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Autore: Minako_    04/05/2020    7 recensioni
Sonoko, fra il frastornato e il dubbioso, la guardò mentre lanciava occhiate nervose alla porta, per poi veder far capolino sul suo viso un rossore incontrollabile. La biondina si girò e vide Shinichi sulla porta, entrare a testa bassa e dirigersi senza guardarla al suo posto. Esausta, alzò gli occhi al cielo, prendendo posto anch’essa.

Io non li capirò mai.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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WITHOUT WORDS.
incubi.
 

Shinichi.
Shinichi aprì gli occhi, perdendosi in quelli blu a poca distanza dal suo viso. Sorrise, mentre Ran ricambiava il suo sguardo con dolcezza. Sentiva le sue mani sulla sua schiena, mentre lo accarezzavano con movimenti circolari. Quel contatto gli creava un piacevole calore in tutto il corpo, e chiuse gli occhi per goderselo appieno.
Sospirò.
Desiderava ardentemente che quell’istante non finisse mai, così prese tempo e gettò il viso nell’incavo del suo collo. Avvertì quel suo familiare profumo di vaniglia farsi largo prepotentemente nelle sue narici, e ne respirò fino ad esserne assuefatto. Lasciò che i suoi capelli gli solleticassero il naso, e sorrise leggermente quando gli fecero il solletico sulla mascella.
Pensò davvero di poter rimanere così in eterno, contro quel corpo che si delineava perfettamente con il suo, finché qualcosa non iniziò a infastidirlo.
Non seppe dirsi subito cosa, ma piano piano quel dolce profumo di vaniglia sfumò, per essere sostituito da qualcosa di più forte e decisamente meno piacevole.
Un nauseante aroma di sangue lo lasciò raggelato, e di scatto di allontanò da Ran. Fece leva sulle sue braccia, per rivolgere la sua attenzione alla ragazza sdraiata sotto di lui.
Fu lì che si accorse da dove provenisse quell’odore: la sua pancia era ormai un’unica chiazza vermiglia, che si stava spargendo velocemente ovunque, perfino su di lui.
Il panico lo immobilizzò, finché si rese conto di non essere più sopra un letto, ma bensì contro un gelido cemento scuro. Cercò di focalizzare la scena per capire cosa stesse accadendo, ma quando riportò la sua attenzione su Ran, vide il suo corpo contrarsi e alcuni gemiti uscirle di bocca. Pensò di non aver mai sentito nulla di più spaventoso in vita sua, perciò d’istinto le prese la testa e provò a tirarla su. Quest’ultima iniziò a tossire sangue, mentre cercava di portarsi le mani alla pancia.
Il suo cervello ormai non ragionava più e, tremante, capì le sue intenzioni. Con una mano, le alzò le maglietta che indossava, quella stessa maglia che poco prima le aveva dato lui per coprirsi, e spinse con tutte le sue forza la mano contro quel maledetto foro, da cui zampillava incessantemente sangue.
Doveva fermare quell’emorragia, altrimenti sarebbe morta dissanguata. Sentiva il cuore nel petto battere così forte che pensò stesse per esplodere, mentre gli occhi iniziavano ad essere appannati. Benché premesse forte, il sangue continuava a fuoriuscire, rendendo la sua mano troppo scivolosa.
Provò a parlare, per cercare aiuto, ma gli morirono le parole in bocca. Emise solo alcuni lamenti, prima di sentire un’orrenda risata dietro di lui. Lentamente si voltò, una mano a tenere la testa di Ran e l’altra ancora sulla sua pancia. Gin lo sovrastò con un ghigno che gli raggelò l’anima, e lo lasciò rintontito.
« Sai », iniziò divertito, girando intorno a loro due, riversi a terra.
« Avevo conservato questo proiettile per te. Ma vederti coperto del sangue della tua ragazza, è decisamente più divertente ».
Provò a non ascoltarlo, scuotendo la testa energicamente. Intanto, fra le sue braccia, Ran cominciò a contrarsi colta da spasmi di dolore, continuando a sputare sangue…

«NO! ».
Shinichi balzò a sedere sul letto, urlando.
Quando si accorse di essere nella sua camera da letto, emise un gemito. Si portò una mano alla fronte, e la trovò bagnata di sudore. Con un calcio, fece in là le coperte e, sbandando, si diresse verso il bagno. Sentiva il suo cuore battere incessantemente nel suo petto, e per poco non gli sembrò la stessa sensazione di quando si trasformava. Ma non iniziò a sentire quello stesso dolore, né avvertì le ossa sciogliersi. Semplicemente, era nel più totale panico.
Si appoggiò frustrato sul lavandino davanti a lui ma, quando chiuse gli occhi per sciacquarsi il viso, l’immagine di Ran coperta di sangue tornò bruscamente a volteggiare nella sua testa. Gli parve quasi di avere nelle narici di nuovo quell’odore così, prima che potesse rendersene conto, si accasciò sul water lì accanto e iniziò a vomitare. Gli spasmi del suo stomaco terminarono dopo poco così, con le ultime forze rimaste, alzò una mano e tirò la corda. Con un ulteriore lamento, si afflosciò seduto lì a fianco, appoggiando la testa alle ginocchia. Avvertì un brivido lungo la schiena quando la appoggiò alle piastrelle fredde, e si accorse solo in quel momento di star tremando.
Spesso si era fermato a pensare a cosa sarebbe successo se non fosse arrivato in tempo per pararsi di fronte a Ran. Nell’esatto momento in cui l’aveva afferrata per le spalle, aveva realmente pensato di non aver corso abbastanza. Ma quando aveva avvertito un dolore lancinante alla schiena, e aveva visto Ran integra sotto il suo peso, si era sentito sollevato come mai prima.
Eppure… il pensiero che lui potesse realmente arrivare troppo tardi, l’aveva spesso tormentato, perfino nei suoi continui, agitati sonni.
Si stropicciò gli occhi, e a tentoni si mise in piedi. Accese la luce e iniziò a lavarsi i denti con foga, evitando accuratamente di chiudere nuovamente gli occhi. Lentamente tornò indietro e si ributtò nel letto, cercando di prendere fiato. L’agitazione non l’aveva ancora abbandonato, mentre affondava col viso nel cuscino. Si sentì irrimediabilmente solo, di nuovo in quella casa così grande e silenziosa.
E pensare che ieri sera…
Arrossì di colpo, mentre sgranava gli occhi contro il cuscino. Si mise a pancia in su, ed emise un lungo sospiro. Mai come in quel momento, avrebbe voluto Ran al suo fianco. Pensandoci, quelle due volte in cui aveva dormito con lei, nessun incubo l’aveva mai colto. Accanto a lei, ogni paura svaniva. Deglutendo, cercò di calmarsi nuovamente, e sperò con tutto il suo cuore di non rivedere quelle orrende immagini davanti agli occhi. Rimase sdraiato in silenzio per un bel po’, senza realmente dormire.

Quando, infine, quella mattina il suo telefono cominciò a suonare, e vide sullo schermo il nome dell’ispettore Megure, sbuffò sonoramente. Avrebbe volentieri fatto finta di niente, per il semplice motivo che quella notte aveva dormito si e no tre ore. Ogni qualvolta chiudesse gli occhi, gli tornava in mente Ran e ciò che era accaduto due sere prima, oppure si ritrovava a sognare nuovamente Gin e quella maledetta pistola. Quando, infine, si era appisolato,erano le quattro di notte.
Per questo motivo fece finta di niente alla prima chiamata, ma quando questa smise e ne partì un’altra non potè più fare finta di niente. Si mise a sedere irritato, notando che fossero le sette, e rispose al telefono.
« Kudo-kun, ti ho svegliato? ».
« Ispettore Megure », cercò di nascondere uno sbadiglio. « No, mi dica pure ».
« Riusciresti a venire a Shibuya? C’è stato un doppio omicidio in un appartamento stanotte ».
Shinichi quasì si stupì quando, invece di provare il solito entusiasmo, avvertì una strana sensazione di seccatura
Un caso.
E lui era infastidito?
«Certo, mi dia il tempo di prepararmi e sarò da lei ».
Dopo essersi salutati, posò il telefono sul comodino e si alzò con un sospiro profondo. Si trascinò in bagno, e si buttò senza pensarci troppo sotto la doccia.
Ma che ti prende?
A quella domanda mentale, trovò la risposta da solo, ma non volle ripeterla troppo nella testa. La verità era che sapeva bene perché non avesse tutta questa voglia di saltare la scuola per presentarsi in un caso, e il motivo era principalmente uno: Ran.
Quello sarebbe stato il primo giorno in cui l’avrebbe affrontata dopo ciò che era accaduto quel sabato, e aveva rimuginato per ore su cosa avrebbe dovuto dirle, o su come comportarsi. Aveva realmente desiderato vederla solo per appurare che le cose fossero come al solito, e che avrebbero potuto continuare a comportarsi come sempre. Perciò, quando questa sua idea sfumò, si sentì irrimediabilmente frustrato. Con uno sbuffo, diresse il getto d’acqua direttamente sul suo viso, cercando di scacciare via quella sensazione di fastidio.
Stai esagerando.
Si ripetè più di una volta, anche quando tornò in camera per cambiarsi. Avevano affrontato così tanti discorsi spinosi con lei, che ormai sarebbe dovuto essere abituato. Evidentemente non era così, e lei riusciva sempre a farlo sentire fin troppo insicuro. Nervoso, aprì l’armadio e si infilò i primi vestiti che trovò senza farci troppo caso, per poi iniziare a fissare teso il telefono.
Dovrei dirglielo.
Si, avrebbe dovuto avvisarla. Non sarebbe andato a scuola quel giorno, e probabilmente lei lo stava aspettando per fare colazione insieme.
Al pensiero di presentarsi alla sua porta, avvampò.
Forse dopo ciò che è successo non pensa che mi presenti così a casa sua.
Si morse un labbro.
O forse sì?
Titubante prese il telefono in mano, e le scrisse un messaggio.
Oggi non vengo a scuola, Megure mi ha chiamato per un caso. Ci vediamo domani.
Informale, semplice, senza pretese. Andava dritto al punto.
Forse troppo?
Sbuffò, passandosi una mano fra i capelli ancora umidi. Quanto odiava quei fastidiosi “giorni dopo”.
Era la cosa in assoluto che detestava maggiormente, come quando l’aveva vista in classe il giorno dopo ciò che era successo in agenzia. Si impose di trascinarsi al piano di sotto per prepararsi un caffè, ne aveva decisamente bisogno.
Ormai era la prassi negli ultimi mesi fare spesso degli incubi che, sgradevolmente, lo trascinavano fuori dal letto fino a quando non si parava di fronte alla porta di Ran. Solitamente, infatti, bastava far capolino nella sua cucina e fare colazione con lei, e tutti quei brutti pensieri venivano spazzati via abbastanza in fretta. La vedeva lì, accanto a lui, e scioccamente si sentiva sollevato al pensiero che stesse bene. Perciò sapere che quel giorno non l’avrebbe vista, e l’ultima immagine impressa nella sua testa fosse lei sanguinante fra le sue braccia, non l’aiutarono affatto. Quando provò a prepararsi del pane tostato, gli ritornò prepotentemente la nausea, quindi lasciò perdere.
Ad aggravare, se possibile, ulteriormente la situazione era che se non pensava a lei in quelle condizioni, la pensava in un altro frangente.
Nuda, sotto di lui, mentre si aggrappava spasmodicamente alle sue spalle.
Shinichi…
A quel pensiero e con la sua voce ansimante nella testa, gli andò di traverso il caffè. Cominciò a sputacchiare, mentre cercava di controllare la sua improvvisa tosse. Sentì le guance imporporarsi di colpo.
Bene.
Sarebbe stata una giornata favolosa.

