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Autore: KikiShadow93    01/05/2020    5 recensioni
Lui è resuscitato senza sapere né come né grazie a chi e, dopo attente considerazioni, ha deciso di provare ad integrarsi a sua volta sulla Terra.
Lei, per scappare dal proprio passato e per provare a salvaguardare il proprio futuro, decide di fuggire in città.

Lui è cresciuto tra i guerrieri, nell’odio e nel rancore, ed ha sviluppato un forte senso di inferiorità.

Lei è cresciuta tra i reietti, nella paura e nella violenza, arrivando quasi a perdere la speranza di poter avere una vita felice.

Sono diversi eppure incredibilmente simili, ed entrambi sono inconsapevoli pedine di un disegno molto più grande.


[Radish prende spunto da DBR&R; Post Cell Game; Possibile OOC]

Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Radish
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita secondo Radish'
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Avvertenza❌: finalmente verrà mostrato - anche troppo dettagliatamente - cos’è successo tra Sherry e Jäger. Potete immaginare da soli che non sarà una bella scena (ma non potete immaginare quanto sia stato doloroso scriverla).

 

𝟙𝟟. 𝐿𝒶𝓈𝒸𝒾𝒶𝓂𝒾 𝑒𝓃𝓉𝓇𝒶𝓇𝑒


 

Senza avere visto o intuito nulla, River si sente improvvisamente esplodere nella testa un'argentea, possente vampata di dolore. Si rende conto dopo qualche istante di star vacillando all'indietro con le mani premute sulla faccia e sul sangue caldo che gli sgorga tra le dita, di annaspare in cerca di equilibrio, di pensare non è niente, non cascherò, non è niente, e finalmente di essere disteso su un fianco sul pavimento a ringhiare furiosamente.
«In piedi, bastardo
Nessuno fa in tempo a bloccare Radish e la sua furia cieca, non prima che sia in grado di sferrargli un calcio alla coscia sinistra. Il dolore invade lo Spettro come una colata di acido e gli pietrifica i muscoli portanti della gamba. Radish, prima di essere trascinato all’indietro dalla sorprendente forza di Mordecai, gli sferra un altro calcio al sedere, in alto, al livello del coccige. Questa volta il dolore è smisurato e insopportabile, le ossa si spezzano nel violentissimo impatto. È sicuro che tra pochi secondi sverrà, invece no. Continua a dibattersi e strisciare sul pavimento per rimettersi in piedi, con Sherry al suo fianco che tenta di aiutarlo e grida disperatamente contro il Saiyan. Col suo fine udito sente pure che i vicini si stanno allarmando sul serio, che minacciano di chiamare la polizia e che Major e Domino li stanno calmando come meglio possono. Sente pure che è tornata Bree e che sta definitivamente calmando le acque con la sua parlantina, mentre gli altri lupi ringhiano di lato mentre li fissano tutti e quattro.
Radish non prova neanche a liberarsi dalla presa di Mordecai. Le sue braccia che lo stringono e lo bloccano dolorosamente sono quanto di più vicino ad un’ancora di salvezza dalla sua stessa furia, senza contare i sentimenti contrastanti che sente montargli nel petto. Si sente improvvisamente spaesato e triste, tanto che gli pare che lo stomaco si sia dolorosamente serrato e di avere un peso insopportabile sul petto e il respiro corto.
Quando anche le braccia di Mordecai lo abbandonano, sente improvvisamente freddo. È solo la consapevolezza di averlo alle proprie spalle e, soprattutto, dalla propria parte a tenerlo un poco calmo, anche se lo sguardo sconvolto di Sherry di certo non lo aiuta.
Ma ormai la frittata è fatta, sono l’uno di fronte all’altra. Voleva appurarsi che stesse bene, che nessuno le avesse fatto del male e questo gli pare più o meno evidente, ma a questo punto, pensa, tanto vale riprendere quell’orrenda conversazione in mano, provare davvero a chiarire il casino che lui stesso ha creato e metterci una toppa in qualche modo. Anche se, e questo lo spaventa a morte, gli occhi insopportabilmente tristi di Sherry gli fanno temere solo il peggio.
«Fuori di qui.» Ringhia a denti stretti, facendo scendere il gelo più totale tra i presenti.
River, sorretto da Glover, lo fissa trucemente con i suoi occhi vermigli e le zanne esposte, pronto a scattare al primo cenno di Sherry. Perché lei è la Regina, lei comanda e nessuno si sognerebbe di contraddirla, soprattutto adesso.
Quando il Saiyan nota che dopo qualche secondo sono ancora tutti ben fermi al loro posto e continuano a fissarlo con i loro spettrali occhi da lupo, sente un’improvvisa scarica di rabbia invaderlo da capo a piedi e per questo sprigiona un altro po’ della sua reale forza, giusto per far capire a tutti quanti chi è il maschio dominante lì dentro.
«FUORI DI QUI, ORA
Mordecai, per quanto vorrebbe eseguire quel comando, si trova costretto ad aspettare il benestare di Sherry. La fissa insistentemente e, quando i loro sguardi si incontrano, non si sorprende per niente nel vederla piuttosto calma nei suoi confronti. Le ha dato ciò di cui aveva realmente bisogno senza che lei dovesse chiedere niente perché la conosce, perché capisce le persone. Se poi il Saiyan ha reagito in modo forse spropositato non è certo colpa sua, e questo Sherry lo sa, così come Mordecai sa che lei avrebbe fatto ben di peggio. Dovete smussare gli spigoli, è evidente, ma ci tenete abbastanza l’uno all’altra per riuscirci, quindi… coglioni sul tavolo, forza!
Quando finalmente annuisce, tutti gli Spettri si ritirano borbottando tra loro e lasciandosi andare a dei ringhi di ammonimento verso Radish. Temono per la sicurezza della loro Regina, temono che possa farle del male, ma sanno bene che non si può ragionare facilmente con qualcuno col sangue di Mezcal nelle vene: tutti i suoi discendenti si sono sempre dimostrati più o meno inclini a fare ciò che preferivano, chi sbandierandolo apertamente e chi preferendo muoversi nell’ombra. Lei, negli anni, ha dato prova di muoversi in entrambe le direzioni.
Sherry impone il silenzio puntandogli semplicemente un dito contro e tiene le orecchie tese per ascoltare il vociare furioso nell’appartamento. Sente Bree che bercia per sapere cosa sia successo, Mimì che piagnucola perché vorrebbe che si calmasse, Major che bestemmia contro Mordecai e Mordecai che gli bestemmia contro più forte, River che urla perché è fuori di sé dalla rabbia e vuole tornare alla carica e “fanculo tutto”, infine la voce di Maddox, giunto chissà quando con Becca e figli al seguito, che ruggisce con ferocia ed intima a tutti di lasciarli soli perché quelli non sono davvero affari che li riguardano. C’è pure chi prova a contraddirlo e a quel punto si leva un guaito e Sherry sente distintamente un osso rompersi. Non sa dire chi ha colpito chi e dove, sa solo che ha funzionato perché tutti escono dall’appartamento borbottando che è meglio andare a mangiare una pizza lì nei dintorni per poi tornare a controllare “i danni di Mord”.
Quando Sherry sospira con sollievo, socchiudendo gli occhi e rilassando un poco i muscoli, Radish in qualche modo fraintende e scatta in avanti, incapace di trattenersi. Le afferra il viso con entrambe le mani e la bacia con urgenza, premendosi contro il suo corpo. Se fosse arrivato trenta secondi più tardi, River la starebbe stringendo ancora, starebbe assaporando le sue labbra al posto suo, avrebbe vinto. Questa consapevolezza pare essere come in grado di schiacciarlo e annientarlo, ma la sensazione della lingua umida dello Spettro che si anima contro la sua, che risponde ai suoi stimoli, in qualche modo riesce a rianimarlo, a fargli capire che sì, c’è ancora una possibilità. Deve solo capire come afferrarla.
Sherry, dal canto suo, non riesce a capire cosa stia facendo. Se prima tra le braccia di River si sentiva persa e a disagio, adesso sente di trovarsi nel posto giusto, di essere al sicuro da tutto quel male che sta tentando disperatamente di afferrarla. Ma non vuole rimanerci, sente che sarebbe sciocco da parte sua cedere e rischiare così di soffrire una seconda volta, sicuramente in modo molto più devastante.
Lo spinge malamente all’indietro, notando solo adesso quanto il volto del Saiyan sia sconvolto, quanto sembri avere un disperato bisogno di riposare.
Per quanto muoia dalla voglia di lasciarsi stringere ancora, di calmare il suo cuore furioso con dolci carezze capaci di domarlo, per quanto qualcosa stia raschiando furiosamente nel suo petto per uscire, si impone di mantenere le distanze nel disperato tentativo di difendersi.
«Cosa cazzo pensavi di fare, eh?!» Ringhia a denti stretti, gli occhi che si accendono di rosso sangue. Mantiene la posizione, i piedi ben saldi a terra e i muscoli tesi sotto la pelle «Cosa ti è saltato in mente? Perché cazzo hai massacrato River?!»
«Non l’ho affatto massacrato.» Per quanto quel nome sia capace di accendere la sua rabbia, Radish riesce a mantenere un discreto autocontrollo. È stanco morto, la testa è sul punto di esplodere e l’unica cosa che vorrebbe fare è sdraiarsi in quel letto troppo piccolo per contenerli entrambi e trascinarci a forza pure lei, stringendosi per riuscire a starci. Vorrebbe rimanere lì così, fermo, con la violenta ed adirata lupa stretta tra le braccia, al sicuro da chiunque voglia farle del male. Perché lui sarebbe capace di proteggerla, potrebbe tenerla al sicuro come nessun altro se solo lei gliene desse la possibilità. Ho commesso un solo, stupido errore, cazzo! Li hai commessi pure te! Tutti lo fanno! Non puoi farmela pesare tanto, cazzo!
«Sì, invece!»
«Credimi, se lo avessi massacrato, sarebbe morto!» Alza involontariamente la voce, ferito dal fatto che lo stia difendendo ancora. È vero, è stato quel cane borioso a salvarle la pelle, probabilmente lo ha fatto più volte pure in passato e di questo non può che essergliene grato, ma proprio non può tollerare che lo difenda.
Quando però la sente ringhiare, si impone di nuovo la calma. Se c’è una cosa che ha capito chiaramente è che ognuno di loro va preso in modo diverso: con Mordecai c’è da usare una violenza quasi estrema per impartirgli un semplice concetto, con lei bisogna imporsi più ad un livello mentale, tentando pure di non metterla troppo all’angolo per non farla chiudere ancora di più.
Sospira forte e si passa le mani tra i capelli. Sarebbe tutto maledettamente più semplice se non sentisse quel peso atroce sul petto. E la delusione. E tutte le altre sensazioni spiacevoli che ha cominciato a provare non appena ha messo piede in quel maledetto palazzo. È colpa tua. Solo ed esclusivamente colpa tua!
«Volevo sapere se stai bene.» Butta lì con voce neutra, osservandola con attenzione. Lo sta guardando con un astio incredibile, anche più di quella lontana notte dopo la rissa al Neon, quando la seguì fino al lago e poi la baciò per provocarla. Se ci pensa un secondo, si rende conto di essersi sempre sentito pericolosamente calamitato dalla sua figura dal momento esatto in cui l’ha vista. Deve essere una specie di malattia dei Terrestri o degli Spettri e sono stato infettato. Mi domando solo se ci sia una cura…

