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Autore: GirlWithChakram    05/05/2020    3 recensioni
Un giorno d’estate, un giorno come tanti per Chloe, il cui compito è consegnare gli addobbi floreali per l’ennesima cerimonia.
Un giorno d’estate, un giorno speciale per Maxine, che sta per compiere il grande passo.
Un giorno d’estate, in cui a sbocciare non saranno solo i fiori.
Breve commedia Pricefield ispirata al film “Imagine Me & You”.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield
Note: AU, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Rose
[Vero amore]
 

 
Girare la chiave nella toppa di casa richiese a Maxine più forza di quanta ne possedesse realmente. Le dita, irrigidite e rese insensibili dal freddo e dalla pioggia, sembravano volerle impedire a qualsiasi costo di raggiungere la dimora. Warren la aspettava oltre la soglia, pronto a ricordarle della loro vita insieme, dell’esistenza che avevano deciso di condividere e l’avrebbe fatto offrendole un mazzo di fiori preparato da colei che aveva messo in dubbio proprio quelle scelte.
Inspirò a fondo, sopprimendo un singhiozzo.
Socchiuse l’uscio e spiò all’interno, udendo il rumore della doccia provenire dal bagno. Sospirò, contenta di non dover affrontare immediatamente il marito, ma il sollievo durò poco, quando notò i gigli in bella mostra sul tavolo.
Meditò a lungo, osservando le stelle color arancio originate dai calici bianchi. Erano uguali ai fiori del bouquet, il piccolo nodo nella trama del Fato che aveva unito il suo destino a quello di Chloe.
Serrò le palpebre con forza. Non avrebbe più pensato a lei, quello era un regalo di Warren, null’altro.
Quando Graham uscì dalla doccia, le domandò dove fosse stata e per quale ragione fosse uscita nonostante il maltempo e lei, incapace di confessargli quanto realmente accaduto, rimase sul vago. Gli spiegò che la solitudine l’aveva esasperata e si era ritrovata a girovagare per la cittadina perdendo la cognizione del tempo. Lui, felice di essere nuovamente a casa dopo la noia del convegno, prese per buone quelle parole e si apprestò a raccontarle il proprio weekend, aspettandosi poi di sentire il resoconto della serata al drive-in.
La Caulfield riuscì a rimandare quel discorso, adducendo la scusa di volersi fare una doccia a propria volta e poi approfittò della stanchezza del marito per liquidare la questione con qualche commento stringato.
Per essere il ritorno alla sua vita senza la Price, l’inizio era tutto meno che promettente.
 
***
 
I giorni trascorsero gli uni uguali agli altri, omologati da una pesante nebbia, pronta ad inghiottire l’intera baia.
La vita di Chloe sembrava essere stata d’improvviso privata di tutti i colori: le piante del negozio erano grigie, come lo erano il cielo e il mare, svuotati dei toni vibranti erano anche i suoi capelli e i suoi amati tatuaggi. Un colore anonimo come il suo umore aveva tinto la città da quando la pioggia portata dalla tempesta aveva lavato via il suo ultimo sorriso.
A nulla erano valsi gli sforzi di Stephanie di rallegrarla, la Price era precipitata in uno stato di catatonica indifferenza da cui sembrava riprendersi solamente per sporadici scatti di rabbia, spesso ai danni della Gingrich stessa.
Giunto mercoledì, nulla sembrava cambiato dal passaggio del temporale. La fiorista era abbandonata dietro il bancone a giocare distrattamente con il cellulare, pregando, segretamente, di vederlo illuminarsi con un messaggio farcito di emojis fino alla nausea. Le mancava la cascata di faccine che Max le donava ogni giorno per il puro gusto di vederla brontolare.
Assorta nei propri pensieri, neppure si accorse dell’ingresso di un cliente, un giovanotto che non poteva avere molti anni più di lei. Senza perdere tempo, lui la apostrofò con un diretto: «Mi serve qualcosa per rompere.»
Chloe si cacciò l’apparecchio in tasca e gli rivolse il più neutro degli sguardi.
«Devo lasciare la mia promessa sposa» chiarì il potenziale acquirente «Ho trovato una più gnocca e mi serve un modo per dirglielo con una pianta.»
La fioraia si alzò, trascinando i piedi verso un vaso poco distante da cui estrasse un mazzo di fiori bianchi, rosa e violetti. «Per esprimere l’idea di separazione, ci sono le ortensie. Significano: è finita, ma conserva un buon ricordo di me.»
«Perfetto» la assecondò l’uomo, senza neanche degnare le piantine di uno sguardo «Ne prendo una.»
«Una composizione?» domandò la Price, iniziando ad assemblare le varie infiorescenze.
«Una singola orticosa o come si chiama.»
«Non è un gran che come regalo d’addio» ribattè la fiorista, con un po’ troppa enfasi.
«Non mi interessa cosa arriverà a pensare di me, mi serve un fiore per far sì che non cambi la serratura di casa prima che mi sia ripreso la mia roba» replicò lui, alzando le spalle con menefreghismo.
«Sai cosa ti dico?» disse la donna, con tono glaciale «Vaffanculo.»
Il cliente strabuzzò gli occhi. «Come hai detto?»
«Fuori!» ruggì lei, trattenendosi a stento dallo spintonarlo a spallate «Vattene subito, non ho intenzione di vendere niente ad una testa di cazzo come te.»
Lui, allibito, si avviò verso l’uscita a passo spedito.
«Sono contenta per la tua ex» gli gridò dietro, sbattendogli la porta alle spalle «Si è liberata di un gran pezzo di stronzo!»
La Gingrich, intenta a controllare l’inventario nel retro, irruppe all’interno del negozio, guardandosi attorno pronta ad intervenire.
«Che cosa è successo?» chiese, fulminando la collega, che le dava le spalle fissando ancora l’entrata del Kabloom.
«Ho dovuto portare fuori l’immondizia» replicò la fiorista, riacquistando l’inflessione impassibile che l’aveva caratterizzata nei giorni precedenti.
«Chloe, porca miseria, non puoi comportarti così» replicò Steph, ben sapendo di rischiare di divenire la nuova vittima dei suoi sfoghi «Questa è l’attività che ci dà da mangiare e non possiamo permetterci di cacciare i clienti perché, a nostro parere, sono dei pezzi di merda. Certo, può essere che lo siano, ma noi siamo tenute ad accontentare le loro richieste, se vogliamo pagare l’affitto.»
La Price sbuffò forte, ma non obiettò.
«Lo sai anche tu che è stato un comportamento stupido. Un conto è insultare me, che non è chissà quale novità, ma mettere a repentaglio il nostro lavoro è un altro discorso» proseguì Stephanie, andando incontro all’amica, per appoggiarle una mano sulla spalla «È un momento difficile e non ho intenzione di farti pesare le cose più del dovuto, ma forse dovresti pensare di prenderti un attimo per rimettere insieme i pezzi di…»
La Gingrich gesticolò attorno a sé e la fiorista fece una smorfia.
«Di tutto quanto. Rivoglio la mia amica e credo che ti serva una vacanza lontano da qui, per ritrovarti dopo quello che è successo.»
Chloe si chiuse nelle spalle. «Tra poco ci sarà il Ringraziamento, avremo tanto da fare qui e non posso lasciare sola mia madre. Forse, trascorse le festività, potrei anche decidere di darti retta.»
«Lo sai che do sempre buoni consigli» gongolò Stephanie, avvicinandosi per darle un rapido abbraccio «E chissà, nel frattempo le cose potrebbero anche cambiare. Ma parlando di Joyce» continuò «L’ho sentita preoccupata per te, l’altro giorno, dovresti passare a farle almeno un saluto di persona, per tranquillizzarla.»
La Price annuì e, una volta chiuso il negozio, invece di dirigersi al proprio appartamento, guidò fino a raggiungere Cedar Ave.
Come ogni volta, bussando appena, infilò la chiave nella toppa ed entrò pronta ad abbandonare la giacca sul pavimento.
«Chloe Elizabeth Price» la redarguì la voce della genitrice «Non buttare gli indumenti per terra!»
La fioraia sorrise debolmente, per la prima volta dopo giorni. Percorse a grandi falcate il breve tratto per raggiungere la cucina, ma, con sua grande sorpresa, non trovò la madre intenta a trafficare ai fornelli, il che era assurdo, essendo quasi ora di cena.
«Dove sei?» domandò, sbirciando verso la sala solo per trovarla vuota.
«Arrivo tra un momento.»
La giovane Price si accasciò sul divano, ritrovandosi a fissare lo schermo spento del televisore, sormontato da alcune fotografie di famiglia. Da quelle cornici, una bambina le sorrideva spensierata insieme ad un uomo dai capelli biondi e lo sguardo caloroso. Il ricordo di quei fantasmi felici la rese ancor più consapevole di quanto misera si sentisse in quel momento.
Le lacrime arrivarono a premere con forza contro le palpebre e, proprio mentre udiva la madre sopraggiungere, una goccia scivolò lungo la guancia della fiorista senza che fosse in grado di fermarla.
«Oh, tesoro, cosa è successo?» chiese Joyce, affrettandosi a raggiungere la figlia per sederle accanto «Stephanie mi aveva riferito che ci fosse qualcosa, ma non immaginavo…»
Chloe si passò una manica sul volto.
«Forza, confidati con la tua mamma» la incoraggiò la donna, prendendole amorevolmente la mano.
La fioraia si rassicurò a quel contatto e trovò la forza di aprirsi. «Ho conosciuto una ragazza» disse, abbassando lo sguardo «Ma sta già con un’altra persona.»
Alla signora Price si strinse il cuore a vedere la sua bambina tanto afflitta e non ebbe altra reazione se non quella di avvicinarla a sé per confortarla.
La figlia non cedette al pianto, imponendosi un po’ di contegno, ma si lasciò cullare con dolcezza.
«Posso farti una domanda, tesoro?» mormorò Joyce, accarezzandole i capelli, come faceva quando era piccola.
Chloe annuì.
«Lei ti ama?»
La figlia si risollevò per parlare faccia a faccia con la mamma. «No» rispose, scuotendo le spalle.
La signora Price attese, leggendo l’incertezza sul suo viso.
«Non lo so» si corresse la giovane «Forse sì» rettificò ancora una volta «Ma comunque non ha importanza.»
Joyce le accarezzò il viso, per asciugare un’altra lacrima. «Invece è l’unica cosa che conta.»
La fioraia assorbì quelle parole come una spugna, desiderando crederci con tutto il proprio cuore. La sicurezza con cui venne pronunciata quella frase la rassicurò tanto da permetterle di concentrarsi su qualcosa che non fosse il proprio dolore, facendole notare qualche dettaglio inatteso. La madre indossava un abito troppo elegante per essere tenuto in casa, in più si era truccata ed era chiaramente stata dal parrucchiere poco prima, come testimoniava la tinta bionda senza ricrescita.
«Come mai sei conciata in questo modo?» indagò, cancellando le tracce del pianto «E, cosa più allarmante, come mai non c’è la tavola imbandita?»
«Che tu ci creda o no» replicò Joyce «Stasera non dovrò cucinare.»
«Hai un appuntamento?» chiese sbalordita la figlia.
«Non è il caso di suonare tanto sorpresa» la rimproverò la madre «Sei stata tu stessa ad incoraggiarmi e, per quanto ti possa apparire incredibile, sono stata invitata a cena da David, te ne ho parlato qualche giorno fa.»
Chloe si fece dare qualche dettaglio a riguardo, ma non si trattenne per lasciare alla genitrice il tempo di finire di prepararsi.
«Per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi, tesoro» le ricordò Joyce, prima di lasciarla andar via con un abbraccio.
«Va bene, ma solo se tu ti ricorderai di mandarmi un messaggio quando rientri a casa.»
«E dire che il genitore, qui, dovrei essere io» commentò la signora Price, osservando la figlia raggiungere l’automobile e sparire lungo la via.
 
