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Autore: _happy_04    02/05/2020    0 recensioni
[ Black Star/Death the Kid | modern!AU | slice of life, con una buona dose di amarognolo nelle backstories ]
παλιγγενεσία (palinghenesìa): in filosofia, rinascita; concezione della realtà come eterno divenire, introduce anche quella di una ricorrente rinascita, di un "eterno ritorno" delle cose e della trasmigrazione delle anime.
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A volte, nella vita, bisogna allargare i propri orizzonti. Succede, per esempio, quando il figlio di un giudice e un ex-criminale appena uscito di prigione vanno a vivere insieme. Quando due mondi completamente diversi si scontrano, ma la collisione porta alla creazione, invece che alla distruzione.
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{linguaggio leggermente scurrile; menzioni di potenziali triggers; note e avvertimenti potrebbero cambiare nel corso della storia}
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Black Star, Death the Kid, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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soufflé e muffin al cioccolato

«Buongiorno, mondo, il dio del Sole è in piedi!»
Kid era al computer, a ricontrollare i documenti per il prossimo esame, quando un Black Star in pantaloncini del pigiama uscì dal corridoio, urlando trionfante.
Il corvino balzò sulla sedia per la sorpresa, constatando con dispiacere che avrebbe dovuto abituarsi a sopportare l’energia di quel moccioso troppo cresciuto; poi, storse il naso, sorseggiando il caffè nella tazzina accanto alle sue mani. «Potresti evitare tutta questa confusione alle dieci di mattina, e, possibilmente, metterti qualcosa addosso?»
Il ragazzo sembrò rendersi solo conto allora di essere a torso e a piedi nudi. Indietreggiò nuovamente verso la sua nuova camera da letto, ma ghignò, le braccia al petto. «Però ammettilo, ti piace quello che vedi.»
Kid si morse la lingua per evitare di suggerirgli la destinazione del suo prossimo viaggio, optando per un non propriamente fine ma almeno non scurrile «Chiudi quella fogna.»
«Non hai negato, però!» replicò vittorioso quello, con una risata così energica da essere quasi sguaiata.
A quella evidente provocazione, le guance vagamente imporporate per diversi motivi, Kid scattò in piedi, come un gatto a cui fosse stata pestata la coda. «Sentimi bene, tu…»
Fu mentre si voltava, che lo notò. Sulla spalla dell’altro c’era un pallido tatuaggio, una stella, ma era solcato da una profonda cicatrice, quasi a spezzare quell’astro che biancheggiava sulla pelle di bronzo.
Forse lo fissò un po’ troppo a lungo, perché Black Star parve accorgersene; con un gesto talmente delicato da essere probabilmente inconscio, sfiorò quel segno sulla propria pelle, e nei suoi occhi comparve una luce indecifrabile. Fissavano quelli di Kid con un’intensità sconcertante, una violenza che pareva mirare a sviscerare ogni barriera, scoprire ogni debolezza del proprio avversario e schiacciarla sotto i propri piedi, finché non fosse rimasto altro che i brandelli.
Come una belva feroce che puntava la gazzella, pur ancora indeciso se inseguirla o meno. Ma c’era qualcosa, in fondo a quelle pozze oscure, dietro a quelle luci sinistre, qualcosa che Kid non era in grado di distinguere, non ancora, almeno.
Decise di far cadere lì l’argomento, passandosi una mano sul volto. «Lasciamo perdere. Piuttosto – primo, ci dovrebbe essere ancora del caffè che ho fatto stamattina, quindi se vuoi puoi prenderne una tazzina. Secondo, il venerdì è il giorno in cui faccio i dolci per il weekend, quindi tra dieci minuti devo andare a fare la spesa. Se ti va di venire, possiamo decidere insieme.»
Quell’ombra che era comparsa sul volto del coinquilino scomparve, sostituita da una genuina luce di entusiasmo. «Fai i dolci?»
«Certo!» Kid non riuscì a fare a meno di impettirsi, un sorriso che andava da un orecchio all’altro. «E, modestamente, sono anche piuttosto bravo. La pasticceria è una delle arti culinarie più complesse, e sono orgoglioso delle mie capa…»
«Che figata!» Come un bambino dell’asilo impaziente, quello scappò in camera e ne uscì con una t-shirt degli Hollywood Undead infilata ancora per metà, senza neanche aver finito di allacciarsi le Converse rosse. «Diamoci una mossa, che aspetti, cazzo?»
«Cosa non ti è chiaro di “dieci minuti”? Beh, ora otto, in realtà.» precisò, una scintilla negli occhi nel pronunciare il suo numero preferito. «E poi, ce la fai a comporre una frase di senso compiuto senza doverci mettere almeno una parolaccia?»
«Scusa, è che è una figata davvero, maledizione! Non ricordo neanche da quand’è, che non faccio dolci – merda, non credo neanche di averli mai fatti, ora che ci penso!» Trangugiò senza troppi complimenti il caffè rimasto nella macchinetta. Kid tenne per sé un “Oh, ma allora sai pensare”. L’azzurro incrociò le braccia al petto, un sorriso smagliante. «Andiamo?»
Il corvino guardò l’orologio. «Quattro minuti.»
 
