

Contrariamente a quanto aveva fatto quando Diciassette e Diciotto avevano rubato il furgone, non le spezzo’. Si diverti’ giusto nel vedere che nonostante i suoi sforzi, il poliziotto non riusciva a farlo entrare in macchina.

“Non serve, non sono Commando Magenta. Il Commando Magenta e’ malvagio.”

“E come faccio a crederti? Eri li’. Nessuno a parte noi e loro bazzica qui intorno.”

Sedici gli regalo’ il suo sorriso stanco. Non seppe come i suoi processori gli permisero di distinguere il suo rango:

“Capitano, ho parlato con il Commando. Lei mi ha sparato, temeva che io raccontassi a voi di loro. Se mi credi, io voglio raccontare quello che so.”

Il capitano Weiss pattugliava da mesi l’area rischiosa del quartiere generale, sperando che succedesse quello che era successo ora: catturare un membro del Commando o qualche testimone alle loro attivita’ che non era ancora diventato cadavere.

Erano criminali efferati ma furbi, eludevano i poliziotti che non uccidevano.

Weiss sapeva che la missione che si era scelto era particolarmente pericolosa. Solo due settimane prima, Cloe Mafia in persona aveva ucciso alcuni dei suoi colleghi.

Bruno non temeva molto per se stesso, visto che cercare di minare il Commando era il suo obiettivo. Temeva per la sua famiglia; tutte le sere la sua fidanzata, che presto sarebbe stata sua moglie tornava a casa prima di lui e non si dava pace finche’ non sentiva le sue chiavi girare nella serratura. E lo abbracciava stretto, lieta che il Commando non l’avesse fatto fuori, poi gli dava uno schiaffo per l’ansia in cui l’aveva fatta vivere per un altro giorno.

Bruno penso’ a lei e alla bambina quando finalmente si ritrovo’ fra le mani quel gigante pronto a parlare. Forse quella era la sua opportunita’.

L’aveva portato in una piccola centrale, una succursale di quella grossa in cui lavorava di solito col detective che si stava ancora occupando del caso di Lapis e Lazuli.

Sedici gli descrisse minuziosamente tutte le persone che aveva visto: grazie ai suoi sensori ottici pote’ fornire una stima precisa della loro statura, della loro eta’. Aveva descritto anche le armi da fuoco che aveva visto, dando ai poliziotti la possibilita’ di rintracciare il percorso che avevano fatto, da chissa’ dove fino alle mani del Commando.

“Il tuo contributo e’ di qualita’ eccezionale,…?”

“Sedici.”

Bruno si gratto’ il mento nell’udire quel nome, ma non ci penso’ su: “Sedici. Potremmo avere bisogno del tuo supporto durante questa settimana.”

 

 

/

 

Sara era sul pavimento del negozio ancora dolorante; si senti’ afferrare per le spalle e sollevare. Si ritrovo’ Lazuli ancora di fronte, con il solito sguardo algido.

“Cosa ti e’ preso? Devi ridarmi quel vestito, io lavoro qui e ti ho lasciato compiere un altro furto. Vecchia bagascia…”

Sara sembrava usare gli insulti come termini affettivi. Le sembrava che Sara avesse gia’ dimenticato che lei l’aveva ferita; non c’era rancore nei suoi occhi.

L'aspetto di Sara le diceva qualcosa, qualcosa che si perdeva nella distanza fra lei e il mondo a cui Gero le aveva fatto dire addio. Era come se Diciotto sapesse che Sara aveva sempre prediletto quel look di orecchini pendenti e coda alta, quei capelli biondi scuri che sfumavano in biondi chiari, tanto chiari quanto i suoi (ma finti). Si ricordava forse quegli occhi blu profondo e il sorriso gioviale, gli zigomi prominenti e ampi. E voleva tanto ricordarsi di lei.

Sperava che Sara potessi dire qualcosa che avrebbe fatto scattare un ricordo nella sua mente. Per cui stette al gioco:

“Allora, cos'hai fatto mentre io ero sequestrata?”

“Ho trovato lavoro qui. E ho fatto un capolavoro.”