***
 
Quando arrivò la domenica, Christopher fu molto rattristato dal constatare che, nonostante l’avesse supplicata in mille modi, Max non lo avrebbe più accompagnato al Kabloom. Le aveva chiesto spiegazioni durante tutta la settimana, ma aveva ottenuto solamente risposte vaghe.
Provare ad interrogare la sua mentore non aveva portato a risultati migliori, poiché lei era riuscita a corromperlo con la promessa di continuare le loro colazioni al Two Whales e proponendosi di andarlo a prendere a casa personalmente per non indispettire Charles.
Il piccolo Eriksen attendeva al fondo del vialetto di casa, aspettando la comparsa del pickup. Aveva escogitato un piano per riuscire ad ottenere la verità, ma non doveva lasciarsi sviare da Chloe. Sapeva che la fiorista era più grande e quindi più esperta nell’arte di manipolare le conversazioni, ma anche lui, dall’alto dei suoi nove anni e mezzo, aveva nel proprio repertorio qualche trucchetto.
La Price accostò il veicolo al marciapiede e si sporse lungo il sedile per riuscire ad aprirgli la portiera. «Salta su.»
Il bambino ubbidì, lanciando lo zaino sul tappetino.
«Pronto per una colazione da supereroi?» domandò la donna, mettendo in moto alla volta del diner.
Chris rimase in silenzio un momento.
«Tutto bene, ometto?» chiese ancora la fioraia, studiandolo con la coda dell’occhio.
«Perché tu e Max non volete più essere amiche?» Non era la più subdola delle strategie, ma Captain Spirit non era tipo da andare per il sottile.
«Ti ho già detto che tu non hai niente a che vedere con questa storia» replicò la Price, sentendo di star cadendo in una trappola «È una cosa da grandi… E comunque non è che non vogliamo essere più amiche.»
«E allora cos’è?» insistette lui «Max non me lo vuole dire, ma l’ho sentita triste al telefono e nei messaggi non mette più le emojis, sono preoccupato.»
«Oh, scricciolo» mormorò la mentore «Non devi esserlo, davvero. Vedrai che tra qualche tempo tua cugina tornerà ad usare le faccine, è solo un periodo di transizione.»
«Cos’è una “transizione”?»
«Un passaggio da una situazione ad una differente» gli spiegò la donna «Anche se ci sono delle accezioni secondarie che ti chiarirò magari tra qualche anno.»
«Ma perché a Max non andavano bene le cose come erano prima? Eravamo felici, tutti insieme» piagnucolò l’apprendista.
L’espressione tesa di Chloe si spezzo in una smorfia di dolore. «Lo eravamo, ma ogni tanto le cose cambiano e dobbiamo imparare ad accettarlo.»
«Io non voglio!» strepitò Eriksen, agitando le braccia «Voglio che tutto torni come prima!»
Il movimento a bordo del campo visivo distrasse l’autista, che, nel tentativo di calmare il bambino, mancò di fermarsi ad uno stop.
Il suono assordante di un clacson e le ripetute imprecazioni di un camionista salvarono il pickup da uno scontro potenzialmente pericoloso. La Price ebbe la prontezza di riagguantare il volante e premere l’acceleratore per disimpegnare l’incrocio prima che potesse accadere il peggio.
La fiorista accostò, pallida come un lenzuolo. Christopher, accanto a lei, aveva piantato le unghie nel sedile e fissava davanti a sé come se avesse appena visto la morte in faccia.
«Stai bene?» domandò subito al piccolo passeggero, notando quanto fosse anch’egli scosso.
«Io… Mi dispiace» balbettò, scoppiando a piangere «Non volevo, è stata colpa mia…»
Chloe lo abbracciò. «Non è successo niente, Chris, ci siamo solo presi uno spavento. Non è stata colpa di nessuno.»
«Volevo solo sapere come mai non vi volete più bene» singhiozzò lui «Così avrei potuto usare i miei poteri per farvi fare la pace…»
«Chris…» lo richiamò la Price, allontanandosi per guardarlo in faccia «Avevi paura che, se non avessi più voluto bene a tua cugina, avrebbe significato che non ne avrei voluto neppure a te?»
Lui si voltò per nascondere le lacrime.
«Pensavi che non saremmo stati più amici?» ribadì.
Eirksen si passò una manica sul viso, proprio come avrebbe fatto la sua mentore. «Tu sei diventata mia amica al matrimonio di Max e allora…» farfugliò, incespicando nei propri pensieri.
«Io ti voglio bene, scricciolo.»
Christopher guardò Chloe con gli occhi gonfi e rossi.
«Noi siamo amici per milioni di ragioni che non hanno niente a che vedere con tua cugina o chiunque altro e questo non cambierà mai, ricordalo. Ci piacciono i fumetti, i supereroi e il bacon con la cioccolata. Non ci piacciono i bulli, le domande trabocchetto e i broccoli.»
Al sentir nominare la verdura più detestabile al mondo, entrambi rabbrividirono.
«Siamo un duo indivisibile, no? Captain Spirit e Power Girl.»
Lui annuì.
«E allora non hai di che preoccuparti. Finchè avrai bisogno di me, sarò al tuo fianco, che sia per fare i compiti di scienze o per accompagnarti a fare il primo tatuaggio, potrai contare su di me.»
Si abbracciarono nuovamente, mentre lontano il mare rumoreggiava schiantandosi in volute di spuma.
Si rimisero in marcia a velocità estremamente controllata, raggiungendo il parcheggio del Two Whales in una decina di minuti.
Posteggiata la vettura, Chris decise di tornare all’attacco un’ultima volta, intestardito dal voler ottenere una spiegazione.
«Ma, allora, se siamo così amici, mi dici perché a Max non vuoi più bene?» mugolò.
La Price sospirò. «Chris, il problema è l’esatto contrario.»
«Le vuoi troppo bene?» domandò, confuso.
«Per così dire» confermò lei «E, proprio perché a lei ci tengo, non voglio che soffra.»
«Ma lei sta male senza di te, ne sono sicuro!» affermò.
«Non ha importanza, è giusto così» replicò Chloe «Un giorno capirai.»
Christopher non fece più domande, scegliendo di lasciarsi alle spalle quel viaggio annegandone il ricordo in una tazza di cioccolata, ma dentro di sé iniziò a covare l’idea che, divise, sua cugina e la fiorista non potessero più essere felici.
 