«No! Non sto per niente bene! Okay?! Sei soddisfatto?! Io. Non sto. Bene!» Urla furiosa, portandosi le mani tra i capelli e camminando nervosamente per la stanza come un animale in gabbia.
Fuggire o restare? Cacciarlo o ascoltare ciò che ha da dirle? Respingerlo o vuotare il sacco? Non sa quale sia la scelta migliore, nessuno l’ha mai preparata a questo genere di cose. È stata addestrata ad uccidere senza rimorso alcuno da quando aveva cinque anni. È stata addestrata a non indietreggiare e a seguire le loro leggi. Ma lei le ha infrante quasi tutte, ormai. Ed ha indietreggiato, di tanto in tanto. Adesso si è pure lasciata inondare dai propri sentimenti, rimanendo però incapace di capirli e catalogarli. Sa che sono lì, li avverte, ma non li comprende chiaramente. Se c’è una cosa che però riesce a capire, è che nutre un sentimento pressoché incondizionato per l’uomo che ha di fronte, che la sua sola presenza è capace di confonderla e che la sola idea che possa essere in pericolo o anche solo denigrato da qualcuno scatena in lei reazioni estremamente violente.
«Sono stato un coglione, okay? Lo so.»
Volta di scatto lo sguardo, puntando gli occhi cremisi in quelli onice del Saiyan. Lo fissa guardinga e d’istinto si porta ad un paio di passi indietro per tenerlo ancora a distanza, ma la curiosità intrinseca negli Spettri la spinge inesorabile ad ascoltare le sue parole. Sono dei controsensi viventi, loro, e questo li porta spesso e volentieri a mettersi in situazioni spiacevoli, come adesso.
«E so anche che sono spesso arrogante, prepotente, orgoglioso anche più di te, che non so farmi i fatti miei, che sono infantile e… e ancora tantissime altre cose negative. Ma ho anche dei lati positivi, come quello di saperti ascoltare e non giudicarti mai, oppure… non so! Come il riuscire a farti sorridere quando vuoi solo piangere.»
A cuore aperto. Non posso far altro che parlarle a cuore aperto. Giuro, però, che se oserà riportare una sola parola a qualcuno, anche solo una, la ucciderò con le mie mani. Nessuno, e ci tengo a sottolineare il nessuno, dovrà mai venire a sapere di questa conversazione. Mai.
«So anche che ti conosco bene, per quanto ti possa sembrare impossibile. So che non sopporti le ciliegie e che vai ghiotta per i pistacchi coperti di cioccolato bianco. So che ti piacciono i vestiti gialli ma che non li indossi perché, e cito, danno un’aria troppo da epatite C. So che ti fanno paura i film sull’occulto perché sei convinta che siano cose reali, mentre gli altri horror ti fanno ridere perché, nella tua testa, a loro le cose vanno peggio che a te. So che non tolleri l’odore della vaniglia, ma che impazzisci per quello delle arance. So che ti fanno impressione sia le lucertole che le stelle di mare e che ti viene la pelle d’oca quando vedi i loro arti staccati continuare a muoversi.» Ridacchiano entrambi in modo imbarazzato e per un istante sentono che è come se niente fosse mai cambiato tra loro, come se non ci fosse mai stata quella lite, come se non l’avesse mai lasciata lì da sola.
Si avvicina un poco Radish, notando però che a questo suo gesto lei s’irrigidisce di nuovo.
«Come fai a sapere tutte queste cose?» Pigola incerta, col cuore che si scioglie di fronte al suo sorriso, quello che, lo sa, rivolge solo a lei. Quello caldo, tenero, che stona terribilmente sulla sua figura imponente ed in genere arrogante e truce, quello che lei trova adorabile.
«Io ti ascolto quando parli.» Afferma con ovvietà mentre scrolla le spalle, deciso ad andare fino in fondo. Non ha mai affrontato un qualcosa di più difficile e terrificante, ma per la prima volta non sente alcun bisogno di scappare.
«So anche che hai ucciso degli innocenti da ragazzina, perché così ne avresti difesi tanti altri. Uno è meglio di cento, così ti ripetevi per riuscire a dormire la notte.
So che spesso di notte ti svegli e vai a chiuderti un bagno col cuscino… e ci urli contro. So che poi torni nel letto e mi abbracci.
So che quando sei soprappensiero ti tocchi l’ombelico, mentre quando sei nervosa ti torturi le dita e ti strappi le pellicine… e che se ti tocco ti calmi.
So che hai paura di quello che provi per me perché temi che ti cambi, che cambi le tue priorità… e lo so perché vale anche per me. Ma so anche che possiamo farlo funzionare, se lo vogliamo… e questo penso che lo sappia anche tu.»
Il peso sul petto è andato via via alleggerendosi fino a sparire, così come la delusione e la rabbia. Anche se non lo sentisse, vede che adesso sta per mettersi a piangere perché è commossa… e spaventata. È spaventata da qualcosa che non riesce a capire, perché sa di aver fatto tutto bene, ne è sicurissimo, ma per una volta non vuole forzarla a dirgli quale sia il problema. 
Si mantiene ancora a distanza, deciso a darle i suoi tempi. È una decisione difficile ed è ancor più difficile tenervi fede, ma sente che è la cosa migliore da fare adesso: lo sta ascoltando sul serio, sta valutando tutta la situazione e sta pericolosamente cedendo. Adesso deve solo compiere l’ultimo, immane sforzo e avrà definitivamente vinto.
«Non sono fuori dal nostro rapporto. Ci sono dentro, tanto che sono qui a chiederti di perdonarmi.» Continua, rialzando il capo e guardando i suoi lineamenti delicati, il suo volto pallido con quelle tre sottili cicatrici che sembrano volergli ricordare che, anche in quel momento, lui non c’era per difenderla «Ti chiedo di perdonarmi se sono stato uno stronzo e di tornare da me. Perché mi sono messo in gioco per te, ho messo da parte il mio orgoglio e le mie paure per te... e ora non puoi farmi questo. Non puoi tirarti indietro.»
In quei giorni aveva pensato quasi solo a quanto gli mancasse tenerla stretta a sé, a quanto lo facesse sentire bene l’idea che fosse la sua donna, a quanto gli sarebbe mancato il suo corpo caldo… ma solo adesso si rende pienamente conto di quanto gli piaccia parlarle e stare con lei, anche così, a distanza. La sua vita sarebbe dannatamente grigia senza la sua invadente presenza e non può accettarlo.
«Quindi… scusa se molte volte dico cose di cui poi mi pento, come il non volerti più vedere. Scusa se mi lascio travolgere dalla rabbia, me la prendo con te e non ti do il tempo di parlare. Scusa se non riesco a farti capire che apprezzo davvero i sacrifici che fai per stare insieme a me. Scusa se faccio esperimenti stupidi perché mi convinco di cose improbabili. Devi sapere che io ce la metto tutta, perché quello che provo per te è qualcosa di assurdo e, davvero, perderti è l'ultima cosa al mondo che vorrei.»
Ed eccola lì, la prima lacrima di commozione della sua vita.
Ha pianto per il dolore quando perse degli amici.
Ha pianto per Jäger.
Ha pianto per il ricordo di sua madre.
Ha pianto all’idea di non poter più vedere quella faccia da schiaffi, all’idea di non sentire più quelle grosse e forti mani afferrarla per la vita per poterla stringere, come adesso.
Ma non ha mai pianto perché qualcosa riusciva a farla commuovere. Mai niente e nessuno è riuscito a toccarle così il cuore come il grosso Saiyan che adesso la stringe a sé con una delicatezza che nessuno si aspetterebbe da un tipo come lui.
«Non devi più sentirti obbligata a dirmi niente, okay? Va bene così, posso accettarlo.» La allontana un poco, cercando i suoi occhi lucidi ed un poco arrossati. Non credeva sarebbe stato così difficile e al tempo stesso semplice, gli pare una cosa decisamente incredibile. «Ti chiedo solo di tenere quel tipo a distanza, perché sennò davvero mi troverò costretto ad ucciderlo.» Scherza, abbozzando un sorriso. Sa bene che non potrà impedire a quel cane di girarle attorno tanto quanto sa di non poterlo uccidere. Non ancora, almeno. Deve escogitare un modo per spingere qualcun altro a farlo al posto suo, e sa bene che non sarà facile. Lì in mezzo ce ne sarà sicuramente uno semplice da corrompere.
Sherry non sa assolutamente cosa dire. Nel momento esatto in cui ha aperto la porta e si è avventato su River, nella sua mente erano partiti un numero esagerato di flash dove immaginava vari scenari diversi, ed in ognuno di essi finivano con lo scannarsi. Invece è stato dolce, ragionevole, si è messo a nudo come sa bene non aveva mai fatto. Neanche per conquistare la fiducia del fratello aveva fatto una cosa simile: con lui si era limitato ai fatti, frapponendosi tra l’attacco del suo ex-compagno d’armi pelato e Piccolo e Gohan, ingaggiando poi una battaglia all’ultimo sangue che lo ha visto vincitore. Non si sono poi detti niente in particolare, Radish è rimasto a lungo chiuso in una sottospecie di mutismo autoimposto e si è avvicinato a tutti loro piano piano. Con lei invece… con lei non si è limitato ai fatti trascinandosi fino a lì, no, si è aperto totalmente, fregandosene dell’orgoglio e di qualsiasi altra cosa. Lo ha fatto senza pensarci due volte, lo ha fatto per lei, per riprendersela. E lei sa bene quanto una cosa del genere possa essergli costata, motivo per cui scioglie a malincuore il suo abbraccio e si trascina con passo malfermo verso il letto sfatto. Si siede sul bordo, le mani strette tra loro poggiate sulle cosce, lo sguardo basso e il cuore avvolto dal terrore più nero.
Radish la guarda senza capire, incapace di proferire parola. Era convinto di avercela fatta, non si aspettava una reazione simile. Certo, nel suo stato non sarebbe stato in grado di affrontare una delle loro devastanti sessioni di sesso, ma qualcosa se lo aspettava comunque!
«Sono nata dallo stupro di Mezcal, precedente Re del Nord ed uno dei Re più spietati di sempre, ai danni di Leila, e per questo sono sempre stata nota a tutti come la bastarda del Nord.»
La guarda senza capire, le sopracciglia aggrottate e la bocca dischiusa. Prima che possa dire una qualsiasi cosa, prima che possa emettere un qualsiasi suono, Sherry ricomincia a parlare con voce rauca e triste.
«
Quando venni al mondo, mi allontanò da mia madre ancor prima che potesse anche solo vedermi… e mi portò al cospetto di Aisha, Regina del Nord. Le disse di aver creato qualcosa di interessante, ma per lei si sbagliava… per lei ero solo feccia, non voleva assolutamente che crescessi vicina ai loro figli. Gli disse anche che non vedeva l’ora che lui si stancasse del suo nuovo giocattolo e le permettesse di uccidermi. Ma Mezcal era anche più orgoglioso di voi Saiyan, non poteva sopportare che qualcuno, soprattutto una donna, gli dicesse che aveva torto… in fondo ero nata Alpha, una dote estremamente rara in una femmina, dovevo valere qualcosa, così mi ordinò di mutare.»
Deglutisce sonoramente e stringe con forza gli occhi, bloccandosi un attimo. Per quanto sembri impossibile pure a lei, ricorda quel dolore. È un qualcosa che tutti loro ricordano, dal primo all’ultimo, ma lei era decisamente troppo piccola per potersene ricordare così chiaramente. Ci ha pensato Margarita, la più grande tra le loro figlie che ha assistito ghignando a tutta la scena, a rispolverare i suoi ricordi.
«Un infante non sa a cosa va in contro, non ne ha idea. Sa solo che deve obbedire al volere del genitore… gli viene istintivo. Così mutai per la prima volta… non avevo neanche un’ora di vita e lui mi costrinse a spezzarmi volontariamente tutte le ossa, ad allungarle… a far smettere al mio cuore di battere.»
Radish non riesce a parlare. Vorrebbe, davvero. Vorrebbe dirle di smetterla, di non dirgli più niente, che gli va bene così, ma non riesce ad emettere un suono. In realtà, riesce appena a respirare. Per un brevissimo instante ripensa che anche lui da piccolo era spaventato da suo padre, che temeva potesse ucciderlo se avesse fallito una missione quando in realtà al massivo lo avrebbe colpito e poi ignorato… e si rende conto che la sua paura non era niente rispetto a quello che ha dovuto sopportare lei sin dalla nascita.
Vorrebbe stringerla a sé, dirle che è tutto finito e che non le faranno più del male perché c’è lui, ma la sua voce flebile e addolorata gli arriva dritta al cuore, bloccandolo.
«Mi abbandonò in un alloggio comune perché, tornata umana pochi secondi dopo, cominciai a piangere. Il dolore era stato troppo da sopportare. A sua moglie disse che quello era il mio posto, non che sperava che morissi. Non voleva perdere la faccia.
Una donna che aveva perso i propri cuccioli mi prese con sé. Mi allattò fino allo svezzamento, cioè fino ai sei mesi… un’altra cominciò a darmi un po’ del suo cibo,  per quanto ne aveva, un’altra ancora mi avvolgeva nelle pellicce più calde assieme ai suoi figli e a Bree.
Ero troppo debole e gracile per essere considerata da chi stava in alto, un po’ come tuo fratello quando è nato, per intenderci, quindi… sì, tutto sommato andò bene per un paio d’anni.»
Sorride amaramente al ricordo delle condizioni in cui vivevano lei e Bree. Ricorda che dovevano nascondersi assieme agli altri cuccioli quando passavano i membri della guardia o i prìncipi, talvolta anche al passaggio delle principesse. Ricorda che se riuscivano a sgranocchiare qualche avanzo o osso era festa grande tra loro, e che avevano le ossa sporgenti e i parassiti nel vello. Ricorda che i morsi della fame erano così dolorosi da piegarle in due, ma che stringevano i denti e tiravano avanti perché mai e poi mai avrebbero dato la soddisfazione a qualcuno di farsi trovare morte di stenti in qualche angolo.
«Un giorno però Mezcal si rese conto che malgrado la malnutrizione estrema ero piuttosto in salute, una vera Alpha che stava sviluppando una forza notevole e che riusciva sempre a reggersi sulle zampe. Occorreva tenermi sotto tiro a quel punto, alle volte avessi dato prova di meritare un addestramento vero. Così facendo, però, scatenò molte gelosie tra i vari giovani di alto rango, che certo non potevano sopportare che il grande e potente Re del Nord riservasse simili attenzioni ad un’umile bastarda… tra quei giovani Spettri, c’era anche Jäger.
Era il giorno del mio secondo compleanno quando venne a farmi visita per la prima volta… ricordo che aveva la morte negli occhi e che nessuno riusciva a sostenere il suo sguardo, malgrado avesse solo otto anni. Dovette intervenire Darko, Beta del Re, per togliermelo di dosso, ma nel frattempo mi aveva spezzato il bacino e le zampe posteriori.
Per alcuni anni ha provato apertamente ad uccidermi, ma c’era sempre qualcuno pronto a pararmi il culo.
Quando avevo cinque anni, da un giorno all’altro, decise che non dovevo più morire. Doveva capire perché Mezcal sprecasse il suo tempo con me, perché mi allenasse con i suoi figli, perché mi mandasse con lui negli scontri e nelle battute di caccia. Sai, ho perso il conto delle volte in cui mi ha attaccata, alla fine non ci badavo neanche più di tanto. Sapevo di dovermene tenere alla larga il più possibile e tenere lo sguardo basso in sua presenza, così da non scatenare la sua collera. Sapeva fingere bene, sai? Cambiava atteggiamento in un istante, Mezcal non lo puniva mai. Diceva che era un ragazzo vivace e che considerando quanti giovani lo seguivano ciecamente, dovevo essere io a provocarlo.» Sfiora con la punta delle dita le cicatrici sui polsi e sugli avambracci, fatte tutte quante dalle sue zanne. Quando lei doveva transitargli vicino, lui scattava come una bestia rabbiosa e la mordeva alle zampe. Poi latrava una risata isterica e scodinzolava compiaciuto, quasi stesse solo giocando. Non l’aveva mai capito, al tempo, ma se fosse stata un po’ più sveglia e meno accecata dalla paura che solo la sua idea le provocava, avrebbe capito e ne avrebbe parlato con qualcuno. Magari avrebbe fatto in modo che le sue lupe sentissero di sfuggita quei discorsi, avrebbe messo loro la pulce nell’orecchio e loro avrebbero riportato quelle voci al Re. Dei se e dei ma però son piene le fosse, e trova decisamente inutile rimuginarci ora.
«Mancavano circa due settimane al mio undicesimo compleanno quando la situazione ha cominciato a precipitare. Devi sapere che Mezcal aveva molti figli e molte figlie, quelli che considerava troppo deboli non li guardava neanche, dovevano contare solo sulla protezione della Regina, mentre gli altri potevano addirittura sedere al suo concilio. Si mormora che una delle sue figlie più grandi, Margarita, fosse divenuta la sua amante… io non ci credevo, pensavo che non fosse tanto malato e perverso da considerare normale l’incesto come invece facevano in molti da sempre. Ma mi sbagliavo. L’ho capito chiaramente quando mi chiamò al suo cospetto, circondato dalla sua famiglia e dai membri di spicco del corpo di guardia. Mi fissavano tutti quanti…» Ricorda lo sdegno negli occhi di Aisha, il gelo in quelli di Jäger, l’apatia più totale in quelli di Everett e, soprattutto, la mal celata preoccupazione di Darko. Ricorda di essersi inginocchiata al cospetto del Re e di essere rimasta in silenzio con la testa china, terrorizzata all’idea di dover andare in qualche missione lontana con il suo aguzzino.
Quel giorno si è sentita sollevata come non mai ed anche in colpa per tale sollievo.
«Dichiarò che mi riconosceva come figlia legittima, che ero ufficialmente una principessa del Nord e, alla fine,’ annunciò che avrei sposato Everett, il suo primogenito, quello che sarebbe dovuto diventare Re ma che è stato tolto dalla linea di successione dopo averlo contraddetto in modo pesante qualche anno prima. Sai qual è la cosa peggiore, forse? Che ne fui rallegrata, e certo non perché mi aveva così riconosciuta come figlia legittima, no: sposando Everett, sarei stata al sicuro da Jäger e dai suoi soprusi, il suo fidato braccio destro, Apophis, lo stronzo che mi ha massacrata qualche giorno fa, avrebbe smesso di urlarmi dietro delle oscenità…» La sua voce si spezza di colpo, il respiro le muore in gola. Non ha mai detto a nessuno queste cose, solo con Bree, perché di lei poteva fidarsi ciecamente e non l’avrebbe mai giudicata.
Poggia le mani sulle ginocchia quasi avesse un peso sulle spalle a schiacciarla, suda e ansima quasi faticasse a respirare, come se tirar fuori quelle parole fosse stato uno sforzo immane.
Ma lo sforzo immane arriva adesso, ma non sa se ha davvero il coraggio di raccontare ad alta voce quegli eventi, non quando al solo ricordo le si spezza il cuore e il corpo comincia a tremare.
Radish lo capisce e per questo le si avvicina piano, fino a mettersi seduto al suo fianco. Poggia con incertezza una mano sulla sua, stringendola appena.
Sa qual è la parte del racconto che sta per arrivare, lo ha capito non appena il dolore al petto si è fatto più acuto. Dio solo sa quanto vorrebbe portarle via quel dolore, quanto vorrebbe estirparle quel ricordo dalla mente e nasconderlo lontano, così che lei non debba mai più riviverlo. Ma non può farlo, lo sanno entrambi. L’unica cosa che può fare è aiutarla ad esorcizzare quella paura parlandone, fosse anche per una sola volta.
«Poi…?» Gli si stringe il cuore nel vedere i suoi occhi pieni di lacrime, vergogna e senso di colpa. Sa cosa le ha fatto, non è certo stupido, e proprio non capisce perché lo guardi in questo modo.
«Non mi guarderai mai più allo stesso modo se te lo dico…»
«Fidati di me.»


