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Autore: Darlene_    06/05/2020    0 recensioni
[Deception]
Quando hai un gemello non condividi solo stesso patrimonio genetico, ma anche le paure, i dubbi, le insicurezze e per Cameron non è difficile scoprire che dietro la maschera di freddezza di Jonathan non si nasconde solo il dolore fisico provocato dalle costole rotte, ma vi è un vortice nero che lo fa sprofondare sempre di più verso il baratro.
Storia scritta per la challenge portatrici di fandom nascosti e per la easter advent calendar del gruppo hurt/comfort
Genere: Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Storia scritta per

la challenge Portatrici di Fandom nasosti 
di Marica Ciarrocchi
sul forum di efp 

e per 
l’Easter Advent Calendar
gruppo hurt/comfort
 


Parola chiave: 36
Legame affettivo
 


Fandom:
Deception
 
Personaggi:
Jonathan e Cameron Black
 
 

Broken
 
 
 
“Aspetta! Non puoi andare da lui. Sei solo un consulente, bisogna seguire un protocollo…” Le parole di Kay furono trasportate via dal vento, ignorate da Cameron, che aveva afferrato le chiavi della macchina lasciandola sola su un marciapiede della cinquantaquattresima. “Cam!” Tentò di richiamarlo l’agente, ma ormai lui era già sfrecciato via, lontano da lei.
 
 
“Ha un badge?” Gli domandò la guardia, impedendogli il passaggio.
Cameron sfoderò il suo miglior sorriso, sperando che funzionasse. “Sono un consulente, ho bisogno di parlare con il detenuto, potrebbe essere di grande aiuto nelle indagini e lei non vuole intralciare, vero?” Ammiccò, ma il poliziotto non cedette.
“Ma almeno sa chi sono io?” Tentò ancora una volta e rimase deluso di fronte all’ennesima risposta negativa.
Si aggiustò meglio il bavero del suo blazer, con aria di superiorità. “Non ha mai visto i miei special? Perché, come dico sempre nel mio show, nulla è impossibile.” E mostrò al suo interlocutore il badge che aveva fatto comparire con un trucco di magia. L’uomo, sorpreso, controllò il taschino della camicia a cui lo teneva appeso e si rese conto di non averlo. Non si era nemmeno accorto che quello sbruffone glielo avesse sottratto. Allungò una mano per riaverlo indietro, ma Cameron si allontanò di qualche passo, cominciando la contrattazione.
“Potrei chiamare ora il suo superiore e fargli sapere che lei” puntò un dito contro il poliziotto “non è nemmeno in grado di tenere al sicuro il suo pass, figuriamoci i detenuti.”
L’altro serrò le labbra, per trattenere una smorfia rabbiosa. Avrebbe voluto sbattere Black in cella.
“Oppure…” Cameron giocò con la tessera plastificata, facendola scomparire dalle mani per ritrovarla nella tasca della giacca, in modo da mantenere desta l’attenzione dell’uomo e, soprattutto, per impedirgli di sottrargliela. “Mi lascia passare, mi fa vedere come sta mio fratello, e chiudiamo qui la faccenda. Cosa ne pensa?”
Con un grugnito la guardia si scostò dall’uscio, lasciandogli un passaggio. Il prestigiatore gli passò accanto senza nemmeno guardarlo, ridandogli il maltolto. “Vedi? Non era poi così difficile.” Sibilò con arroganza, sistemandosi il colletto della camicia. Non si sarebbe dovuto comportare così, ma era più forte di lui: sfidare gli altri, raggirarli, riempirli di meraviglia, quello era il suo mestiere e nonostante tutto, gli piaceva.  
 