Quando Shinichi arrivò sul luogo del delitto, erano ormai le otto e mezza. Ran gli aveva risposta al messaggio con un timido “ok” e un “fa attenzione” che gli fecero spuntare un sorriso. Ma quando si mise a indagare, cercò di accantonare il pensiero di Ran in un angolino del cervello.
« Le vittime si chiamavano Akihiro Abe e Yosuke Inoe, avevano entrambi ventidue anni, e- ».
Shinichi ascoltò annoiato l’ispettore Megure mentre gli spiegava per filo e per segno la vita dei due poveri malcapitati.
Con un sospiro si infilò i guanti bianchi, e si avvicinò a loro. Sentiva ancora in lontananza la voce di Megure, e provò ad assimilare le sue informazioni.
Mi fido di te.
Di scatto di girò, come scosso da una scarica elettrica. Alcuni uomini della scientifica lo fissarono un po’ attoniti, scambiandosi un’occhiata confusa.
« Tutto bene, Kudo-kun? », domandò uno di questi. Shinichi si riscosse dai suoi pensieri, e lo guardò un po’ sorpreso.
« Sì, sì, scusate », rise nervoso.
Non avrei mai voluto qualcun’altro.
Scacciò via la voce di Ran nella sua testa, ma nell’esatto momento in cui ci provò gli tornò davanti agli occhi il momento in cui lei aveva pronunciato quelle parole.
A quel ricordo, sentì una vampata di calore travolgerlo, e le guance imporporarsi.
Si ricordò che a quelle dichiarazione avrebbe tanto voluto risponderle la stessa cosa, cioè che non avrebbe mai voluto nessun’altra se non lei. Ma quando aveva aperto la bocca per dirglielo, non era stato capace di emettere alcun suono, la mente vuota e il suo corpo che non rispondeva più.
Ancora pensieroso, non si accorse dei suoi due colleghi che lo guardarono ancora un po’ dubbiosi, mentre l’ispettore Megure continuava il suo sproloquio sulle due vittime ai loro piedi.
Shinichi scosse la testa convinto, per cominciare a cercare in giro qualche dettaglio che potesse aiutarlo a capire cosa fosse successo.
Ma più vagabondava per quella stanza, più si accorse di non star realmente riuscendo a concentrarsi. E, in piedi e pensieroso, si rese conto di un fatto che lo lasciò senza parole.
Non era per niente preso da quel caso. Nessun entusiasmo, nessuna curiosità nel risolvere la situazione.
Niente.
Mentre i flash che continuavano ad apparirgli davanti agli occhi… quelli dannazione, sì che smuovevano ogni fibra del suo corpo!
E si rese finalmente conto che l’eccitazione che provava durante un caso difficile gli parve quasi nulla in confronto a ciò che aveva provato con lei quella notte.
Deglutì a disagio, quando si accorse che tutti lo stavano fissando. Fece finta di niente, allontanandosi un po’ dai presenti, facendo finta di cercare qualcosa che non seppe nemmeno lui. Fu lì che ripensò più intensamente a quel sabato notte, a come aveva cercato in ogni modo di metterla a suo agio, senza far trapelare troppo quanto in verità lui non lo fosse per niente.
Gli veniva quasi da ridere, al pensiero di come aveva voluto apparire sicuro di sé, ma in realtà era nel panico più totale. Si ricordava di aver iniziato ad avere dei blackout nell’esatto momento in cui i loro vestiti erano finiti a terra, perché non si ricordava davvero come fosse successo. Tuttavia era riuscito in un certo senso a dosare ogni gesto e movimento, ogni volta guardandola alla ricerca di un qualche segnale che accertasse che stava facendo le cose giuste. E ogni qualvolta aveva posato gli occhi su di lei, e l’aveva vista con gli occhi chiusi e le gote arrossate, le labbra dischiuse a sospirare, il suo cuore aveva saltato un battito dalla felicità.
Aveva cercato in tutti i modi di essere premuroso, anche quando l’aveva sentita irrigidirsi sotto di lui. Era stato davvero difficile mantenere la lucidità in quell’esatto momento, poiché la sensazione che lo travolse lo lasciò senza fiato e gli annebbiò la mente.
Pensa a lei.
E ci aveva pensato, cercando di riprendere controllo del proprio corpo, rimanendo fermo esattamente dove si trovava. L’aveva vista fare una smorfia, e con calma aveva aspettato che passasse, anche se per un istante aveva perfino pensato di togliersi. Si sentiva così tremendamente responsabile per ciò che stava sentendo ma, come sempre, lei pareva avergli letto nella mente. Lo aveva incatenato con quello sguardo fiducioso, e lui aveva resistito. Dopo un tempo che gli era parso infinito, lei gli aveva fatto capire che stava meglio, e in quel momento si rese conto nuovamente di avere un vuoto di memoria. Non seppe ricordarsi, infine, quando e come avesse iniziato a muoversi piano su di lei.
« Kudo-kun? ».
La voce dell’ispettore Megure lo fece sobbalzare, come se colto con le mani nella marmellata. Arrossì e lo guardò con un sorriso che, si rese conto, appariva abbastanza maldestro.
« Stai bene? », gli chiese perplesso. « Mi sembri un po’ distratto ».
« Ma no, che dice », rise lui nervoso. « Sto solo ragionando ».
Megure lo guardò ancora per niente convinto, ma quando stette per parlare, qualcuno lo interruppe.
« Eccomi! Sono arrivato il prima possibile, ispettore! ».
Shinichi serrò gli occhi, mordendosi un labbro e stringendo le nocche lungo i fianchi.
Ti prego, no.
No, no, no, no, NO!

« Oh, Kogoro, eccoti ».
Merda.
« Kogoro », lo salutò con un sorriso incerto Shinichi, mentre quest’ultimo gli lanciava un’occhiata di fuoco, per poi rivolgersi all’ispettore chiedendo informazioni. Shinichi si obbligò ad ascoltare, questa volta, e finalmente capì perlomeno la dinamica dell’omicidio. Pareva essere stato causato da un’arma contundente, che però non era stata ritrovata sulla scena del crimine.
« Voi due, collaborate e cercate di scoprire qualcosa », sentenziò infine Megure, rispondendo al telefono che gli stava suonando incessantemente da qualche minuto.
Fu così che lasciò Shinichi in balia di Kogoro, che si voltò malvolentieri verso di lui.
« Non vedevo l’ora », borbottò l’uomo, fissando di sbieco Shinichi.
Quest’ultimo, al solo pensiero di cosa avesse fatto con sua figlia appena due giorni prima, si sentì, se possibile, ancora peggio.
Alternava flash di Ran totalmente in balia di lui, arrossata, con gli occhi chiusi e il corpo premuto sul suo, al viso di Kogoro che lo guardava di tralice.
Si sarebbe prospettata davvero una lunga, lunga giornata.