La terra tremava sotto il galoppo martellante dei focosi Spettri lanciati alla carica, resi folli dall’odore del sangue. Un branco ribelle era riuscito a scappare dalla Tana, Mezcal lo aveva trovato inaccettabile e aveva lanciato all’attacco Jäger e i suoi, pretendendo anche la sua presenza.
Sei una buona guerriera, vedi di renderti utile. Credeva che avesse ragione, ma quando si è trovata col culo per terra e quell’Alpha stava per aprirle la gola ne ha dubitato davvero. Poi, l’impensabile: quattro forti zampe grigie si sono piazzate ai lati del suo corpo, le mascelle d’acciaio di sono serrate attorno alla gola dell’avversario, immobilizzandolo, dando così tempo ad Apophis di finirlo.
Non aveva mai protetto nessuno prima ed è oltremodo sicura che, seppur per un istante, tutti quanti si fossero bloccati in quel momento, shockati dalla surreale visione di quel mastodontico giovane Spettro dal cuore di ghiaccio che proteggeva col proprio corpo una debole bastarda.
Poi lo scontro è ripreso. Nessuno si arrendeva, nessuno implorava per la propria vita, ma questo coraggio non è valso ad ispirare alcuna pietà: nulla li avrebbe fermati, ormai ciechi di furore e ubriachi di sangue e di violenza.
È poi sceso un silenzio greve, rotto solo qua e là dallo sbuffare dei lupi che avanzavano nella neve insanguinata per far ritorno a casa.
È rimasta ferita e Jäger ha ordinato ad uno dei suoi di rimetterla in sesto prima del ritorno a casa per poi dileguarsi. Nessuno gli ha chiesto niente e nessuno ha detto niente neanche a lei. Hanno eseguito gli ordini e poi se ne sono tornati alla Tana, decisi a riposare qualche ora prima di dover affrontare i festeggiamenti per il compleanno della Regina. Non che ne avessero alcuna intenzione, sia chiaro, ma non potevano sottrarsi: loro dovevano per forza stare in prima linea. Ma lei no, lei poteva tranquillamente rimanere agli alloggi comuni assieme a Bree e ai suoi amici. Aisha certo non avrebbe sentito né la sua mancanza né la loro.
Si è trascinata fin dentro la Tana stando in fondo alla fila, lontana dagli altri. Non l’hanno mai voluta in mezzo a loro ed è sempre andato più che bene così. Dovrà aspettare ancora poco tempo e poi verrà tolta dalla loro divisione e verrà assegnata a quella del suo futuro marito. All’idea di dover scambiare il Morso con lui le si attorciglia dolorosamente lo stomaco, ma certo non sarà il suo dissenso a far cambiare idea a Mezcal. Vuole i figli che loro due possono generare, vuole dei nuovi campioni tra le sue fila.
È andata con passo pesante al suo alloggio, ha salutato Bree e l’ha rassicurata che era andato tutto bene per poi allontanarsi. Aveva bisogno di lavarsi urgentemente ed anche di starsene un po’ per i fatti suoi.
Bree non si è opposta, tornando pigramente a pisolare sulle pellicce. Ha fiutato Apophis, ha sentito che è ancora sovreccitato dallo scontro ed è bene che rimanga nascosta al suo sguardo se non vuole delle rogne. In fondo suo padre pare non avere particolare intenzione di difenderla, e lei da sola può poco o niente contro quel mostro di forza e velocità.
Ora Sherry se ne sta immersa fino al collo nelle tiepide acque rosse della zona Est, quella più isolata. In quelle migliori e più calde ci stavano gli altri, quindi ha optato per la zona più isolata possibile, lontana dagli sguardi di tutti. Non aveva alcuna intenzione di veder transitare la figura spaventosa di Everett, i suoi occhi vermigli l’avrebbero schiacciata dolorosamente. Non l’ha mai compreso, non lui. Lui e i suoi due fratelli gemelli non hanno mai badato troppo a lei, troppo presi dai rigidi addestramenti di Mezcal e a spalleggiare Baileys in quanto futuro Re.
È incredibilmente stanca, a stento è riuscita ad accendere un fuoco per stenderci vicino le pellicce così da trovarle calde quando uscirà, e adesso sente tutta la fatica provata in battaglia gravarle sui muscoli.
Si lascia quindi scivolare sott’acqua, beandosi un poco di quel vago tepore che l’avvolge. Nella sua giovane e già provata mente si alternano gli occhi severi di Everett che la osservava con sguardo indecifrabile quando Mezcal ha annunciato il loro fidanzamento e quelli spaventosi di Jäger, resi folli e ardenti durante il combattimento. Aveva sentito un ringhio atroce quando è finita a terra, ma giustamente non vi aveva badato. Adesso non può proprio fare a meno di domandarsi se fosse stato lui ad adirarsi in quel modo e soprattutto perché sia intervenuto in suo favore, dovendo però ridestarsi dai propri pensieri quando il rumore sordo di un tuffo la ridesta.
Riemerge a corto di fiato e si guarda prontamente attorno per capire chi sia arrivato, trovando alle proprie spalle solo delle pellicce nuove e morbide finemente lavorate.
«Perché venire qua, quando ci sono pozze più calde?»
Di colpo sente i muscoli irrigidirsi di nuovo e il cuore cominciare a galoppare incontrollato nel petto. Volta piano la testa, trovandolo placidamente immerso fino al collo, le braccia possenti che si muovono pigramente sul filo dell’acqua per tenerlo a galla, i lunghi capelli grigi che galleggiano leggeri.
La guarda con un’espressione realmente incuriosita, quasi stesse cercando di capire un qualcosa di importante. E in effetti è così, Jäger davvero non capisce perché isolarsi. Lui non ne ha mai avuto bisogno, non si è mai dovuto nascondere da niente e da nessuno, essendo nato con una forza incredibile ed avendo sviluppato negli anni una personalità capace di trascinare altri Spettri dalla sua parte.
«C’è più calma, qui…» Mormora con un filo di voce, consapevole del fatto che non sopporti che non gli si risponda. Fosse anche una domanda scomoda, tutti gli devono rispondere sempre.
Si sorprende un poco nel vederlo rifletterci, per poi scrollare le spalle con noncuranza mentre si arrampica su una roccia che sbuca un poco dall’acqua. Vi si sdraia col busco, rimanendo immerso dal bacino in giù, mettendo così in bella mostra un corpo scultoreo e una pelle nivea quasi completamente priva di cicatrici. Ne ha giusto qualcuna sull’avambraccio destro, ma sono così piccole da passare totalmente inosservate.
La osserva di nuovo, adesso, gli occhi attenti che si soffermano per qualche secondo sul petto. È ormai ad un passo dallo sviluppo, lo capisce bene dal timido arrotondamento che fa capolino e che lei tenta subito di celare al suo sguardo.
Poggia la testa sulle braccia mentre si lascia andare ad una lieve risata divertita. Non sa se lo fa più ridere la sua timidezza o il fatto che tutte le femmine che conosce ucciderebbero per essere guardate da lui. Perché se c’è una cosa in lui che colpisce sempre, che blocca il respiro e fa battere il cuore sono i suoi occhi. Occhi di un chiarissimo azzurro come il ghiaccio più puro, come il cristallo più lucido, due distese attraenti e seducenti. Quelle iridi sono sempre state quasi impossibili da guardare per chiunque perché ti fanno sentire in qualche modo oppresso, ti costringono ad affogare nell'oceano limpido che vi trabocca dentro.
Ma Sherry sa quale personalità si cela realmente dietro a quegli occhi, sa quanto sappiano diventare gelidi e mortali, quanto sappiano terrorizzare oltre che incantare.
«Stai crescendo, piccola Sherry. È inutile che lo nascondi.» Afferma distrattamente, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dall’acqua che gli avvolge le gambe. È strano per lui trovarsi da quelle parti, ma deve ammettere che non è poi così male.
Sherry tiene lo sguardo basso con timore e rispetto, i lunghissimi capelli corvini con le striature bianche le coprono parte del viso e riescono a celare un poco il suo corpo agli occhi attenti del maggiore. Rimane immobile, pronta a rispondere alle sue eventuali domande e poi congedarsi quando, e questo lo spera davvero, scenderà il silenzio.
«Aisha è convinta che tu non debba avere figli. Lo ritiene sconveniente. In realtà sono in diversi ad esserne convinti. Ma gli altri… gli altri sono tutti fermamente convinti che tu debba avere molti figli. E subito.» Ne parla come se fosse un argomento come un altro, come se la questione non la riguardasse neanche. Si stiracchia come un gatto assonnato mentre lo dice, gli occhi improvvisamente liquidi ma attenti al tempo stesso.
«Io sono della seconda opinione.» E detto questo si lascia scivolare di lato, un sonoro splash si leva in aria quando il suo corpo forte impatta con la superficie placida dell’acqua, sollevando delle piccole onde che s’infrangono sul suo corpino tremolante. Non riesce davvero a capire, Sherry, cosa voglia, perché sia lì e perché le stia parlando tanto. Non lo ha mai fatto in quasi undici anni, perché cominciare proprio adesso?
Le si avvicina come un predatore famelico si avvicina alla preda ferita ed inerme, calibrando ogni movimento fin quando non si ritrovano a pochi centimetri di distanza. Le sposta delicatamente una ciocca di capelli di lato e porta il viso a pochi centimetri dal suo ed ispira forte, sorridendo mellifluo.
«A giudicare dal tuo odore, dovrai cominciare a provare col tuo sposo tra qualche giorno… una settimana al massimo.»
Si allontana di scatto, nuotando in circolo con movimenti lenti e stanchi. Si sente irrequieto in realtà. Tutto è diventato solo un leggero passatempo capace di tenerlo impegnato qualche ora, ma poi tutto torna apatico e insapore come prima. Ha solo sedici anni ed è già stufo del mondo. Ormai neanche gli scontri più sanguinari hanno tanto effetto. Vuole un nuovo brivido capace di scuoterlo.
«C’è una cosa che non posso fare a meno di domandarmi: cosa pensi del tuo matrimonio con Everett? Non hai detto niente quando Mezcal l’ha comunicato. E neanche lui, a dire il vero, ma sai bene che quello non parla quasi mai con nessuno… e comunque non me ne importa niente di ciò che pensa.» Si passa le mani tra i capelli grigi per spostarli all’indietro, gli occhi attenti che si spostano di nuovo con interesse sulla figura spaventata di Sherry. Non capisce perché sia intimorita, non adesso almeno. In fondo l’ha difesa, l’ha protetta. Perché evitare il suo sguardo e tremare come un topolino?
«Non credo di poter esprimere alcun giudizio a riguardo.» Mormora con voce incerta, torturandosi le mani sott’acqua. Acqua che dovrebbe lenire le loro ferite, in teoria, ma che adesso le pare solo stritolarla dolorosamente in una morsa.
«Sei più sveglia di quanto immaginassi… bene!» Il suo sguardo si illumina sinceramente e si lascia andare ad un sorriso allegro. Un sorriso che, in effetti, non aveva mai sfoggiato prima, forse solo con Apophis.
Reclina poi la testa di lato, il suo bel sorriso luminoso si tramuta di colpo in un ghigno beffardo.
