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Autore: Butterscotch    07/05/2020    0 recensioni
Lou è un ragazzo come tanti, e come tanti è arrivato in America cercando fortuna, ma presto farà una conoscenza che lo porterà alla follia, Lou è fragile, troppo fragile per l'America, troppo fragile per il fascino delle persone, un rimpianto può durare per sempre.
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da qualche parte in America, Lou era in un bar, la birra irlandese che beveva era amara, ma quel gusto era ormai talmente familiare da essere dolce quanto lo zucchero, prese un altro sorso dalla bottiglia gocciolante, da una tasca tirò fuori dei pezzi di carta verde, erano accartocciati e sporchi come i suoi capelli castani, prese la bottiglia e uscì da quel bar, aveva degli occhiali da sole e questo stava calando, le luci degli schermi di una grande città si infrangevano sulle lenti. Era arrivato in quel paese da poco e tutto era sconosciuto, camminava fra le grandi vie del centro affascinato e spaventato, e mentre camminava sorseggiava la birra, si muoveva in quelle strade come se ci fosse nato e cresciuto, una volta finita la bottiglia fra la gente individuò un cestino, con un gesto disinvolto gettò la cristallina bottiglia. Continuò a camminare per qualche minuto, poi si scontrò contro uno strano uomo con un occhio troppo chiaro, cadde a terra e gli occhiali volarono a qualche centimetro da lui. -ohho scusami- disse L’uomo mentre gli poneva la mano, -dai su, alzati, ti sto offrendo il mio aiuto non mi sono appena fottuto tua madre-. Lou raccolse gli occhiali e prese con delicatezza la mano di quell’uomo, si alzò, -tutto bene amico mio?- chiese lo sconosciuto, -s.s.si. sì grazie- il suo alito di alcol arrivò fino al naso del monocolo, -bene allora-. Ripresero a camminare, stavano facendo la stessa strada, e dopo qualche minuto il monocolo iniziò a ridere, -haha lo so, lo so, stiamo facendo la stessa strada, ma poco importa, per quel che mi riguarda buttarsi a capofitto in nuove relazioni non è per nulla predicabile- Lou sorrise, -allora come te la stai cavando qui? È tutto nuovo per te o sbaglio?- facevano lo slalom fra la gente, Lou era dietro il monocolo e tentando di superare due bambine con un gelato in mano rispose,-Sì, ma tu come- -come faccio a saperlo? Tranquillo, ho occhio per queste cose anche se solo uno, e quello che vedo è una abbronzatura da muratore, e dei vestiti da rocker anni 70, come dice una vecchia canzone, you wanna be Americano- Lou non capiva molto, iniziava ad essere accaldato per le birre che aveva bevuto, continuava a stargli dietro, affascinato da quello strano uomo che aveva appena quasi conosciuto, -E poi cos’altro?- chiese Lou sorridente, -beh, non lo sai, ma eravamo allo stesso bar poco fa, stavi bevendo da solo, quindi o sei un alcolizzato o semplicemente non hai nessuno con cui bere, e se è così probabilmente sei nuovo in città, poi ti ho sentito parlare, e ho capito che sei nuovo in questo gran paese, vedo che non ti togli gli occhiali, quindi forse hai bevuto più di quanto io mi sia accorto, e posso giurare sul mio occhio buono che fare nuove conoscenze non ti farebbe male, chi viene da fuori per restare, deve concentrarsi soprattutto su non tornare indietro, di un po’, ti va di venire con me?- -non credi di star correndo troppo? Non so neanche come ti chiami- Lou gli arrancava dietro, lo sconosciuto monocolo non era molto alto, aveva dei capelli castani, ricci, aveva una faccia pulita e delle gambe fottutamente corte, non si spiegava come facesse a camminare così tanto velocemente -vuoi sapere il mio nome?- si fermò di colpo e alzò il braccio -Che c’è scritto lì?- Indicò un murales gigante su un palazzo, girò la testa velocemente per guardarlo, c’era un bell’uomo con una tromba in mano e un microfono d’avanti, Lou lesse ad alta voce -Chet Baker Sings!- -Puoi chiamarmi Chet, ed io? Come dovrei chiamarti se ci rincontrassimo?