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Autore: DarkWinter    04/05/2020    7 recensioni
In un ospedale vicino a Central City, i gemelli Lapis e Lazuli nascono da una madre amorevole e devota.
Fratello e sorella vivono un'adolescenza turbolenta e scoprono il crimine e l'amore, prima di essere rapiti dal malvagio dr. Gero e ristrutturati in macchine mangiatrici di uomini.
Ma cosa accadrebbe se C17 e C18 non dimenticassero totalmente la loro vita da umani e coloro che avevano conosciuto?
Fra genitori e amici, lotte quotidiane e rimpianti, amori vecchi e nuovi e piccoli passi per reinserirsi nel mondo.
Un'avventura con un tocco di romanticismo, speranza e amore sopra ogni cosa.
PROTAGONISTI: 17 e 18
PERSONAGGI SECONDARI: Crilin, Bulma, vari OC, 16, Z Warriors, Shenron, Marron, Ottone
ANTAGONISTI: dr. Gero, Cell, androidi del Red Ribbon, Babidi
{IN HIATUS}
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 17, 18, Crilin, Nuovo personaggio | Coppie: 18/Crilin
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Nessuno dei tre voleva credere a quel momento.

In un modo o nell’altro i due gemelli l’avevano sempre aspettato, così come Kate che nelle sue notti insonni non si era arresa all’oblio.

Quando in quel crepuscolo loro occhi si incontrarono, il sole andava a morire dietro un mare di nuvole che promettevano pioggia.

Quella era la loro ricompensa, quello era il loro momento; per tutto l’amore che quella sera venne trasmesso di cuore in cuore e di occhi in occhi, beh, alcuni aspettano una vita per un momento così.

Fu Kate ad avvicinarsi per prima; il sorriso che tanto piaceva a Diciotto, di cui non si era mai dimenticata, splendeva sul suo viso e le accendeva gli occhi di una luce e di un amore che nessuno aveva mai visto.

Camminava lenta, sbatteva le palpebre e ogni tanto tirava su col naso, mentre tendeva la mano ai due gemelli.

Erano proprio loro, come li ricordava. I loro occhi erano quelli di sempre, anzi, piu’ sereni. Senti’ di nuovo tutto l’affetto che provavano per lei.

In quel momento non penso’ a quello che le era stato detto; cyborg o meno, erano solo i suoi amatissimi figli. Si erano girati insieme a guardarla, come quando erano piccoli.

Quando la distanza fra lei e Diciassette e Diciotto fu praticamente nulla, Kate li guardò ancora e con infinito affetto se li strinse.

“Mamma?” Diciassette mormorò quelle cinque lettere con la voce rotta; allora Kate lo incoraggiò annuendo e gli carezzo' una spalla.

“Mamma.”

Afferro’ la mano di Kate e poi la tiro’ a se’ in un abbraccio, piegandosi su di lei, mentre l’emozione gli faceva stringere gli occhi e aggrottare le sopracciglia.

Diciotto guardo’ Kate accarezzare i capelli di suo fratello e dargli un bacio affrettato sulla fronte, prima di tendere un braccio verso di lei per invitarla ad avvicinarsi. Finalmente aveva davanti la bellissima donna che la cullava quand’era piccola, quella a cui non aveva mai smesso di pensare.

Il destino senza ritorno che Gero le aveva inflitto era stato ribaltato, non c’era più niente a raggelarle il cuore: Kate era sua madre, l’unica persona a cui doveva la sua esistenza, la persona che era. Non riusciva a credere di averla di nuovo li’ davanti, ma non stava piu’ sognando.

Mentre Diciotto si abbandonava all’abbraccio della mamma, sentì che tutto quello che le era successo dopo Cell l’aveva preparata a quel momento; tutto ciò che di brutto era successo svanì, spazzato via dalla magia di quella stretta.

Erano intrecciati tutti e tre in un tenero abbraccio, inghinocchiati insieme sul pavimento.

Con i gemelli stretti così contro il suo petto, così vicini a lei, a Kate sembrò per un istante di ritornare indietro di ventun anni a quando li aveva ancora dentro, a quando aveva versato il suo sangue per loro, sola in quell’ospedale, dando loro il benvenuto alla vita.

Credeva che non avrebbe mai più sentito qualcuno che la chiamava mamma; il cuore le esplodeva, piangeva e li stringeva, stringeva forte, nessuna cosa brutta glieli avrebbe ancora strappati.

Diciassette non riusciva a esprimere le sue emozioni, sapeva solo che quello era il punto di arrivo di tutto, che Kate era la persona a cui doveva essere grato per avergli donato la vita; lei e nessun altro. Riusciva solo a pensare di aver vinto contro l'ignobile dottor Gero, che aveva preteso di mettersi al posto di Kate e di fargliela dimenticare.

Diciotto non voleva lasciare quella stretta che sembrava infuocarle l’anima di amore e di pienezza, anche se ad un certo punto l’emozione la sommerse. Un sentimento così forte da squassarla da capo a piedi, lei, così forte. Dovette abbandonare l’abbraccio e sedersi un momento.

 Una telecamera li guardava, sospesa a mezz’aria a riprendere la scena sul tetto; ma questa volta non c’erano occhi cattivi a osservare i gemelli attraverso la sua lente.

Alla Capsule Corp., Bulma guardava il video in diretta insieme a Sedici e a Crilin.