Piena di orgoglio Sara le mostrò la foto di una bambina piccola con qualche ciocca di capelli ricci, dalla pelle e dagli occhi ambrati. Aveva sei mesi.

“Questa è la mia Amelia.”

Fra i due l'amante dei bambini era Diciassette e non lei, ma innegabilmente gli occhi di quella bambina le smossero qualcosa dentro, Diciotto era sicura di conoscerli. Erano del padre.

Era così strano, si sentì amareggiata; in tutto quel tempo, Sara aveva fatto in tempo a diventare madre. Chissà com'era stato; da un giorno all'altro aveva messo al mondo un altro essere umano.

“Se chiedi a me, Laz, è la cosa più bella del mondo. A me è piaciuto essere incinta, mi è piaciuta anche la fase in cui Amelia si svegliava ogni due ore. Anche se bon, il mondo era in tumulto per quella storia di Cell. Poi per tutte non è così, questa semplicemente la mia esperienza.”

Sara le parlò del terrore della situazione Cell, un argomento di cui Diciotto non volle conversare.

“Ma in tutto questo, dov'è Lapis?”

“Chi?”

“...bah, tuo fratello.”

Ah, Diciassette. Era rimasto indietro, si sentiva poco bene. A proposito, presto o tardi a Diciotto sarebbe toccato tornare indietro e scuoterlo fuori da quel capriccio.

“Hai detto qualcosa a proposito di mia madre?”

Sara si gratto’ la testa; le disse di aspettare che finisse il suo turno, era una commessa in quel negozio: “Penso che sia meglio parlare con calma, mentre ci beviamo qualcosa.”

La cyborg aveva aspettato la fine del turno seduta su un divanetto nella sezione scarpe. Le fece male non avere piu’ il minimo ricordo di Sara: quella ragazza sembrava niente male, era qualcuno con cui parlare.

Poco dopo, Sara guardava esterrefatta Lazuli bersi il suo sesto te’ freddo.

“Sembra che tu abbia sempre meno di vent’anni. Hai una pelle cosi’ bella perche’ bevi tanto?”

Bere tanto. Certo...”

Diciotto fece per masticare una cannuccia, ma si trovo’ in bocca un pezzo di plastica tranciato con precisione.

“In ogni caso, da quello che so tua madre non ha mai smesso di cercarti negli ultimi tre anni. Non voglio offenderti, ma io pensavo tu fossi morta. Immagina quando ti ho rivista in negozio.”

Chi era sua madre?

La parola le faceva effetto, lei era una figlia. Aveva una madre. Avrebbe potuto rivederla?

“Non importa piu’, ora sono tornata. Portami da lei.”

“Non saprei come...”

Diciotto guardo’ Sara comporre un numero sul cellulare. Noto’ di sfuggita un anello di fidanzamento al suo dito.

“Ma qualcuno forse puo’ farlo.”

Cosi’ stava per succedere, Sara l’avrebbe ricondotta da questa fantomatica madre. Un altro passo verso una vita che aveva perso, un altro strattone alla gabbia: piu’ liberta’ era li’, ad una chiamata telefonica da lei. Presto sua madre sarebbe stata li’.

Ma Diciotto era sola. Sola di fronte a una delle cose piu’ sconvolgenti che avrebbero potuto accaderle, ritrovare la vera persona a cui doveva la vita.

Diciotto non era pronta, era cosi’ piccola di fronte a quell’enormita’. Doveva tornare da Diciassette. Doveva farlo ora.

Sara si sentiva messa alle strette. Sapeva che i gemelli erano spariti da delinquenti, e ora per quanto riguardava la legge erano tornati da delinquenti. La loro sparizione aveva lasciato in sospeso certe questioni penali, come il rogo del treno. Anche se i poliziotti propendevano anche per altri colpevoli, il Commando Magenta, i gemelli andavano comunque arrestati. Ma erano appena ritornati. Dovevano almeno andare a casa dalla loro mamma e se Sara avesse fatto quella telefonata, sarebbero stati arrestati. Forse, con un po' di fortuna, la persona che Sara stava per chiamare avrebbe per una volta accantonato il dovere. Aveva una possibilità su due.