***
 
Maxine trascorse la domenica a torturarsi per aver dovuto dire ufficialmente addio alle colazioni al Two Whales. Si immaginava Chloe e Chris, seduti l’uno di fronte all’altra, tanto presi dai loro discorsi sui supereroi da dimenticare la cioccolata nelle tazze che sarebbe diventata fredda. Se si fosse trovata con loro, lo avrebbe fatto presente e avrebbero riso tutti insieme, per poi tornare alle conversazioni più assurde, scordando ancora una volta le bevande.
Le distrazioni a cui la Caulfield ricorse durante tutta la giornata non fecero che alimentare quelle fantasie, trascinandola in scenari che la affiancavano sempre a colei che cercava ad ogni costo di dimenticare.
Era chiaro che la Price le mancasse, sarebbe stato stupido affermare il contrario, ma ciò che le pesava di più era il senso di colpa nei confronti di Warren. Per una settimana intera lo aveva tenuto a distanza, adducendo ogni scusa possibile per non trascorrere del tempo con lui, suggerendogli persino di uscire un po’ con Eliot, pur di non averlo a casa con sé.
In assenza del marito, aveva iniziato per centinaia di volte il discorso in cui gli avrebbe parlato del tradimento, poiché tale era stato, e della decisione presa a riguardo. Il problema era radunare il coraggio necessario e quella sera Max era finalmente convinta di potercela fare.
Graham aveva accompagnato per la terza giornata di seguito l’amico Hampden a bere in un qualche pub dove lavorava una barista carina e, la moglie sapeva, avrebbe fatto ritorno piuttosto brillo e sonnolento, il che, sperava, gli avrebbe reso più facile prendere la notizia.
Maxine ripassò il copione nella propria testa fino alla nausea e si assopì sul divano, ancora mormorando le frasi scelte.
Fu destata all’improvviso dallo sbattere della porta.
«Sono tornato» biascicò Warren «Non devo bere con quell’idiota» proseguì, abbandonando la giacca e le scarpe sulla soglia «La birra in quel posto fa schifo.»
La Caulfield si alzò per raggiungerlo e nel farlo si accorse di quanto fosse ubriaco. Sembrava che, per concludere la settimana in bellezza, avesse deciso di alzare il gomito un po’ più del solito.
La moglie lo aiutò a non cadere quando notò quanto fosse malfermo sulle gambe.
«Mi serve dell’acqua» farfugliò «Nonno diceva che servono otto bicchieri per superare la sbronza.»
La padrona di casa decise di mettere da parte la propria confessione, per aiutarlo a tornare lucido, prima di affrontare il temuto discorso. Raggiunse la cucina, gli riempì il primo bicchiere e altri quattro a seguire, che lui ingollò come fossero shots.
«Stai bene, amor mio?» balbettò Graham, tracannando il quinto come se niente fosse. Il suo sguardo era un po’ vacuo, ma sembrava in grado di capire cosa stesse accadendo.
«Ti devo parlare.»
«Ti voglio parlare anche io» ribattè «Ma prima devo bere altri tre di questi…»
Maxine fu vinta da un moto di insicurezza ed uscì dalla stanza per dirigersi in salotto.
Dopo qualche minuto, Warren la raggiunse, accasciandosi sul sofà. «Ti ascolto» affermò, stendendosi per tutta la lunghezza del divano «Spara, bellezza.»
Max non riuscì a guardarlo negli occhi. Proseguì nel camminare in cerchio, seguendo il bordo del tavolino da caffè, mentre metteva ordine tra i propri pensieri.
«Volevo parlarti perché…» si decise, alla fine, interrompendo l’andirivieni per un momento «Perché è successa una cosa.»
Il consorte fece un verso di assenso, invitandola a continuare.
La moglie fissò il cielo dalla portafinestra, trovandolo inaspettatamente cupo. «Io non l’ho cercata» si giustificò «È capitata e, anche se ora è finita, hai il diritto di sapere.»
Max sentì il cuore rimbombarle nelle orecchie.
«Ho perso la testa, Warren» affermò «Sono impazzita per qualcuno che non sei tu.»
Gli occhi le si inumidirono, mentre qualche stella si faceva largo nonostante le nuvole.
«Mi dispiace così tanto…» mormorò «Ti prego, credimi.»
Si voltò verso il marito alla ricerca di una reazione, ma lui giaceva addormentato, con i pugni serrati al petto a stringere il collo della maglietta.
«No, non puoi dormire, per piacere» lo supplicò, avvicinandosi per scuoterlo «Svegliati. Non posso fare questo discorso un’altra volta…»
Lui rimase impassibile, il respiro rallentato e pesante.
«Comunque, resto» sussurrò, accarezzandogli le mani «Non ce la farei mai a lasciarti, sei il mio migliore amico.»
Maxine sospirò, ricacciando indietro il pianto.
«Questo bastava, prima, e basterà anche adesso.»
Baciò la fronte del marito e si ritirò in camera, ben sapendo di avere davanti l’ennesima notte insonne.
Non si accorse di Warren, che, quando lei scomparve, si lasciò sfuggire una lacrima dagli occhi socchiusi.
 