«Non merita una moglie come te. Non merita la tua tempra, la tua passione… gli si addice certamente di più una qualsiasi femmina dall’animo spento e noioso.» Pensa ad alta voce, mentre tende istintivamente le orecchie per sentire se qualcuno si fosse per caso avvicinato. Certo, lì non viene quasi mai nessuno e tutti ora sono troppo impegnati con gli ultimi preparativi per la serata, ma la prudenza non è mai troppa neanche per lui.
Soddisfatto nel constatare che no, nessuno lo sta cercando - perché cercherebbero lui, ovviamente - torna a concentrarsi su Sherry, avvicinandola piano e con una nuova luce ad illuminargli gli occhi: «Hai attirato molti sguardi, sai? I miei cani stanno cominciando a fantasticare su di te.» Quando è di nuovo a pochi centimetri di distanza, si lascia andare ad un gesto che ha dello sconvolgente per entrambi: le carezza la guancia con la delicatezza di una farfalla.
Ritrae di scatto la mano come se si fosse scottato, alterandosi per una frazione di secondo nel vederla irrigidirsi e piegare un poco la testa al suo gesto. Stringe la mascella e poi rilassa il corpo, sorridendo di nuovo con aria affabile: «Non temere: non permetterò a nessuno di loro di toccarti.»
«Perché?» La domanda è venuta fuori da sola, decisamente contro la sua volontà.
«Desideri che li lasci fare?» Cerca il suo sguardo, si abbassa al suo livello finché non si può guardarla dritto negli occhi. Non sono male, così da vicino…
«No, solo… non capisco perché dovresti farlo…»
«Perché nessuno di loro ha diritto ad ingravidarti, piccola Sherry. Non sono degni del tuo sangue.» Anche stavolta le risponde con estrema ovvietà, non riuscendo a comprendere perché lei stessa non arrivi a concetti tanto semplici. Eppure mi sembri sveglia… mi sbaglio?
Sospira appena e con movimenti pesanti e stanchi esce dall’acqua, consapevole di quanto possa sfiancarli stare troppo a mollo. Si lascia scivolare mollemente sulle pellicce stese vicino al fuoco, coprendosi dalla vita in giù in un modo automatico. E lì rimane, lo sguardo puntato verso l’alto. Ci sono di nuovo quelle creaturine bioluminescenti, danzano sopra di loro.
«Dovresti uscire da lì, sai? Non fa bene alla nostra salute restarci troppo a lungo ed eri già dentro quando sono arrivato.» Non si sorprende nel vederla uscire immediatamente e neanche coprirsi come meglio può le nudità per celarle al suo sguardo invadente e curioso, ma si sorprende nel vederla affrettare il passo per tornare agli alloggi.
«Dove vai così di fretta?» Domanda accigliato, il respiro improvvisamente leggero, quasi sospeso. La guarda duramente fin quando il momento gli passa e i muscoli tornano a stendersi, così come la sua espressione.
Allunga un braccio di lato e sposta un poco la pelliccia in un chiaro invito che però la piccola pare non recepire. O non volerlo recepire, questo non saprebbe dirlo con esattezza. Perché mai rifiutare la mia compagnia?
«Sdraiati qui, al mio fianco.» Ordina con tono un po’ più duro di quanto avrebbe voluto, compiacendosi comunque del risultato. Certo, è rigida neanche fosse morta e questo gli va a poco a genio ma, sforzandosi, può capire che per lei sia un momento delicato.
«Ohhh, tranquilla, piccola Sherry: non ho intenzione di attaccarti.»
Le sistema la pelliccia addosso e, dopo essersi issato su un gomito per poterla vedere meglio in volto, comincia a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli. Gli piacciono così lunghi: quando la vede correre in forma umana, somigliano tantissimo ad una folta e lunga coda. Sono carini.
«Ti faccio così paura, piccola Sherry?» Non capisce se la sua sia mera paura o se tremi per il freddo. Lui non ci ha mai badato particolarmente, al freddo, così come non ha mai badato a tante altre cose. È sempre stato impegnato negli allenamenti e nell’approfondire tutte le varie conoscenze che gli sono state tramandate col sangue. Per quanto ridicolmente deboli e fragili, deve ammettere che gli umani hanno una storia interessante alle spalle e non gli è dispiaciuto scoprire qualcosa di più sul loro conto.
In un moto spontaneo che un poco lo sorprende e che pietrifica totalmente Sherry, le avvolge un braccio attorno al corpo e la gira su un fianco, così da poterla stringere contro il proprio. Poi le sistema meglio la pelliccia fin sulle spalle, nella speranza di infonderle un po’ del calore di cui aveva sicuramente bisogno.
«Meglio?» Sorride di nuovo in quel modo caldo e spontaneo quando incrocia quei grandi occhi scuri pieni di paura e solo per un istante lo sguardo gli cade su quella piccola bocca carnosa. È un contatto brevissimo, e lei non vi bada minimamente. Le gira la testa, davvero, si sente persa e al tempo stesso in trappola. Non può scivolare fuori dalla sua presa senza farlo infuriare, non può chiedere aiuto senza che lui le apra prima la gola. Deve restare lì, stretta in quel micidiale abbraccio finché lui non si sarà stancato.
Quando poi lo Spettro si lascia scivolare a terra, col braccio che lo sosteneva allungato in avanti e la fronte quasi poggiata contro la sua, sente distintamente un brivido gelido lungo la spina dorsale. Per quanto le sembri impossibile, le fa più paura adesso che quando le si rigira contro per attaccarla.
«Accarezzami.» Ordina di punto in bianco, prendendole con decisione un braccio magro nella mano e portandoselo sulla schiena. Non ha mai avuto questo genere di contatto con nessuno, sua madre e le sue due sorelle gemelle di certo non hanno mai neanche lontanamente pensato di coccolarlo neanche quando era piccolo, e adesso è davvero curioso di sapere cosa si prova. Avrebbe potuto scoprirlo con una qualsiasi delle ragazze che si è portato a letto, ma solo l’idea di quel genere di contatto fisico con loro lo infastidiva.
Ma Sherry non pare essere proprio dell’idea di eseguire questo nuovo ed insolito ordine e per lui è intollerabile. La guarda con i suoi veri occhi da Diavolo, sfiorando con gli artigli il fianco nudo sotto la pelliccia: «Non rovinare il momento facendomi incazzare, Sherry. Fa’ come ti ordino.»
Muove lentamente su e giù la mano, sfiorando quella pelle nivea e calda con la punta delle dita, neanche stesse sfiorando un delicato oggetto di cristallo anziché una feroce e pressoché indistruttibile macchina da guerra.
Sente dei suoni compiaciuti risalirgli su per la gola simili alle fusa dei gatti, ed una nuova ondata di stupore e paura l’avvolge quando avverte il tocco leggero delle sue dita che si muovono sul proprio fianco.
«Brava.»
Rimangono così, sdraiati a sfiorarsi con tocco leggero la pelle. Sherry pensa furiosamente a come uscirne, a come sottrarsi da queste sue nuove e decisamente non gradite attenzioni, ma non trova neanche un’idea. Aveva pensato di mutare e correre via, ma un gesto simile lo farebbe infuriare così tanto che la catturerebbe solo per darla in pasto ai suoi lupi.
Sente di colpo un lieve trottare alle proprie spalle e per un attimo si sente felice all’idea che qualcuno della guardia possa essere andato lì a cercarlo per portarlo al banchetto, ma il cuore le cade di nuovo nelle viscere quando si accorge che si tratta solo di Karin, una della sua cerchia. In giro si mormora che ne sia innamorata, ma davvero non riesce a concepire che qualcuno possa innamorarsi di un ragazzo che ha dato più volte prova di non avere né cuore né anima.
«Ehi, finalmente ti ho trovato!» Cinguetta allegra mentre si avvicina, il cuore che le sfarfalla nel petto quando i suoi occhi chiari si posano sulla sua figura. Cuore che poi comincia a battere con rabbia quando nota la figura piccola e tremolante di Sherry tra le sue braccia, posto che lei ha sempre solo sognato di occupare.
«Che succede, Jäger? La piccola bastarda ti dà fastidio?»
«Vattene.» Sbuffa infastidito, deciso comunque a darle una possibilità. Attaccandola rovinerebbe l’atmosfera che è riuscito a creare e questo proprio non gli va.
«Ancora non ha avuto il primo calore e già spalanca le cosce… che dici, Jäger, chiamo gli altri? Sarebbero felici di darle una ripassata.»
Si rigira fulmineo e le apre il muso con un’artigliata. Sherry non ha avuto neanche il tempo di avvertire il suo cambio d’umore, né è riuscita a vederlo scattare in alto e allungarsi per strapparle l’occhio sinistro con gli artigli. Non si è mai mosso così velocemente, mai una sola volta, e questo le fa capire che le sue vere capacità sono ancora sconosciute a tutti quanti.
Karin guaisce con forza, la testa nascosta tra le zampe che tentano disperatamente di bloccare l’emorragia mentre il vello nocciola si macchia di rosso.
Senza dire una parola e senza osare alzare di nuovo lo sguardo sui due, cammina all’indietro ed infine si rigira, correndo su zampe instabili fino a sparire dalla visuale del feroce Alpha, adesso di nuovo abbassato al livello della più piccola e di nuovo intento a carezzarle distrattamente il fianco. Non gli dispiacciono le sue attenzioni, tutto sommato. Sono sorprendentemente piacevoli.
Lascia vagare la mano sul suo fianco, salendo lentamente fin sul costato. Sente le ossa sporgere a causa della malnutrizione, segue con attenzione le linee più o meno marcate delle cicatrici, scivolando poi sulla schiena, carezzando in mezzo alle scapole. Riprende poi a seguire la linea immaginaria con la punta delle dita, arrivando al collo pallido. Sposta una ciocca di capelli all’indietro per aver maggior raggio d’azione e, spinto da una forte curiosità, fa leva sul braccio steso sotto la testa per alzarsi un poco. Si allunga verso di lei e le sfiora la pelle sensibile della giugulare con la punta del naso, inspirando a fondo il suo odore. Ci sono le note calde delle acque rosse, ma riesce subito ad isolarle per godersi a pieno le note floreali che sente nel suo sangue. Gli ricordano un misto tra fresia e magnolia. Vi fiuta anche una nota zuccherosa che gli ricorda terribilmente il miele. Stucchevole per uno come lui, ma per qualche strano motivo che non riesce a spiegarsi lo trova attraente.
Le stringe appena la pelle con i denti, tirando un poco, per poi sfiorarla di nuovo con le labbra. La sente tremare sotto al suo tocco esperto e si convince che semplicemente lo voglia esattamente proprio come lui ma che non sappia muoversi. Nessuno gli ha mai detto no, giusto Mezcal gli ha imposto debolmente qualche limite che però ha sempre superato senza ripercussioni. Troppo prezioso per essere frenato, questo è sempre stato uno dei problemi più grandi con Jäger.
«È incredibile…» La voce è diventata improvvisamente roca, il sangue gli ribolle furiosamente nelle vene, la mente comincia ad offuscarsi mentre con una mano le arpiona dolorosamente il fianco.
Sherry trema nella sua presa, sente le lacrime pungerle gli occhi e un terrore cieco l’assale. Ha sentito più volte un odore simile a quello che sta emanando, sa cosa significa e se anche non lo avesse fiutato avrebbe comunque capito nel momento esatto in cui se l’è tirata di più addosso, premendole contro la gamba un’assai considerevole erezione.