“Ehi, tesoro. Non indovinerai mai chi c’e’ qui con me, mi e’ venuto un colpo! Laz, vuoi parlare con...”

Parlando al telefono Sara aveva abbassato gli occhi per meno di un secondo. Quando li rialzo’, rimase a guardare solo un posto vuoto di fronte a se’.

Lazuli era sparita.

 

 

/

Bruno non voleva credere alle sue orecchie. Aveva ricevuto una chiamata scioccante: avevano trovato Lazuli. La sua fidanzata ci aveva parlato. Lazuli in carne ed ossa le aveva detto che era stata rapita e che ora era tornata.

Bruno sapeva che doveva credere a Sara, se lo sentiva che lei aveva detto la verità.

Lazuli le era sembrata in buono stato: il suo aspetto era quello di sempre e non sembrava malata, anche se Sara aveva capito che faceva fatica a ricordarsi della sua vita prima del rapimento.

Bruno non riusciva a smettere di pensarci. Lei era viva, esisteva ancora. Lei era tornata. In quel caldo pomeriggio alla centrale, Bruno continuava a sfogliare il fascicolo del suo caso e si arrovellava su cosa fare, cosa dire a Kate: nel momento in cui avessero trovato i gemelli, un arresto era il dovere.

“Qualcosa ti turba, capitano Weiss.”

“Ah, Sedici. Sembri sempre così tranquillo, come fai?E’ un vecchio caso. Potremmo avere la possibilità di catturare due gangster che erano spariti e che ora sono tornati.”

“Catturare criminali è un nobile dovere.”

“Sicuramente, ma questo è un caso strano. Io conosco bene la madre di questi due e non ho cuore di dirle come si svolgono le procedure. Sono costernato. Dovrò negarle di stare coi suoi figli.”

Sedici guardò casualmente nel fascicolo e vide una foto dei cyborg. Erano proprio loro.

Ormai grazie ai Brief sapeva la loro storia. E adesso qualcuno aveva visto Diciotto, erano vivi. Erano lì vicino.

Scusandosi col capitano Weiss, Sedici aveva lasciato di corsa la mini centrale di polizia. Aveva bisogno solo di camminare per strada, doveva pensare. Doveva capire le informazioni che i suoi stessi circuiti stavano registrando, a proposito del suo stato d'animo. Era stato allora che aveva sentito la forza combattiva di Diciassette.

 

/

 

Presente

 

Diciotto volava.

Volava e una strana sensazione di angustia le aveva fatto ritornare quel nodo alle budella. Alla vista della vecchia casa di pietra, perse quota ed entrò dalla finestra della stanzetta.

“Diciassette, devo parlarti. Ti prego, ascoltami.”

Vide che dormiva come un sasso; lo poncionò ma lui la spinse via e si girò dall'altro lato.

Ok! Allora fa' quello che ti pare.”

“Lascialo, sta riposando.”

Lei non seppe se stupirsi della bestia massiccia sul pavimento, che ora aveva rizzato le orecchie, o della voce che riconobbe all'istante.

Ebbe quasi paura di alzare gli occhi, temendo che fosse solo la sua immaginazione.

Ma le inconfondibili tuta verde e cresta rossa erano reali.

Lei mormorò il nome del suo amico, del suo compagno di avventure. L'androide dalla grande potenza che l'aveva protetta.

Istintivamente si portò una mano alle labbra nervose, guardando un punto fisso sul pavimento.

E po sentì le sue grandi mani sulle spalle.

“Diciotto. Sei tornata.”

Quando alzò gli occhi incontrò quelli dell'umano artificiale. Senza pensarci, con un sospiro buttò le braccia intorno al collo di Sedici, in quello che fu il suo primo abbraccio dopo tre anni. Non aveva mai piu’ abbracciato nemmeno suo fratello e ora era lì, come per volersi assicurare di stare davvero toccando l'amico che credeva di aver perso per sempre.

Nella sua mente, Diciotto non riusci’ ancora a trovare un modo per ringraziare Crilin.

Sapeva che era stato lui.