***
 
Il giorno del Ringraziamento sembrò cogliere l’intera cittadina di sorpresa, riportando una giornata di sole giusto in tempo per la parata dei carri.
Chloe era pronta a chiudere bottega per raggiungere la madre a pranzo, quando la porta del negozio si spalancò e una figura scura si stagliò con fare intimidatorio contro la luce proveniente da fuori.
«Desidera?» domandò, cercando di mettere a fuoco il cliente.
«Sei tu, allora, non è vero?» la assalì l’avventore.
«Eliot?» lo identificò lei, cercando di capire per quale ragione fosse venuto da lei.
«Rispondimi.» La voce di Hampden era severa, tanto ferrea da far drizzare i capelli sulla nuca della fiorista.
«Non capisco cosa tu intenda…»
«Warren non lo sa» ribattè l’uomo «Nella sua confessione, Max non ha fatto nomi, ma io l’ho capito subito.»
La Price indietreggiò, vedendo l’altro avanzare.
«Sai cosa vuol dire ritrovarti il tuo miglior amico in lacrime sulla porta di casa?» proseguì lui, facendo un altro passo avanti «Distrutto dall’aver cercato di dare un senso a qualcosa che non si sa spiegare e dal dover fingere che vada tutto bene? Perché è quello che è accaduto ieri sera. Non ce l’ha fatta più, doveva dirlo a qualcuno.»
Nella luce fioca del Kabloom, la donna scorse gli occhi di Eliot guizzare a destra e a sinistra, per fissarsi su di lei. Quello sguardo vibrava di inquietudine.
«Oggi saranno a pranzo dai Caulfield e stasera a cena dai suoi e lui dovrà sorridere e parlare di progetti che, ora sa bene, Max non vuole condividere davvero.»
La fioraia deglutì a vuoto, cercando di tenere i nervi saldi.
«Dimmi che mi sbaglio» sputò Hampden, tirando un calcio ad un vaso di narcisi «Dimmelo.»
Chloe non ebbe la prontezza di mentire.
«Stupida puttana che non sei altro» strepitò Eliot «Non era così che doveva andare!»
Lei si mise in posizione di difesa, pronta a ricorrere alle maniere forti, se necessario.
«Tu dovevi amare me!» la aggredì, balzando in avanti «La tua preziosa Max voleva che tu fossi mia! Tutto era stato pensato per portarti da me
La Price trattenne il respiro, tesa come una corda di violino.
«Devi darmi una possibilità.»
Si gettò su di lei, cercando di baciarla con irruenza, ma la fiorista fu pronta a scansarsi e a rispondergli a tono con un ben mirato pugno su naso.
«Ci tenevi tanto ad avermi? Questo è tutto ciò che ti darò» affermò, massaggiandosi le nocche.
Hampden si portò le mani al viso per fermare il sangue che sentiva scorrere lungo le narici.
«Penso che sia ora per te di andare» proseguì «Prima che decida di suonartele come si deve.»
Eliot la fissò con astio, ma non si azzardò a replicare, consapevole di essere nel torto.
«Mi dispiace per il pugno, ma certi messaggi non vengono recepiti in altra maniera» aggiunse la fioraia indicando l’uscita «Vattene e non farti più vedere. Tutta questa storia non ti ha mai riguardato dal principio.»
L’uomo si ricompose e si voltò, scomparendo come gli era stato ordinato.
Chloe, quando vide la porta chiudersi, si affrettò a raggiungerla per girare la chiave nella serratura e solo allora si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Per un momento aveva temuto che Eliot potesse rivelarsi una vera minaccia, non le restava che augurarsi che quella lezione fosse sufficiente a scoraggiare qualsiasi altra interazione.
«Merda, farò tardi a pranzo» si ricordò all’improvviso, realizzando di avere una fame da lupi e un enorme numero di buone ragioni per voler soffocare tutti gli eventi delle ultime settimane sotto chili di tacchino ripieno e insalata di patate.
Recuperò la composizione floreale che aveva deciso di portare come centrotavola e balzò in auto al suono delle campane del mezzogiorno.
Si destreggiò tra il traffico e le vie chiuse a causa della manifestazione di quel pomeriggio, raggiungendo Cedar Ave quando stava per scoccare la mezza.
Parcheggiò il pickup di fronte alla casa, notando come il posto del vialetto fosse già occupato da una vettura mai vista prima, appartenente con ogni probabilità all’altro ospite.
Raggiunse la soglia di casa e bussò, come suo solito, per poi destreggiarsi con l’ingombrante fagotto per infilare la chiave nella toppa ed entrare. Un profumo di carne arrostita e spezie la investì, ridonandole un’ombra di sorriso. Quelli erano gli stessi aromi che accompagnavano le feste fin dall’infanzia e, dopo lo scontro con Hampden, le ci voleva qualcosa in grado di ridarle conforto e sicurezza.
«Sei arrivata, finalmente!» esclamò Joyce, sporgendosi dalla cucina «È quasi tutto pronto, mancava giusto il tuo capolavoro.»
Chloe raggiunse il salotto ed appoggiò il centrotavola in modo che non intralciasse i piatti già apparecchiati. Osservò il pezzo con soddisfazione, una trovata di quell’anno che era andata a ruba tra i clienti ed aveva aiutato a rimpolpare le casse del Kabloom: tra una corona di girasoli, crisantemi e Dalhia arancioni, aveva disposto tre piccole zucche che donavano al complesso un tocco autunnale. Ci aveva messo ore a disporre i fiori per trovare la giusta alternanza e far sì che non appassissero prima di essere messi in bella mostra, ma il risultato era straordinario.
«Molto bello» commentò una voce, che portò la fiorista ad incontrare il terzo commensale.
«Grazie» rispose la Price, tendendo la mano verso l’uomo «Tu devi essere David.»
«David Madsen» confermò, ricambiando la stretta «Piacere di conoscerti.»
La fioraia lo studiò rapidamente. Dal portamento rigido e l’espressione severa, si sarebbe detto che provenisse da un passato nelle forze dell’ordine, mentre lo sguardo sfuggente tradiva il timore di essere giudicato. Probabilmente voleva soltanto fare una buona impressione alla figlia della donna che stava frequentando e Chloe apprezzò quando lui si offrì di tenerle compagnia davanti al televisore mentre aspettavano che il tacchino ultimasse la cottura.
Quella fu la loro occasione per conoscersi un po’, dando alla Price la conferma sul passato dell’uomo come soldato. Le raccontò della guerra e del percorso che aveva compiuto per ritrovare se stesso una volta lontano dal conflitto.
«Sono dovuto scappare, dovevo cercare la pace all’esterno, per poterla riportare dentro di me» disse, accarezzandosi i baffi.
La fiorista assentì in silenzio. Se sua madre glielo avesse presentato dieci anni prima, avrebbe detestato David a pelle senza alcun dubbio e avrebbe colto ogni occasione per discuterci e litigarci. Semplicemente, si presentava come il classico veterano inflessibile che avrebbe portato all’esasperazione qualunque adolescente un po’ ribelle, come era stata lei. Ma da adulta era in grado di giudicarlo per quello che era: un uomo con un vissuto difficile che non desiderava altro che essere felice accanto alla donna che amava. Non poteva che ammirarlo.
Quando Joyce decretò pronta la pietanza, i tre si misero a tavola.
«Avete già fatto un po’ di conoscenza?» indagò la signora Price, invitando la figlia a tagliare la portata principale.
I due annuirono e la donna sorrise, contenta di vederli andare d’accordo.
Con i piatti pieni, iniziarono a mangiare e chiacchierare come non accadeva da tempo attorno a quel tavolo. Chloe interveniva il meno possibile, preferendo osservare l’interazione tra la madre e il suo compagno. Non ricordava di averla vista sorridere tanto da quando aveva perso il marito, sembrava ringiovanita e serena come se avesse riscoperto una gioia di vivere sopita troppo a lungo.
«Tesoro, mi stai ascoltando?» la richiamò la genitrice.
La fiorista scosse il capo. «Scusa, mi ero incantata un momento.»
«Ti ho chiesto cosa ti sia fatta per avere quella macchia sulla canotta, sembra sangue…» replicò, indicando una goccia vermiglia che risaltava sul bianco del tessuto.
«Oh, questa» contemplò la giovane «Non me n’ero neanche accorta.»
«Allora, cos’hai combinato?»
La fioraia tentennò. «Ho avuto un breve diverbio a distanza ravvicinata che potrebbe essersi concluso con un pugno.»
«Chloe Elizabeth Price!» esclamò la madre con il suo inconfondibile tono di biasimo «Ti sembra il modo di comportarti?»
«Se l’è cercata» provò a difendersi lei «Non avrebbe recepito il messaggio in altro modo.»
«Non sarà per caso il fidanzato di quella ragazza di cui mi parlavi?» rispose Joyce, preoccupata.
«No, era il suo migliore amico.»
«Chloe» mormorò la signora Price «In che situazione ti sei cacciata?»
Lei scosse il capo, sconsolata. «Non credo neanche più di saperlo.»
«Posso offrire un consiglio?» si intromise David «Non conosco i retroscena di questa storia, ma posso parlare per esperienza quando dico che, alle volte, mettere la giusta distanza tra sé e i propri problemi aiuta a ridimensionarli.»
La fiorista tacque. Aveva contemplato l’idea di andarsene da Arcadia Bay per qualche tempo, da quando Stephanie le aveva messo la pulce nell’orecchio. Ovunque andasse, sentiva la presenza di Max e la cosa la faceva soffrire indicibilmente. Eppure, non poteva permettersi di lasciare la Gingrich da sola ad occuparsi del negozio e, come se non bastasse, aveva promesso a Chris di aiutarlo con il progetto per la Fiera delle Scienze. Fuggire non le sembrava un’opzione.
«Nessuno sta dicendo che tu debba scappare senza fare ritorno» specificò l’uomo «Ma, forse, una vacanza sarebbe proprio ciò di cui hai bisogno.»
La Price fissò la madre alla ricerca di conferme.
«Penso che dovresti pensarci, tesoro» concordò la genitrice «Vorrei vederti tornare a sorridere.»
Chloe si alzò da tavola con il piatto ancora mezzo pieno. «Credo abbiate ragione.»
Gli altri due la guardarono, in attesa del seguito.
«Devo fare una telefonata e non penso di trattenermi oltre, ho il serbatoio pieno e un sacco di strada da fare.»
Joyce non provò a fermarla. L’abbracciò forte, le chiese di avvisarla una volta deciso dove andare e le ricordò di mangiare qualcosa che non fosse il solito cibo spazzatura.
«Grazie, David» disse la giovane, salutando Madsen «Mi ha fatto davvero piacere conoscerti.»
L’uomo le tese nuovamente la mano.
«Abbi cura della mamma mentre sono via» si raccomandò la Price, tirando fuori le chiavi dell’auto e il cellulare.
«E tu abbi cura di te stessa.»
 
