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Autore: FDFlames    08/05/2020    0 recensioni
La Valle Verde era sempre stata un luogo pacifico, abitata da persone umili e semplici - contadini, pastori e mercanti. Ma è proprio la loro ingenuità che il malvagio Lord Vyde intende sfruttare.
Stabilitosi all'estremo ovest, è riuscito ad unire i clan belligeranti sotto l'unico simbolo e nome di Ideev. E ora gli Ideev, come edera su un albero, si arrampicano sulla Valle Verde, soffocando la vita e la libertà.
Aera non intende sottomettersi. Spinta dal suo coraggio, dall'amore per il suo clan, e dal desiderio di giustizia, decide di intraprendere un pericoloso viaggio, che la porterà dritta nella tana del suo nemico. Ed è disposta anche al sacrificio, pur di restituire al suo mondo la libertà.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo Undici

Il fiume in sé non era nulla di particolare, ma per Aera significava molto: si stava avvicinando, e presto sarebbe arrivata al Lago Rosso, avrebbe raggiunto Vyde. L’avrebbe privato della vita, ma non l’avrebbe ammazzato, e l’avrebbe fatto per la libertà, e non per la vendetta.
La ragazza non aveva mai visto un corso d’acqua così largo, e si chiedeva come lo avrebbero attraversato.
«Be’, l’unico modo che abbiamo è questo.» le spiegò Daul, «Dovremo passare sulle rocce che sono state piazzate in acqua, vedi?» le indicò con un dito.
Aera si soffermò a guardare il simbolo sulla mano destra di Daul: sul suo le diagonali del quadrato spuntavano da tutti e quattro i vertici. Anche su quello che aveva lei stessa.
Quello che aveva Reyns invece era leggermente diverso: si notavano sbordare le diagonali solo dai vertici superiori, quelli vicini alle dita. Se se l’era inciso per non destare sospetti, perché l’aveva tracciato in modo leggermente scorretto? Forse non si era mai soffermato a guardare bene il simbolo e non lo ricordava perfettamente.
Ma, se quello fosse stato il caso, allora come era riuscito ad inciderlo sulla mano di Aera in modo esatto? Si era fermato a causa del dolore? Aveva dato l’idea di essere pronto a resistere, pronto a morire. Perché il suo simbolo era diverso? Era stato qualcun altro a inciderlo sulla sua mano?
Il primo ad attraversare il fiume fu Venam; nonostante l’età che dimostrava, l’uomo era sorprendente agile.
Dietro di lui iniziò a saltare da una pietra l’uomo che dal gruppo veniva chiamato Gatto, e del quale nessuno conosceva il vero nome. Ovviamente era lui ad essere il più agile di tutti.
A quel punto venne il turno di Reyns, che attraversò senza problemi. Infatti aveva detto di aver visto il fiume un paio di volte: con tutta probabilità l’aveva dovuto attraversare per poi tornare indietro.
«Avanti, tocca a te, ragazzina!» la spronò Ridd.
Anche se non la chiamava mai per nome, ad Aera non dispiaceva, dato che era il più simpatico dei quattro.
Vedendo gli altri, attraversare il fiume sembrava facile, tanto che a Gatto pareva venire naturale; Aera ebbe bisogno di più tempo. Saltò su un sasso molto grande, che però non era stabile, quindi sgattaiolò su un altro e barcollò. A quel punto si sporse troppo in avanti e perse l’equilibrio, ma mettendo avanti le mani riuscì a raggiungere una roccia che aveva di fronte, e non cadde in acqua; il vestito che indossava, però, inevitabilmente si bagnò. Era il minore dei mali, in quel momento.
«Tutto a posto?» si preoccupò Reyns, dall’altra sponda, la sua voce quasi totalmente nascosta dal fiume impetuoso e le risate dei quattro Ideev.
«Certo, sono solo scivolata!» mentì lei.
Si tirò in piedi con delicatezza e fece un piccolo balzo per raggiungere il sasso che aveva davanti. Soffocò un’imprecazione quando barcollò di nuovo, e pensò a quale fosse la più vicina tra le due pietre che aveva davanti ora; velocemente scelse quella a destra – dato che stava cadendo all’indietro rivolta verso di essa – e riuscì a raggiungerla, appoggiandovi il piede destro e dandosi la spinta per atterrare su una piccola isoletta a un salto dalla sponda. Forse era più lontana che un salto, ma non c’erano altri sassi più vicini alla riva, per cui tutto ciò che Aera poteva fare era prendere una breve rincorsa e sperare di arrivare là dov’erano Venam, Gatto e Reyns.