- chiese Chet aggiustandosi una manica della camicia di flanella che indossava, -mi chiamo Lou- Chet si fermò di colpo e Lou stava per finirgli addosso di nuovo, si girò e gli pose la mano ancora e Lou la strinse senza mettere bene a fuoco quel che stava accadendo, -è un piacere Lou, allora? Hai preso una decisione? Vuoi venire con me?- -scusa ma no, no grazie- Lou aprì la bocca per aggiungere qualcosa ma poi Chet l’interruppe, -no, no, non affrettarti a rispondere, d’altro canto un bellissimo, modesto e giovane saggio una volta disse "chi viene da fuori per restare deve concentrarsi sul non tornare indietro"-. Lou dovette girare verso un’altra grande strada e salutò Chet velocemente. Aveva una Cadillac rossa, opaca, decappottabile, un vero gioiello americano comprato solo qualche giorno prima, superò due strade e entrò in un vicolo dove sonnecchiava quel gioiello, ci entrò lentamente, quelli che ormai erano diventati occhiali da luna continuavano a scivolare sul suo naso. Accese il motore e la radio, una strana canzone deprimente esplodeva dalle casse audio nelle portelle, -questa era l’ultima canzone che ha realizzato il famoso rapper Juice Wrld, morto questa mattina, molte sono le persone che piangono la sua morte, uno degli hashtag lanciati recita “il paradiso è diventato più dolce”- l’auto ancora sonnecchiava e camminava lenta, *il traffico della città, sono in America* pensò sorridendo. le luci al neon aggredivano tutti e su il cielo era tutto a blocchi scuri, e mentre procedevano a passo d'uomo sulla grande via ricevette un messaggio, Dutch, così l’aveva salvata, una ragazza olandese che aveva conosciuto sull'aereo, gli chiedeva di raggiungerlo in un bar appena fuori città, e lui, non avendo altro da fare lo fece, mise la freccia e procedette verso strade con un paesaggio unico. Mentre viaggiava cercò in tutti i modi di ricordarsi il suo nome, non poteva chiamarla Dutch, era in America da poco ma una cosa che aveva capito era che la vita lì non è come nei film, e non può chiamare le persone con un termine dispregiativo razzista. Dutch era fuori a fumare, e la notte si espandeva da lì fino a mezzo mondo. Era sotto una luce al neon viola, Twister c'era scritto in corsivo proprio sopra la sua testa, e i suoi capelli lunghi sciolti sulla schiena e sul petto sembravano colorati di indaco, scorse un auto in lontananza, e poi un'altra, e le boccate che prendeva dalla sigaretta andavano a tempo con le macchine che passavano, ed eccolo arrivare, in quella auto a qualche centinaia di metri sull'asfalto asciutto e semi nuovo, le passò d'avanti facendole un occhiolino, continuò a guidare fino a quando trovò parcheggio e Dutch osservava con attenzione, scese dalla Cadillac, aveva il collo della giacca di pelle storto e quando si avvicinò a Dutch lei glielo sistemò, finì di fumare e dopo qualche minuto in cui si scambiarono i vari convenevoli entrarono nel Twister, lei lo guidò fino a un tavolo situato in un angolo buio, dopo 2 minuti arrivò un cameriere sudato, -Guinness- disse Lou con voce rauca, -Jack e coca- disse Dutch, il cameriere se ne andò e li lasciò da soli, la luce distante dei lampadari illuminavano il vestito azzurro che indossava lei, -Scusa, ma te lo devo chiedere, come ti chiami? Ero molto emozionato sull’aereo e non ricordo il tuo nome, ti prego scusami-. Dutch storse il naso, si era offesa, credeva di aver fatto colpo o per lo meno di aver lasciato un piccolo segno, -Kim- diceva di chiamarsi Kim, aveva molto profumo dolce addosso, rimasero per qualche minuto in un silenzio imbarazzante, poi fortunatamente arrivò il cameriere con i loro ordini, pose la pinta e il bicchiere sul loro tavolo, Kim pagò per entrambi e diede la mancia al cameriere, -Allora, Lou? Come va? Come ti trovi qui? Ma soprattutto, vuoi toglierti quei cazzo di occhiali?