***
 
Chris, agghindato per la festa con tanto di cravattino e giacca elegante, sedeva composto alla tavola di casa Caulfield. La dimora degli zii risuonava delle direttive di Vanessa che imponeva al marito di seguire le sue indicazioni affinché il pranzo fosse perfetto.
«Devi accendere le candele e sistemare i divani prima che arrivino, voglio che sia tutto perfetto» ordinò la padrona di casa, comandando il consorte a bacchetta «E cambiati quella orrenda cravatta, sembri uscito da una compagnia di clown.»
«Sì, cara» ribattè Ryan, cercando un accendino all’interno dei cassetti della credenza.
Christopher si offrì di aiutarlo, ma l’uomo scosse il capo, ben sapendo che la moglie gli avrebbe fatto pesare anche il più insignificante accenno di collaborazione.
Il piccolo Eriksen avrebbe voluto comprendere la dinamica che legava gli zii. Si ricordava come interagivano i suoi genitori e ciò non aveva nulla a che vedere con il modo in cui Vanessa trattava il marito, cogliendo ogni occasione per criticarlo.
I coniugi Graham arrivarono quando il signor Caulfield ancora non era riuscito a sostituire la cravatta. Era una delle sue preferite, con una piccola schiera di tacchini che sfoggiavano i tipici cappelli da pellegrini, in perfetta armonia con il clima della festa del Ringraziamento, eppure l’amata consorte la detestava con tutto il cuore.
«È proprio bella, non vedo perché tu debba toglierla» considerò Maxine.
«Conosci tua madre» rispose «Se decide che devo cambiarla, allora bisogna ubbidirle.»
Padre e figlia condivisero un sorriso, mentre Vanessa alzava la voce dalla cucina per comunicare che il pasto fosse ormai a buon punto.
Chris, che si era alzato per salutare Warren e la cugina, tornò a sedere composto al proprio posto, osservando gli ultimi arrivati.
Maxine sembrava nervosa, nonostante le battute che condivideva con il genitore, mentre Graham appariva teso e per nulla contento di partecipare al pasto con la famiglia.
«E quindi ancora non posso aspettarmi dei nipotini?» si lamentò la signora Caulfield, rimproverando la propria bambina con lo sguardo.
Max e il marito si scambiarono uno sguardo carico di disagio.
«Ma, zia Vanessa» intervenne il piccolo Eriksen «Ce l’hai già un nipotino! Sono io!»
La donna gli rivolse un ampio sorriso. «Oh, ma certo, Christopher, hai ragione. Sei proprio un bimbo sveglio, è un peccato che Charles non lo sappia vedere.»
Il bambino fece una smorfia, al pensiero del padre, impegnato a passare il Ringraziamento con la fidanzata Audra, che neppure gli aveva ancora presentato.
La giovane Caulfield si sedette accanto al cuginetto e, dall’altro lato, si accomodò Warren, lasciando i padroni di casa più comodi per fare avanti indietro dalla cucina.
«Che bello avere la famiglia riunita» commentò Vanessa, mentre il marito iniziava con il taglio del tacchino «Non vedo l’ora che si allarghi.»
Ancora una volta, i giovani sposi condivisero un’occhiata di imbarazzo.
Ryan provvide a reindirizzare la conversazione, girando al largo dall’argomento “nipotini” per vertere su qualcosa di meno controverso, come i rispettivi impieghi e la scuola di Chris.
Fu proprio mentre raccontava ai famigliari del proprio esperimento per la Fiera delle Scienze, che il piccolo Eriksen sentì squillare il proprio cellulare, dimenticato in una delle tasche della giacca. «Vado a rispondere» annunciò, scattando verso l’appendiabiti.
«Christopher, non è educato alzarsi da tavola» gli fece presente la zia.
«Ma potrebbe essere importante» protestò lui, andando a recuperare il telefonino.
Il quartetto lo osservò con attenzione, cogliendo le poche sillabe che lasciavano le labbra del bimbo. Quando lo videro tornare a tavola, la sua espressione si era fatta sconsolata.
«È successo qualcosa di brutto?» gli chiese la cugina «Chi ti ha chiamato?»
«Chloe» mormorò lui «Doveva aiutarmi settimana prossima con il progetto, ma ha detto che non potrà più.»
«Oh» replicò la Caulfield «Vedrai che appena sarà libera, tornerà ad aiutarti…»
«Non lo farà per un po’» spiegò Captain Spirit, imbronciandosi «Se ne va via e non sa dirmi quando tornerà.»
Il cuore di Max si fermò. «Se ne va?»
A Warren non sfuggì il tono con cui venne posta quella domanda. La voce della moglie tremava, rivelando una preoccupazione sincera, che veniva riflessa anche dagli occhi. Uno sguardo che lui non sapeva riconoscere.
«Buon per lei» commentò Vanessa «Da quant’è che non facciamo una bella fuga, noi due?» proseguì rivolta a Ryan «Te lo dico io: da troppo.»
Il padrone di casa si accarezzò la barba. «L’estate del ’94 non è poi così lontana…»
«Ah, la visita alla Grande barriera corallina australiana» ricordò la moglie «È passato più di un quarto di secolo.»
«Eppure la tua faccia riuscirebbe ancora a spaventare tutti gli squali.»
Graham troncò il dibattito con una propria domanda, rivolta alla consorte: «Non ne sapevi niente? Pensavo foste abbastanza in confidenza da parlare di queste cose…»
Maxine gli apparve spaesata.
«Puoi aiutarmi tu con la Fiera?» intervenne Chris, agguantando la cugina «Senza la mia mentore non so come fare.»
«Qualcuno vuole ancora del tacchino? Sarebbe un peccato lasciarlo raffreddare» commentò il signor Caulfield, sovrastando i monologhi che si stavano originando.
Warren si guardò intorno, realizzando di sentirsi fuori posto. Un tempo, avrebbe cercato gli occhi della compagna per ritrovare un po’ di pace in quel marasma, ma lo sguardo di Max era lontano, perso, forse, all’inseguimento di una fiorista in fuga.
«Non posso.» Fu un sussurro a lasciargli le labbra, che però parve un grido. Si alzò e solo la moglie sembrò accorgersene.
«Warren, cosa c’è?»
«Non posso» ribadì «Non posso farcela, credevo di essere in grado, ma non riesco.»
I signori Caulfield si zittirono e Christopher si dimenticò per un momento dell’abbandono da parte della Price.
«Cosa sta succedendo?» mormorò Vanessa, pensando di trovarsi in una scena delle sue soap operas.
«Me ne sto andando» annunciò Graham.
«Ma il tacchino…» puntualizzò Ryan.
«A nessuno frega del maledetto tacchino» lo ammutolì la moglie.
Warren cercò di allontanarsi, ma Maxine lo fermò. «Non ti lascerò» disse, guardandolo negli occhi.
«Se ti è rimasto un briciolo di rispetto nei miei confronti, invece» replicò lui «È proprio quello che farai.»
«Si può sapere di cosa confabulate?» insistette la padrona di casa.
«Non è il fatto che tu te ne voglia andare a potermi ferire» riprese Graham «Sarebbe il sapere che rimani, pur amando qualcun altro più di me.»
Nessuno ebbe il coraggio di fiatare, mentre lui recuperava il cappotto e raggiungeva la porta d’ingresso.
La Caulfield sentì le gambe cedere e, appena recuperò un po’ di autocontrollo, gli corse dietro.
«Non puoi andartene!» gridò, rincorrendolo lungo il vialetto «Non puoi lasciarmi!»
«Sì, facciamo finta che sia una mia scelta» sussurrò l’uomo, senza voltarsi.
«Cosa vuoi dire?»
Warren si fermò per affrontarla a viso aperto. «Andiamo, Max. Prima o poi, mi avresti lasciato lo stesso.»
«Questo non è vero.»
«Invece sì!» urlò esasperato «Basta mentirci.»
Lei non seppe come replicare.
«Io voglio solo la tua felicità» continuò Graham «Più di ogni altra cosa, volevo essere io l’origine della tua felicità. Ma se non lo sono, allora…»
Gli sposi si fissarono, entrambi con le lacrime agli occhi.
«Non posso essere d’intralcio» decretò «Lo capisci? Perché ciò che senti adesso, quello che provi per lei, è una forza inarrestabile.»
Intrecciarono le mani, per farsi forza a vicenda.
«E ciò vuol dire che io devo muovermi.»
Max rimase spiazzata, mentre il marito le posava un delicato bacio sulla fronte.
Warren non aggiunse altro, si staccò da lei e raggiunse l’auto a grandi falcate.
Non avevano definito dettagli o messo di mezzo la parola “separazione”, ma i fatti erano chiari a sufficienza.
La Caulfield rientrò, cercando di governare la tempesta che le si agitava nel petto. Era cambiato tutto, eppure, ogni cosa era come prima: il tacchino dimenticato sul tavolo, i piatti mezzi pieni e le candele ormai ridotte a colate di cera.
«Tesoro» esordì Vanessa, invitando la figlia a riaccomodarsi a tavola.
Lei, in tutta risposta, scosse il capo e si accasciò sul sofà nella stanza accanto.
I genitori e il cugino si affrettarono a raggiungerla.
«Cosa intendeva Warren quando ha detto che eri innamorata di un’altra persona?» indagò la madre senza mezzi termini.
«Sono innamorata di un’altra persona» puntualizzò lei, fissando dritto di fronte a sé, perdendosi tra i soprammobili e i titoli che giacevano abbandonati in bella mostra sui ripiani di una vecchia libreria.
«E chi!?» esclamò la genitrice «Non sarà quell’Eliot, vero? Non mi è mai piaciuto…»
«Non è lui.»
«Chi è allora?» insistette.
«Su, bambina mia, rivelaci il nome del fortunato» si aggiunse Ryan.
Lei si tolse la fede dall’anulare e la poggiò accanto a sé. «Si chiama Chloe.»
I due genitori si tramutarono in statue di sale, mentre il piccolo Eriksen battè le mani, riuscendo finalmente a mettere insieme i pezzi del puzzle che, fino a quel momento, non era riuscito ad inquadrare con chiarezza.
«Chloe?» balbettò la signora Caulfield.
«Sì» confermò Maxine.
«Ma è un nome da donna.»
«Ottimo spirito di osservazione, cara» mormorò il marito.
«Non fare lo stupido!» sbottò lei «È una donna, come te» continuò, tornando a guardare la figlia.
«Esatto.»
«Quindi lei sarebbe… Cosa? La tua nuova partner?» proseguì con le domande.
«Non ha importanza la terminologia, intanto non può accadere» sospirò Max «Non dopo tutto questo.»
«Ma…» cercò di intervenire il cuginetto.
«Lascia che dica io qualcosa, Chris» lo interruppe Ryan «Posso?» chiese il permesso di sedersi accanto alla propria figliola, che lo lasciò accomodare in attesa di sentire i suoi consigli.
«Quando conobbi tua madre» cominciò «All’epoca della Guerra di Troia…»
Vanessa sbuffò, ma non reagì ulteriormente.
«Mi innamorai di lei all’istante e anche se mi ha ricambiato e mi ha sposato e mi ha donato una bellissima figlia, in qualche modo, ho sempre avuto la sensazione che io non sarei mai stato abbastanza per lei.»
Max e Vanessa lo guardarono, ipnotizzate.
«Abbiamo tirato avanti in tutti questi anni, ma ho sempre saputo che, se avesse incontrato qualcuno e si fosse innamorata davvero, rendendosi conto di cosa sia il vero amore, mi avrebbe lasciato senza esitare.»
Maxine lesse sul volto del padre quelle riflessioni che doveva aver fatto centinaia di volte.
«E come avrei fatto ad oppormi? Ho sempre e solo voluto la sua felicità.»
Le parole di Warren acquistarono un nuovo peso.
«Qualunque cosa tu decida di fare, noi ti staremo accanto e ti supporteremo» le disse, accarezzandole il viso «Ma ti prego, tesoro mio, segui il tuo cuore.»
Calò ancora una volta il silenzio sul salotto.
Max sentì una nuova forza, quell’incoraggiamento fu la spinta necessaria a tentare il salto nel vuoto che troppo a lungo aveva rimandato. «Posso prendere la vostra auto?»
«Ti accompagno io» le sorrise il genitore.
I due si misero in piedi in un istante e si precipitarono verso l’uscita.
«Fermi! Dobbiamo sparecchiare!» Vanessa tentò di trattenerli, ma il marito e la figlia erano ormai decisi ad andare.
«Sarà meglio tenerli d’occhio» dichiarò «Tu resterai qui e farai il bravo, vero Christopher?»
Il bambino scosse la testa con decisione. «Vengo anche io.»
La donna, sconfitta, gli offrì la mano e, una volta recuperate le giacche, insieme raggiunsero i due già pronti a partire.
 