«Cosa…?» Pigola a corto di fiato, una prima lacrima le riga la guancia. Ha capito, sa cosa ha in mente e non sa come agire. Non pensava che le sarebbe mai successo, nessuno l’ha mai guardata in quel modo ed un poco si sentiva comunque al sicuro grazie al muro che involontariamente le hanno costruito attorno le altre lupe. Ma si sbagliava, le pare evidente quando sente la sua mano grande e forte strisciarle languidamente sulla schiena e fermarsi tra le scapole, quando sente le sue labbra lambirle la pelle fin sulla clavicola e lì mordicchiare piano.
«La linea del tuo collo…»
«Jäger…» Prova ad allontanarlo, consapevole però di non avere alcuna speranza né di convincerlo né di batterlo. Può solo sperare che rinsavisca da solo, che si ricordi chi è e dell’odio che ha sempre nutrito per lei, che la massacri di botte e la lasci lì in una pozza di sangue. In alternativa può sperare che arrivi qualcuno, ma perché mai dovrebbero interromperlo? Nessuno lo ha mai avvicinato quando lo trovavano in dolce compagnia, sicuramente non muoverebbero un dito per una bastarda, seppur non consenziente.
«Tranquilla, piccola Sherry: non ti farò male.» Ghigna contro la sua guancia mentre cerca il contatto visivo «Non ho intenzione di lasciare a quel rammollito di Everett la possibilità di averti per primo.»
Lascia scivolare una mano sul petto e con meticolosa calma saggia il seno acerbo, sorprendendosi davvero nel sentirla tremare ancora più forte. Non concepisce che possa non volerlo, non ci arriva: l’odore della paura che gli invade le narici offusca il suo giudizio e lo eccita ancora di più, com’è sempre successo e sempre succederà. La paura e il dolore sono inebrianti per super-predatori come loro.
Come monito le tira così forte un capezzolo che le sfugge uno strillo acuto ma subito le tappa la bocca con la mano, lasciandosi sfuggire un ringhio gutturale e minaccioso.
«Se provi ad urlare un’altra volta, te la farò pagare.»
Si fa un poco indietro giusto per mettersi più comodo e, con suo enorme sconcerto, Sherry prova a sgusciare in avanti, strisciando sull’addome. Scatta a sua volta, si piazza a cavalcioni sulle sue cosce e le afferra un polso, torcendole dolorosamente il braccio all’indietro.
«È inutile provare a scappare, lo sai.»
Gli artigli le aprono la carne nel fianco, entrano in profondità e i suoi occhi di ghiaccio si perdono qualche istante ad osservare il sangue denso che ne fuoriesce mentre il cuore batte sempre più furiosamente con l’aumentare di intensità dei suoi singhiozzi.
Le tappa la bocca con una mano mentre si sdraia sul suo corpo esile e provato, schiacciandola ed inchiodandola a terra. Con l’altra  mano le sfiora la coscia e gli artigli lasciano dei nuovi segni. Trova indecentemente eccitante la visione del sangue cremisi sulla pelle pallida e il suo odore lo manda in orbita.
«Tu non darai dei figli a lui, piccola Sherry: li darai a me. Dovrai solo pazientare qualche tempo.»
La tocca con foga, la vuole pronta, la sua disperazione lo ha reso sin troppo impaziente. Ma poi urla, implora che qualcuno l’aiuti e la vista gli si acceca di colpo. Lo sta contraddicendo e rifiutando, davvero non riesce ad accettarlo.
Le dà un pugno sulle costole, rompendone un paio. Ridacchia divertito mentre la sente annaspare in cerca d’aria e si porta vicino al suo orecchio per sfotterla un poco: «Ti avevo detto che te l’avrei fatta pagare.»
Le bacia lo zigomo, convinto che adesso abbia capito. In realtà è sorpreso che non avesse capito molto tempo prima: ha giocato con lei per anni, ogni morso era solo una dimostrazione del suo interesse. La scelse come compagna quel giorno lontano dove Mezcal intervenne per salvarla, decise in quel momento che sarebbe stata sua. In fondo aveva già sentito mormorare in giro che, a quanto pare, i loro sarebbero stati dei figli prodigio, senza contare ciò che ha scoperto qualche mese più tardi. Ecco, se proprio deve dire quando ha deciso ufficialmente che sarebbe stata la sua compagna di vita, è proprio quando ha scoperto quella piccola ma vitale informazione. L’appoggio costante di Apophis, poi, ha solo fatto in modo che il tutto diventasse un’ossessione costante che lui ha scambiato erroneamente per amore.
Prova con delicatezza ad aprirle le gambe, convinto che a questo punto ceda, ma quando si accorge che è irremovibile la rabbia lo invade nuovamente. Non doveva andare così, decisamente. Doveva lasciarlo fare, assecondarlo come hanno sempre fatto tutti nella sua vita, e invece sta opponendo resistenza.
«Ti conviene aprire le gambe. Lo dico per te, sai?» La sua voce in genere calma e con una perenne nota di estrema superiorità  adesso è distorta e resa baritonale dalla rabbia che lo avvolge, ma questo pare non essere sufficiente per convincerla.
«Ultima possibilità piccola: aprile o ti sfondo il culo.» Prova ancora per qualche secondo e poi il suo cervello va in tilt, la rabbia lo divora.
Sherry continua a piangere, non ha idea di cosa fare. Non riesce a mutare, per quanto lo vorrebbe, perché la paura le paralizza totalmente le ossa e le congela il sangue nelle vene.
Alle orecchie le arrivano strani rumori e poi avverte di colpo la strana e orribile sensazione di qualcosa di viscido e umido tra le natiche. Non è sicura di cosa sia, non è sicura neanche di averla sentita davvero. Il corpo è totalmente paralizzato già da qualche minuto e di colpo la sua mente va in blackout, dissociandosi totalmente da ciò che sta accadendo.
Non si rende davvero conto del dolore al fondoschiena, non sente i suoi colpi violenti e profondi, non sente i suoi gemiti rochi. Si domanda se stasera avranno qualcosa da mangiare o se il poco che hanno di solito è stato usato per il banchetto Regale. Poi la mente si sposta ancora più in là, arrivando in posti lontani.*
«Te l’avevo detto, no? Ora fai la brava, piccola Sherry: apri le cosce.»
Non sente davvero la sua voce. Non sente neanche più gli odori che la circondano con nitidezza, non sente il dolore. Si rende appena conto che le ha circondato l’addome con un braccio per girarla. Vede il suo volto soddisfatto ed eccitato ma è come se non lo vedesse. Vede quelle simpatiche creature bioluminescenti sopra di loro. Sono carine e sembrano lasciare una scia luminosa quando si spostano, tipo piccole comete.
Sente umido sulle labbra, sente qualcosa muoversi in bocca. Non sarebbe dire di cosa si tratti, non vuole neanche scoprirlo.
«Ora ti darò un piccolo assaggio di quello che ti farò in modo più approfondito quando sarai ufficialmente mia, piccola Sherry: goditelo
Sente di nuovo quella sensazione di umido tra le gambe, ma quella strana sensazione che ne era seguita prima non arriva. Sente freddo adesso, Jäger non è più sul suo corpo. È scivolato di lato, lo vede. Sta su quattro zampe, le zanne sono esposte e ringhia con ferocia.
Tutto va velocissimo, ma le sembra di vedere i movimenti in slow-motion.
Qualcosa si è piazzato sul suo corpo. Vede una zampa posteriore al lato del viso, sente un nuovo odore stuzzicarle debolmente l’olfatto, quasi le chiedesse gentilmente di farlo entrare.
Non riesce a muoversi. Sente il corpo intorpidito, i muscoli pesanti come macigni. Un guaito lontano e debole le arriva alle orecchie, ma la testa non si gira. Gli occhi rimangono fermi sul ventre nero di Everett. Le sta facendo da scudo, qualcuno deve aver parlato.
Lo sente ringhiare come impazzito, sente la sua rabbia scuoterle la mente. Vorrebbe allontanarsi anche da lui, nascondersi in qualche buco e lì rimanere finché non si saranno sbranati a morte, ma il corpo non risponde al comando.
«Adesso basta. Tutti e due.»
Nuove zampe vicino al viso, zampe grosse e bianche. Passano pesanti e lente, sfilano di fianco alla zampa nera che non si è ancora mossa di un millimetro. Sente un altro movimento dall’altro lato, ma non ha la forza di voltare la testa.
Jäger alza di scatto il capo, le orecchie ben dritte così come il pelo sul dorso, fin sulla coda. Li guarda tutti e tre con sdegno e arroganza, curioso di vedere fin dove si spingeranno dopo questo gesto forse un po’ avventato.
Si domanda per un istante come abbiano saputo che stavano lì, chi ha fatto la spia e poi si ricorda di Karin. Deve essersi lasciata andare con quelle buone a poco amiche sue, e la Mezzosangue che si nasconde dietro le zampe di Darko deve aver riferito tutto quanto. La fissa in cagnesco per un brevissimo istante, il ringhio basso d’ammonimento del maggiore lo spinge a spostare la propria attenzione dapprima su Everett ed in seguito su Mezcal.
Ghigna maligno, il muso deformato in una maschera di arroganza e odio.
«Qual buon vento?» Afferma con tono divertito e beffardo, non provocando alcuna reazione nel Re. Rimane al fianco di Everett e per un breve istante sposta gli occhi ametista sulla ragazzina stesa tra le zampe del primogenito. Non prova niente in particolare però, motivo per cui decide semplicemente di transitare con passo svogliato tra i due Spettri pronti ad ammazzarsi e tornare indietro.
«Vattene, Jäger, prima di farmi perdere la pazienza.»
Darko lo affianca subito, la testa china in segno di rispetto. Rispetto che non prova più da diversi anni, però.
«Lo lasci andare così?»
«Non ci saranno conseguenze poiché non l’ha deflorata.»
«Padre—» Bercia Everett, gli occhi cremisi iniettati di un odio profondo e malato. Non può attaccare Jäger senza il suo benestare, segnerebbe una condanna per Sherry e lo sa.
«Se un domani vorrai fottertela, potrai farlo solo col benestare di Everett, ma ti sarà comunque vietato ingravidarla.» Lo interrompe così, le zampe puntate a terra e gli occhi gelidi ed indifferenti che scrutano il giovane Spettro che, senza dire una parola, aveva cominciato ad avanzare in direzione opposta.
Everett vorrebbe ucciderli tutti e due. Vorrebbe immergere il muso nel loro ventri dilaniati, divorarli un pezzo alla volta e poi dare alle fiamme tutto ciò che lo circonda, ma se solo provasse ad attaccarne uno, tutti gli sarebbero subito addosso. Se fosse stato più furbo, si sarebbe creato un seguito anni addietro come ha fatto lo psicopatico che ghigna divertito mentre si allontana.
Abbassa gli occhi sulla cucciola dal vello dorato quando la sente vicina alla propria zampa e, senza remore, si sposta un poco per lasciarla avvicinare all’amica. Se non avesse corso tanto veloce per avvertire Darko della situazione, non sarebbero mai arrivati in tempo.
La sente piagnucolare frasi dolci e rassicuranti mentre le si sdraia vicina e, seppur in modo infinitesimale, si sente un poco meglio.
Sherry, che senza rendersene conto si è ritrovata stretta tra le zampe di Bree, sente distintamente l’ultima frase che Mezcal pronuncerà più in sua presenza: «Vedi di ricordarti una cosa, cucciolo: lei gli appartiene e tu non potrai mai avere niente da lei.»


