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Autore: Isabelle_Mavis    08/05/2020    1 recensioni
-Significa che sono tuo, per sempre- disse Embry, guardandomi dritto negli occhi.
Fu come se una mano invisibile stesse grattando contro il fondo della mia anima.
-Mio, per sempre- ripetei, come in trance.
Embry annuì, distogliendo lo sguardo e indirizzandolo verso il cielo. Si ritrovò a dover stringere un po' gli occhi, a causa del sole.
-Potrei essere qualsiasi cosa per te. Qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno-
La stessa mano invisibile di prima ora si era spostata verso lo stomaco, afferrandolo e attorcigliandolo.
Embry tornò a guardarmi, questa volta con le sopracciglia aggrottate, come se dovesse faticare per trovare le parole giuste per esprimersi.
-Un fratello, un protettore, un amico...-
La mano viaggiò verso il cuore, stritolandolo.
Embry si chinò verso di me, il suo viso a un soffio dal mio.
-... Un'amante- mi sussurrò.
La mano salì ancora e si fermò una volta arrivata alle corde vocali, che strappò senza esitazione.
Aprii leggermente la bocca per parlare, ma non avevo niente da dire. Gli occhi di Embry si erano mangiati tutte le mie parole. Due pozzi scuri che ardevano di quella stessa fiamma che animava tutti i lupi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Embry Call, Jacob Black, Nuovo personaggio, Quileute | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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1- Incontri sgradevoli

-Signorina Clearwater, se la mia lezione non le interessa può tranquillamente uscire dall'aula-
Una gomitata mi raggiunse prepotentemente nelle costole. Mi misi dritta di colpo. Avevo le braccia indolenzite, dal momento che c'avevo dormito sopra, usandole come cuscino sul banco. Puntai lo sguardo verso la cattedra, ma notai che era vuota. 
-Destra- mi sussurrò Embry Call, uno dei miei migliori amici, seduto vicino a me.
Era stato lui a svegliarmi. Stava ghignando, probabilmente perché sapeva che gli dovevo un altro favore. 
Mi voltai nella direzione suggeritami e trovai il professore con il libro aperto tra le mani, fermo trai i banchi. Era famoso per le sue passeggiate durante le spiegazioni. Una volta io ed Embry avevamo scommesso: per me faceva mezzo chilometro ogni lezione, secondo lui invece almeno uno. Misurare la stanza e contare quanti giri facesse era stato più divertente che ascoltare i suoi monologhi. Meno divertente era stato dover sborsare cinque dollari a Embry. Non perdeva mai, quello sbruffone. 
Mr Thompson mi guardava da dietro i suoi occhiali spessi come fondi di bottiglia. Lo avevo sempre associato a una talpa, con quei capelli grigio topo e il naso all'insù. 
-Saprebbe dirmi di cosa stavamo parlando giusto qualche attimo fa?- mi chiese, perfido. 
Aprii la bocca per rispondere, ma non sapevo cosa dire. Era convinto del fatto che non stessi seguendo, e aveva ragione. Non sapevo cosa inventarmi, perciò decisi che dire la verità sarebbe stato meno doloroso, e meno umiliante. Poi però Embry improvvisò un colpo di tosse. 
-Fort Sumter- 
Non lo guardai per non tradirlo, ma sorrisi. Era un argomento che conoscevo bene. 
-Guerra di secessione, attacco a Fort Sumter, 13 aprile 1861- 
Mr Thompson mi guardò dall'alto in basso, valutando la mia risposta. 
-È stato il 12 aprile, non il 13- puntualizzò. 
Sentii qualcuno dei miei compagni trattenere una risata. Mr Thompson era un osso duro. 
-Molto bene, le andrebbe di...- 
Proprio in quel momento suonò la campanella e mi ritrovai a sospirare di sollievo. L'avevo scampata per un pelo anche quella volta. 
Sistemai nello zaino tutte le mie cose e mi affrettati a sgusciare fuori dall'aula, seguita da Embry. La mia fu una fuga breve. 
-Signorina Clearwater, può aspettare un minuto?- mi chiese retoricamente l'uomo. Annuii, facendo segno a Embry di andare senza di me. 