***
 
«Prenditi cura del nostro piccino» mormorò Chloe, abbracciando stretta Stephanie.
«Stai parlando del Kabloom o di Chris?» domandò la collega.
«Entrambi.»
Le due si separarono e si scambiarono un lieve sorriso.
«Allora, San Francisco, eh?» commentò la Gingrich «La strada è lunga.»
La Price fece spallucce. «Devo mettere un po’ di distanza tra me e questo posto.»
«Io te lo avevo detto» bofonchiò l’altra «Due settimane non sono tante, però mi auguro che tu riesca a trovare quello che stai cercando.»
La fiorista serrò i denti. Lei stava proprio scappando da ciò che tanto a lungo aveva bramato.
«Su, vai» la incoraggiò l’amica «La parata dei carri sta per cominciare e non penso tu voglia restare imbottigliata nel traffico.»
Chloe esitò, lasciandosi distrarre da una bella rosa rossa che aveva tirato fuori dal retrobottega giusto quella mattina. «Forse non dovrei farlo…» mormorò, accarezzando i petali setosi.
«Eh, no, signorina! Non si torna più indietro!» la spronò l’altra, spingendola verso l’uscita «La Golden City ti attende, è troppo tardi per ripensarci.»
«Hai ragione» si riscosse la fioraia «Ti manderò una cartolina dalla California, promesso.»
«Bugiarda» ridacchiò «Ma apprezzo il pensiero.»
Le due si abbracciarono un’altra volta e poi si salutarono definitivamente.
«Fa’ la brava, Price!» le gridò dietro Steph, guardandola raggiungere il pickup.
«Non dar fuoco a niente mentre sono via!» replicò, balzando a bordo del veicolo.
«E ricordati di scrivere a me e a tua madre quando arrivi!»
La fiorista scosse la testa, scostando la valigia improvvisata che aveva abbandonato sul sedile. «Si parte.»
La collega la osservò allontanarsi e poi, con un sospiro, tornò dietro il bancone.
 
***
 
«La prossima, a sinistra» indicò Maxine al padre, facendogli imboccare la strada che conduceva in direzione del promontorio.
«Stavo pensando, tesoro…» mormorò Vanessa, sporgendosi in avanti dal sedile posteriore «Tolto Warren, ci sarà qualche altro pesce nell’oceano. Un pesce maschio, si intende.»
La figlia non la stava neppure considerando, troppo concentrata sul percorso.
«Dritto per di qua?» domandò Ryan.
«Sì» confermò Max.
«Mi sembra di stare in un film» gongolò il genitore, premendo sull’acceleratore.
«E cosa ne sarà dei miei nipotini?» insistette la signora Caulfield «Io volevo diventare nonna.»
«La scienza ha fatto passi da gigante, mia cara» le rispose il marito «Sempre ammesso che vogliano bambini.»
La donna, all’idea di dover rinunciare ai piani che aveva tanto a lungo ordito, per poco non svenne.
«È lì, sulla destra!» esclamò Maxine «Accosta.»
«Mi ricordo di questo posto» commentò Vanessa, riprendendosi all’improvviso «Come hai conosciuto… Chloe?»
«Si è occupata dei fiori al mio matrimonio» spiegò Max, scendendo dall’auto.
«Ma è passato solo qualche mese!» le fece presente la madre «Come fai ad essere così sicura che sia la persona giusta per te?»
«È bastato un singolo istante per capirlo davvero.»
«Colpo di fulmine» concordò Ryan «I francesi lo chiamano le flash
«I francesi non capiscono niente» obiettò la consorte.
«Vai, Max!» gridò Chris, impaziente di vedere la situazione risolversi con un bellissimo lieto fine.
Lei si riscosse e si voltò per aprire la porta del Kabloom.
«Tu non sei Chloe» disse, incapace di elaborare il fatto di trovarsi davanti un’altra persona.
La cliente, una donna in là con gli anni che sfoggiava un cappellino fucsia di dubbio gusto, la squadrò confusa.
«Vuoi provare un’entrata più educata?» propose Steph, sbucando dal retro con un vaso di orchidee.
«Sì, scusa» balbettò la Caulfield «È un piacere rivederti.»
«Non posso dire lo stesso…»
Maxine ignorò quella frecciatina. «Stavo cercando Chloe, sai dirmi dove sia? Devo vederla.»
«Perché la cosa ti interessa?» la incalzò la Gingrich «Tu hai un marito.»
«L’ho lasciato» affermò «Forse, lui ha lasciato me… I dettagli non sono importanti, è finita.»
«Quindi… Sei qui per lei?» indagò la negoziante, ancora poco convinta.
«Sì.»
Stephanie la fissò. «La ami davvero?»
«Sì» ribadì Max senza esitazione.
L’acquirente spostò lo sguardo da una ragazza all’altra, cercando di comprendere la situazione.
«Allora, dobbiamo andare» decretò Steph, scavalcando il bancone «La tenga per un momento» proseguì, rivolta alla cliente, mettendole in mano la rosa che Chloe aveva rimirato prima di andare «Devo chiudere.»
In un tintinnio di chiavi e serrature, il Kabloom venne sigillato.
«Ti servirà questa, quando la raggiungerai» disse a Maxine, strappando il fiore all’acquirente «Lei capirà cosa vuoi dirle.»
Max la guardò con la bocca spalancata, non trovando le parole per ringraziarla.
«Cosa stiamo aspettando?» fece pressione la Gingrich «Non la raggiungeremo mai se non ci diamo una mossa. Ha già dieci minuti di vantaggio!»
Le due salirono in auto, abbandonando la cliente sul marciapiede più confusa che mai.
«Salve a tutti, sono Stephanie» salutò, presentandosi.
«Ciao!» trillò Christopher, facendole posto accanto a sé.
«Ma che bella sorpresa» sorrise «Questa avventura si fa sempre più interessante.»
«Da che parte andiamo?» chiese Ryan, rimettendo in moto per fare inversione.
«Verso il corteo. Dobbiamo battere sul tempo una testa blu in fuga.»
Il gruppetto sparì lungo il nastro d’asfalto a bordo del SUV scuro, mentre dal centro della cittadina risuonavano i rumori della parata.
 
***
 
Arcadia Bay non era nota per grandi feste o celebrazioni, ma la sfilata dei carri per il Giorno del Ringraziamento era una delle rare eccezioni. Vi prendeva parte l’intera cittadina e giungevano turisti da tutti i paesi vicini per affollare la via principale lungo cui si vedevano marciare i diversi telai di ferro ricoperti di cartapesta e i variopinti palloncini giganti che tanto incantavano grandi e piccini.
Tutt’altro che incantata era, invece, Chloe, bloccata in una strada secondaria da una fila di transenne che erano comparse quasi all’improvviso.
«Non l’avevano mai chiusa questa viuzza» commentò un passante, camminando accanto alla sua vettura, ferma «Quest’anno hanno voluto fare le cose più in grande.»
La fiorista imprecò, prendendo a testate il volante. Voleva scappare e, invece, la città stava facendo di tutto per trattenerla.
Fece per accendersi una sigaretta, ma ci rinunciò, lasciandosi distrarre dai carri che scorgeva sfilare in lontananza.
Pensò a quanto sarebbero piaciuti a Chris, a quanto avrebbe voluto accompagnarlo, sollevandolo oltre le teste degli altri curiosi per permettergli di vedere meglio e, una volta passato il corteo, lo avrebbe portato al Two Whales per fare merenda.
Serrò le labbra.
Affinché fossero veramente felici, con loro, ci sarebbe dovuta essere anche Max.
Suonò il clacson per sfogarsi, ottenendo solo di far adirare gli altri automobilisti in colonna con lei.
«Peggio di così, non può certo andare…» borbottò, sconfitta.
 