Persuaso dal fatto che prima avesse risolto quel caso, prima sarebbe riuscito a svignarsela, si impose di concentrarsi. Riuscì così a definire alcuni aspetti della vicenda, e stava giusto per andare alla ricerca di una quale prova che avrebbe potuto avvalorare la sua tesi, quando avvertì un brivido percorrergli la schiena.
« Senti un po’, tu ».
Si morse un labbro, mentre si voltava lentamente verso il proprietario di quella voce.
Dopo tutto quel tempo passato con lui, straordinariamente si era accorto di essersi abbastanza legato a quell’uomo. Gli dava fastidio ammetterlo, certamente, ma era la realtà. E, quando non era troppo impegnato a fare il cretino dietro qualche donna particolarmente seducente, risultava essere perfino perspicace, oltre che di buon cuore. Peccato che questo stesso affetto non lo provasse allo stesso modo Kogoro per lui.
Da quando era tornato, e Ran gli aveva finalmente rivelato come stessero le cose fra loro, Kogoro non gli aveva mai realmente rivolto parola. Ogni qualvolta se lo ritrovasse in casa, che fosse per fare i compiti con Ran o perché ci capitasse per altri, innocenti, motivi, lo raggelava con uno sguardo che sottintendeva molte cose, tra cui la più esplicativa: non sono felice che tu stia con lei.
Era chiaro come il sole, e per quanto si sforzasse, lui non aveva ancora cambiato idea sul suo conto. A maggior ragione, dopo che spesso gli aveva rubato dei casi sotto il naso. Per fortuna di entrambi, Megure gli aveva proposto di tornare a collaborare come poliziotto saltuariamente, e così facendo riusciva ad arrotondare e coprire le spese di quello che, ormai, era un’agenzia investigativa che da un giorno all’altro aveva smesso di funzionare così bene. Quando Ran aveva saputo della proposta dell’ispettore Megure, aveva praticamente implorato il padre di accettare. Sapeva ormai bene chi ci fosse stato dietro al suo successo, e immaginarlo improvvisamente senza lavoro e perennemente ubriaco a quella scrivania, l’aveva fatta precipitare nella preoccupazione. E così, sotto la richiesta insistente di sua figlia, Kogoro aveva accettato, seppur controvoglia.
Shinichi fu presto riportato alla realtà, quando Kogoro riprese parola con un colpo di tosse.
« Vorrei mettere in chiaro due cosette con te, visto che ora abbiamo l’occasione », gesticolò minaccioso.
Sapevi che sarebbe successo, prima o poi.
Shinichi fece una smorfia di assenso, mentre si posizionava di fronte a lui con le mani nelle tasche. Aveva aspettato che gli ultimi rilevamenti della scientifica fossero conclusi, e aveva preso parola nell’esatto momento in cui erano rimasti soli.
« Per prima cosa », iniziò Kogoro, ergendosi sopra di lui. « Tu non mi piaci ».
Shinichi sarebbe voluto scoppiare a ridere, ma evitò di far apparire alcun sorriso sul suo viso. Sicuramente, lui non l’avrebbe presa bene.
« Ne sono consapevole », disse solo, con un’espressione neutrale.
« Secondo », fece finta di non averlo sentito. « Non posso impedire a mia figlia di stare con te, purtroppo. Ma ricordati bene le mie parole:  se osi trascinarla di nuovo in un qualche tuo guaio solo perché non sai farti i fatti tuoi », stava praticamente sputacchiando dal nervoso crescente. « Se osi anche solo farla soffrire, in qualsiasi modo, non starò più zitto, e non la rivedrai mai più ».
Shinichi si era aspettato un discorso del genere, ma non pensava davvero che Kogoro potesse riservargli un discorso tanto penetrante. Al sentire quelle parole, il suo stomaco si contrasse dal senso di colpa che per così tanto tempo lo aveva attanagliato. La voglia di ridere in quel momento scomparse del tutto, e mandò giù un boccone amaro.
L’immagine di Ran abbracciata a lui svanì velocemente, per lasciar spazio a quella di Gin, mentre le rivolgeva la sua pistola.
Abbassò la testa, ferito nel profondo.
« Prima te ne vai, lasciandola per mesi e fregandotene di lei », continuò imperterrito Kogoro, non riuscendo più a trattenersi. « Poi torni, e per poco non me l’ammazzano. E no, non ti ringrazierò per averla protetta, perché loro volevano te, e non lei ».
Un ennesimo colpo, e Shinichi sentì nuovamente la voglia di vomitare. Non riusciva davvero a replicare, per il semplice fatto che ogni dannata parola che dicesse fosse fondamentalmente vera.
« Quindi giocati bene questa possibilità », ricominciò l’uomo, cercando di tornare a dosare le parole. La vista del ragazzo inerte davanti a lui, lo aveva un po’ turbato. Aveva l’espressione più sofferente che avesse mai visto, ma si impose di non intenerirsi.
« Perché è l’ultima che avrai ».
Kogoro concluse il discorso puntandogli un dito minaccioso contro, e si sentì particolarmente potente. Lo aveva fatto decisamente intimidire, e ne fu orgoglioso.
Shinichi prese un sospiro profondo, per poi alzare il volto su di lui.
« Hai ragione, su tutto », iniziò con voce roca, facendogli sgranare gli occhi. « Non posso davvero darti torto, quindi mi limiterò a chiederti scusa, e dire che non la deluderò ancora ».
« So che non mi credi, ma sono sincero quando dico che tengo davvero a lei ».
Fu il turno di Kogoro di rimanere ammutolito, mentre Shinichi sfoderava lo sguardo più penetrante che riuscisse a fare.
Scese un silenzio incerto, mentre l’uomo pensava velocemente come ribattere.
Il ragazzino è furbo.
Kogoro lo aveva pensato molte volte, in quegli ultimi mesi. Non poteva negare a sé stesso di aver sentito ogni fibra del suo essere contrarsi quando lo aveva sentito urlare il nome di sua figlia, con una voce così cavernosa e grottesca che gli si era girato lo stomaco. Si era voltato appena in tempo per vederlo correre verso la sua Ran, per poi essere colpito da quel proiettile e cadere a terra riverso nel suo stesso sangue. Era stata una scena che spesso gli tornava in mente, e ogni qualvolta un brivido gli percorreva la schiena. Aveva realmente pensato che fosse morto, quando Ran si era accasciata su di lui e lo aveva girato su se stesso. Pareva così immobile e i suoi occhi così spenti, che il suo cuore smise di battere per un istante.
In quel momento, e quell’uomo vestito di nero ancora con in mano la pistola, non seppe come si ritrovò anch’esso a puntargliene una contro.
E sparò.
Sparò contro colui che aveva provato a uccidere sua figlia, e probabilmente lo sorprese perché quando la pallottola lo colpi in pieno petto, lo fissò stralunato.
Kogoro vide cadere a terra Gin con un tonfo sordo, ma non se ne preoccupò. Non avvertì nessuna fonte di rincrescimento per averlo probabilmente ucciso, non riuscì a provare pena per lui. Sentì solo al suo fianco Eri afferrarlo per un braccio, ancorandosi a lui.
Talvolta, la dinamica degli avvenimenti di quei giorni lo lasciavano ancora frastornato. Solo quando erano usciti da lì Megure gli aveva spiegato la situazione, e di come fossero rinchiusi in quel capannone da quattro, lunghi giorni. Questo spiegava perché Eri fosse accorsa trafelata lì, e di come fossero presenti perfino Yukiko, Yusaku e perfino quel detective di Osaka.
Era tutto ancora molto confuso nella sua testa, e taluni particolari non gli tornavano nemmeno molto a dirla tutta. Un altro fatto che gli ronzò in testa per parecchio tempo, fu Conan.
L’ultima volta che l’aveva visto, quell’uomo vestito di nero l’aveva trascinato per i capelli fuori dalla stanza dove erano stati rinchiuso. Quando, infine, aveva chiesto di lui all’ispettore Megure, era balzato su un certo tizio dell’FBI e gli aveva spiegato che i suoi genitori erano corsi dall’America per portarlo via da lì, preferendo che venisse ricoverato in una clinica privata dove abitavano. A sentir lui, lo avevano estratto da una stanza prima di soccorrere loro, e dopo aver notato alcuni traumi di media intensità avevano preferito lasciare il Giappone in fretta e furia.
Ecco un altro fatto in quella faccenda che, anche a distanza di mesi, non lo convinceva molto.
Ma era così grato che fosse fondamentalmente finita bene, che sorvolò certi dettagli. Anche perché, pur ragionandoci, non riuscì mai a dare a tutte le sue domande le dovute risposte.
Il succo di quella brutta faccenda, era che quel ragazzino si era cacciato in affari pericolosi, e aveva trascinato tutti con sé. Aveva sperato che sua figlia si rendesse conto del grave rischio a cui l’aveva sottoposta, ma con suo enorme rammarico, questo non accadde.
Quando uscì dall’ospedale e si ristabilì completamente, li trovò così sfacciatamente appiccicosi che gli venne il voltastomaco. Il fine settimana si era ormai abituato a trascorrerlo da solo, perché erano i giorni in cui Ran solitamente si preparava, usciva presto e tornava la sera tardi.
Cosa diavolo facessero, poi, era meglio non pensarci, se non voleva avvertire una rabbia prepotente alla base dello stomaco. Aveva provato a domandare, certo, ma la risposta era sempre la stessa e perfino scocciata.
Niente di che, papà.
Che poi quella frase buttata lì mentre scappava fuori dal portone, avesse potuto sottintendere un miliardo di cose, era un altro conto. E concluso il week-end, la settimana non era certo meglio.
Ogni qualvolta tornasse a casa la sera dal dipartimento di polizia e notasse le sue scarpe all’entrata, il nervosismo lo assaliva così in fretta che percorreva a grandi falcate la distanza fra l’ingresso e la camera di Ran.
Solitamente la apriva così bruscamente e improvvisamente, che sperò più di una volta di sorprenderli in atteggiamenti spudorati. Se solo lo avesse beccato ad allungare le mani, avrebbe avuto un valido motivo per prenderlo a calci in culo. Ma quel ragazzino era furbo, troppo per i suoi gusti. Dovevano sentirlo entrare probabilmente, perché non li colse mai a fare qualcosa di strano. Erano sempre a quella dannata scrivania, o spesso lui era sdraiato sul suo letto a leggere un libro mentre lei finiva i compiti. Generalmente lo guardavano con sguardo innocente, ma lui avrebbe giurato più di una volta di sentire delle risate soffocate ogni qualvolta uscisse da lì.
Arrivò perfino a sperare vivamente che litigassero. Quante volte, quando erano ancora ragazzini, aveva visto una Ran innervata oltrepassare la porta di casa borbottando qualcosa contro di lui. Tuttavia, presto capì che erano ormai tempi andati.
In quei mesi non una volta Ran era tornata a casa nervosa, infelice, lamentandosi di lui.
Mai.
Si ritrovò a odiarlo, se possibile, ancora di più. Così facendo la stava completamente raggirando, e lei ci stava cascando.
Alla fine, totalmente snervato di non potersi avvalere di un valido motivo per attaccarlo, aveva provato a farla ragionare, a dirle che lui non era davvero il tipo per lei. Le aveva parlato chiaro, senza giri di parole, mentre lei lo fissava con uno strano color purpureo far capolino sulle sue guance.
Sono felice con lui, papà.
Gli erano cadute le braccia a terra, e si era irrimediabilmente zittito. Aveva provato il tutto per tutto, ma gli era andata male. Fu così che iniziò a soffocare i suoi mugugni ogni qualvolta lo vedesse, solo ed esclusivamente per non litigare con sua figlia. Non avrebbe sopportato davvero l’idea di perdere anche lei.
Ancora con nella mente lo sguardo inferocito di Ran che lo ascoltava sproloquiare contro quel ragazzino, sbuffò sonoramente, e fece per andarsene. Ma proprio quando Shinichi provò a riprendere a respirare regolarmente, Kogoro si voltò come colto da un pensiero improvviso.
« Un’ultima cosa ».
Shinichi indietreggiò, sotto il suo dito puntato e lo sguardo che emanava fuoco.
« Solo perché uscite insieme, non vuol dire che tu sia libero di fare ciò che vuoi ».
Shinichi alzò un sopracciglio, mentre notava il disagio crescente nell’uomo davanti a lui. Ben presto capì a cosa stesse alludendo, e per un momento ebbe il desiderio irrefrenabile di tapparsi le orecchie e correre via. Tuttavia, non fece in tempo che Kogoro riprese parola.
« Non osare neanche pensare di poterla sfiorare », sottolineò infine, e Shinichi potè notare come le sue labbra stessero tremando. « E’ ancora una bambina, sono stato chiaro? ».
Shinichi sperò ardentemente di non arrossire, o far trapelare sul suo viso una qualche espressione colpevole. Rimase immobile, gli occhi sgranati e, sentendosi quasi in colpa, annuì lievemente.
Lui benché rosso dall’imbarazzo per l’argomento appena trattato, parve soddisfatto, mentre si allontanava borbottando qualcosa di incomprensibile. Lasciò Shinichi solo, accaldato e inerte, immobile sul posto. Avvertì un mal di testa crescente, che per tutto il resto del giorno non lo aiutò per niente a concentrarsi.