-Ci vediamo da Jacob- gli feci. Embry guardò dubbioso il professore, prima di annuire. 
-Ciao, Will- 
Lo vidi uscire con la coda dell'occhio. Mi avvicinai alla cattedra, dove Mr Thompson stava riordinando i propri libri.
-Senta professore, mi dispiace molto... - iniziai, convinta che fosse il modo migliore per sbarazzarmi di lui al più presto. 
-Oh, lasci perdere, non le ho chiesto di fermarsi perché volevo delle scuse- 
Sistemai meglio lo zaino sulla spalla destra, a disagio. 
-Allora perché?- 
Thompson finì di impilare tutti i volumi di storia e si girò a guardarmi, sistemandosi gli occhiali sul naso. 
-Volevo solo farle notare che è la terza volta che si distrae durante le mie lezioni. Non ce ne sarà una quarta, intesi?-
Improvvisamente pensai che i lacci delle mie scarpe fossero più interessanti di qualunque altra cosa nella stanza, perciò presi a fissarli intensamente. 
-Sì-
Sentii il professore sospirare. 
-Non voglio fare la parte del cattivo, ma glielo sto dicendo perché nella mia materia ha sempre avuto buoni voti e sarebbe un peccato rovinare una media alta come la sua per delle sciocchezze, non trova?- 
Mi sentii sprofondare. Il suo era un modo carino per dirmi che non potevo permettermi errori. Non se volevo la borsa di studio per il college. Ne aveva parlato con mia madre l'anno prima, durante un incontro scolastico. Le aveva detto che avevo buone possibilità, e che dovevo mettercela tutta. Alla fin fine Mr Talpa non era male, solo un po' pesante. 
-Ha ragione, professore. Le prometto che non capiterà più- dissi con convinzione. Quella borsa di studio mi serviva, se volevo avere qualche possibilità di mettere il naso fuori dalla riserva. 
-Bene, mi fa piacere sentirlo. Anche perché non credo che il signor Call potrà coprirla per sempre- 
Annuii, sebbene trovassi assurda l'ultima affermazione. Salutai e me ne andai, ragionando sul significato di "per sempre.
                                                                   ***
-Leah, vado da Jake. Avvisa tu la mamma, okay? Torno per cena- quasi urlai, per farmi sentire.
Mi infilai le scarpe e uscii dalla mia stanza, per affacciarmi in quella affianco, di mia sorella. Entrambe piccoline, dal momento che erano venute su dividendone una grande, che fino a qualche anno prima condividevamo. Mio fratello invece ne aveva sempre avuta una tutta sua.
-Leah?-
Mia sorella se ne stava sul letto, con le gambe stese e un libro in grembo.
-Sì, ho capito- mi rispose semplicemente, senza neanche alzare lo sguardo. Il tono di voce era incolore. Vederla in quel modo, impassibile, mi faceva sempre male. Non era la Leah a cui ero abituata, quella allegra e spensierata. Mi chiesi se sarebbe mai tornato tutto come prima. Prima che... Sospirai.
-Grazie. A dopo-
Mi rispose con un cenno.
Scesi al piano inferiore, infilando prima un braccio e poi un altro nella giacca. Ero praticamente alla porta, quando venni investita da quel tornado di mio fratello, che scendeva gli scalini due alla volta per raggiungermi. 
-Will! Vai da Jake?-
Alzai gli occhi al cielo. Eccolo che ricominciava.
-Sì, Seth, vado da Jake-
Il piccoletto mi si piazzò davanti, con gli occhi che gli brillavano. Era già più alto di me.
-Posso venire?-
Lo guardai con un sopracciglio alzato.
-C'è davvero bisogno di risponderti?-
Seth sbuffò, sgonfiandosi come un palloncino.
-Non è giusto- si lamentò. Sapeva benissimo che i miei genitori lo consideravano ancora troppo piccolo per uscire quando gli pareva, eppure ogni volta cercava di svignarsela. Pensava che se fosse uscito insieme a me, mamma e papà gli avrebbero dato il permesso.
Gli scompigliai i capelli con una mano.
-Saluterò Jake da parte tua, d'accordo?-
Gli tornò improvvisamente il sorriso. Scossi la testa, sorridendo a mia volta. Seth, neanche a dirlo, adorava Jacob.