Era stato cosi’ facile, alla fine. Una semplice chiamata anonima era bastata per sviare completamente le forze dell’ordine, cosi’ ossessionati dal trovare Lapis e Lazuli com’erano. In cuor suo la scienziata penso’ che nonostante tutto era solo un bene che gli Z Warriors fossero i veri protettori della Terra, non si poteva contare molto sui poliziotti.

Toccando uno schermo, zoommo’ il video e sorrise vedendo Kate e i cyborg sedersi insieme sul tetto e guardare il sole sparire.

“E cosi’, tutto e’ bene quel che finisce bene.”

Blocco’ il tablet e scambio’ uno sguardo d’intesa con il suo vecchio e nuovo amico.

“Finisce bene, dipende per chi.”

Tutti si voltarono a guardare Vegeta, appoggiato a un muro con una lattina di birra in mano: “Io il mio rematch con quei mocciosi non l’ho avuto.”

 

 

Era passata una settimana da quando Kate aveva smesso di essere sola, con lei c’erano di nuovo i suoi Lapis e Lazuli e tutto era tornato a posto. Una settimana in cui non si era stancata di guardarli, di toccarli, di abbracciarli. Quei tre terribili anni ora avevano perso il loro potere su Kate: lei scoppiava di felicita’, a volte piangeva nel bel mezzo di un discorso per la pura gioia di poterli ancora avere li’.

Tuttavia era perplessa: le sembrava che i suoi figli fossero stati lobotomizzati. Sorpresi si guardavano intorno, come se facessero fatica a ricordarsi che quella era la loro casa.

“Bambini miei, ho bisogno che voi mi raccontiate cosa è successo; capisco che vogliate godervi la serenità di questo momento, ma io sono stata tutti questi anni in pena…”

Quando aveva chiesto loro di raccontare cosa fosse successo, erano diventati tristi e le avevano risposto che era una storia lunghissima e molto dolorosa. Volevano tempo, una pausa: erano appena tornati da lei.

Kate rimuginava sulle parole di Vegeta e Crilin, ma rimaneva lo stesso di stucco quando constatava che sembravano aver dimenticato chi fossero. Quando lei li chiamava per nome non rispondevano, come se quei nomi non fossero stati i loro. Poteva essere vero? Chiunque li avesse trasformati in cyborg aveva cancellato la loro memoria? Era un’ipotesi che avrebbe spiegato tutto, anche episodi come il giro in macchina il giorno prima.

 

Il primo posto dove Diciotto era stata riportata dai propri passi era la sua camera da letto: non appena erano arrivati a casa da West City, lei era corsa nella sua stanza ed era rimasta sulla soglia a guardare il suo letto, le pareti, gli armadi. E si era ricordata, quelli erano i suoi effetti personali.

Si era diretta verso l’armadio con un sorriso: “I miei vestiti…”

Un vecchio istinto l’aveva portata a toccare il parquet sotto il tappeto, in un punto che solo lei conosceva. Rise sotto i baffi, estraendo da uno scompartimento segreto una bella pila: “E i miei soldi.”

Intanto, Diciassette si divertiva a guardare le foto:

“Mi ricordo tutto, adesso: quella foto là, è stata la mia prima gara di rally!”

Diciassette aveva riso entusiasta, indicando una foto incorniciata sul muro del salotto, dove c’era lui con i capelli ancora sopra alle orecchie e la sua macchina rossa.

“Mamma, ce l’hai ancora la mia macchina?”

“Certo, tesoro. È nel garage.”

Kate l’aveva seguito ed era rimasta a guardarlo mentre toglieva il lenzuolo che copriva con cura la sua bella auto da rally.

“Ti porto a fare un giro!”

Kate aveva cercato di dire di no, ma con una velocità che l’aveva sconcertata suo figlio le aveva preso la mano e l’aveva praticamente infilata dentro l’auto.

Poco dopo Kate e Diciassette erano ritornati, lei aveva gli occhi sbarrati. Diciotto aveva guardato suo fratello e una delle sue scarpe che pendeva maciullata dal suo piede perfettamente illeso.

“Cos'hai fatto, Diciassette?”

Senza fare apposta lui aveva premuto il pedale del freno troppo forte:

“Ho dovuto fare da me per frenare; peccato per la scarpa.”

Si era slacciato quel che rimaneva della calzatura e si era avviato a buttarla nella spazzatura. Kate aveva raccontato alla figlia di come lui aveva fatto un buco nella portiera con un calcio e piantato il piede nella strada in discesa, salvandoli da un incidente e non facendosi nemmeno un graffio. 

L’aveva seguito in cucina: “Lapis, andiamo in ospedale, per favore. Ti sarai rotto qualcosa.”

Kate aveva tuttavia osservato che il suo ragazzo stava benissimo. Lui le aveva dato un abbraccio veloce per consolarla, guardando Diciotto che scuoteva la testa con uno sguardo arrabbiato.

La mamma non sapeva nulla. Non sapeva cos’erano diventati, di quello che aveva loro fatto il dottor Gero, della Creatura. Forse non avrebbe mai capito. Diciassette e Diciotto sapevano che se davvero l’amavano, prima o poi avrebbero dovuto parlarle della loro conversione, dirle come stavano le cose. Ma per il momento volevano solo un po’ di serenita’, se non avessero fatto nulla di sospetto Kate non se ne sarebbe accorta. Alla fine erano diversi dentro, fuori non erano niente che Kate non conoscesse.

Si aspettavano anche che con il ritrovamento della mamma sarebbero stati investiti da un fiume di ricordi ma tutto fu quieto, lento. Anche se Kate aveva raccontato la sua versione dei fatti, di quanto lei avesse penato, in quei giorni non aveva voluto rivangare a lungo quel periodo buio.