«Sappi che non ti perdonerò mai.» borbottava Kid, mentre trascinava il carrello con una mano e controllava la lista della spesa sul telefono.
«Oh, andiamo!» Black Star sbuffò sonoramente, anche se non sembrava davvero interessato alle lamentele del compagno, quanto piuttosto a navigare con lo sguardo tra tutte le confezioni colorate sugli scaffali. «Erano tre minuti!»
«Tre minuti!»  Kid cercò di prendere un respiro, recuperando la calma e non ben sapendo come rispondergli. «Lasciamo stare. Invece, cos’è che vogliamo preparare, come dolce? Potremmo fare dei profiteroles, o dei soufflé, o se preferisci…»
«Che ne dici dei muffin?»
L’altro sbatté le palpebre, come destabilizzato da una richiesta simile. «Eh?»
Black Star si voltò verso di lui, la genuinità della proposta leggibile nell’espressione naturale. «Non dovrebbero essere troppo difficili, no? Ho sempre desiderato cucinare i muffin.»
«Beh, quello no.» Kid si accarezzò appena il mento. Negli ultimi anni si era abituato a cercare ricette di complessità sempre maggiore, completamente disabituandosi a quelle così semplici da sembrare fatte apposta per i bambini; non era neanche in grado di quantificare il tempo che era passato dall’ultima volta che aveva preparato i muffin, che era stata forse quando ancora viveva con entrambi i genitori e il fratello.
Ma in fondo, si disse, magari non era poi così una terribile idea.
Sorrise. «Va bene, si può fare.»
 