Non riesce più a raccontargli altro. Le parole le muoiono in gola non appena apre bocca, il corpo è scosso da brividi e tremori, la pelle velata da sudore freddo. Vorrebbe davvero raccontargli che un paio di giorni dopo, la notte prima del suo matrimonio, Bree la supplicò con le lacrime agli occhi di andare via e le diede ascolto perché vide nuove cicatrici sul braccio. Apophis ci aveva provato, l’aveva afferrata ma i membri più anziani della guardia erano nei dintorni e lo avevano bloccato. La rincuorò non poco la consapevolezza che non tutti, lì dentro, approvassero lo stupro.
Ricorda che a quella vista agghiacciante riuscì a riprendersi dal proprio torpore e scapparono. Ricorda che fu una fuga difficile, che altri cuccioli provarono a seguirle ma morirono prima del grande salto.
Ricorda che per i due anni successivi, prima di trovare Fern e di essere salvate da lei, prima dell’esuberanza di Mordecai, delle premure di Major, degli abbracci soffocanti di Micah e dei confortanti silenzi di Maddox quando l’insonnia tornava a farle visita, il senso di colpa, l’umiliazione e la vergogna non la lasciavano vivere. Ricorda che aveva disturbi del sonno costanti, che il mal di testa non l’abbandonava mai, che soffriva di tensione muscolo-scheletrica e lo stomaco le bruciava sempre come l’Inferno, che la depressione e la rabbia la divoravano. Ricorda che era lei ad attaccare chiunque osasse avvicinarle anche solo per errore o per curiosità, che si isolò pure da Bree e che le parlava lo stretto necessario, che era proprio il giovane e gracile Segugio Mezzosangue a dover procurare da mangiare per entrambe il più delle volte, perché lei non aveva le forze né fisiche né mentali per muoversi.
Ricorda che la prima volta che Fern l’abbracciò, dopo averle tagliato quel maledetti capelli che sembravano piacere tanto al suo aguzzino, scoppiò in un pianto disperato. Quando mai era stata abbracciata così da qualcuno all’infuori di Bree? Quale donna aveva mai avuto un simile slancio materno nei suoi confronti? Quale donna aveva mai pianto per lei, per le sue condizioni? Non fu commozione quella, ma mera disperazione dovuta alla folgorante consapevolezza di non aver mai avuto quello che per molti è scontato.
Ricorda che con il loro strano senso di famiglia riuscì a rimetterla totalmente in carreggiata e a donarle un motivo per continuare a lottare sempre e comunque.
Ricorda che nessuno dei quattro Purosangue osò mai metterle pressioni di alcun tipo, che Mordecai non provò mai a sfiorarla neanche con un dito finché non fu lei a cercare un contatto, che le sue mani riuscirono in qualche modo a toglierle di dosso un po’ di quello sporco che lei avvertiva in modo costante.
Quando sente le mani forti e ruvide di Radish stringere le sue, il corpo comincia a tremare più forte. Non ha il coraggio di guardarlo negli occhi, temendo di trovarvi del disgusto per il suo non essere stata capace di reagire e difendersi.
«Non puoi immaginare… non puoi…» Si piega in avanti, lo stomaco stretto di nuovo in quella morsa dolorosa che l’aveva portata a digiunare per settimane «… che vergogna…»
Radish non parla, a malapena respira. È accecato da una furia nera, sente ogni singola cellula del proprio essere infiammarsi e la voglia disperata di andarlo a cercare farsi così forte da impedirgli di ragionare come vorrebbe. Sono solo le sue parole sussurrate con dolore a fargli capire che adesso ha più bisogno di lui lì, che non del cadavere di Jäger.
«Mi dispiace da morire…»
«Come?»
«Mi dispiace Radish, davvero… scusami…» Si piega in avanti mentre si copre il viso con le mani, le lacrime che scendono incontrollate senza che se ne renda conto. E Radish non riesce davvero a sopportarlo.
Fa quello che gli urla l’istinto, non sapendo neanche se sia la cosa migliore o il gesto più avventato e sbagliato da compiere: le avvolge un braccio attorno alle spalle e l’altro lo passa sotto le sue gambe, costringendola così a rannicchiarsi in braccio a lui. La tiene stretta, tanto da soffocarla, e lei si aggrappa a lui con tutte le proprie forze per non cadere ancora, per non lasciarsi ingoiare una seconda volta da quelle tenebre auto-distruttive che già una volta l’hanno quasi annientata.
«Smettila… smettila, ti prego…» Mormora contro la sua testa mentre delle lacrime gli rigano le guance. Fanculo l’orgoglio dei Saiyan, fanculo la loro indole aggressiva che mai si farebbe piegare dalle lacrime di una donna. Fanculo tutto quanto.
«È colpa mia… avrei dovuto reagire, impedirglielo in qualche modo… scusami…»
Vorrebbe urlare, Radish.
Vorrebbe andare da lui e ucciderlo con le sue mani, bagnarsi del suo sangue e portarle i suoi resti in dono per provare a consolarla.
Vorrebbe strapparle tutto quel dolore.
Vorrebbe morire all’idea di aver fatto lo stesso a delle donne innocenti, spinto da un’indole ingestibile e spronato da un compagno d’armi che lo disprezzava.
Vorrebbe pregarla di perdonargli il suo passato.
Vorrebbe ringraziarla per averlo fatto senza averglielo chiesto.
Fino a sei
** anni prima, lui era un maledetto animale proprio come Jäger, niente di più, niente di meno. Ed è disgustato da questa consapevolezza… e per la prima volta è grato a quel fascio argenteo che gli è passato dentro, a chi ha fatto in modo che tornasse indietro, imprimendogli qualcosa dentro che lo ha spinto a cambiare. Se non lo avessero fatto, sarebbe rimasto una bestia priva di umanità per sempre… e adesso si rende conto che sarebbe stato inaccettabile.
Si domanda cosa avrebbe pensato sua madre di lui. È la primissima volta in assoluto che se lo domanda, che si chiede come si sarebbe comportata di fronte ad un figlio come lui. Non che gli altri Saiyan fossero poi tanto migliori di lui, ma è sicuro che fossero comunque pochi così marci dentro da compiere certi gesti. E lui lo era.
Sua madre lo avrebbe disprezzato, sicuramente. Non avrebbe più avuto alcuna premura nei suoi confronti. E suo padre… suo padre lo avrebbe sicuramente massacrato, perché non erano quelli gli insegnamenti che gli aveva dato da bambino.
«Ehi…»
Il suo sussurro gli trapana i timpani, invadendogli la mente e riportandolo alla realtà. Non saprebbe dire per quanto tempo l’ha tenuta in braccio, per quanto tempo l’ha fatta piangere contro il proprio petto e neanche da quanto tempo abbia smesso, ma a giudicare dalla luce perlacea della Luna che filtra debolmente dalla tenda, intuisce che deve essere passato un bel po’.
Per un istante sente un leggero senso di panico invaderlo all’idea di non poter più tornare a casa e al non sapere come dirglielo, ma quando incrocia i suoi occhioni tristi si sente improvvisamente sciogliere ed invadere da un senso di protezione che non aveva mai provato prima.
«Credimi se ti dico che non ti farà più del male.» Le carezza piano la guancia, poggiando la fronte sulla sua. Sente il suo respiro tiepido sulla pelle e Dio solo sa quanto voglia baciarla, ma sa che è bene rimanere così al momento.
«Non ti si avvicinerà mai più… lo ucciderò con le mie stesse mani prima che possa solo provarci. Dimmi dove trovarlo.»
«Non puoi farlo…»
«Pensi forse che possa farmi qualcosa?»
Si sorridono debolmente e Radish vacilla sempre di più dai suoi buoni propositi quando gli carezza dolcemente la guancia.
«Se uccidi lui, lasci il branco senza il Re. Se lasci il branco senza il Re, ci sarà un’Ordalia. Morirebbero quasi tutti, le femmine e i cuccioli sopravvissuti resterebbero senza protezione. Il caos che deriverebbe da un evento simile porterebbe Greywind ad intervenire, così da evitare incontrollabili danni collaterali… e il branco del Nord cesserebbe di esistere per sempre.» Spiega con voce debole ma comunque ferma, lasciandolo di stucco «Un umano, o un Saiyan, non può interferire tra le nostre faccende.»
Non riesce a credere che anteponga comunque la sicurezza di quella gente che non l’ha mai difesa alla propria, che non intenda scatenare contro tutti loro un’arma efficiente e micidiale come può essere lui per vendicarsi dei torti subiti e prendere il potere. Lui, al posto suo, l’avrebbe fatto senza remore.
Con quest’ultimo pensiero, si rende conto di un fatto davvero evidente che però non aveva mai preso davvero in considerazione: lei ha la stoffa e le qualità vere per governare, ha la testa e il cuore di una vera Sovrana al contrario dell’attuale Re, lei potrebbe condurli su un sentiero sicuro col minor numero di danni possibili. Lei merita la corona, non lui. E lei non la vuole, se ne tiene a distanza di sicurezza e, al tempo stesso, continua ad escogitare ogni modo possibile per tenere al sicuro tutti gli Spettri che, come lei, vivono in bilico tra due mondi.
Questo è ammirevole, davvero. Non credo di averne conosciute molte di persone così.
«E se lo facessi nero e tu gli strappassi il cuore?» Tenta così, sperando di convincerla. Sarebbe come barare, certo, ma perché non tentare? Lei non deve niente a nessuno e lui si è messo totalmente al suo servizio già da tempo, perché non sfruttare un simile vantaggio?
«Sei carino quando fai l’eroe, sai?»
Sbuffa infastidito dal suo non volergli assolutamente dare retta, ma decide giustamente di mollare la presa. Si è aperta con lui come non aveva mai fatto con nessuno in venticinque anni di vita, gli ha aperto il cuore e poi lo ha lasciato nelle sue mani, non può davvero insistere. Non adesso comunque.
«Ti dispiace se resto a dormire qui? Sai, la Luna…» È un poco imbarazzato nel chiederglielo e per questo preferisce lasciar vagare lo sguardo altrove, poiché vedere quel sorrisetto strafottente che pare urlargli “scimmia mannara!” a gran voce sarebbe decisamente insopportabile.
«Certo.» Sguscia velocemente fuori dal suo abbraccio, desiderosa solo di stendersi al suo fianco per lasciarlo riposare. Non ha ben chiara la loro situazione adesso, non sa bene come dovranno interagire d’ora in avanti e neanche cosa pensi di tutto ciò che gli ha rivelato, ma non vuole pensarci adesso. Vuole che si riposi perché è palese che stia per crollare da un momento all’altro e il vederlo così le fa male.
Quando però il Saiyan afferra uno dei due cuscini e si inginocchia sul pavimento, Sherry non può fare a meno di domandarsi se il suo passato lo abbia sconvolto così tanto da non voler più il contatto fisico. Si sente persa per qualche istante, ma decide di andare a fondo alla questione per evitare nuovi fraintendimenti.
«Cosa fai?»
Radish la guarda con incertezza, trovandola piccola piccola nel letto con le coperte fino al mento e gli occhi scuri che lo osservano con timore. E gli viene da sorridere nel capire che no, lei non ha alcuna intenzione di allontanarlo ancora, che è riuscito finalmente ad assestare il colpo giusto per renderla un poco più raggiungibile ed umana, almeno per lui.
«Non ero sicuro che mi volessi nel tuo letto.» Ammette con tono neutro, alzandosi con un poco di fatica.
«Cretino.»
Si abbandona al suo fianco, esausto. La testa gli fa così male che sente che potrebbe svenire da un momento all’altro, i muscoli sono infinitamente pesanti e le palpebre sembrano macigni sul punto di franare. Quando poi Sherry gli avvolge l’addome con un braccio e si accoccola contro di lui, sente che finalmente può lasciarsi andare al sonno, essendo adesso tutto come deve essere e come dovrà essere ancora per un bel po’ di tempo.
«Jäger è…» Ed ecco che il suo riposo viene posticipato ancora un po’. Abbassa lo sguardo sulla compagna stretta attorno al suo corpo, trovandola mortalmente seria mentre lo guarda a sua volta.
«…è il diminutivo di Jägermeister.»
Sente come se il cuore si fermasse un istante, la mente in confusione. Non vorrà mica dire che…
«È mio fratello.»