Aveva altri progetti:

 “Scusate, bambini, se devo lasciarvi soli: bisogna festeggiare e voglio fare tutto da me.”

Si era chiusa nella sua grande cucina dagli armadietti di legno color salvia, che ora i gemelli ricordavano, e aveva passato tre ore spentolando come una forsennata. Aveva fatto capolino fuori dalla porta indossando ancora il suo grembiule, accompagnata da una dolce scia:

“Potete entrare ora.”

Invito’ i gemelli a sedersi al tavolo, quel tavolo rotondo di legno chiaro su cui avevano fatto disegni e compiti da piccoli.

“So che il vostro compleanno e’ gia’ passato, ma dobbiamo festeggiare l’essere di nuovo insieme. Mi sono impegnata tanto...”

Kate dispose sul tavolo il frutto dei suoi sforzi, una torta molto scenografica decorata con cioccolato fuso e fragole, amorevolmente disposte a raggiera. I gemelli rilevarono un sottile odore di bruciato, anche se la torta sembrava a posto. Aveva, in verita’, un ottimo aspetto.

La mamma taglio’ cerimoniosamente tre fette e poi si alzo’ di scatto, aveva dimenticato qualcosa.

Pensando che fosse molto strano che Diciassette non si fosse gia’ mangiato la sua porzione, Diciotto stette a guardare la propria e la saggio’ con la forchettina: una cremina in mezzo a due strati di pan di Spagna dalla consistenza sempre piu’ molliccia man mano che ci si allontanava dalla crosta. Diciotto non aveva toccato cibo solido per anni, a dir la verita’ non le mancava per nulla.

E ora non ne aveva voglia, si sentiva ancora in subbuglio per l’emozione della riunione.

Kate ritorno’ con una teiera fumante. Aveva grandi speranze e guardo’ soddisfatta suo figlio, che stava masticando: “Allora, tesoro? Ti piace?”

Lui annui’ timidamente.

Diciotto allontano’ il piattino da se’ con una smorfia ma senti’ un gran calcione, sotto il tavolo: alzando gli occhi incontro’ le sopracciglia corrugate e lo sguardo gelato di suo fratello.

Lui mimava con le labbra le parole non ci provare; gli venne da ridere nel vedere Diciotto sacrificarsi a mangiare un pezzo della sua fetta. Quando madre e sorella si girarono sputo’ discretamente in un tovagliolo e imbosco’ il resto della sua.

Dovevano essere terribili come bugiardi, perche’ Kate abbasso’ lo sguardo: “Fa schifo, vero? Sapevo che la crema pasticcera e’ una roba delicata...”

Aveva voluto impressionarli, destreggiandosi in cucina con in mente qualcosa di speciale. Non voleva arrendersi al fatto che era una pessima cuoca. Non era nemmeno capace di preparare una torta ai suoi figli.

I gemelli si sentirono in colpa, Kate aveva dedicato a loro tre ore del suo tempo e loro non erano nemmeno riusciti a farla contenta.

Piu’ tardi Diciotto aveva massacrato il suo spazzolino, cercando di lavarsi via dalla bocca il sapore orrendo di quel nobile tentativo.

Era rimasta stancamente davanti allo specchio, a guardarsi: “Mi dispiace per la mamma, ma quello era un crimine contro l’umanita’.”

“Sei meravigliosamente ironica, sai?”

“...mi restera’ sullo stomaco per due giorni.”

Diciassette era in piedi contro il muro. Stava sfogliando una rivista, mentre faceva compagnia a sua sorella e rideva della tossicita’ della torta:

“No, impossibile. Ti va in circolo quasi immediatamente, se non ti sono ancora apparsi bubboni verdi in faccia probabilmente sei fuori pericolo, ti e’ andata bene.”

Era vero che gli appunti del dottore li aveva letti anche lei; loro due potevano vantare il lusso di non fare mai indigestione, era un effetto collaterale dei loro sistemi potenziati che lavoravano in fretta. Ma a Diciotto venne male a pensare che per un periodo di tempo ancora da definire avrebbe dovuto rinunciare alla sua nuova, comodissima dieta solo per non far insospettire Kate.

 

 

Purtroppo per loro, non era nella natura di Kate restare con le mani in mano senza porsi domande. Era confusa, molto confusa. E anche piuttosto eccitata, quell’eccitazione che fa venire il mal di pancia. I racconti che le avevano fornito fino a quel momento avevano spiegato solamente il perché fossero spariti: ma c’era molto di più, Kate lo capiva, perché mancavano molti punti che avrebbero potuto saldare le troppe cose che non riusciva a spiegarsi e le parole di Vegeta e Crilin.

Aveva bisogno di sentire la verita’ da loro.

Era con Lapis nella propria camera e quel compito scomodo era toccato a lui perche’ carta avvolge sasso. Diciassette aveva brontolato, ma si trattava solo di dirle la verita’:

“Io ti racconterò tutto ma tu non devi dare fuori, me lo prometti?”

Kate scattò, prima che lui iniziasse a parlare: “Una cosa. Tu chi sei, Diciassette? Il mio Lapis?”

“Sono sempre io: ci sono alcune cose che sono cambiate, ma altre sono rimaste le stesse. Non devi avere paura, va tutto bene.”

Kate si alzò di colpo e si mise a percorrere la stanza in lungo e in largo:

“No, non lo accetto, non ti ricordi nemmeno il tuo nome! Cosa ti hanno fatto?”