La ragazza guardò dietro di sé e vide che Ridd e Daul stavano saltando di sasso in sasso con un’agilità di cui lei, evidentemente, non era dotata. Fece in tempo a rivolgere di nuovo lo sguardo alla sponda dove stavano i tre che erano già arrivati, che i due Ideev la raggiunsero sull’isoletta.
«Ti serve una spinta?» le domandò Ridd, scherzoso.
«O serve che il signorino ti prenda in braccio, per convincerti?» aggiunse Venam, per poi scoppiare a ridere seguito da Daul e Gatto.
«Ce la faccio benissimo, se vi togliete di mezzo.» rispose la ragazza fulminando i quattro Ideev con lo sguardo, e sistemandosi i capelli che le coprivano il viso.
Gli uomini obbedirono, e inchinandosi con fare teatrale si allontanarono dal punto in cui Aera sarebbe dovuta arrivare saltando. Reyns invece si tirò indietro di qualche passo, senza tante smancerie.
«Di che cosa hai paura?» le chiese il ragazzo. Era diversa dalla classica domanda che fanno tutti. Se le fosse stato chiesto se avesse paura, Aera sarebbe stata costretta a rispondere semplicemente di sì. In questo modo, invece, le veniva data la possibilità di spiegare quale fosse il vero problema, e non solo mettere gli altri al corrente della sua esistenza.
Ma nonostante le fosse stata offerta questa opportunità, la ragazza evitò di dire completamente la verità: «Di cadere nel fiume.»
La vera risposta sarebbe dovuta essere più simile a Ho paura di deluderti, ma era già una situazione abbastanza imbarazzante di suo.
E poi, Reyns lo sapeva da prima di domandarglielo.
«Avanti, ho fiducia in te. So che puoi farcela.» le assicurò, come se Aera avesse davvero detto ciò che non aveva avuto il coraggio di esprimere. «E comunque ci sono qui io, se avessi bisogno di aiuto.» disse poi, protendendo il braccio, «Tu non hai fiducia in me?»
I quattro Ideev reagirono allo stesso modo: guardarono Aera, e attesero una sua risposta, senza più sghignazzare.
La ragazza però non riusciva a rispondere, anche se ciò che doveva dire era semplicemente .
Per qualche secondo, si udì solo lo scorrere dell’acqua del fiume impetuoso.
Allora Aera pensò di agire invece che di parlare. Dopotutto, sapeva che sarebbe bastato.
Si decise a saltare, arrivando appena alla sponda, che franò sotto il suo peso. Stava per cadere in acqua quando Reyns l’afferrò per un braccio e la strattonò verso la riva. Aera si ritrovò addosso al ragazzo, e lui steso a terra, con i capelli di lei in faccia. Passò un’interminabile manciata di secondi, durante la quale i due si guardarono negli occhi, rendendosi conto di non essere mai stati così vicini, e che seppure la posizione in cui si trovavano non era delle più comode, niente importava. In quei secondi, il mondo dell’uno si ridusse agli occhi dell’altra.
Lo sghignazzare di Ridd ruppe la magia di quell’istante; Aera, come risvegliandosi da un sogno e riprendendo il contatto con la realtà, si alzò e si scusò più volte con Reyns, il quale le rispose di non preoccuparsi, mentre i quattro Ideev ridevano di gusto.
***
Dalla sponda destra del fiume, nascosti tra gli ultimi alberi di Wass che segnavano l’ingresso nel Bosco delle Frecce, due Ideev osservavano il gruppo, già rimessosi in marcia verso ovest. Erano un giovane e un uomo adulto, ed entrambi tenevano il cappuccio calato sulla fronte.
Il giovane non si curava di nascondere la sua espressione indispettita agli occhi del compagno; nonostante l’età, era proprio lui a prendere le decisioni, e l’uomo annuiva, mesto, senza mai obiettare.
«Hanno davvero seguito questo percorso,» mormorò tra sé e sé il ragazzo, senza curarsi di venire sentito o meno dal compagno, «La strada più veloce, ma anche la più pericolosa.»
Appoggiato al tronco di un albero, cominciò a strappare l’edera che ne avvolgeva uno vicino, come a liberarlo dalla presa che l’aveva già ucciso. Era troppo tardi.