E Sedici gioi’ di quel contatto con l'amica di una vita, quel capolavoro della biomeccanica che sembrava minuscola fra le sue braccia. A quel punto il cane dalle orecchie a punta si svegliò.

Iniziò ad abbaiare e a ringhiare, saltando su Diciassette: era il suo nuovo padrone e doveva difenderlo da ben due intrusi.

Il cyborg si dovette svegliare per forza.

“Che vuoi, Botz? Sta' giù.”

Sedici e Diciotto guardarono quel cane sbarliccare Diciassette in faccia, scodinzolando allegramente. E al ragazzo non dava fastidio, Botz riusci’ a strappargli una risata allegra.

Si stiracchio’ con soddisfazione e si rinfilo’ le scarpe. Seguendo Botz che trotterellava, lo sguardo di Diciassette cadde su sua sorella. E su…

“Sedici?!”

Il cyborg rimase attonito per un attimo. Forse stava ancora sognando.

“E’ proprio lui, bro. Guardalo.”

Diciassette si protese istintivamente per dare all’amico una pacca solida, sincera. Con uno sguardo volle dirgli che se non fosse stato Sedici a trovarlo, lui l’avrebbe fatto.

Piu’ tardi, mentre il sole tramontava, Diciassette gli disse grazie per averlo difeso:

“Quel pugno staccabile era una figata.”

“Ho semplicemente fatto quello che dovevo fare.”

“Ma sappi che non restereai piu’ forte di me per sempre.”

 

Sedici era rimasto li’ con loro. Si era messo in un angolo, con Botz che non smetteva di annusarlo.

“Traditore...”

Diciassette guardo’ infastidito il cane, che ci aveva messo pochissimo a non voler piu’ rinunciare alle moine dell’androide.

Sedici non parlo’ piu’. Lascio’ Diciassette a sua sorella,che sembrava scoppiare dalla voglia di parlare:

“Mentre tu dormivi e io ero via, ho ritrovato un’amica che avevo quando ero umana. Lei ci puo’ portare da nostra madre.”

“Anche io posso. Ho visto nostra madre.”

Diciotto si senti’ mancare il fiato, ma Diciassette non demorse: pochi giorni prima, quella donna al centro commerciale gli aveva fatto un effetto talmente strano che per un sacco di tempo non era riuscito a pensare ad altro.

Quando si erano guardati dritti in faccia lui si era sentito rimescolare tutto, come se un uragano gli fosse scoppiato dentro. I suoi occhi sembravano raccontargli storie dimenticate, le storie che Gero aveva voluto che dimenticasse.

Si era sentito mancare il respiro, era stato più forte di lui; non aveva voluto affrontare quella donna e il carico di emozioni che si portava dietro. Per questo era scappato via, nonostante vederla gli avesse procurato una sensazione di calorosa familiarità che l’aveva riportato indietro ai tempi antecedenti al rapimento.

Più ci pensava, Diciassette, più gli sembrava di averla già vista prima. Nella sua catalessi aveva continuato a meditare, su quando e su come l’avesse incontrata.

E poi, a raffica, gli erano venuti in mente frammenti di ricordi sparsi; e con tempismo sbalorditivo, si era sentito la mente improvvisamente più libera dalla foschia che vi aveva permeato per gli ultimi tre anni.

“Nostra madre? Ma sei pazzo?”

Come faceva lui a sapere che era proprio loro madre e non un'altra persona che avevano conosciuto? E nel caso fosse stata lei, perche’ diavolo se l’era lasciata scappare.

A Diciassette era onestamente sembrata sua sorella, quando aveva incontrato il suo viso nel riflesso dello specchio:

“E tra l’altro, onestamente, quante persone sono così?”

Diciassette si indicò, facendo ridere Diciotto.

“Ma piantala di vantarti...”

“C’e’ poco da fare; il mio non è un fenotipo comune, e’ un dato di fatto.”

Wow, Diciassette sapeva persino contestualizzare un parolone come fenotipo.

Ma lui aveva avuto una buona intuizione.

In cuor suo, Diciotto sapeva che aveva sempre portato con se’ lo sguardo di sua madre. Una presenza che aveva vegliato su di lei, che non l’aveva mai abbandonata.