***
 
Ryan svoltava come un pazzo ad ogni incrocio, nel tentativo di sfuggire agli ingorghi che la manifestazione stava causando.
«Se non riusciremo a fermarla prima che raggiunga la statale» osservò Steph «Sarà già in California quando noi usciremo da questo casino.»
Max fremette, stringendo la rosa tra le dita.
Il signor Caulfield annuì, senza distogliere lo sguardo da quello che, per lui, era il più emozionante dei percorsi ad ostacoli.
«Sai, caro» gli sussurrò la moglie, avvicinandosi al suo orecchio «Non è vero quello che hai detto prima. Tu mi sei sempre bastato.»
Lui girò il volante a destra per sterzare, così da evitare un blocco. «Non negli ultimi tempi…»
Vanessa gli posò una mano sulla spalla.
«Ma posso rimediare, essere più coinvolto» proseguì «A patto che tu sia un po’ più gentile.»
Lei fece per controbattere.
«Un po’ meno polemica e pronta a rimproverarmi sempre per ogni minima cosa.»
La donna frenò la lingua, addolcendo l’espressione solitamente crucciata. «Ci proverò.»
Maxine sorrise nel sentire i genitori trovarsi d’accordo dopo tanto tempo.
«Ah!» esclamò Ryan, improvvisando un’altra manovra ai limiti della legalità «Questa è una scorciatoia!»
«Bravo il mio maritino.»
Imboccò un’altra viuzza con una virata a gomito, trovandosi costretto ad inchiodare per colpa di un muro di auto in colonna.
Tutti si voltarono indietro per vedere se fosse possibile fare inversione, ma altre vetture erano già giunte a tagliare loro ogni via di fuga.
«Facciamo un applauso a quell’asino di mio marito, che è utile come uno spalaneve a luglio» disse Vanessa, contemplando la situazione.
«Deve essere stata la luna di miele più corta della storia» replicò l’uomo, tirando il freno a mano.
«Prova a chiamarla» intervenne Christopher, tirando una manica della giacca della cugina «Forse anche lei è ferma.»
«Vale la pena tentare» concordò la Gingrich «Non aveva poi un gran vantaggio.»
Maxine appoggiò la rosa in grembo ed estrasse il telefono dalla tracolla con mani tremanti. Compose a memoria il numero della fiorista e fece partire la telefonata.
 
***
 
La Price, ormai rassegnata all’idea di dover attendere il termine della sfilata per potersi mettere in viaggio, aveva ceduto, alla fine, al desiderio di una boccata di fumo e si stava godendo una sigaretta mentre dai finestrini abbassati si propagava la baraonda delle persone in festa.
Il suo cellulare, appoggiato sul cruscotto, prese a saltellare, vibrando e trillando al ritmo di una vecchia canzone rock.
«Non è possibile» commentò, riconoscendo il numero che tanto a fatica aveva cancellato.
Attese qualche secondo, indecisa sul da farsi, poi schiacciò il mozzicone nel porta-bicchiere adattato a posacenere ed accettò la chiamata.
«Pronto?» sospirò, cercando di sovrastare il canto a squarciagola di un ciclista, intento, proprio in quel momento, a zigzagare tra le auto facendo risuonare l’intera via di una celebre canzone dei The Turtles.
Imagine me and you, I do.
«Chloe, sono io» le rispose Maxine dall’altro capo della linea «Dobbiamo parlare.»
I think about you day and night.
«È cambiato tutto» proseguì la Caulfield.
It’s only right to think about the girl you love and hold her tight.
«Non c’è niente da dire» replicò, sentendo una stretta al cuore «Non puoi farlo.»
So happy together.
«Addio» aggiunse, prima che il groppo alla gola le impedisse di parlare.
Il ciclista proseguì nel proprio pedalare, allontanandosi dalla parata e continuando a cantare.
 
***
 
«Allora? Com’è andata?» chiesero i quattro in coro, assiepandosi addosso alla Caulfield.
Lei si afflosciò sul sedile, guardando la rosa con aria sconsolata.
«Tanto tornerà» la rassicurò Christopher «Me l’ha promesso.»
«Mi dispiace, Chris, ma è finita.» Maxine aveva la voce tremante e lo sguardo sconfitto di chi aveva volato troppo vicino al sole ed era precipitato rovinosamente.
«Bene» commentò Vanessa, raddrizzando la schiena.
Gli altri presenti si voltarono per fulminarla con gli occhi.
«Insomma, sapete cosa intendo…» balbettò lei, imbarazzata.
La figlia ignorò la discussione che nacque poco dopo, tendendo l’orecchio verso l’esterno.
Me and you and you and me. No matter how they toss the dice, it had to be.
Abbassò il finestrino e sporse la testa, scorgendo un ragazzo un bicicletta.
The only one for me is you, and you for me, so happy together.
«Io ho sentito questa canzone poco fa.»
Mentre i quattro compagni di viaggio erano ancora presi dal proprio dibattito, lei strinse il gambo della rosa tra i denti, aprì la portiera, assicurandosi di non intaccare la fiancata dell’auto accanto, e sgusciò fin sul tettuccio, facendo perno sul cofano.
«Dove vai?» domandò il padre, sporgendosi dall’altro lato «Fa’ attenzione a non rovinare la vernice…»
La moglie gli tirò uno scappellotto per zittirlo, scatenando le risa di Stephanie e Christopher.
Max riprese la rosa tra le mani e iniziò a sbracciarsi. «Chloe!» gridò, cercando il familiare pickup nella selva di autovetture «Chloe, dove sei?»
Da ogni dove, una folla di curiosi si girò a guardarla con fare interrogativo. Dagli automobilisti ai pedoni, un nutrito pubblico stava per essere reso partecipe di uno spettacolo ben diverso da quello per cui si erano radunati ad Arcadia Bay.
«Chloe, ti prego!» continuò a pieni polmoni «Chloe!»
Un mormorio concitato si levò tutto intorno. Presto, quel brusio sarebbe riuscito, insieme ai rumori della manifestazione, a sovrastare il suo richiamo.
Maxine smise di urlare. Sapeva cosa doveva fare.
Portò le mani sull’addome ed inspirò a fondo. Il suo palato si trasformò nel tetto di una cattedrale e a lei non restava che riempire quell’immensità con il suono. Premette fino a sentire il diaframma contrarsi per proiettare la voce al di sopra di ogni altro rumore.
«Sveglia, George! Era la Terra fin dall’inizio!»
Quelle parole riecheggiarono tra gli edifici, rimbalzando su finestre e parabrezza fino a travolgere una testa tinta di blu all’interno di un vecchio pickup.
Dopo momenti di irreale silenzio, la portiera della vettura color ruggine si aprì e una figura dalla chioma celeste si arrampicò sulla sommità del veicolo, cercando l’origine di quel richiamo con lo sguardo.
«Chloe! Posso farlo!» urlò ancora Max, sventolando il fiore «Segui la rosa!»
La fiorista si sciolse in un sorriso. Le rose rosse, lo sapeva bene, simboleggiavano il vero amore.
Le due donne si lanciarono in una corsa forsennata in mezzo al traffico, cercandosi mentre coprivano l’irrisoria distanza che andava via via riducendosi.
Quando si trovarono l’una di fronte all’altra, non ci fu bisogno di parole.
Maxine tese il pegno d’amore e l’altra accettò la rosa, portandola vicino al cuore.
Chloe non pensava di poter provare una felicità totalizzante come quella che la stava travolgendo in quel momento. Le mani della Caulfield si tesero in avanti per accarezzarle il viso ed avvicinarlo alle labbra di cui tanto aveva sentito la mancanza.
Si baciarono come fosse la prima volta, ignare del pubblico che le osservava esterrefatto.
Si strinsero ritrovando il riparo che avevano cercato contro la tempesta e i loro cuori tornarono a battere all’unisono.
Si riunirono, sebbene, forse, non si fossero mai veramente separate, perché una forza inarrestabile aveva deciso di unirle contro ogni logica e previsione.
Non si staccarono fino a che non vennero assalite da un piccolo fulmine biondo, che si lanciò ad abbracciarle gridando di gioia.
«Lo sapevo!» esultò Christopher, sentendosi stritolare in quell’abbraccio «Io lo sapevo che sareste state felici insieme.»
Il resto del gruppo, abbandonato il SUV all’inseguimento del bambino, li raggiunse.
«Adesso è il momento di tornare a casa» affermò il piccolo Eriksen «Io vado con Chloe.»
La mentore gli scompigliò i capelli, ma prima che potesse rispondergli, Maxine si fece avanti «Mi dispiace, Chris, ma dovrai tornare con gli zii.»
I due la guardarono, cercando di capire le sue intenzioni.
«Chloe ed io abbiamo tanto di cui parlare e, sempre che lei sia d’accordo, penso non ci sia occasione migliore di una vacanza improvvisata.»
La fioraia sgranò gli occhi. «Vuoi davvero venire con me?» domandò «Così? Senza neanche preparare una valigia?»
Maxine sollevò la tracolla. «Ho la mia macchina fotografica, i documenti e una carta di credito. Non mi serve nient’altro.»
La Price boccheggiò.
«Sto solo dando l’occasione a una cosa inaspettata di sorprendermi» riprese la Caulfield, prendendole la mano «Sempre ammesso che tu voglia lo stesso.»
Chloe non ebbe da pensarci. Salutò Captain Spirit con un abbraccio ed altrettanto fece con Steph, che le sorrideva con gli occhi lucidi, si presentò rapidamente ai signori Caulfield, senza dar loro il tempo di fare domande e poi sollevò Max di peso, portandola tra le braccia fino al pickup.
Christopher le osservò andare via e non perse d’occhio la macchina fino a che le transenne non vennero rimosse e il traffico riprese a scorrere.
«Pensi che stia continuando a fissarci?» chiese Max, guardando dal lunotto posteriore Arcadia Bay che si allontanava in una commistione di colori e luci.
«Di sicuro. Lui ha dei superpoteri che neanche ti immagini» replicò la Price «Aveva detto che ci avrebbe riunite e io lo credevo impossibile, eppure, eccoti qui.»
Maxine le prese la mano destra, accanto a cui era stata lasciata la rosa.
«Forse, lui riusciva solo a vedere più lontano, con il cuore e non con gli occhi.»
«E allora, dimmi: cosa vede il tuo cuore all’orizzonte?» domandò la Caulfield.
La fiorista sorrise, resistendo all’impulso di inchiodare per poterla baciare. «Ti sfido a scoprirlo.»
 