«Sei tu che avresti dovuto tenerli d’occhio, ieri sera.» ricordò poi, questa volta alzando la voce e rivolgendosi all’uomo, alle sue spalle, senza degnarlo di uno sguardo, «Che cosa hanno deciso, riguardo al loro viaggio?»
«È stato il ragazzo a proporre questa via.» rispose l’uomo.
Il giovane lo guardò, severo. «Mi prendi in giro? Vuoi farmi credere che quattro Ideev prenderebbero ordini da un ragazzino a cui poco prima hanno risparmiato la vita?» chiese al compagno.
«Forse non è un comune ragazzino, allora.» ipotizzò l’altro, copiando il giovane nel gesto di liberare un albero dall’edera, ma smettendo quasi subito, perché capiva che era una perdita di tempo, e che tutto ciò che ci avrebbe guadagnato sarebbero state delle mani sporche. E le sue mani già erano sporche, di un sangue che non sarebbe mai riuscito a lavare via.
«E chi potrebbe essere, allora?» domandò il ragazzo, ma non si aspettava una risposta dal compagno. La stava cercando da solo, ed era lì, davanti a lui.
L’uomo rimase in silenzio, anche se conosceva la risposta. Attese che fosse il ragazzo a trovarla. «Ma è ovvio!» si rese conto il giovane, strappando l’edera dal tronco dell’albero e gettandola a terra. Mosse due passi verso il fiume, e continuò a parlare. «Un ragazzino che avrà poco meno della mia età, e quattro Ideev adulti che gli danno ascolto. Quei cinque erano d’accordo, quel ragazzino e la sua squadra. È l’unico ad avere una squadra di quattro uomini. Può essere solo che lui. È il secondo. È Reyns.»
***
Nel pomeriggio il cammino era in discesa, e il gruppo stava allegramente chiacchierando.
Il sole stava per raggiungere le colline che si alzavano davanti a loro, facendo scintillare l’acqua del fiumiciattolo che vi scendeva. Era la perfetta immagine di uno degli ultimi tramonti primaverili, che già preannunciava l’estate.
Passando del tempo con i quattro Ideev, Aera si rese conto di temerli sempre meno, quasi di starsi aprendo a loro. Non si parlava mai del passato; era come un divieto per ogni Ideev rivolgere il pensiero ai giorni felici e lontani, ma c’era sempre qualcosa da dire, delle morali nascoste, dei lati positivi in un mondo che stava cadendo a pezzi, e ci si sentiva vicini gli uni agli altri, per il semplice fatto di farne parte, e avere paura del domani.
Reyns passò più tempo con Ridd, mentre Aera rimase a parlare con Daul e Gatto, che la aiutarono ad aprire gli occhi e la mente alla natura che la circondava, osservando più attentamente i sentieri quasi invisibili nell’erba alta, che potevano significare il passaggio di animali o altre persone, forse altri Ideev. La aiutarono ad aguzzare la vista e leggere le ombre della foresta; le distanze tra gli alberi erano importanti, perché erano sinonimo di sentieri percorribili da animali selvatici, persone o anche cavalli se non addirittura carri. Era altrettanto importante saper calcolare queste distanze a occhio, valutando la profondità, cosa che, Aera scoprì in seguito, il capogruppo non era in grado di fare.
Inoltre la ragazza imparò a fare attenzione a dove metteva i piedi, non solo per quanto riguardava ramoscelli e foglie secche, che come già sapeva erano rumorosi, ma anche per le semplici impronte lasciate da lei stessa o da altri; un tappeto erboso può sembrare sicuro, ma non sempre questo è il caso, e una volta nella foresta, l’erba sparisce quasi completamente.
Appena il gruppo entrò nel bosco, Aera si ritrovò completamente incapace di riconoscere il sentiero, nascosto da un tappeto di edera. Solo dopo qualche passo notò dove l’edera era più spoglia o vi erano foglie più piccole e di un verde più chiaro; nonostante fosse un sentiero boschivo, doveva essere molto trafficato dagli Ideev, che lasciavano tracce calpestando il loro stesso nome.