Black Star sembrava letteralmente incantato, accovacciato sulle mattonelle marmoree a fissare lo sportello del forno, o per meglio dire quello che c’era dietro il vetro; irradiati dalla luce calda dell’elettrodomestico, la pasta dei muffin si stava pacatamente gonfiando, come piccole mongolfiere in fase di accensione, a formare morbide cupole marroni e sprigionando un dolce profumo che si diffondeva anche all’esterno.
«Black Star, ti dispiace darmi una mano?» La voce di Kid si fece appena stridula nel momento in cui si alzò in punta di piedi per posare lo zucchero nella credenza. Si piazzò le mani sui fianchi, con uno sbuffo; ogni angolo della cucina era invaso da ingredienti, posate e scodelle, alcuni persino rimasti inutilizzati, e il tavolo della cucina al centro della stanza, così come il pavimento, era disseminato da tracce di miscugli non meglio identificati, neanche sperassero di far crescere qualche piantagione.
Era così disturbante, il disordine.
L’azzurro guardò il timer del forno, che però segnalava ancora più di un quarto d’ora di attesa; non avendo scuse per evitare l’onere, si sollevò in piedi, con un grugnito, e afferrò il sacchetto di farina stravaccato sulla superficie del tavolo. Poi, senza alcun preavviso, ne raccolse una manciata e la lanciò sulla spalla di Kid, in poco più di una frazione di secondo.
Atterrito, il corvino si immobilizzò, gli occhi strabuzzati volti verso quella chiazza che gli imbiancava la clavicola pallida e parte della manica nera. «Bastardo…» sibilò, gli occhi ambrati si accesero appena di furia, con tutta l’aria di poterla rilasciare da un momento all’altro. «Ti rendi conto della perfetta simmetria che hai rovinato, con questa farina su una sola spalla?»
L’altro rispose con un sorrisetto pestifero. «Allora facciamo così, se preferisci!» e, con uno scatto felino, tutta la farina rimanente nella confezione fu rovesciata sulla testa di Kid, colorandogli l’intero torso esile di candido.
Ora sì, che aveva toccato il limite. Con un grido degno di un guerriero in pieno campo di battaglia, agguantò il pacco di riserva e ne scagliò una grande parte sull’azzurro, in una dolce, dolce vendetta.
Quello parve prendersi qualche attimo per metabolizzare l’accaduto. «Sai che questa è un’edizione limitata della merce di American Tragedy, e che se non torna come prima ti faccio passare le ossa che hai in corpo da duecentosei a quattrocentodieci, vero?» intimò, mantenendo un tono forzatamente lento.
«Quattrocentododici!» lo corresse Kid, sentendo le labbra piegarglisi in un sorriso carico di adrenalina. «E non venire a dirmi che non te la sei cercata!»
«Tu ti stai gettando nelle braccia della morte.»
Nel giro di non più di dieci secondi, la stanza si trasformò in un campo di battaglia, i due ragazzi che correvano intorno al tavolo e per la cucina, afferrandosi e sfuggendosi, immersi nella densa polvere della farina che fluttuava nella stanza, alleggerita dalle risate incontrollate. Sembravano due bambini, come se stessero cercando di riprendersi un’infanzia persa tra le mani forse troppo presto, o forse un’adolescenza rovinata.
Si fermarono solo quando tutta la farina fu esaurita, i pacchi abbandonati sul tavolo e loro due seduti per terra, le schiene appoggiate ai cassetti ai lati del forno; ansimavano, ridevano e tossivano, coperti di un disomogeneo strato di farina su tutto il corpo, che chissà se avesse invaso anche i polmoni, ma non riuscivano a non sentirsi assurdamente allegri.
«Però ho vinto io.» ridacchiò Black Star, attraverso il fiatone nella sua voce, puntando il dito sulla guancia di Kid. Il corvino gliela spinse via con un leggero schiaffo, sogghignando scherzosamente. «Non ci sperare.»
Si sollevò in piedi, porgendo la mano all’altro. «Ora datti da fare, che grazie alla tua strepitosa idea abbiamo il doppio del lavoro da fare.»
Quello gettò il mento all’insù, con un verso lamentoso, ma si lasciò tirare da Kid e si apprestò a prendere la scopa; gettò uno sguardo al timer, e seppe che anche il compagno stava facendo lo stesso – cinque minuti e avrebbero potuto anche gustare il prodotto di quell’assurdo venerdì pomeriggio.

 
angolino dell'autrice ||
E chi è l'idiota che pubblica alle undici e mezza di sera? Io, ovviamente!
Sì, questo è il primo vero capitolo; non è particolarmente intenso, ma, di nuovo, è fatto apposta. Sto cercando di muovere la storia in modo graduale, quindi per un po' accontentatevi di non avere novità troppo grandi.
Questo è stato divertente da scrivere, ammetto. E sì, la mia intenzione era di pubblicare ogni venerdì, ma sapete com'è, se non ce l'avessi sul collo dimenticherei pure la testa. 
Boh, la lascio qui. Per il momento ancora nessuna recensione, ma ricordate che se avete anche solo letto i capitoli mi fa piacere! E che avere opinioni di qualunque tipo è sempre bello per me, ahah!
Alla prossima, un bacio!

_choco
   
 
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