“Dobbiamo andare andare da lei.”

Sedici era intervenuto, raccontando quello che aveva appreso dal capitano Weiss. Si penti’ di aver causato ai suoi amici quello sguardo mortificato che vedeva nei loro occhi.

Ma aveva un piano. Aveva solo bisogno che qualcuno lo aiutasse. C’era bisogno che chiunque poteva aiutare riunisse gli sforzi.

 

/

 

Ancora una volta, Bulma apri’ la porta a Sedici.

“Sii-ti!”

Trunks si butto’ in avanti cosi’ velocemente che lei non ebbe altra scelta che cederlo al gigante.

“Dov’eri finito? La madre dei cyborg e’ stata qui, se era lei che cercavi.”

“Ancora lui...”

Una voce risuono’ da dentro la casa; Sedici vide Vegeta in fondo alla stanza, oltre la porta, con le mani sui fianchi e un’aria ostile.

Con un’urgenza e un’apprensione che sembrarono ancora una volta troppo umane per un essere artificiale, quella straordinaria creazione rispiego’ alla scienziata i piani del capitano Weiss.

“Lui non sa che io li conosco. Lui deve prenderli, sono ordini. Ma io sono dalla parte di Diciassette e Diciotto.”

Bulma ripenso’ a quanto l’amore e la forza di Kate Lang l’avevano impressionata. Ormai si sentiva dentro fino al collo in quella triste vicenda familiare che stava per trasformarsi di nuovo in gioia. E il dare una gioia immensa a tre persone era fattibile. Solo ad una chiamata da lei.

Se voleva fare la sua parte doveva far si’ che quella donna si ricongiungesse coi suoi figli senza intoppi e noie:

“Ah, ma certo, ci penso io a questo capitano Weiss. Entra, parliamone” Bulma strizzo’ l’occhiolino all’androide “e tu vieni qui. Santa pazienza...”

Tolse il suo piccolo da Sedici proprio mentre si stava arrampicando sulla sua altissima spalla.

 

 

 

“Cosa le diremo? Come farà a crederci? È un’umana basic.” Disse Diciotto al fratello, seduta di fianco a lui vicino ad un camino. Poi rimase silenziosa, a guardare nel niente fumoso di quel tetto.

Ognuno dei due gemelli si stava costruendo la sua conversazione personale. Chissà che effetto avrebbe fatto parlare con la mamma dopo tutto quel tempo.

Diciotto si era ricordata all’improvviso della donna del suo sogno e tutto nei suoi pensieri aveva combaciato. Ecco perche’ non se l’era mai scordata. Ecco perche’ assomigliava a suo fratello.

La gioia di quel passo in piu’ verso la liberta’ l’aveva pervasa e quando Sedici li aveva spinti a volare con lui fino a quel tetto, i gemelli l’avevano seguito. Li aveva fatti rimanere li’, senza dare loro spiegazioni.

Dovete fidarvi. Vi fidate?”

Ovviamente. Sedici era il loro unico amico.

E poi avevano capito.

Cercarono con gli occhi Sedici, ma non riuscirono piu’ a scorgerlo.

 

Polizia, presto! Chiamo per denunciare l’apparizione dei leader dei Neri. Lapis e Lazuli.”

Dove sono?”

Stella del Centro. Fate presto! Stanno scappando sul tetto!”

Stia tranquilla, signora. Manderemo subito un’unita’.”

Il poliziotto che aveva ricevuto quella telefonata anonima si precipito’ dal capitano Weiss; Bruno afferro’ delle manette e una pistola, con la sua squadra si lancio’ a sirene spiegate per le strade della citta’, verso il centro commerciale.

Doveva essere lui a fare quell’arresto. Un arresto che non sapeva ancora come svolgere.

“Fate largo! Polizia!”

Gli agenti correvano fra i piani pieni di gente, cercando di non travolgere nessuno nella loro corsa.

“Via! Polizia!”

Corsero a perdifiato fino al tetto: in due si gettarono contro la porta sprangata. Bruno aveva il cuore in gola. Quando la porta cadde, fu il primo a correre sul tetto.