*Immobilizzarsi è una risposta alle minacce comune a tutti i mammiferi, non solo agli esseri umani," ci ha detto il dottor Martin Antony, professore di psicologia alla Ryerson University e autore del libro Anti-Anxiety Workbook. "Alcuni addirittura sostengono che non si dovrebbe parlare di 'combatti o scappa', ma di 'combatti, scappa o paralizzati'."
Paralizzarsi e arrendersi sono meccanismi di difesa—non una dichiarazione di consenso.

** Radish è stato resuscitato cinque anni prima, ma per lui sono sei perché si è allenato nella stanza speciale che ogni universitario brama.



ᴀɴɢᴏʟᴏ ᴅᴇʟʟ’ᴀᴜᴛʀɪᴄᴇ
E niente… non avete idea di quanto abbia fatto male scrivere questo capitolo. Ha fatto un male assurdo, è stato difficilissimo e mi sento una persona orrenda (e no, a questo giro non lo dico per ridere). Sento come se avessi in qualche modo minimizzato un fatto terribile, come se lo avessi buttato giù con trascuratezza. Davvero, ci sono stata male e ci sto male anche adesso.
Spero che non abbia urtato la sensibilità di qualcuno, lo spero davvero.
E ci tengo anche a precisare che no, per quanto Jäger abbia evidenti disturbi mentali non è perdonabile quello che ha fatto. E neanche il menefreghismo di Mezcal.
Dio… odio questo capitolo con tutto il cuore.