Quello fu senza dubbio uno dei pomeriggi più lunghi che avesse mai vissuto. Si era imposto con tutte le sue forze di concentrarsi su quel dannato caso, ma certamente avere al suo fianco un Kogoro indisponente non l’aveva aiutato. In più quel suo mal di testa lo stava logorando, e quando fu pomeriggio si rese conto di non mangiare dalla sera prima, e di aver addirittura vomitato quella mattina. Si sentiva stanco, frustrato, così alla fine disse all’ispettore Megure che sarebbe tornato il giorno dopo. Lui acconsentì un po’ stupito, ma Shinichi non volle farci troppo caso. Acchiappò distrattamente la sua giacca e, con un cenno ai presenti, si allontanò.
Quando arrivò di fronte a casa sua, era ormai calata la sera. Guardò scocciato l’enorme villa davanti a sé, e pensò che non avesse realmente voglia di entrarvi. Fiducioso che Agasa avrebbe avuto una buona medicina per il mal di testa, fece qualche passo avanti e suonò alla sua porta.
Attese ben poco, prima di veder affacciarsi qualcuno che lo lasciò teneramente sorpreso: Genta.
« E’ quel detective », lo sentì dire a qualcuno alle sue spalle. Sorrise tristemente: una volta lo avrebbero accolto con entusiasmo. Ma quella pareva ormai un’altra vita.
Agasa apparve infine sull’uscio della porta e, con un sorriso, gli aprì il cancello. Shinichi entrò e si chiuse alle spalle quest’ultimo, per poi avanzare a grandi passi.
Con un sorriso, salutò ormai l’intero gruppetto nell’atrio di casa, che rispose con un’espressione intimidita.
Era sempre stato così, fin da quando era tornato adulto.
Ayumi, Genta e Mitsuhiko non sapevano di lui, e mai avrebbero dovuto saperlo. Perciò erano finiti i tempi in cui stava con loro, e, anche se gli scocciava ammetterlo, un po’ gli mancavano.
Fin da bambino, la sua unica, reale amica era sempre stata Ran. Non aveva mai avuto un gruppo di amici del genere, perfino ora che era adulto. Perciò talvolta si ritrovava a pensare a quei tre, e una fitta di malinconia lo punzecchiava.
« Shinichi », lo riportò alla realtà Agasa. « Tutto bene? ».
« Sì, scusatemi », disse entrando in casa e adocchiando Ai ancora seduta al tavolo. Li aveva interrotti durante la cena.
« Mi chiedevo se avesse qualcosa per il mal di testa », domandò, mentre il gruppetto tornava a sedersi vicino alla loro amichetta.
« Ma certo, aspettami qui », disse Agasa con un sorriso comprensivo, e Shinichi lo vide sparire in corridoio.
Si voltò quindi verso i suoi vecchi amici, ancora intenti a fissarlo incuriositi. Quando loro notarono che li stava guardando con un sorrisetto, sobbalzarono come imbarazzati, e diedero tutti contemporaneamente l’attenzione al piatto che avevano davanti. Solo Ai continuò a guardarlo, con espressione tranquilla.
« Di ritorno da un caso? », domandò quasi annoiata, addentando del pane.
Al suono di quelle parole, gli altri tre mollarono tutto ciò che stavano facendo per riguardarlo con ammirazione crescente, e perfino un pizzico di curiosità. A vederli così interessati, a Shinichi tornarono in mente tantissimi ricordi.
« Sì, anche se oggi non ero al mio meglio », ammise con un’alzata di spalle, avvicinandosi a loro.
« Come mai? », domandò Mitsuhiko, non riuscendo più a trattenere la sua crescente curiosità.
« Non mi sento molto bene », sospirò Shinichi, appoggiando allo schienale della sua sedia.
« Hai l’influenza? », domandò timidamente Ayumi, rigirandosi nervosamente le bacchette fra le sue mani.
« Ma no, sta tranquilla », Shinichi fece una risata rassicurante. « Dopo aver preso la medicina, e aver cenato, starò sicuramente meglio ».
Shinichi non si rese realmente conto di cosa avesse provocato la sua risata in Ayumi. Ma quest’ultima arrossì violentemente, e lo fissò come imbambolata.
Era veramente carino. Era appoggiato mollemente allo schienale della sedia di Mitsuhiko, esattamente davanti a lei, e si dondolava sulle gambe. Aveva un viso rilassato, mentre gli rivolgeva uno sguardo dolce. Per un attimo, le apparve davanti il viso di Conan.
Abbassò velocemente lo sguardo, improvvisamente nervosa.
« Cosa mangi stasera? », domandò Genta, addentando il suo salmone.
« Bella domanda », borbottò Shinichi, grattandosi la testa. In verità, il suo frigorifero era abbastanza scarno da giorni.
« Mangia qui con noi! », esclamò velocemente Ayumi,  stupendo tutti. Shinichi sbattè più volte le palpebre, e si voltò automaticamente verso Ai. Non sapeva bene se accettare o meno, in realtà gli pareva una situazione abbastanza strana.
Non mangiava con loro che quello che gli pareva un secolo.
Alla ricerca di una qualche risposta nel viso di Ai, questa fece un sorriso leggero.
« Direi che ce n’è abbastanza per tutti », mormorò fissandolo come a volergli suggerire la risposta corretta.
« Eccoti la medicina ».
Agasa li fece voltare tutti, mentre tornava indietro con una scatola in mano.
« Tanto rimane qui a cena », disse Ai mentre con un saltello scendeva dalla sedia, e si dirigeva verso il lavabo per prendere un altro piatto e delle posate.
« Faccio io, non preoccuparti », balzò al suo fianco Shinichi, per prendere tutto al suo posto. Lei rimase un attimo interdetta dalla sua improvvisa vicinanza, ma cercò di non farci troppo caso. Tornò al suo posto silenziosamente, mentre Agasa annuiva entusiasta.
« Tieni, prendi un po’ di polpette », Ayumi si sporse entusiasta verso di lui nell’esatto momento in cui si sedette al suo fianco.
Genta e Mitsuhiko gli lanciarono un’occhiata un po’ gelosa, mentre riceveva tutte quelle attenzioni dalla sua loro amica. Ma ben presto, la sensazione di stranezza scivolò velocemente lontano da lui, e iniziò a chiacchierare con loro di quel giorno, e di quel nuovo caso. Si sentì totalmente a suo agio, mentre le risate di Genta iniziavano a rimbombare in quella cucina, e le loro chiacchierare lo rilassavano per la prima volta in quel lungo giorno.
Per un attimo, gli parve di essere di nuovo Conan, mentre loro gli rivolgevano il loro spasmodico desiderio di sapere ogni dettaglio di tutti i casi risolti ultimamente da lui. Si sentì perfino meglio quando finalmente mangiò un pasto come si deve, e si dimenticò di tutti i suoi problemi.
Fu così distratto da quella compagnia ritrovata, che quasi non sentì il suo telefono vibrare nella tasca del suo giubbotto.
« Ti ha vibrato il telefono », gli disse Ayumi, sentendo qualcosa alla sua destra.
Shinichi posò le bacchette, per acchiappare il telefono.
Era Ran.
Fece per aprire il suo messaggio, ma subito vide cinque paia di occhi fissarlo incuriositi, rendendolo immediatamente imbarazzato.
« Rispondo dopo », mormorò a disagio, riponendo il telefono nel giubbino. Riprese a chiacchierare tranquillamente con loro del più e del meno, finché non avvertì un leggero tepore avvolgerlo.
Cominciò a sbadigliare sonoramente, portandosi una mano alla bocca.
« Sarai stanco », disse il dottor Agasa, iniziando a sparecchiare.
« E’ che non dormo bene da qualche sera », disse stiracchiandosi sulla sedia.
« Come mai? », domandò innocentemente Genta.
Ran che lo baciava fino a quasi fargli mancare il respiro.
Ran che muoveva il bacino contro il suo.