Il ragazzo sospirò, prendendole le mani e stringendogliele con amore; Kate avverti sulle dita il calore umido del suo respiro.

“É semplice. Diciotto e io ora siamo cyborg.”

Il ghiaccio si specchiava nel ghiaccio: Kate lo guardava dritto negli occhi, con uno sguardo di sfida che rivaleggiava il suo.

Non mi credi? Credi di sapere tutto tu, vero?”

Diciassette si infurio’, senti' una rabbia indefinita che doveva far uscire.

La mamma era sempre stata così : pensava di avere sempre tutto sotto controllo, che la vita e il mondo fossero un puzzle che lei sapeva sempre come incastrare. Ma gliel'avrebbe fatta vedere lui:

“Alzati.”

Kate si senti’ un attimo confusa dall’ira che aveva percepito nell’aria e dallo sguardo penetrante che suo figlio le rivolse.

Dopo che Kate si fu alzata dal letto, con una mano lo afferrò lo divelse dalla parete, sollevandolo sopra la testa.

Kate si allarmo’ subito: “Smettila! Mettilo giù, ti fai male!”

Diciassette le fece un sorrisetto furbo e, afferrando il letto anche con l’altra mano, scrollò via infastidito le coperte e il sottile materasso.

“Lapis!” 

Il ragazzo ignorò sua madre e mantenne il letto sollevato.

“Diciassette.”

Lui alzò la testa in risposta e rimase a guardare interrogativo l’espressione frastornata di lei, appoggiando il letto a terra. Diciassette stette ad aspettare una reazione da parte della madre e non vedendola arrivare sorrise di nuovo: fulmineo riprese il letto fra le mani e allargò le spalle potenti.

Kate non fece in tempo a gridare quando sentì il rumore stridente dell’acciaio che iniziava a piegarsi; lo sgomento le dilatò le narici quando suo figlio inarcò lievemente le sopracciglia e serrò la morsa.

Lo scheletro martoriato del letto cigolò, mentre cadeva a terra in pezzi; il rumore riempiva la testa di Kate, stordendola.

Senza parole e con l’angoscia che le saliva al petto, vide una debole luce irradiare dalle mani di Diciassette e riflettersi sui resti del letto che lui ancora stringeva; la luce crebbe velocemente d’intensità, la pesante massa lucida si restrinse e iniziò a gocciolare sul pavimento.

Oh…” 

Kate si ritrasse contro la parete, le gambe non la reggevano.

Diciassette gettò il metallo a terra con uno schianto e fece un respiro profondo. In quel momento entrò anche Diciotto; guardò prima la carcassa sul pavimento e poi Kate tutta tremante, rasente al muro, terrorizzata da quello che doveva appena aver visto.

Diciotto le tese le braccia e Kate ci si rifugiò, la ragazza chiuse gli occhi e iniziò ad accarezzarle i capelli: “Mamma mamma mamma mamma….”

Quante volte Kate l’aveva fatto con lei!

Diciotto si avvicino' al fratello e alzo' la mano per dargli uno schiaffo.

Poi si fermo', stringendo i denti, temendo di causare un altro incidente:

“Potevi farne a meno…ma proprio davanti a lei? L’hai spaventata a morte, e' gia' la seconda volta.”

“La sua testardaggine mi dava sui nervi. Non si fida di ciò che non vede.”

Diciotto si rivolse a Kate, appoggiata al suo seno con gli occhi sbarrati: “Ti porto di sotto mamma, ti distendo sul divano; tu riposa e stai calma.”

Perche' suo fratello doveva essere un idiota?

Si caricò la madre in spalla con un movimento fluido, poi saltò giù dalla tromba delle scale e la depose dolcemente sul divano. La coprì e sorrise, poi si dileguò.

 

“Sei contento adesso che ti sei fatto vedere?” urlò Diciotto quando furono soli “adesso addio, chi può dirle qualcosa…cazzo!”

Colpì con un calcio un pezzo di letto. Diciassette la fissava immobile.

Adesso come gliel’avrebbero spiegato? Sempre che la mamma si fosse ancora avvicinata a loro.

Kate aveva solo visto suo figlio che sollevava un letto d’acciaio e lo schiacciava come una lattina di Coca Cola; tutte le madri che ritrovavano figli scomparsi scoprivano poi che glieli avevano trasformati in mezze macchine con riflessi, sensi, forza e velocita' sovrumane: normalissimo, di cosa dovevano preoccuparsi?

Adesso come le avrebbero spiegato che, nonostante l’enorme potere che ormai possedevano, non erano cambiati? Ci avrebbe creduto ancora che i numeri 17 e 18 erano sempre in grado di provare emozioni e sentire tutte le sensazioni che avevano sentito da umani?

“E comunque…”

“Sshhh” Diciassette zittì la gemella “la mamma si sta calmando, respira regolarmente.”

Diciotto si mise in ascolto e cessò di parlare ad alta voce.

Kate intanto, dal suo divano, sentiva i gemelli discutere animatamente, anche se le parole le arrivavano attutite dal soffitto e dalla tappezzeria e lei non riusciva a distinguerle bene.

Era rimasta letteralmente impietrita: quello che aveva visto non l’aveva fatto Lapis.

Si snervava cercando il nocciolo di una questione totalmente folle: cos’era diventato suo figlio? E soprattutto, Diciassette era davvero suo figlio? Una persona normale non avrebbe mai potuto sollevare e distruggere una massa d’acciaio senza fare una piega; una persona normale non avrebbe mai potuto spostarsi con dei movimenti così veloci e silenziosi.