- Lou era imbarazzato, e quasi ansioso, si tolse gli occhiali con un gesto goffo, -ecco io io io ecco, non ho combinato un cazzo, ti dirò la verità, sono spaventato, spaventato da questi enormi palazzi e dalle migliaia di persone che camminano per strada, sono spaventato dai neri, dal modo in cui mi guardano, e spaventato dagli strani uomini con le treccine, ho un piccolo appartamento a Manhattan ma se non inizio a lavorare presto lo perderò- Kim fu sorpresa, non se l’aspettava, sull’aereo Lou era sicuro di sé, eccitato, con mille progetti, la persona che aveva davanti non era la stessa di quella che aveva conosciuto, -mh, e che lavoro vorresti fare?- chiese. In un angolo del bar c’era un vecchio Jukebox, una chitarra scordata incantava dalle casse collegate al soffitto. Kim non era molto alta, lavorava come barista in un locale notturno, era andata in America per studiare, l’università andava bene per essere solo all’inizio ma aveva una strana sensazione, era già stata in America e non era spaventata come Lou, lei non lo capiva. -lo scrittore, sono uno scrittore, più o meno, sono venuto qui perché ho un cugino che fa il…non so come si traduca, insomma lavora nel cinema e forse riesco a vendere a qualche stupido bastardo di Hollywood una cosa che ho scritto- iniziò a bere la birra che aveva d’avanti, -sai, mio fratello è uno stupido bastardo di Hollywood, se vuoi gli faccio leggere quello che hai scritto- anche lei stava bevendo, -Davvero?- chiese Lou sorpreso prendendo un altro sorso, -sì, se ti va dopo possiamo andare a casa mia, lì lo potrei chiamare- disse maliziosa -si certo-. Il tempo scorreva velocemente, avevano preso un ritmo tutto loro, battute e risate, pensieri profondi e non, poi…-Scusa, devo aver bevuto troppo- disse Lou, era rosso in volto e doveva pisciare. -Vado in bagno- -Ok ma sbrigati, quando esci andiamo a casa mia- disse Kim con in testa le immagini dei loro corpi. Lou pisciava in un orinatoio colmo di ghiaccio sentì al suo fianco una voce familiare e questa diceva -Ribadisco, fare conoscenze nuove non ti farebbe male. Bella l’amica lì fuori, il sesso affrettato tende a funzionare meglio per tutte le persone coinvolte- -ANCORA TU?- chiese Lou sorpreso sbiascicando, -Beh, di che cosa ti stupisci, è destino, no? E poi abbiamo un conto in sospeso, voglio che tu venga con me- disse Chet, -senti, ho provato a dirti VAFFANCULO educatamente prima, ma ora dovrò essere diretto, sei informale e hai un sorriso che non mi piace, anzi per quanto tu mi possa aver colpito non mi piaci-, come sentì queste parole Chet contorse il suo volto in una strana espressione, non era abituato ad un no, -d’accordo amico mio, come vuoi, ma ricordati le tue parole, perché io lo farò se mai ci rincontrassimo-. Lou uscì dal cesso, l’aria nel bar era azzurra di fumo, gli occhi iniziavano ad irritarsi, mentre si avviava a raggiungere Kim si ricordò di aver lasciato gli occhiali da luna sul pavimento, rientrò, li raccolse ma quando alzò lo sguardo non vide nessuno, non c’era Chet e non l’aveva visto uscire, aprì le porte dei bagni per controllare, ma nulla, non c’era anima viva lì dentro. Non ci dette troppo preso. Vestiti sparsi in giro, la schiena di lei era distesa totalmente sul letto, e lui era avvinghiato al suo ventre, lingue, bocche, buchi, gemiti risuonavano nella stanza, arrivavano fino alla stanza affianco e la vicina poteva sentire tutto, e come il sole venì su anche loro venirono, si addormentarono abbracciati. Lou si risvegliò con un gran mal di testa, la schiena gli faceva male, aveva due occhi puntati addosso, era Kim seduta sul pavimento, lo stava disegnando, quando Lou se ne accorse lei si sentì in dovere di dare delle spiegazioni, -sei dolcissimo quando dormi- Lou annuì, ci credo pensò. -Il tuo letto è scomodo, ho la schiena a pezzi- lei sorrise, -mh, non è il letto, a quanto pare ti ho lasciato il segno- Lou aveva mille graffi sulla schiena, stava per alzarsi a rivestirsi ma Kim lo fermò, -No, No, torna a letto- disse, Lou non capiva molto ma si stese di nuovo, lei si tolse la maglietta bianca a maniche corte che indossava e tornò spoglia accanto a lui, lo abbracciò, gli diede un bacio sul petto e allungò un braccio sulla radio che aveva sul