« Non saprei proprio », bevve un lungo sorso d’acqua per nascondere l’espressione imbarazzata del momento.
Gin, la pistola, Ran coperta di sangue.
« Bene, io andrei », battè una mano sul tavolo, facendo sobbalzare tutti. Cominciava a sudare, quindi pensò bene di uscire prima che i suoi pensieri si potessero leggere in faccia. Sarebbe riuscito a nascondergli a quattro di loro, ma dubitava che una come Ai non decifrasse il suo nervosismo. Dopo avergli ringraziati e aver promesso di mangiare nuovamente con loro un’altra volta, avanzò a grandi falcate verso l’ingresso. Non si accorse che la biondina del gruppo lo aveva seguito silenziosamente, e ora, lontani da orecchie indiscrete, lo guardava con noncuranza mentre si metteva le scarpe.
« Sono stati contenti ».
Shinichi finì di legarsi le scarpe da ginnastica, per poi voltarsi verso Ai.
« Da quando Conan è partito, non avevano più voluto parlare di detective e casi », spiegò infine.
Shinichi la fissò, per poi far nascere un sorriso storto.
« Sono contento anche io di essere rimasto », ammise sincero.
« Dovresti farlo più spesso », replicò Ai, per poi girarsi e tornare dagli altri. Lasciò Shinichi immobile a guardarla, pensieroso. Infine, con un sospiro, uscì e si diresse verso casa sua. Quando ci mise piede, ancora con la testa ai suoi piccoli amici, si ricordò improvvisamente del messaggio di Ran. Velocemente prese il telefono nella tasca, e lesse il suo sms.
Tutto bene? Domani verrai a scuola?
Sorrise tristemente al pensiero di doverle dare una risposta negativa. Quel giorno aveva fatto davvero pochi passi avanti nel caso, per suo enorme rammarico. Dopo aver tentennato un po’, infine le rispose che purtroppo sarebbe mancato anche il giorno dopo. Con un sospiro si trascinò nella sua camera, sperando vivamente di riuscire a dormire almeno qualche ora. Si buttò sul cuscino, cercando di spegnere il cervello almeno per un po’.


« Mi aiuti? ».
Conan alzò lo sguardo dal suo manga, per rivolgere la sua attenzione alla ragazza in piedi davanti a lui. Aveva addosso un delizioso grembiule con i gattini, e in mano teneva un cucchiaio di legno. Sorrise istintivamente.
« Cosa vuoi fare? », domandò stiracchiandosi, mentre Ran avanzava e si sedeva sul bordo del suo letto. Da qualche tempo Conan aveva preso l’abitudine di stare in camera sua, che fosse per leggere un libro o per studiare. Aveva dato il motivo al fatto che spesso camera di suo padre fosse un tale macello, e non aveva contestato questa nuova consuetudine. Non immaginava quanto realmente a Conan facesse piacere stare lì, fra le sue cose e quel prepotente profumo di vaniglia sparso per la stanza. Era da mesi che avrebbe voluto entrarci, ma si era sempre imposto di non farlo. Era, dopotutto, la sua camera da letto, un posto apparentemente privato. Ma da quando stavano insieme ufficialmente, si era giustificato che dopotutto ora era il suo ragazzo, e pensò che non ci fosse nulla di male.
Tecnicamente, sei il suo fratellino.
Aveva scacciato quel pensiero con una smorfia più di una volta, mentre di tanto in tanto lanciava occhiate alla sua scrivania, la foto di lei e Shinichi scattata da Sonoko in gita.
« Dorayaki », disse solamente con tono allegro, interrompendo i suoi pensieri. « E tu devi coordinare il progetto », aggiunse spettinandogli i capelli. Conan sentì il suo cuore fare uno sbuffo, mentre annuiva energicamente. Posò il libricino sul comodino di Ran e anche in quel momento il suo petto perse un battito.
La foto di loro due a Tropical Land era come uno schiaffo silenzioso, che lo tormentava ogni qualvolta ci posasse gli occhi sopra.
Subito dopo essere tornata dalla gita, aveva notato come un giorno fosse apparsa la foto di Sonoko  lì in camera sua, e uno strano senso di felicità lo aveva avvolto. Solo dopo un po’ di tempo, quando si mise a fare i compiti sul suo letto e gli cadde la gomma per terra, notò quella posta sul comodino.
Probabilmente non se l’era sentita di toglierla del tutto, così si era limitata a spostarla. Così eccoli lì, sorridenti contro la macchina fotografa che li immortalava in una giornata apparentemente perfetta. Ricordò con un moto di malinconia del suo pugnetto allo stomaco, per incitarlo a sorridere.
Quanto eri idiota.
Se solo avesse saputo cosa sarebbe accaduto dopo, non avrebbe fatto tutte quelle storie, anzi. Avrebbe goduto di ogni singolo momento solo con lei, consapevole che quelli successivi non sarebbero stati altrettanto spensierati.
Cercando di non lasciar trasparire il suo rimorso attraverso quei grandi occhiali finti, seguì Ran in cucina.
« Mi leggi le dosi? », domandò dolcemente lei, porgendosi il libro con la ricetta. Lui annuì, per poi sobbalzare quando sentì le braccia di Ran avvolgerlo per dargli una spinta all’insù. Ancora confuso, e leggermente arrossato, la guardo ridacchiare del suo stupore, mentre lo faceva sentire sul bancone della cucina.
« Meglio », disse solamente, per dirigersi verso il frigo e prendere tutto il necessario per il dolce. Lui si sistemò meglio gli occhiali sul naso, cercando di darsi un contegno. Tuttavia, presto il suo sguardo si spostò dal libro di ricette alle schiena di Ran, e di nuovo sentì il cuore esplodergli nel petto.
Era la sua ragazza. Lo era davvero.
Gongolante, sospirò allegro, iniziando ad elencarle le dosi per i doroyaki. Lei annuiva a ogni parola, iniziando a preparare l’impasto. Conan guardò ogni singolo gesto, non rendendosi realmente conto del suo sguardo totalmente perso. Era così imbambolato, che dopo un po’ Ran se ne accorse. Lo fissò anch’essa, sentendo un moto di imbarazzo crescerle sul viso.
« Ho qualcosa in faccia? », domandò nervosa, toccandosi il viso. Sfiorò anche le labbra, e quel gesto fece capovolgere lo stomaco a Conan.
Lo avevano baciato sulla guancia, quelle stesse labbra. E, che diamine, le avrebbe volentieri toccate con le sue se l’effetto dell’antidoto non avesse cominciato ad esaurirsi. Al pensiero di quel bacio mancato, non riuscì a trattenere i muscoli facciali irrigidirsi in un’espressione che lasciò Ran un po’ a disagio.
La verità era che lui la stava guardando con uno sguardo familiare, e maledisse se stessa quando pensò che era la stessa espressione che Shinichi le aveva rivolto quando l’aveva afferrata per le spalle, subito dopo che lei gli aveva schioccato quel bacio sulla guancia. Si sentì così improvvisamente irrequieta, mentre provava a mettere a fuoco che colui che avesse di fronte fosse Conan, Conan e basta.
Eppure quel suo sguardo pareva trafiggerla, e quasi si perse dentro il blu dei suoi occhi.
E’ Conan, non è Shinichi.
A quel pensiero, sussultò, interrompendo quel gioco di sguardi. Finalmente anche lui si rese conto della carica emotiva creatasi fra di loro, e si sentì avvampare.
« S-scusa Conan-kun », rise nervosamente lei. « E’ che a volte, sei davvero troppo simile a Shinichi », borbottò infine, tornando ad armeggiare col mestolo lasciato lì a fianco poco prima. Lui a quelle parole alzò un sopracciglio, con la crescente e irrefrenabile voglia di stuzzicarla.
Non farlo.
« Davvero? », le parole che gli uscirono di bocca senza accorgersene.
Lo sai che non è giusto.
« Ho notato quella foto sulla tua scrivania, la settimana scorsa », continuò con voce infantile.
Stai giocando sporco.
« S-sì, l’ha scattata Sonoko in gita », spiegò lei arrossendo un po’.
Non aveva ancora detto al suo fratellino e a suo padre che ora era realmente la ragazza di Shinichi, per cui quell’argomento era un segreto. Girò con così tanta foga il mestolo che l’impasto schizzò un po’ dappertutto.
« Non mi hai ancora ben raccontato come è andata », sentì la voce di Conan leggera, come se l’argomento non gli interessasse più di tanto.
« Oh », disse lei semplicemente, dandogli le spalle per prendere nel frigo.
« E’ andato tutto bene », alzo le spalle, tornando al suo fianco con del latte in mano.
« E con Shinichi-nii-chan? ».
Non voleva davvero chiederglielo, ma non riuscì a trattenersi. Voleva sentirle dire che era felice, che lo era almeno quanto lo fosse lui. La voglia di sentirla parlare di loro due era così forte che non desiderava altro che rimembrare ogni singolo momento in cui erano stati vicini, in cui lei lo aveva preso per un braccio, o trascinato per mano da qualche parte. Voleva sentirlo, perché era stato così bello che talvolta aveva il terribile dubbio che fosse stato un sogno. Si era praticamente comportata da fidanzata per tutto il tempo, nonostante non gli avesse ancora risposto alla sua dichiarazione. E quando finalmente glielo aveva fatto notare, lui si era sentito tirare per la cravatta…
Tuttavia, nell’immediato istante in cui porse quella domanda, a Ran scappò di mano il latte, andandosi a versare un po’ per terra. Improvvisamente bordeaux, con la scusa di pulire il suo macello si chinò frettolosamente, cercando di asciugare come meglio poteva.
« Tutto come sempre », rispose trafilata, non guardandolo in faccia.
Avrebbe forse dovuto dirglielo? Dopotutto, Conan c’era sempre per lei, specialmente nei suoi momenti no dove la mancanza di quell’otaku di gialli si faceva prepotente. L’aveva consolata, ascoltata pazientemente, notato le sue lacrime un numero di volte così elevato che ne aveva perso realmente il conto.
Sentendosi in colpa per non avergli raccontato della gita, infine lo guardò con espressione colpevole. Notò che lui avesse uno sguardo quasi deluso, ma non ci diede peso.
« Non è vero », sospirò infine, non riuscendo più a mentire.
Conan trasalì, mentre lei si metteva nuovamente alla sua altezza con uno strano colorito roseo.
« Ecco, io non te l’ho raccontato perché… », prese fiato, torturandosi una ciocca di capelli.
« E’ imbarazzante », concluse lanciandogli un’occhiata di tralice.
Lo vide arrossire e abbassare lo sguardo, mentre iniziava a giocherellare con la copertina del libro di ricette.
« Però dopotutto ti ho sempre raccontato tutto, e per una volta non c’è niente di triste in ciò che sto per dirti », la mise sul ridere lei.
« Io e Shinichi stiamo insieme ».
Conan sbatté più volte le palpebre, e quelle parole gli parvero la melodia più bella che avesse mai sentito.
Un largo sorriso gli si creò in volto, mentre la guardava con occhi scintillanti. Lei ricambiò, e si mise a ridere nervosa.
« Non guardarmi così », esclamò Ran portandosi una mano al viso, improvvisamente accaldata.
« Così come », ribattè lui con l’espressione più innocente che riuscì a fare.
« Non lo so, non lo so », iniziò a blaterare lei, ridendo ancora più forte. Conan fu così contagiato dal suo buon umore, che iniziò anch’esso a ridere.
L’aveva vista così tante volte triste per causa sua, che vederla così irrimediabilmente felice gli scaldò l’anima. Per una volta non era la causa delle sue lacrime, bensì  di quel sorriso, di quella risata, perfino di quel rossore che le stava colorando le guance.
E si sentì completamente innamorato di quel sorriso, come la prima volta che lo vide anni prima.
Rise ancora un po’, per poi sbattere gli occhi quando vide improvvisamente il buio calare su di loro. Un improvviso odore di disinfettante lo stordì e quando posò lo sguardo sulle sue mani notò come fossero stranamente grandi. Confuso, rialzò lo sguardo, per incontrare nuovamente il viso di Ran. Con una fitta al petto, osservò come il suo sorriso di poco prima fosse totalmente sparito, e ora lo stesse guardando frustrata e rabbiosa.
« Mi hai mentito, per tutto questo tempo! », vide le sue labbra tremare, mentre arretrava con foga lontano da lui.
« Ran », sbiascicò, e sentì la sua voce da adulto fuoriuscire dalle labbra.
« Non pronunciare il mio nome, non voglio ascoltarti », Ran si portò le mani alle orecchie, scuotendo la testa come scossa da spasmi.
Shinichi fece per avvicinarsi a lei, ma sentì un lancinante dolore alla schiena impedirgli ogni suo movimento.
« L’ho fatto per proteggerti », sbiascicò mentre si portava una mano alla fasciatura che aveva intorno alla vita. In quel momento avvertì qualcosa di caldo contro la sua mano e con orrore notò come stesse perdendo sangue. Con panico crescente, rialzò lo sguardo su Ran, ma lei non c’era più.
« Ran! », urlò smarrito, camminando a tentoni. Ma ormai sentiva solo il sangue colargli sulla schiena, e una risata in lontananza farsi più vicina.
Si voltò così velocemente che cadde per terra, e qualcuno gli tirò un calcio allo stomaco facendogli sputare un po’ di saliva.
« Puoi chiamarla quanto vuoi », disse una voce maschile. « Ma lei non tornerà mai più da te ».
Totalmente in balia di quella figura riversa su di lui, cercò con le ultime forze rimaste di mettersi in piedi, senza successo.
« Ran », sbiascicò mentre avvertiva le forze abbandonarlo.
« Lei non ti vuole », qualcuno rise. « L’hai presa in giro, le hai mentito. Cosa ti fa pensare che lei ti perdoni. Cosa ti fa pensare che lei voglia ancora te ».
Non seppe dire se iniziò a urlare per il dolore inflitto da quelle parole o dal crescente dolore alla schiena. Ma, dopo una fitta atroce, si accasciò a terra e non sentì più nulla.