Quello che Diciassette aveva fatto era assurdo.

A Kate sembrava di essere finita in un film di fantascienza dove i suoi figli erano due specie di terminator, esattamente come Vegeta e Crilin avevano cercato di spiegare.

In tal caso, cosa doveva aspettarsi?

Eppure Kate si ricordava benissimo di quando, poco prima, lui le aveva preso le mani; era stata certa della sua stretta febbricitante e lievemente sudata, del tremito dei suoi polsi.

Un terminator non si emoziona. Come dimenticare poi il loro abbraccio pochi giorni prima, lo scambio di emozioni che era avvenuto su quel tetto a West City? Un terminator non si emoziona davanti a sua madre, una madre non ce l’ha nemmeno.

E poi la pelle così normalmente calda e soffice, con quel suo profumo che gli aveva sempre sentito addosso. Impossibile, una macchina non è calda e viva.

Kate aveva percepito il tepore della vita irradiare dal corpo dei suoi figli, tutto in loro era vivo, pieno di vita come lei si aspettava che fosse.

Eppure quella carne morbida e calda era una morsa letale capace di stritolare l’acciaio senza lasciarsi sfuggire neanche la minima goccia di sangue.

Ma lui gliel’aveva detto chiaro e tondo: siamo cyborg.

Kate era stata avvertita a dovere, era colpa sua se era stata troppo caparbia.

Questo unico pensiero martellava le sue tempie sfatte, mentre ancora scossa dalla paura e dalla tensione cercava di riprendersi e calmarsi. Ma non voleva starsene lì mentre i suoi figli erano lì con lei, dopo tanto tempo:

Tanto dormire proprio no.”

Si alzò a fatica e si diresse verso le scale; subito la porta al piano di sopra scattò e i gemelli fecero capolino dal pianerottolo.

“Stai lì mamma, scendiamo noi” disse lei.

Entrambi saltarono giù.

No no no, vi fate male!” pensò Kate istintivamente, ma in un nanosecondo fece due più due e si trattenne “allora, non dovevano parlare?”

“Vado io?” chiese Diciassette.

Sua sorella scosse il capo: “Ecco mamma, forse è meglio che te lo diciamo in due. Ora ci credi che siamo cyborg?”

 

 

“Perché non me ne avete parlato prima, quando ha iniziato a farvi stalking?”

Kate non ci sarebbe mai arrivata: un vecchio che per due anni li aveva pedinati per poi rapirli. Mentre raccontavano, a Diciotto era ritornata in mente la sera della festa: quel ragazzo che l’aveva spogliata, l’incidente, la paura,  la loro lotta inutile contro l’intontimento, il guizzo bianco che li aveva portati fuori strada in tutti i sensi.  E si sentiva ancora più consapevole, riusciva a immaginarsi come Kate si fosse sentita non vedendoli più tornare.

“E adesso quel vecchio dov’è?”

“Morto” Diciassette aveva alzato le spalle.

Kate si sostenne la fronte, guardando in basso:

“Hai ucciso un uomo…”

“Sì. L’ho ucciso, se vuoi ti racconto anche come…”

“L’hai decapitato con un colpo solo.”

I gemelli sussultarono e fissarono Kate. E per Kate venne il momento di raccontare quello che i suoi figli non sapevano:

“Prima di trovarvi, ho incontrato delle persone. Gente che vi ha conosciuto.”

Il ragazzo la ignorò e i suoi occhi si fecero freddissimi: 

“Io ho ucciso lo schifoso perché era uno scienziato pazzo. È lui che ci ha rubato tutti i ricordi, in modo che non ci saltasse mai in mente di liberarci di lui, ma il nostro obiettivo fosse solo quello di uccidere Son Goku.”

A Diciotto si scaldo’ il cuore a sapere che Crilin aveva conosciuto Kate e che quest’ultima sembrava avere una buona opinione di lui. E senti’ un altro tipo di soddisfazione nell’apprendere che Vegeta non si sarebbe mai dimenticato di lei.

“Posso sapere cosa vi ha fatto per farvi diventare cyborg?”

“Non c’e’ molto da spiegare, visto che qualcuno ha voluto mettersi in mostra…” la biondissima guardò storto il suo gemello.

Diciassette sospirò e rivolse alla madre uno sguardo furbescamente contrito:

“Mi dispiace mamma, non volevo.”

 

 

Kate si era liberata da un peso. Sapere cos’era successo a Lapis e Lazuli e riuscire ad accettare la verita’ erano stati una liberazione. Era una verita’ che la scombussolava ancora, ma era sicura che presto o tardi si sarebbe abituata alla nuova fisiologia dei suoi figli.

Tuttavia, fu meno facile di quello che pensava.

Si ricordava che, nei momenti più difficili, si era appellata ai forum per madri disastro, era andata a sentire le conferenze e i seminari degli specialisti, si era informata su internet.

Di materiale ne aveva accumulato; li chiamava tutorial.

Tutorial per figli adolescenti; per figli adolescenti scatenati; per figli adolescenti delinquenti.

Ma Kate ci avrebbe messo la mano sul fuoco, avrebbe potuto scartabellare e analizzare l'intero Internet e tutte le biblioteche e gli archivi del mondo, ma era sicura che mai e poi mai avrebbe trovato qualcuno che le dicesse cosa fare con due figli cyborg.

Non aveva avuto il dubbio che si fossero bevuti il cervello: i gemelli erano stati estremamente chiari, la lucidità che avevano messo nel raccontarle tutto era incredibile e paurosa.