comodino, stavano suonando i Velvet Underground, Sunday Morning si chiamava la canzone, -E così ti piace questa musica- lei annuì, -non solo questa, tutta, ma questa canzone è speciale, sai, il cantante, Lou Reed, era davvero formidabile, un eroe tormentato, tossico dipendente e alcolista, un genio che ha fatto dello scavarsi nell’anima una forma d’arte con una penna e una chitarra scordata, questa però è diversa dagli altri lavori dei Velvet, questo è il lato dolce di Lou Reed, puoi essere un tossico e riuscire comunque a fare questo. Ed è quello che fai tu-. Rimasero in silenzio, la mattina procedeva e loro non volevano alzarsi, nonostante il caldo erano ancora abbracciati. E rimasero assieme per molto tempo, andarono a New York, all’inizio tutti vanno a New York, e lì andò perfino bene, girarono i paesi, il lavoro da sceneggiatore che Kim gli aveva procurato andava bene, molti soldi. Ma c’era una cosa che tormentava Lou, Chet, sentiva la sua presenza ovunque, la notte prima di dormire si ricordava di lui senza alcun motivo, VIENI, lo sentiva sussurrato all’orecchio costantemente, chi diavolo fosse non lo saprà mai, il fascino che quell’uomo ebbe quando lo conobbe era talmente forte da fargli rimpiangere di aver scelto la vita che conduceva ora. Erano ad un ristorante, loro erano vestiti eleganti, ma Lou non si godeva la cena, Chet gli stava prosciugando ogni piacere della vita, nonostante non ci fosse era ormai da quello strano giorno che lo accompagnava, e non esitava a lasciarlo, come un fantasma che infesta una casa, solo che ad essere infestata era la sua mente, mentre Kim parlava Lou si alzò di scatto e si fiondò fuori correndo, lanciando qualche gridolino di lamento. Prese un taxi e diede il suo indirizzo all’arabo che guidava, abbassò il finestrino, ARIA, HO BISOGNO D’ARIA pensò, accese una sigaretta e la testa bruciò senza fatica alcuna. Iniziò ad immaginare come sarebbe stata la vita con Chet. Le strade, la cadillac rossa di Lou che sfrecciava in lungo e in largo per l’America, vedendo ogni posto, la neve di Chicago, i campi verdi di Boston, le truffe per guadagnarsi da vivere e la musica dell’autoradio che attutiva i silenzi fra un discorso e l’altro nell’auto, risate, pianti e incazzature reciproche. -A che pensi?- Il monocolo era accanto a lui e fu proprio lui a chiederglielo, Lou saltò sul sedile scottandosi la mano con la sigaretta, -MA CHE CAZZO?- urlò, l’autista non capì, disse una frase in arabo che probabilmente significava, -un altro coglione fuori di testa, odio il mio lavoro- Chet era tranquillo, anche lui stava fumando, -Calma amico mio, calma, allora a che pensi?- Lou non riusciva a calmarsi, gettò la sigaretta con violenza fuori succhiandosi la parte di mano scottata, e con una voce strozzata disse -A come sarebbe stata la mia vita se avessi scelto di viaggiare con te-. -Sarebbe stata una vita piena-. Rispose Chet. Lou fece un singhiozzo, una piccola lacrima che stava a rappresentare la sua insanità mentale scese salata sulla sua guancia, -ma ma si può rimediare giusto? Possiamo andare adesso, partiamo, non è troppo tardi vero? Ti prego dimmelo, dimmi che non è troppo tardi, Chet, ho bisogno che tu me lo dica, dimmi che non è troppo tardi-. Chet fece un altro tiro dalla sigaretta e la gettò sullo stesso punto in cui si era scottato Lou, poi gli mostrò la mano, aveva una zona arrossata, -VAFFANCULO- disse, si sgretolò come cenere, se ne stava andando, Lou buttava le mani nel vuoto tentando di ricomporlo, ma era inutile, l’autista guardava la scena con indifferenza, e non poteva fare altrimenti, d’altronde erano capitate anche cose peggiori, una volta un tizio ubriaco gli aveva addirittura pisciato sui sedili intenzionalmente, c’era un grande ammasso di cenere e iniziò a dissolversi, e come questa sparì anche la sanità mentale e la sicurezza che Lou aveva acquisito con Kim. Tutto era peggiore, la vita fa schifo, ed è solo colpa sua se è così.
   
 
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