Venam dirigeva il gruppo e, come lui stesso disse, non voleva distrazioni. C’era qualcosa di ironico nell’affidarsi a un uomo che vedeva solo dall’occhio destro e portava una benda sull’altro, ma Venam era il capo, e il fatto che fosse cieco dall’occhio sinistro non sembrava turbarlo più di tanto. Aera non osò chiedere la storia dietro la sua benda, per lo stesso motivo per cui con gli Ideev non si poteva parlare del passato. Una volta diventati Ideev, non si era nient’altro e non si era mai stati nient’altro. Erano come anime in attesa del loro giudizio, oppure già nel profondo dell’Inferno, senza rendersene conto. Era un cambiamento, un passaggio.
Da prede a predatori. Da uomini a mostri.
***
«Se parte di essere Ideev vuol dire passare giornate come questa, non mi dispiace così tanto.» disse Aera, appena ebbero finito di accendere il fuoco e prepararsi a dormire.
«Sì, ma non penso che ti piacerebbe passare altre giornate come quella di ieri.» rispose Reyns, mentre sistemava la sua coperta.
«Ieri? Intendi... Ieri sera al villaggio sulla collina?»
In realtà, dentro di sé, Aera sperava che il ragazzo si fosse dimenticato di quel momento imbarazzante, nel quale si erano ritrovati a guardarsi negli occhi.
«Già, intendo proprio ieri sera.» confermò Reyns, «Anche saccheggiare i villaggi e uccidere i membri dei clan fa parte dell’essere Ideev, e ti assicuro che succede più spesso delle chiacchierate tra amici.»
«Dici? Io non so se riuscirei a recitare la mia parte, nel caso incontrassimo un clan ancora libero
«Oh, puoi stare tranquilla. Dove stiamo andando non ci sono clan, solo Ideev.» intervenne Daul, terminando la frase con un sorriso che ricordava più un ghigno, e che, unito alla luce tremolante delle fiamme e quella cicatrice sullo zigomo destro, gli dava un’aria alquanto inquietante.
Si avvicinò Gatto, chiedendo in prestito ad Aera il suo arco; aveva in mente di andare a caccia, per procurarsi una lepre o qualsiasi cosa avrebbe potuto costituire una cena per il gruppo.
Domandò poi a Reyns se aveva intenzione di venire con lui.
Aera ebbe la sensazione che ci fosse un secondo fine dietro l’invito di Gatto, forse quello di interrogare Reyns sul vero motivo del loro viaggio verso ovest, mentre Daul le avrebbe posto le stesse domande. Era logico che, a lungo andare, avrebbero dato risposte differenti.
Il ragazzo accettò l’invito; si legò la faretra al fianco sinistro, prese l’arco e si avviò verso il sentiero che Gatto aveva preso.
Aera lo fermò, preoccupata.
«E se capisce che non sei un Ideev?»
«Non preoccuparti, Aera,» la rassicurò lui, «Quando mi vedrà abbattere le prede con quest’arco, penserà che sia stato Vyde stesso a insegnarmi a usarlo.»
«Potrebbero scoprirci, se si mettessero a farci domande sui nostri motivi.»
«Allora diremo la verità.» risolse il problema Reyns,
«Confessare di essere traditori? Ci ucciderebbero senza pensarci due volte!» si preoccupò ancora di più lei,
«Non prima che io uccida loro.» disse Reyns, freddo, abbassando il tono di voce.
Aera si spaventò. Di che cosa stava parlando? Erano in quattro, ed erano Ideev, abituati a combattere. Superstiti di un clan, quindi i più forti. «Reyns...»
«Non mi importa di chi sono, né di quanti sono. Se diventeranno una minaccia per noi due, non mi farò scrupoli, e non mi pentirò delle mie azioni. Li ucciderò.»
La guardò negli occhi, vero, senza paure. Le fiamme che danzavano nei suoi occhi ne rendevano ancora più vivo il colore, tanto particolare, quel castano con una sfumatura indubbiamente amaranto.
«Fidati di me, Aera.» le ordinò. Perché il suo era un ordine, e i suoi occhi non ammettevano repliche. Reyns voleva Aera. La voleva viva, al suo fianco, finché non fossero arrivati alla loro destinazione.
La ragazza annuì, ma non perché se ne sentì costretta. Anche lei voleva Reyns, voleva fidarsi di lui, e voleva che quella fiducia fosse ricambiata, nonostante sapesse, avendolo sentito dire proprio da lui, che la fiducia uccide.
Lo lasciò andare, rimproverando se stessa per aver rischiato che Reyns potesse dubitare della sua fiducia. Non poteva accadere. Non doveva accadere. Non sarebbe accaduto, si disse.