Nemmeno loro due sapevano con esattezza cos’avesse fatto quel pazzo che li aveva trasformati. Kate se lo chiedeva senza sosta, per lei era una cosa inconcepibile, nel suo immaginario i cyborg erano così enormi tutti di ferro, non ragazzi in carne e ossa.

Per lei era impossibile pensare che i suoi Lapis e Lazuli, così normali dall’esterno, al loro interno avessero delle unità e dei processori fortissimi.

Le sembrava stranissimo vivere a contatto con dei marchingegni di tale calibro.

Diciotto/Lazuli le aveva ricordato che non erano robot:

“Siamo sempre persone perfettamente vive, solo con delle parti meccaniche e un po’ di forza. Non abbiamo cavi e circuiti, siamo al 99% carne e ossa.”

Avevano tutti i loro organi, nervi e il sangue che era sempre lo stesso, un cuore che batteva e sentiva. Le avevano raccontato che il pazzo non era mai riuscito a cancellarla del tutto da loro e che perciò non le avevano mai tolto un pensiero; questo bastava a renderli persone in tutto e per tutto.

 “Cosa faccio, cosa faccio?”

Come ci si rapportava con due androidi, anzi con due cyborg?

E non due cyborg qualsiasi, i suoi figli; ciò che aveva amato di più e che amava tuttora.

Si sentiva immensamente stupida: prima che le raccontassero cos’era successo li aveva trattati normalmente, come due persone.

Ma perché sono persone!”

Ora si sentiva ingessata, impedita.

Non aveva paura che le facessero del male, ma le bastava vederli e pensava wow, ho davanti a me due cyborg veri e si bloccava.

Si augurava che non ci stessero male; l’ultima cosa che voleva era proprio che pensassero che lei non volesse più bene a loro due quando invece li amava, come e più di prima.

Da lì aveva cominciato a fare pasticci, si era resa ridicola.

Cosa mangiano i cyborg?

Le avevano persino detto che il loro reattore aveva una riserva di energia infinita e che quindi molto spesso non dormivano; non serviva, lo facevano quando ne avevano voglia.

Era piacevole farlo, tuttavia, li faceva sentire "normali".

La mattina si era ritrovata a bussare alle loro porte con la colazione, Diciotto l’aveva esaminata prima di rivolgerle uno sguardo piuttosto deluso: “Mangiali tu”.

“Ma se non sai neanche cosa vi ho preparato!”

“Si invece” la ragazza aveva additato il vassoio “questo nei bicchieri è detersivo per me e benzina per Diciassette, l’odore lo sente anche lo schifoso giù all’inferno.”

“Beh, credo che…”

“È veleno; possiamo morire.”

Kate si era sentita molto stupida; come un’altra volta quando lei si era seduta a tavola a mangiare e aveva spiegato che se avevano bisogno di ricaricarsi con la corrente c’erano le prese, anche se non avrebbe saputo dire se fossero le prese giuste.

“Giusto, dobbiamo ricaricarci come il cellulare o il rasoio” le aveva fatto notare sua figlia, piuttosto spazientita “se proprio ci consideri degli elettrodomestici, beh non siamo così primitivi!”

Allora Kate aveva proposto loro un piatto di bulloni, dadi, pezzi di plastica e persino una vecchia forchetta: “Questo va meglio?” 

“Ma fammi il favore!”

Diciotto si era coperta la faccia con le mani, indecisa se ridere o piangere.

“Sul serio, mamma?” Diciassette aveva preso la forchetta e l’aveva triturata sotto i denti “questa roba posso masticarla, ma non digerirla. Ma finche’ non si prova...che dici, Diciotto?”

L’esasperata Diciotto l’aveva obbligato a sputarla con un ceffone sulla nuca. Era rimasta a riflettere, rigirandosi un bullone fra le dita:

“…mamma, tu la vorresti mai questa roba? Vuoi farci stare male?"

Kate aveva già una collezione di figuracce.

Come quando li aveva beccati che stavano andando a lavarsi: “No! L’acqua no! Volete andare in corto?”

“Ovviamente. Come l’asciugacapelli e il tostapane.”

La mamma ci era rimasta di sasso anche per un’altra cosa che aveva chiesto a Diciotto. Con sua enorme sorpresa la ragazza le aveva confessato che anche da cyborg aveva sempre avuto le mestruazioni:

“Purtroppo nemmeno un genio della biomeccanica come lo schifoso può niente contro la potenza dell’ormone femminile!”

Kate era allibita: “Quindi volendo potresti restare incinta…E tuo fratello?”

Diciotto era scoppiata a ridere: “Non penso potrebbe restare incinto.”

 

I giorni passavano e con l’aiuto di Kate Diciassette e Diciotto recuperavano i loro ricordi; un lavoro faticoso e complesso, fatto di amore, pazienza, risate e occhi che si spalancavano o si incupivano. Erano stati loro a chiederglielo.

“Guarda, Diciassette, eri ancora carino qui” stavano sfogliando un album di vecchie foto, che ritraeva i gemelli durante i loro primi anni. In una che piaceva a Diciotto c’erano loro due ancora pelati, in braccio a Kate che porgeva loro i seni per allattarli.

Kate si sentiva in dovere di colmare i terribili vuoti che quel dottor Gero aveva aperto nella sfera intima dei suoi figli.

Ora riuscivano a contestualizzare i loro nomi, anche se le avevano chiesto di chiamarli coi numeri.

“Voi due chiamatevi come vi pare, ma io userò i nomi che ho scelto per voi quando eravate ancora nella mia pancia” diceva Kate.