 
*****
 
 
I giorni d’estate, nella cittadina di Arcadia Bay, avevano la tendenza a somigliare gli uni agli altri: lo stesso sole che sorgeva dalle montagne per tramontare nell’oceano, la stessa brezza salmastra che spazzava le strade e le spiagge, le stesse vite che scorrevano in una placida quotidianità.
Chloe fece correre lo sguardo lungo la navata, decorata con calle e rose bianche. Per lei, quello era un giorno speciale.
Fissava l’entrata della chiesetta con insistenza, in trepidante attesa.
«Non sei tu a dover essere nervosa» rifletté ad alta voce l’uomo al suo fianco.
Lei lo ignorò, cominciando a molleggiare sul posto. «Non arriva…» mormorò, iniziando a tormentarsi le mani.
«Per l’amor del cielo, stai tranquilla…»
«Zitto!» lo interruppe, esplodendo in un sorriso «Eccola.»
Avvolta in un delicato abito bianco, la figura avanzava con passo sicuro verso l’altare, per raggiungere la Price e il suo interlocutore.
«È proprio bellissima» commentò Chris, sistemandosi i gemelli dello smoking «Sei una donna fortunata.»
«Non puoi neppure immaginare quanto» gli diede ragione la fiorista «È la cosa più bella che mi sia mai capitata.»
Lily Rose le sorrise, continuando ad avvicinarsi.
«E dire che è tutto merito mio» affermò Christopher «Se non avessi tirato fuori quella domanda sulla famigerata forza inarrestabile, oggi non sarebbe qui.»
«È per questo che hai deciso di sposarti proprio in questo posto? Per potermi rinfacciare questa cosa?» domandò Chloe, lanciando un’occhiata al gigante che un tempo era stato il suo apprendista. I capelli biondi, sempre un po’ scompigliati, erano accompagnati da una barba corta che lo faceva apparire più maturo di quanto non fosse. I vispi occhi chiari, gli stessi che l’avevano guardata per anni con ammirazione, non avevano perso la propria luce di curiosità e fame di avventure.
«Hai notato che ho scelto anche la stessa data?» gongolò lui, soddisfatto «Così questo resterà sempre anche il nostro anniversario. D’altra parte, se la memoria non mi inganna, avevi detto che mi avresti sposato, un giorno.»
«Ed è proprio quello che sto per fare, perché sono una donna di parola» replicò lei, tornando a concentrarsi su Lily.
La bambina dal caschetto castano e le iridi blu come l’oceano camminava tenendo nella mano destra un cestino di vimini, mentre con la sinistra spargeva manciate di petali bianchi sfilando tra le due ali di invitati.
«Mi sembri molto più presa a fare la mamma, piuttosto che a fare l’officiante» commentò Eriksen «E non è carino, con tutta la fatica che ho fatto a convincere il parroco a far sì che fossi tu ad officiare la cerimonia…»
Lei lo zittì nuovamente, mandando un bacio alla figlia che, concluso il proprio dovere da flower girl, stava andando ad accomodarsi in prima fila.
Chloe osservò Maxine fare posto alla piccola, che subito brontolò per essere presa in braccio. La bimba sapeva essere testarda ed era in grado di ottenere tutto ciò che si metteva in testa di volere, una qualità che sembrava essere di famiglia.
Il cuore della Price si strinse al vedere le due donne della sua vita ricambiare il saluto con un sorriso.
Il giglio le aveva fatto incontrare Max, l’aveva spinta ad accettare la sfida che era diventato il loro amore, fiorito ufficialmente insieme alla rosa che aveva accompagnato la loro prima fuga romantica lontano dalla baia. Lily Rose, l’unione di quei due fiori, era il coronamento di tutto ciò che avevano costruito insieme nel corso degli anni, il bocciolo di cui sentivano la mancanza per considerarsi appieno una famiglia.
«Ti si legge in faccia quanto le ami» sussurrò Christopher «Anche io faccio quella faccia da merluzzo quando c’è Daniel nella stanza?»
La fiorista gli tirò uno scappellotto. «Solo perché oggi ti sposi, non sei giustificato a fare questi commenti. L’ho sempre detto che Steph era un pessimo modello educativo…»
«A dirla tutta» ribattè lui «Questa frase l’ho sentita da te.»
Mentore e potégé risero, condividendo un momento solo loro.
«Sta per entrare il mio sposo» disse Chris, vedendo il futuro marito comparire all’ingresso, accompagnato dal fratello e dal risuonare della marcia nuziale tra le panche affollate.
Chloe si sistemò la giacca e fece ruotare più volte la fede all’anulare, ripassando tutte le formule di rito, mentre il, non più tanto piccolo, Eriksen cominciava a tremare dall’agitazione.
Daniel Diaz, un giovanotto di bell’aspetto, dalla pelle ambrata e gli espressivi occhi color cioccolato, percorse la navata fino a raggiungere l’ormai adulto Captain Spirit.[1]
I due si guardarono con l’aspettativa di quando si attende lo sbocciare dei fiori e Chloe riconobbe quello sguardo.
La proprietaria del Kabloom lanciò un’occhiata alla moglie, incontrando i suoi occhi, che le confermarono ciò che stava pensando.
Lo sguardo dei due promessi era uguale a quello che una fiorista e una timida sposa si erano scambiate tanti anni prima in quella chiesetta, facendo sbocciare il loro amore in uno splendido giorno d’estate.


 
*******
  
 
[1]: Non ho resistito, l’aver giocato a Life is Strange 2 ha lasciato il segno e mi ha portato a vedere Chris e Daniel, una volta adulti, come potenziale coppia. I regret nothing.
 
 
NdA: ed eccoci, infine, all’ultimo angolo di delirio di questa storia. Non so cosa ne pensiate voi, ma sono molto soddisfatta di me per aver tenuto fede alle scadenze promesse, mi è sembrato di tornare, con questa vicenda scandita in cinque parti, ai tempi del mio esordio Pricefield, avvenuto la bellezza di quattro anni fa. Ma non voglio dilungarmi in disquisizioni su ciò è stato e ciò che sarà, mi limito a dire che adesso rimetterò mano a Sinners’ Heaven, che è ben lontano dall’essere concluso, senza però tralasciare gli altri progetti a cui sto lavorando.
Consueto spazio per i ringraziamenti: a wislava, a cui non so davvero più cosa dire dopo tutto l’aiuto e il supporto che sono stati necessari ad arrivare qui e che ancora mi serviranno per andare avanti, grazie per essere una delle mie incrollabili certezze; ad axSalem un grazie sentito per aver deciso di subirsi un’altra delle mie storie accompagnandola con parole gentili; alla fine, come ogni volta, grazie a tutti gli altri lettori per la pazienza ed il coinvolgimento silenzioso, sempre apprezzato.
Direi che posso chiuderla qui, spero che questa storia vi abbia strappato almeno un sorriso e vi auguro buona lettura per ciò che vi riserva il futuro.

 
   
 
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