Shinichi sbarrò gli occhi, mentre una mano iniziava a stringere convulsamente il cuscino. Gemette, rendendosi conto di essere a pancia in giù e totalmente attorcigliato alle lenzuola del suo letto.
« Basta », mormorò stravolto, portandosi una mano alla testa. Accese in fretta la lampada sul suo comodino e si mise a sedere, scuotendo energicamente il volto fra le mani.
Ebbe il fiatone per un tempo indefinito, con le gocce di sudore che gli cadevano disgustosamente in bocca ad ogni bocconata di ossigeno che cercava di prendere ferocemente.
Ormai totalmente sveglio e particolarmente rabbioso, fece in la le coperte, alzandosi in piedi. Con uno sguardo alle sveglia notò che fossero le sette e mezza, e ringraziò di aver dormito un po’ più del solito.
Tuttavia quel senso crescente di disagio non lo abbandonò nemmeno quando aprì la finestra e prese un pò d’aria. Frustrato, diede un pugno alla finestra, digrignando i denti.
Era ormai venerdì, e i suoi sonni agitati l’avevano tormentato per tutta la settimana. Decisamente il caso a cui stava lavorando non aveva aiutato il suo stato nervoso e angosciato, specialmente quando il martedì avevano scoperto un altro cadavere probabilmente dello stesso killer su cui stava indagando. Aveva lavorato incessantemente tutti i giorni, cercando di mettere da parte i suoi sentimenti e i suoi pensieri, e c’era perfino riuscito. Stare lontano da Ran lo aveva distratto dai ricordi di quel sabato, sebbene questo comportasse un nervosismo crescente per quella lontananza forzata e l’intensificarsi di quegli incubi incessanti. Così la sera prima era finalmente arrivato alla risoluzione del caso, e si era trascinato a casa stanco come non mai. Si era buttato sul divano, e forse per la prima volta nella sua vita non provò nessun entusiasmo per il caso appena risolto.
Ancora sveglio alle due di notte davanti alla televisione, rimase a rimuginare sul motivo di quel cambiamento, e alla fine capì.
Capì che senza volere e senza preavviso, aveva finalmente messo Ran davanti a tutto. Quel desiderio che lei gli aveva espresso tempo prima si era avverato stupendo perfino lui. Non seppe dire quando accadde, ma perfino risolvere i casi non lo appassionavano più così tanto se poi questi gli impedivano di non vederla per giorni. Probabilmente se fosse tornato a casa da lei, la sera, non si sarebbe sentito così scocciato di aver lavorato tutto il giorno, anzi. Magari il pensiero di stare con lei gli avrebbe fatto provare nuovamente un po’ di eccitazione per un caso, ma sapere di dover tornare in quella casa enorme e inevitabilmente vuota, non aiutava la sua stanchezza mentale e fisica.
Prima non era così.
Sbuffò, avanzando a grandi falcate fuori dalla camera per poi spogliarsi velocemente e buttarsi sotto la doccia. Era così spazientito che non aspettò nemmeno che l’acqua divenisse calda, e iniziò a lavarsi sotto un getto gelido.
Prima non sapevi cosa volesse dire vivere con lei.
Era vero. Finchè non era andato a vivere con lei e Kogoro non gli era mai pesata quella casa, anzi. Amava il silenzio, aver tempo a disposizione per rimanere per ore in biblioteca senza essere disturbato. Ma da quando si era rimpicciolito, pareva che ormai la sua vita fosse ben definita in due momenti distinti: il prima Conan, e il dopo.
Aveva riavuto il suo corpo, la sua vita, tutto era perfetto. Ma non senza qualche rinuncia.
Che fosse perdere i suoi nuovi, piccoli amici, o che fosse non vivere più con lei.
Provò un senso di sollievo quando finalmente avvertì l’acqua calda addosso, e si appoggiò alla parete dietro di lui, portandosi le mani al viso.
Avrebbe tanto voluto andare a scuola quel giorno, ma aveva ancora tutti i fascicoli di quel caso sulla scrivania da chiudere e mandare in centrale, quindi amareggiato si era messo l’anima in pace e aveva detto a Ran che si sarebbero visti solo il giorno dopo.
Era quasi passata una settimana dal week-end a Kanazawa, ma gli pareva di non vederla da un mese.
Finì la doccia dopo un bel po’ e dopo essersi calmato, si vestì e scese al piano di sotto. Si preparò il caffè, e accese il telegiornale: tutti i notiziari parlavano del caso a cui aveva lavorato, e della ferocia con la quale il killer avesse ucciso quelle tre persone. Effettivamente, non era stato per niente piacevole.
Giocherellando con il cucchiaino della tazza, rimase un po’ in cucina in silenzio, guardandosi intorno.
Sto iniziando a impazzire, qui dentro.

Dopo aver fatto colazione, rimase per tutta la mattina in biblioteca per sistemare i documenti e i fascicoli sul caso, e si accorse che erano già le due solo quando il telefono cominciò a vibrare. Annoiato gli lanciò un’occhiata veloce, e si stupì di notare che fosse Sonoko. Incuriosito aprì il suo sms, per leggere velocemente cosa ci fosse scritto.
Ho convinto Ran a prepararci il riso al curry, stasera! Non vorrai mancare, detective!
Corrugò la fronte, un po’ confuso. Non capiva perché fosse stata Sonoko a dirglielo, ma diede la spiegazione al fatto che forse lei era ancora troppo imbarazzata per invitarlo. Per la prima volta da giorni sorrise un po’ rincuorato, e rispose un semplice “va bene” al messaggio di Sonoko.
Per quanto fondamentalmente facessero finta di non sopportarsi, dopotutto doveva ammettere che spesso e volentieri era anche grazie a lei se aveva fatto dei passi avanti con Ran. Dimenticandosi ormai del tutto dei fogli sparsi davanti a lui, sorrise ancora un po’ di più, perdendosi in pensieri decisamente più piacevoli.