Reyns era saggio almeno tanto quanto Zalcen: avrebbe dovuto fare affidamento su di lui, invece che continuare a dubitare. E poi aveva l’aria di essere quel tipo di ragazzo che sa badare a se stesso; la prima emozione che le aveva trasmesso era stata la sicurezza, ed era proprio ciò di cui aveva avuto bisogno, quella notte, sola in una grotta dopo che il suo clan era stato sterminato dagli Ideev.
Era dalla sua parte, la stava aiutando, e si fidava di lei.
Si sentì in dovere di ricambiare questi sentimenti.
«Quindi la tua paura è quella di togliere la vita a un’altra persona?» le domandò Daul, quando furono rimasti soli.
«Sì,» rispose lei, all’inizio. Poi però sentì di doversi correggere: «Voglio dire, no! Dipende da chi si tratta... La vittima.»
«Spesso, quando uccidi, la vittima sei proprio tu.» rivelò Daul, «E altrettanto spesso sono proprio quelle che chiamiamo vittime a commettere l’errore di mettersi contro la persona sbagliata.»
«Siamo noi a dover controllare le nostre reazioni alle disgrazie che ci capitano!» ribatté la ragazza, convinta.
«Non sempre possiamo, però.» rispose Daul, e terminò con un esempio molto pratico, e un messaggio, nascosto, che solo in seguito Aera fu in grado di cogliere: «È forse il fiume in piena a scegliere di uccidere il bambino innocente, o è il bambino che salta da un sasso all’altro che avrebbe dovuto fare attenzione al fiume? E, ancora, è il fiume a scegliere di gonfiarsi? Non è esso stesso vittima della piena, vittima della pioggia?»
«Che cosa intendi dire?»
«Fermati un attimo a riflettere. Non seguire la corrente. Quel fiume di parole potrebbe sfociare in un mare di bugie.»
***
«Non è scomodo, portare la faretra da quella parte?» domandò Gatto, indicando l’astuccio di cuoio che pendeva dal fianco sinistro di Reyns.
«Lo so.» rispose lui, sospirando.
Rimosse rapidamente le dita della mano destra dalla corda dell’arco; la freccia venne scagliata e andò a colpire alla testa la lepre, a una ventina di passi dai due Ideev. «Le ho detto di essere mancino, o non avrebbe mai creduto a ciò che le avrei raccontato su questo simbolo.» aggiunse, mostrando il dorso della mano a Gatto.
«E perché non avrebbe dovuto crederti? Di solito te la cavi, con le parole.»
Reyns nascose la sua inquietudine; per quanto lo riguardava, Gatto sapeva già troppo, ma si sentì costretto a ribattere: «Quale pensi che sarebbe stata la sua reazione, se le avessi confessato che ero d’accordo con un mio amico, già da prima che gli Ideev ci trovassero, a unirmi al gruppo, e che per questo ci eravamo aiutati l’un l’altro ad incidere questi dannati simboli sulle nostre mani, per essere marchiati per sempre?»
Si sforzò di far cadere qualche lacrima, in modo da convincere Gatto. Se quell’uomo avesse cominciato a sospettare qualcosa, sarebbe stata la fine. «Avrebbe creduto che il mio compagno avesse tracciato il simbolo sulla mia mano in modo errato perché era ancora esitante, ed era spaventato all’idea che ci dovessimo ferire a vicenda per sopravvivere? E se poi le avessi detto che era stato ucciso dagli Ideev, come avrebbe reagito? Avrebbe pensato che si trattasse di me, che le volessi fare del male, che fossi un traditore...»
«Perché, che cosa sei, in realtà?»
Reyns ebbe un colpo al cuore. Le cose stavano precipitando.
«Sono un Ideev, e lavoro per Lord Vyde.» mentì.
«Quindi porterai a termine il tuo compito senza che io o gli altri dobbiamo interferire?»
«Sì.»
«Altrimenti puoi solo immaginare che cosa accadrebbe alla tua compagna di viaggio
Reyns si morse il labbro. Avrebbe mentito fino a non saper più distinguere la realtà dalle sue stesse bugie, ma non avrebbe permesso a nessuno di rubargli Aera, tanto meno di farle del male.
«Va bene,» rispose, abbassando il tono di voce, «Ma Aera rimane la mia compagna di viaggio.»

 
   
 
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