Analizziamo però un dettaglio: Sherry non ha mai parlato di loro come membri della sua famiglia perché li disprezza con tutta sé stessa e di conseguenza non li riconosce come tali, ma neanche Jäger si riferisce mai a Mezcal come a suo padre o Everett come fratello maggiore. Questo dovrebbe essere un forte indice di quanto sin da bambino si sia sempre sentito superiore a tutti loro, malgrado ne condividesse il sangue, e di quanto per lui fossero solo figure ingombranti di cui sbarazzarsi il prima possibile.
Una personacina fantastica eh? Fantastica e poco disturbata, soprattutto.
Mi disgusta, davvero. Mi disgusta e al tempo stesso mi spiace non riuscire a renderlo al meglio, a non riuscire a mettere in luce come si deve la sua personalità malata e la sua ossessione. Temo che sia piuttosto piatto come personaggio, ma purtroppo non sono capace di scrivere certe cose (e credetemi se vi dico che mi sono informata in giro, non avete idea della roba che ho letto… colpi al cuore uno dietro l’altro, davvero).

Col prossimo capitolo si tornerà a respirare, non temete. Un nuovo colpo di scena (doppio, e sempre e solo se mi riesce) arriverà tra qualche altro capitolo, per adesso ritorniamo ad una certa calma.
Adesso ci tengo a ringraziare
Celeste98 (che, volente o nolente, adesso è per forza mia amica perché fa parte della ciurma), Chimera__ e _Cramisi_ per aver recensito lo scorso capitolo, e Teo5Astor per aver recensito il capitolo 10. Un ringraziamento anche a tutti coloro che leggono silenziosamente, a chi l’ha inserita tra le seguite/preferite/ricordate. Siete davvero gentilissimi! 💛

A presto
Un bacione
Kiki
🤙🏻

  
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