 

Cinque mesi prima


Shinichi alzò annoiato lo sguardo su Ran, che stava diligentemente prendendo appunti davanti a lui. Si stava pentendo amaramente di aver mangiato davvero troppo a pranzo, perché avere la pancia piena con quel silenzio opprimente intorno non lo aiutavano a rimanere sveglio.
L’unica cosa che lo teneva ancora vigile, erano i ricordi di due giorni prima.
Al ricordo di quel singolo, piccolo bacio che Ran gli aveva regalato alla Festa dei Ciliegi in Fiore, sentì lo stomaco fare una capriola all’indietro dalla felicità. Sorrise come un ebete, mentre guardava ancora la ragazza davanti a sé. Lei non si accorse di niente, ma qualcun’altra gongolò a quella vista.
Con disappunto, Shinichi perse il sorriso e guardò di tralice Sonoko, che lo guardava con quell’aria da “tanto io lo so!”.
Ovvio.
Lei sapeva sempre tutto, su loro due.
Sospirò, guardandosi intorno. Quell’ala della biblioteca era poco gremita di persone, e pensò che probabilmente l’unica studentessa che avesse iniziato a studiare per un compito che avrebbero sostenuto solo due settimane dopo, fosse la sua ragazza.
Il suo sguardo stava ancora vagando per la sala, quando Ran gli diede un calcetto sotto il tavolo. Lui sobbalzò, per incrociare il suo volto contrariato.
« Sei distratto », brontolò.
« Non è vero », replicò annoiato.
Lei fece una smorfia, e guardò Sonoko.
« Anche tu lo sei! », la rimbeccò, notando che stava giocherellando col telefonino.
« Stavo cercando su internet altri appunti! », provò a difendersi lei. Shinichi alzò gli occhi al cielo.
« Scusa patetica », commentò.
Lei in risposta gli fece una linguaccia, a cui lui rispose con una smorfia.
Ran al loro ennesimo battibecco sbuffò, e si alzò in piedi.
« Mi serve un altro libro », spiegò e si avviò verso uno dei corridoi in fondo, sparendo alla loro vista.
« E così… », iniziò sottovoce Sonoko, dopo essersi accertata che Ran fosse completamente lontana da loro.
« Ho saputo che sei stato così imbranato da farti baciare, e non fare la prima mossa tu con la tua ragazza », la sua voce era un misto di divertimento e rassegnazione.
A quelle parole, Shinichi corrugò la fronte, fissandola intensamente. Dopo un attimo interminabile, lei sbuffò.
« Sei un incapace, davvero », sentenziò, guadagnandosi le occhiatacce di alcuni ragazzi vicini a loro. Nel dirlo, aveva alzato di un tono la voce.
« Cosa vorresti dire?! », borbottò lui.
« Davvero non ci arrivi, detective? », lo prese in giro Sonoko.
« Lei ti aspetta per mesi, e quando finalmente torni e state insieme, non sei nemmeno capace a baciarla tu per primo?! ».
A quella rivelazione, Shinichi si immobilizzò. Sonoko poté quasi sentire gli ingranaggi nella sua testa iniziare a lavorare e, perché no, anche cigolare. Quando si trattava di questioni del genere, si azionavano raramente, pensò sarcastica.
« Perché me lo stai dicendo? », chiese lentamente lui, improvvisamente nel panico. Il pensiero che a Ran quel bacio non fosse piaciuto gli stava logorando ogni sentimento di felicità provato negli ultimi due giorni.
« Stai tranquillo, Ran non si è lamentata di questa cosa. Ma dopo che mi ha raccontato come è andata, a me sono cadute le braccia per terra! », lo rimbeccò, sbattendo la penna sul suo tomo.
« Ma quale è il tuo problema? Dovresti prenderla e baciarla selvaggiamente come qualsiasi altro adolescente di questo pianeta, e invece sei sempre lì a pensare al mondo degli unicorni e omicidi! ».
« E tu dovresti farti i fatti tuoi! », quando capì che Ran non si era lamentata del loro bacio, ma erano i soliti commenti inappropriati di Sonoko, tornò a respirare.
« Senti, vediamo se così mi capisci », lei si massaggiò per un attimo le tempie, come a voler trovare la forza e la pazienza per spiegare un fatto ovvio a un bambino particolarmente lento.
« E’ già il secondo bacio che ti dà lei, ma in una coppia, è il ragazzo che fa la prima mossa. Non la ragazza, il ra-gaz-zo », sillabò come se fosse stato davvero ritardato. Lui alzò gli occhi al cielo nuovamente, chiudendo il libro, il tarlo del dubbio che per una volta lei avesse ragione che si insinuava subdolo nella sua mente.
« E’ Ran che ti ha aspettato. E’ Ran che ti fa il regalino di ceramica, il maglione, il cioccolato a San Valentino, ti prepara il pranz- ».
« HO CAPITO! », la sua voce fu davvero alta, e quasi si aspettò che Ran lo avesse sentito. Per sua fortuna, non la vide ancora sbucare dal corridoio in fondo al salone.
« Almeno il bacio, dannazione! », sbuffò Sonoko esasperata.
« Scusa, ma ci siamo già dimenticati che mi sono dichiarato io, a Londra, sotto il Big Ben? », gesticolò nervoso.
« Uh, uh, e poi? A parte quello? E non uscirmi fuori la storia che ti sei preso una pallottola per lei, i momenti che includono sangue non sono propriamente romantici », quasi gli sputacchiò in faccia. Shinichi ragionò velocemente cosa risponderle, ma tragicamente non gli venne in mente nulla. Più i secondi scivolavano via, più le parole gli morivano in gola e la mente si svuotava.
Merda.
Lei lo guardò incrociando le braccia con un’espressione vittoriosa.
« Ricordati bene, detective, che se non fosse per la sottoscritta stareste ancora a guardarvi da lontano fantasticando cose spinte. Quindi quando usciremo da qui, e la accompagnerai a casa, le darai un vero bacio, uno come si deve. Neanche i bambini si danno i baci a stampo, che diamine! Sai usare la lingua solo per sfracassarci le scatole con Sherlock Holmes?! ».
Shinichi divenne paonazzo e, nel panico, la guardò sgomento. Era stata così decisa, che quasi lo aveva intimidito. Proprio in quel momento, Ran sbucò da dietro il corridoio e tornò rapidamente al suo posto. Si sedette, non facendo caso agli sguardi in cagnesco che si stavano lanciando Sonoko e Shinichi, men che meno il lieve rossore sulle guance di quest’ultimo.
Dopo un po’, Sonoko iniziò a mettere i libri nella sua cartella. Alzando un sopracciglio, Ran la notò.
« Te ne vai? », domandò contrariata.
« Sì, mia madre mi ha chiesto se la accompagno a fare delle commissioni », si inventò con un largo sorriso.
« Ci vediamo domani, ok? Non studiate troppo », lanciò un’occhiata di fuoco molto eloquente a Shinichi, facendogli cenno con la testa verso Ran. Lui distolse lo sguardo, tremendamente a disagio.
Tirò un sospiro di sollievo solo quando Sonoko uscì dal salone, e cercò di far mente locale su cosa gli aveva appena detto.
Aveva sbagliato davvero tutto con quel bacio?
Mille dubbi lo assalirono e lo travolsero fino a lasciarlo tremendamente confuso. Si maledisse, quando iniziò a pensare che probabilmente Sonoko avesse ragione. Dannazione, forse Ran si aspettava qualcosa di diverso, qualcosa di meglio. Avevano aspettato così tanto per quel momento, e lui lo aveva rovinato?
Pensandoci, se non fosse stato per lei, si sarebbe lasciato scappare anche quell’occasione. Perfino quando lei gli aveva appoggiato le labbra sulle sue, era rimasto praticamente impalato, e non aveva fatto cenni per continuare o intensificare il momento.
Aveva la testa così piena di domande e un malessere crescente alla base dello stomaco, che gli venne il mal di testa e il mal di stomaco nel medesimo momento. Si portò una mano alla testa, fissando il libro che aveva davanti senza realmente vederlo.
Ma possibile che Sonoko, alla fine, avesse sempre ragione su loro due? A quel pensiero, gli salì anche un po’ di rabbia.
« Accidenti, non è questo il libro! », sentì Ran sbuffare, per poi alzarsi in piedi. Ancora immerso nei suoi pensieri, lui la guardò perso.
« Ce ne andiamo? », domandò a bruciapelo.
Se Sonoko aveva realmente ragione, doveva assolutamente rimediare. E subito.
« No, ho detto che ho sbagliato libro », ripetè lei con noncuranza, non rendendosi conto del subbuglio emotivo in cui si ritrovava il suo ragazzo.
« Ah », mormorò lui deluso. « Ma quando ce ne andiamo? », domandò di nuovo confuso. Lei si accigliò.
« Shinichi, questo test è importante, e tu sei indietro con metà programma. Pensa a studiare, non a quando ce ne andiamo! », lo sgridò lei, sparendo di nuovo alla sua vista.
Lui rimase immobile, lo guardo smarrito e alcune goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte.
Cercò di ridarsi un tono, mentre beveva a grandi sorsi una bottiglietta d’acqua acquistata precedentemente. Sospirò per calmarsi, e si asciugò il sudore.
Ragiona, maledizione. Puoi ancora rimediare. Devi solo aspettare di tornare a casa insieme, e…
Si blocco. E? E dove l’avrebbe baciata? Per la strada?
L’idea di invitarla in casa era fuori discussione, sarebbe passato per un maniaco. Andare da lei con Kogoro che aspettava solo il momento giusto per stenderlo a terra era anche quello fuori discussione.