Loro due le avevano rivolto uno sguardo quasi spietato. Non potevano più essere Lapis e Lazuli, non dopo quello che era successo loro. Anche se erano sempre i figli di Kate e anche se l'amavano, tutto era cambiato; dentro di loro, specialmente.

Kate cercò di capire e accettò la loro richiesta, anche se per lei i numeri non avrebbero mai rimpiazzato i loro nomi.

Non mancavano certo i brutti ricordi della Creatura che ogni tanto li visitavano, specialmente quando decidevano di dormire, ma di questo non avevano fatto parola alla mamma.

Kate a sua volta si interrogava sul destino dei suoi figli. Cosa ne sarebbe stato di loro adesso? Sapeva che non avrebbe potuto tenerli con sé per il resto della loro vita.

Era passato quasi un mese da quando erano tornati, molte volte aveva taciuto la verita’ al capitano Weiss. Non sapeva per quanto ancora avrebbe potuto farlo, una cosa come il ritorno dei gemelli non poteva restare in uno scatolino.

“ C'è qualcosa che devo dirvi. La polizia vi sta cercando e ho il sentore che se non trovate un modo per giustificare la vostra innocenza, vi arresterà. So dell'incidente del treno. So anche che voi due eravate a capo dei Neri.”

A Kate si era spezzato il cuore quando l'aveva saputo. Non si era mai immaginata che i suoi figli delinquenti fossero coinvolti così profondamente in attività criminali. O forse, all'epoca della sparizione, aveva rifiutato di considerarlo.

I Neri, quella gang che il Commando Magenta aveva menzionato. Due figure in nero.

“Innocenza, già. Per quel che ne so io, avremmo potuto essere noi. Perche’ non mi ricordo niente.”

Kate non aveva avuto paura degli occhi e della voce taglienti di suo figlio: loro dovevano essere innocenti. Non poteva perderli ancora.

“Come se fosse un problema scappare da una stupida cella.”

“Diciassette, smettila.”

Diciotto aveva fermato suo fratello dal continuare ad angosciate Kate, che aveva ragione. Loro due erano sopravvissuti a cose orribili, non sarebbe certo stato uno stupido arresto a riportarli via dalle persone care.

Kate le aveva detto che era stata una morosa del capitano Bruno Weiss, di sicuro lei sarebbe riuscita a ragionare con lui senza usare metodi troppo drastici, non se la sentiva di contare su Diciassette per qualcosa che richiedeva discrezione.

Capì che questa volta toccava a lei prendere le redini della situazione e sistemare il casino, tirarne fuori lei e Diciassette. Era arrivato il suo turno di fare qualcosa per lui, da sorella maggiore, da persona ancora scossa dal fatto che fosse rimasta impietrita mentre Cell si prendeva suo fratello.

 

Chiamò lei stessa il capitano. Quando lui varcò la porta di Kate e vide i gemelli, gli manco’ l’aria.

“Prima che ci arresti, calma un attimo. Dobbiamo spiegare.”

Bruno rimase incredulo davanti a Lapis in carne ed ossa, che gli era venuto incontro con la stessa aria da duro annoiato che ricordava. Stette a guardarlo lì in piedi, slanciato e forte, più alto di lui. Non era invecchiato, solo cresciuto.

“Sono felice di vederti, Lapis.”

Si strinsero la mano formalmente. Per un momento il capitano non riusci’ a non guardare i suoi occhi.

“La persona che mi ha tolto il passamontagna è l’attuale leader del Commando, Cloe Mafia, no?"

Il capitano perse la favella quando vide lei.

Lazuli dagli occhi gioiello. Lazuli dal viso sexy e innocente. Lei, vera, ancora lì.

Entrambi capirono che avrebbero voluto salutarsi con un abbraccio, ma nessuno dei due lo fece.

“Ascolta mio fratello, Bruno. E aiutaci a ricordare.”

Diciotto aveva saputo chi Bruno fosse nel momento in cui aveva visto i suoi occhi.

Gli stessi occhi della piccola Amelia, sua e di Sara.

Mentre Diciassette spiegava la situazione a Bruno, lei vagava con la mente; le sembro’ strano ma magnifico che due persone che erano state piuttosto importanti nella sua vita fossero ora insieme, avessero creato una famiglia. Le circostanze della sua sparizione li avevano uniti.

Si disse che almeno aveva fatto qualcosa di buono durante i suoi anni da delinquente.

Bruno invece stava affrontando un dilemma, lo stesso che l’aveva tormentato riguardo all’arresto: ora quei due ragazzi avevano trovato la loro madre e volevano vivere in pace, lui stesso pensava che il Commando fosse il vero responsabile dell’incendio. Il suo dovere di poliziotto era proteggere e servire, ma anche discernere e accettare che la maggior parte delle situazioni non erano bianco o nero. Destreggiarsi nel grigio e scegliere il meglio era il suo vero dovere.

Non ebbe altra scelta che essere onesto con loro:

“Lapis, Lazuli, io non so cosa fare.”

Lei si era alzata in piedi e l’aveva guardato con serieta’ e compassione:

“Lo so io, cosa fare. Andrò da Cloe Mafia, nessuno mi fermi.”

Bruno aveva tentato di seguirla, ma la presa ferrea di Lapis l’aveva fatto rimanere seduto.

Doveva darle fiducia; lei sapeva quasi sempre cosa fare.