Il puzzo di sudore misto a disinfettante gli solleticò le narici, costringendolo a pregare di non vomitare su quel pavimento non troppo lindo il pranzo gustato poco prima da Starbucks. Cameron si mise una mano sullo stomaco, pronto ad andarsene, ma la voce del fratello lo trattenne.
“L’hai trovata?” Quella domanda era diventata una costante nelle loro conversazioni e ancora una volta non poté fare a meno si scuotere mestamente la testa avvicinandosi al letto su cui giaceva Jonathan.
“E allora perché sei qui?” Il tono del gemello era tornato piatto, quasi insofferente, e se non lo avesse conosciuto bene non avrebbe saputo che in realtà stava solo mascherando la cocente delusione.
Si sedette poggiando i piedi sul comodino e assunse un’aria rilassata, con cui disse: “Avevo voglia di vederti.”
“Perché?” Insistette Jon, per il puro gusto di sentirgli pronunciare una verità di cui entrambi erano a conoscenza.
“Dovevo sapere come stavi.” Confessò abbassando lo sguardo.
“Beh, sto bene, perciò adesso puoi andartene.” Mentì l’altro, stringendo i denti per non lasciar trasparire la sua sofferenza.
Cam non cedette e domandò ancora se ne fosse davvero sicuro.
“Come vuoi che stia? Vedo il sole tagliato dalla quadrettatura delle sbarre da un anno, tre mesi e due giorni, mentre tu scorrazzi per le vie di New York con la tua nuova amichetta.” Il riferimento a Kay fece sussultare il gemello che ancora negava a se stesso di provare una qualsiasi attrazione verso la partner. Mentre meditava sulla faccenda comprese anche quale fosse il dettaglio stonato di quella conversazione e, alzandosi, domandò: “Perché continui a fissare la parete alla tua destra? È irritante parlare con qualcuno che ti ignora, non lo sai?”
Ad ogni centimetro che compiva, Jon voltava maggiormente il viso, schiacciando la guancia destra contro la federa del cuscino. “Ti vedo tutte le volte che mi guardo allo specchio, non sento il disperato bisogno di osservarti anche quando sei qui in carne e ossa.” Provò ad obiettare, ma nulla avrebbe fatto desistere Cameron che, ormai sopra di lui, gli prese gentilmente il mento tra le dita, facendolo voltare verso di lui. La vista che gli si presentò davanti lo fece sussultare per l’orrore: il lato destro della faccia di Jon era gonfia e tumefatta di un colore tendente al violaceo. Rimase immobile per qualche istante, quindi allentò la presa, strofinandosi i capelli in preda all’agitazione. Percorse la piccola stanza d’ospedale alla ricerca di una soluzione e quando la trovò si illuminò.
“Chiamo subito Kay e le spiego la soluzione, sono sicuro che convincerà chi di dovere a trasferirti da un’altra parte, magari potrebbe…”
Palesemente il fratello non condivideva il suo entusiasmo e lo interruppe prima che potesse comporre il numero della collega.
“Oh certo! Siamo amici dell’FBI, sicuramente mi metteranno in una suite con vista Empire State Building.” Lo canzonò. “Pensi forse che la galera sia un luogo amichevole, dove vanno d’amore e d’accordo? Non c’è una prigione sicura e nemmeno la tua amica può cambiare le cose.”
Cameron sprofondò nello sconforto, voleva assolutamente aiutare suo fratello.
“Dimmi almeno chi ti ha ridotto così.”
“Nessuno.” Borbottò Jon, infastidito.
“Non credo proprio che ti sia preso a pugni da solo.” Il tono assecondante di Cam ebbe un effetto opposto a quello sperato.
“Smettila di giocare al fratello premuroso!” Si passò una mano tra i capelli, la fronte sudata per lo sforzo di trattenere i gemiti di dolore. Ogni respiro era una sofferenza, ma non avrebbe ceduto. “Vuoi davvero aiutarmi? Allora vai a giocare al detective e trova la donna dagli occhi bicolore, solo lei può scagionarmi e lo sai benissimo.”
Dopo quello sfogo il morale di entrambi toccava terra e nessuno dei due proferì altre parole. Su di loro calò un silenzio che sapeva di dolore e preoccupazione, la speranza ormai svanita.
 
“Black tocca a te!” Quell’annuncio riportò entrambi alla realtà. Il poliziotto sulla soglia si avvicinò per sganciare le manette che avevano costretto Jon a letto e gliele chiuse intorno ai polsi.
Il quartetto si avviò verso la stanza delle visite. Ad ogni passo il prigioniero digrignava i denti nel vano tentativo di mascherare il suo dolore. Cameron se ne accorse e domandò se non fosse possibile spostarlo con una barella. Il fratello tentò di redarguirlo, ma nessuno sarebbe riuscito a zittire il presuntuoso mago, che ripeté il quesito all’arcigna infermiera che capeggiava il gruppo.
“Dovrebbe ringraziare che li curiamo, quelli come lui.” Rispose lei autoritaria.
“Quelli come lui?” Sbottò Cam. “Sta parlando di un essere umano, non di uno scarafaggio!”
Lei inarcò uno sopracciglio, evidentemente irritata dalle considerazioni non richieste e disse: “Sono peggio delle blatte, questi schifosi ladri ed assassini.”
“Mio fratello è innocente!” Ribatté ormai al limite della pazienza, mentre il soggetto in questione continuava a dargli delle gomitate per zittirlo.
“Oh certo, ne sono proprio sicura.” La donna non aveva dubbi su chi fosse il cattivo della situazione. “Vi ho visti in tv. Il gemello segreto!” Ridacchiò. “Non deve stupire che sia diventato uno squilibrato, solo un folle crescerebbe suo figlio nell’ombra. Scommetto che ti è pure piaciuto investire quella poveretta.” Non aveva bisogno di chiudere gli occhi per rivedere l’immagine che solo un anno prima aveva sconvolto l’America.
Cameron avrebbe voluto prenderla a schiaffi, ma si trattenne, promettendo a se stesso che avrebbe trovato le prove per scagionare il fratello e allora nessuno avrebbe più avuto dubbi sulla sua innocenza.
Si fermarono davanti ad una porta e, spalancandola, la donna disse: “Spogliati, tra poco arriverà il dottore per la visita.” Poi si voltò verso Cameron e additandolo gli intimò di aspettare in corridoio, quindi girò i tacchi e scomparì dietro l’angolo.
  
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