Gli altri poliziotti si misero in formazione dietro di lui, pistole puntate.

“Mani in alto! Lapis e Lazuli, siete in arresto per il rogo del treno regionale CC-4820.”

Bruno fece nervosamente il giro del tetto. I suoi colleghi si raccolsero intorno a lui:

“Capitano...mi dispiace.”

Bruno si guardo’ intorno e non vide nessun Lapis e Lazuli, ma solo altri tetti.

Tetti, camini, sporcizia mossa dal vento.

 

 

Kate aveva ragione, i suoi figli erano vivi e vegeti, come quelle persone le avevano sempre detto; Bulma Brief l’aveva chiamata per dirle che erano a West City, sul tetto di un palazzo.

Aveva guidato a rotta di collo verso la grande metropoli e si era gettata sulle scale antincendio, su, su fino al tetto. Kate correva e non sentiva la stanchezza: lei ci aveva sempre creduto, in fondo al suo cuore la speranza non era mai morta. Un misto incerto di gioia e dolore le faceva dolere il cuore, correva mentre le lacrime le si imprigionavano fra i capelli come perle.

Avrebbe voluto gridarlo al mondo intero, scriverlo in cielo con un aereo; tutta quella speranza non era stata vana, i suoi bambini erano vivi e lei stava andando da loro. Avrebbe voluto inventare un nome per il sentimento che la stava sconvolgendo fin nel profondo del suo essere.

Lei era lì, ormai era questione di minuti; stava salendo le scale, chiamava ad alta voce.

I gemelli non riuscivano a muoversi, ma sentivano che ogni passo che stava portando la mamma verso di loro toglieva un altro pezzetto della loro barriera mentale.

Pezzo per pezzo si stava sgretolando. Per sempre.

Avevano sempre creduto di essere svegli e coscienti da quando il dottore li aveva attivati con l’ordine di uccidere il suo nemico, ma in realtà erano stati come dei morti viventi, senza più alcuna possibilità di ricordare quella che era stata la vita vera; non si erano mai sentiti vivi, ma solo affittuari di un’esistenza posticcia e senza legami che non era la loro. 

Kate spalanco’ una vecchia porta arrugginita, che dava su un tetto vetusto pieno di camini fumanti e di cenere. Quando li vide si fermo’; il suo cuore gonfio di amore faceva male, cosi’ male che prese il volo.

Un respiro lieve, trepidante di emozioni: quando Diciassette e Diciotto si voltarono, tre paia di occhi di ghiaccio si incontrarono. Kate era di fronte a loro.

La gabbia crollo’ all’istante, una volta per tutti. Erano liberi.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pensieri dell’autrice:

 

Eccoci giunti a uno dei momenti clou. Un momento che e’ stato atteso con ansia e che mi fa capire che ho fatto bene a mettere da parte la timidezza; condividere con voi lettori e recensori questa storia e’ stata una scelta che mi riempie di gioia e soddisfazione, vi ringrazio di avermi seguita fin qui.

E’ stato un capitolo molto intenso da scrivere, avevo quasi paura che non sarei riuscita a metterlo insieme. E quando l’ho visto finalmente insieme e’ stato un gran sollievo.

Ho voluto dire qualcosa sul passato di Kate, perche’ una domanda popolare fra i miei lettori e’ “chi e’ il padre biologico di Lapis e Lazuli?”. Qui Kate accenna a lui, a un pezzo della sua vita che non ha mai confessato a nessuno prima di farlo con Crilin.

In questa storia non trattero’ nel passato di Kate, lo faccio in modo esaustivo nella mia original, Muted. E’ una storia drammatica ambientata circa vent’anni prima di questa e la protagonista e’ una giovane Kate :)

A proposito, cerchero’ di aggiornate quella ogni due settimane, mentre aggiorno questa fanfiction ogni lunedi’.

Grazie a tutti coloro che apprezzano questa storia per aver creduto in me.

 

Ps:
La canzone che ho citato e’ Kimi no Nosete/Carrying you, l’OST de “Il Castello nel Cielo.” di Studio Ghibli, di cui ho tradotto il ritornello dall’inglese.

   
 
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