 

Diciotto si mise in volo. Appena atterrò dove anche Sedici era atterrato qualche tempo prima, non pote’ fare a meno di notare lo squallido contrasto fra quella terra di nessuno e l’ordinato, pulito quartiere residenziale di Kate. Guardo’ quello che anche Sedici aveva visto, prima che potesse darsi la pena di cercare fu subito intercettata da una ragazza dall'aria ingenua:

“Qual buon vento ti porta da queste parti, Lazuli dei Neri? Sei viva...”

Aveva capelli bianchi, decolorati, e sopracciglia scure; portava una coroncina di fiori finti in testa.

Ora Diciotto se la ricordava. Si ricordava il suo volto arrabbiato mentre le strappava la maschera che proteggeva la sua identità. Si ricordava del cocktail molotov che le aveva lanciato, a cui Diciassette aveva sparato prima che la colpisse.

“Una questione rapida, il treno: costituitisci e ti lascero’ tranquilla.”

A lei non importava del Commando in se’, non era li’ a fare il giustiziere.

“Non così in fretta, amore, non così in fretta. Tu ora sei risorta da chissà dove e vieni a dire a me cosa fare. Solo che mentre eri via, qui abbiamo voltato pagina. Tu non sei nessuno ora. E io, io ho questa città in pugno.”

Diciotto la guardò alzare il pugno chiuso prima di trarre una pistola dalla cintola e appoggiare la canna contro il suo zigomo.

“Chi ha mandato l'androide n.16, sei stata tu? Va che roba...ancora qui a rovinare tutto, a sabotare la mia rete d'azione.”

L'incontro con un uomo inscalfibile che diceva di essere un androide e la sparizione di quattro dei suoi luogotenenti nel quadrante est del suo territorio non potevano essere semplici coincidenze.

“Quattro uomini avevo, in quella casa diroccata ad est. E sono spariti. Te lo richiedo, hai mandato tu l'androide n.16?”

Diciotto riusci’ a trattenere la reazione spontanea al nome del suo amico, pronunciato inaspettatamente dalla gangster.

“Sedici non ti riguarda. So che sei tu stata a incendiare quel treno nel tentativo di incendiare me, ora devi avere le palle di prenderti le tue responsabilita’.”

Il disprezzo sul viso di Cloe stupi’ Diciotto:

“Non so di cosa tu stia parlando, sei in combutta con la polizia? In ogni caso, non mi incastrerai usando le tue proverbiali gambe a fisarmonica.”

Per Cloe, quella ladruncola da quattro soldi poteva usare i suoi mezzucci e corrompere ogni poliziotto del distretto, ma se pensava di essere una minaccia si sbagliava di grosso: solo lei aveva uomini e armi a sua disposizione.

Diciotto ripensò all'unica casa diroccata che avesse presente, quella con la stanzetta ammobiliata dove lei e Diciassette si erano sistemati prima che Sedici li ritrovasse. Apparteneva al Commando Magenta, c'erano gli uomini di Cloe lì. Lei era rimasta lì molto poco e non aveva fatto sparire nessuno, ma possibile che Diciassette…

“Va’ a casa, Lazuli. Non far piangere la tua mamma.”

Diciotto diede a Cloe uno sguardo feroce, stringendo la canna della pistola:

“Confessa il rogo del treno, subito. O te lo farò fare.”

Cloe sentì caldo e guardò esterrefatta la canna della pistola diventare rossa incandescente, poi scoppiare. Si protesse gli occhi mentre la sua rivale si allontanava. Prima che lei andasse via, le punto’ il dito contro:

“Io invece so che ci siete tu e Lapis dietro la morte dei miei luogotenenti! E il momento di una mia vendetta è giunto da tempo. Ci saranno ritorsioni, Lazuli. Ci saranno ritorsioni.”

 

 

 

 

 

 

 

 

Pensieri dell’autrice:

 

E riprendiamo qui il cliff hanger del capitolo scorso! Finalmente Kate e i suoi adorati gemelli sono di nuovo insieme e sono felici, anche se forse non tutto va come Kate aveva previsto. Dopo un tentativo laborioso da Great British Bakeoff Kate ci resta male che ai cari non piaccia la torta, ma questo e’ un tratto saliente di Kate, lei detesta cucinare. E la cucina detesta lei (e in questo mi sono ispirata a me).

Ho cercato di essere realistica sulla reazione di Kate alla conferma della verita’; non mi immagino che effetto possa fare di ritrovarsi due figli cyborg, ma sono certa che farei anche io delle figuracce se succedesse a me!

Ho fatto un’ipotesi sulla fisiologia dei cyborg, che ne dite? Immagino che a loro non possa venire mal di pancia perche’ per me ha senso, ma sono d’accorto con Diciassette quando dice che mangiarsi una forchetta sia tutto sommato un’idea stupida che non funziona :’) io e il mio lettore Teo pensavamo anche che loro due si possono ammalare, ma senza avere noie come noi umani basic.

E in tutto questo, la felicita’ della piccola famiglia non e’ ancora assoluta perche’ il passato da delinquenti dei gemelli torna a tormentarli. Cloe Mafia sfida Diciotto, che e’ paziente.
Con Cloe e il suo atteggiamento spregiativo riflettevo su una questione che, per esperienza, considero vera: a volte sono le donne ad essere piu’ crudeli con altre donne. Anche se bon, Cloe e’ crudele con tutti. Nel prossimo capitolo vedremo cosa sta facendo la nostra piccola veterinaria-cecchino; ci sara’ anche l’introduzione di un personaggio abbastanza importante, da tenere d’occhio.

Grazie di tutto, lettori e recensori. La motivazione che mi date e’ enorme.

   
 
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