Pensò velocemente a un posto appartato, dove avrebbe potuto creare un po’ di atmosfera, ma non gli venne in mente niente. Il tragitto che solitamente facevano insieme era tutt’altro che romantico.
Certo, due giorni fa eravate immersi nei fiori di ciliegio, ma certo, tu spreca quell’occasione!
« Stai bene? ».
Trasalì, vedendo che lei era tornata e lo stava fissando un po’ sconcertata.
« Stai sudando », notò lei.
Merda.
« Eh, sì, fa caldo », rise incerto, sventolandosi una mano sul viso. Lei aggrottò la fronte.
« Levati il maglioncino », disse con tono ovvio.
« Già », rise ancora lui isterico, e nervosamente si tolse il maglioncino giallo della divisa.
Si stava sentendo un emerito idiota, ma per fortuna lei non gli diede troppo preso. Era davvero concentrata sul libro che aveva di fronte, e non gli diede più retta per un bel po’.
Col passare del tempo, e di almeno un’ora e mezza, rimasero solo loro con altri tre studenti in tutto il salone, e a quel punto ormai la pazienza di Shinichi stava davvero per esaurirsi.
Aveva pensato e ripesando tutto il tempo alle parole di Sonoko, ma con il fatto che Ran si era intestardita a rimanere lì per tutto quel tempo, stava quasi perdendo le speranze di poter concretizzare una qualche forma di approccio con lei. Soprattutto perché davvero non sapeva dove attuarlo.
Era ancora soprappensiero, quando Ran sospirò e chiuse il libro. La vide mentre si stiracchiava, e notò solo in quel momento il suo viso tirato.
« Che ne dici, andiamo? Non ne posso più », ammise passandosi una mano sul viso stanco. Come se niente fosse prese la bottiglietta d’acqua di Shinichi, e ne prese due grandi sorsi. Ma quando notò il suo sguardo stranito, arrossì.
« Oh, scusa », si staccò dalla bottiglia velocemente.
Lui rinvenne dai suoi pensieri, sbattendo più volte le palpebre.
« Eh? ».
« Ti ho bevuto l’acqua », ripeté lei indicandogliela.
« Se ti dovessi scusare per tutto il cibo e le bibite che mi hai rubato negli anni… », cercò di apparire normale, per quanto faticoso fosse con tutta quella confusione in testa. « Non basterebbe un giorno intero, scroccona », concluse prendendola in giro.
Lei mise su un broncio adorabile, mentre lo guardava sistemare le sue cose nella cartella.
« Vogliamo giocare a questo gioco? », disse alzandosi in piedi, e avvicinandolo.
« A chi è più scroccone dei due? », lo punzecchiò. Shinichi la guardò divertito, e capì che si riferisse a tutto il tempo in cui Conan aveva vissuto con lei e suo padre.
« Ok, hai vinto », ammise alzando le mani a mo di resa.
Lei gongolò silenziosamente, e insieme iniziarono ad avviarsi verso l’uscita. Solo quando furono quasi in fondo, lei si rese conto di avere ancora in mano il tomo che aveva preso prima due corridoi prima.
« Aspetta, devo posare questo! », esclamò, e lo trascinò con se nuovamente indietro.
Lui si lasciò portare in quello stesso corridoio dove si era immersa ore prima, e la vide mentre tentava di risistemare il libro al suo posto.
Mentre si trovava lì, notò come fossero abbastanza isolati. Da quella posizione non vedeva nemmeno le tavolate dove erano stati seduti tutto il pomeriggio, osservò sollevato. Voleva dire che non aveva sentito assolutamente il discorso di Sonoko.
Sonoko.
Si irrigidì, con le mani nelle tasca e la cartella sotto un braccio.
Le darai un vero bacio, uno come si deve.
Guardò lentamente Ran che si metteva in punta di piedi per arrivare a sistemare quel libro…
Un posto appartato.
« Invece di stare lì come uno scemo, che ne diresti di aiutarmi? », brontolò lei sarcastica, mentre lo fissava spazientita.
Lui si avvicinò in silenzio, fissandola di sottecchi.
« Non capisco », continuò guardandosi intorno, mentre un silenzioso Shinichi le prendeva di mano quel libro lo rimetteva a posto.
« C’era la scala, devono averla spostat- ».
Non finì mai la frase.
Shinichi si chinò velocemente su di lei, approfittando della sua momentanea distrazione, e posò le labbra sulle sue con decisione.
Stupita da quel contatto, Ran sobbalzò. Non si sarebbe mai aspettata un bacio da lui in quell’esatto momento, e in un posto del genere. Ma la forza che lui mise in quel bacio le mozzò il fiato, e la paralizzò sul posto. Lui aveva ancora il braccio alzato, le mani a sfiorare quel libro che aveva appena posato. Facendo così l’aveva intrappolata fra lui e la libreria, e ora si ritrovava imprigionata in un turbinio di emozioni del tutto nuove per lei.
Con la testa vuota e gli occhi serrati, Shinichi sentì un impeto di euforia quando la sentì rispondere a quel bacio con vigore. Abbassò il braccio che aveva perfino dimenticato di avere alzato, e posò le mani accanto ai suoi fianchi, per sostenersi sulla libreria. Effettivamente ne aveva bisogno, sentiva le gambe tremare come a cedergli, e quasi iniziarono a dolergli le braccia da quanto le stava irrigidendo.
Lei, ancora più stretta fra lui e il mobile, portò le mani alla gonna, stringendola convulsamente.
Si staccarono dopo un tempo infinito, ma quando lei fece per prendere aria e aprire gli occhi, fu colta nuovamente da lui che le posò un altro bacio veloce, e un altro ancora subito dopo.
Quando Ran pensò che non poteva davvero sentirsi più felice di così, sentì improvvisamente la sua lingua farsi strada lentamente nella sua bocca.
Avrebbe volentieri emesso un urlo di sorpresa, ma non riuscì ad emettere un suono. Nel panico, pensò velocemente a cosa fare, ma il suo corpo agì da solo. Rispose timidamente con la sua, intrappolandosi in un bacio così impetuoso da lasciarla stordita. Le mani si staccarono dalla gonna per aggrapparsi al suo collo, immergendo le mani nei suoi capelli.
Respirò aria che agognava da ormai da qualche minuto col naso, e fu lì che sentì il suo profumo entrargli prepotentemente nelle narici.
Aveva sentito così tanto la mancanza del suo profumo in quei mesi di lontananza, che cercò di annusarne il più possibile. Non seppe dire cosa fosse, probabilmente non era nemmeno un profumo, ma proprio il suo odore. Non seppe dirselo, da che avesse memoria lo aveva sempre sentito.
Certo, mai come in quel momento.
Gli accarezzò la nuca dolcemente, sentendo i suoi capelli così morbidi.
Da quanto tempo desiderava farlo? Quanto aveva fantasticato su quel momento?
Quando erano solo amici, certo non aveva mai potuto giocherellarci così.
Amici.
Perché diamine lo erano stati per così tanto tempo? Se avesse saputo che lui era in grado di provocarle simili sensazioni, si sarebbe sicuramente svegliata prima.
In più quel bacio sembrava infinito, ma ciò non la disturbava affatto. Anzi.
Da come la stava baciando, poi, pensò se non fosse qualcosa che volesse fare da un bel pò, perché era come se stesse rilasciando un desidero nascosto per troppo tempo. Avvertiva la sua impazienza di baciarla ancora, e ancora, come se non riuscisse più a fermarsi.
Quello che stava immaginando Ran, era maledettamente vero. Ormai  Shinichi aveva completamente staccato la spina al suo cervello, mentre avvertiva solo quelle labbra contro le sue, e il fatto che lei si facesse baciare senza opporre resistenza e gli stesse accarezzando i capelli, lo travolse.
Non pensava davvero di poter osare tanto, specialmente perché ogni qualvolta in passato lui avesse mai fatto battutine scherzose nei suoi confronti, lei aveva iniziato a insultarlo o, ancora peggio, assestargli un qualche calcio o gomitata nello stomaco.
State insieme, idiota.
Sorrise a quel pensiero. Il fatto era che, in realtà, non gli pareva ancora vero. Lei parve accorgersi di quel sorriso contro le sue labbra, e aprì gli occhi per guardarlo. Quando la sentì staccarsi, Shinichi rinvenne dal suo stato di caos col battito e il respiro accelerato.
Rimasero per un po’ a guardarsi, respirando affannosamente. Infine, Ran gonfiò lentamente le guance come a trattenersi. Lui intuì, e la imitò.
Dopo pochi secondi scoppiarono a ridere silenziosamente, uno a poca distanza dall’altro.
Era davvero così assurdo, che l’idea di ciò che fosse successo in quell’angolo di biblioteca, creò quella stupida ilarità fra di loro. Ridacchiarono ancora per un po’, infine lei lo guardò di sbieco.
« Forse dovremmo andare », sussurrò lei arrossendo e allontanando le sue mani dalla nuca di Shinichi.
Lui si staccò dalla libreria, e, lanciandole un’occhiata eloquente, si allontanò da quell’angolo.
Si sentì così orgoglioso di se stesso, che sarebbe volentieri corso da Sonoko per inserire nell’elenco delle cose che aveva fatto, dopo Londra, anche quel particolare momento.
Non sapeva ancora che sua madre, dopo appena qualche giorno, gli avrebbe fatto una bel discorsetto.
Discorsetto in cui gli chiese espressamente se oltre al bacio alla Festa dei Ciliegi in Fiore ci fosse stato altro, e in cui lui accuratamente sorvolò sul raccontarle quel momento così appassionato creatosi in biblioteca.

   
 
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