-A più tardi, Seth. E vedi di non far arrabbiare Leah- raccomandai, uscendo di casa. Prima di chiudermi la porta alle spalle lo senti borbottare.
-Come se fosse facile-
***
Conoscevo la strada per la casa di Jacob a memoria. Non dovevo neanche stare lì a pensarci, tante erano le volte in cui me l'ero fatta a piedi. Comprare una macchina era troppo costoso, e le moto non andavano a genio ai miei. E di certo non potevo chiedere loro dei passaggi ogni volta che dovevo vedere i miei amici. Così, mi toccava camminare. Non che mi dispiacesse, anzi. Uno degli aspetti che preferivo del vivere a La Push era lo stare sempre a contatto con la natura.
Presi una bella boccata d'aria, alzando la zip della giacca fino al collo. Forse era per quello che nei miei sogni mi trovavo sempre in mezzo agli alberi. Un pezzo di realtà riflesso nella mia mente mentre dormivo. Quello che non mi spiegavo, invece, era la presenza dei lupi. Non ne avevo mai visto uno dal vivo, eppure sapevo che quelli che sognavo era esageratamente grandi. Tre in totale, sempre uguali: uno grigio, uno marrone e, il più grande di tutti, uno nero. La maggior parte delle volte comparivano insieme, ma capitava anche che li sognassi uno o due alla volta. Raramente non li sognavo affatto. Facevano quello che fanno di solito i lupi: correvano, ululavano, cacciavano. Ma non mi davano mai fastidio. Anzi, sembravano non rendersi per niente conto della mia presenza. Ero una spettatrice invisibile.
Non era sempre stato così. Un tempo facevo sogni normali, con personaggi e situazioni normali. Poi, di punto in bianco, iniziai a svegliarmi nel cuore della notte, sudata e con un ululato che mi rimbombava nella testa. Il primo lupo a raggiungermi nei sogni fu quello nero. In seguito, fu il turno di quello marrone. Solo negli ultimi mesi si era aggiunto anche quello grigio, l'ultimo. Con il passare del tempo mi ero abituata, considerandoli parte della mia quotidianità.
Il problema era che a volte quei sogni si presentavano più intensi del solito. Come se dormendo, invece di riposarmi, consumassi energie. Era ridicolo, ma quando accadeva poi mi capitava di appisolarmi durante la giornata, nei momenti meno opportuni. Com'era capitato quella mattina, durante la lezione di storia. Molto fastidioso, in effetti.
La notte prima avevo sognato di correre con quei lupi. Ovviamente, ero riuscita a tenere il passo solo perché era, appunto, un sogno. Nella vita vera non sarei mai stata così veloce. Certo, non ero una schiappa, anzi, durante le ore di educazione fisica me la cavavo. Ma un gruppo di adolescenti non erano minimamente paragonabili a un branco di lupi. No, decisamente un altro paio di maniche.

Ero così immersa nei miei pensieri che non mi ero resa conto di essere arrivata a casa di Jacob. Anziché bussare, puntai direttamente verso il retro, dove c'era il garage. Sapevo di trovarli lì. E infatti, quando fui abbastanza vicina, sentii l'inconfondibile voce di Quil. 
-Embry, amico, fidati del vecchio Quil. Buttati, ti dico-
Non potei vedere l'espressione di Embry, ma avrei scommesso che stesse alzando gli occhi al cielo. 
Spinsi l'enorme porta del capanno ed entrai. 
-Di che state parlando?- chiesi, salutandoli con un sorriso.
Embry e Quil per poco non ebbero un colpo, vedendomi. 
-Di niente-
-Di ragazze- risposero in coro.
Li guardai confusa. Perché si comportavano in quel modo strano? 
-Stavo consigliando al nostro Embry di essere meno timido con le ragazze e di provarci di più- specificò Quil, beccandosi un'occhiata di fuoco da parte di Embry. Sbaglio o era arrossito? 
-Parli proprio tu, Casanova?- lo presi in giro, guardandomi intorno -anche quest'anno verrai al ballo con tua cugina?- 
Alla risata di Embry se ne aggiunse una più roca, un po' sommessa. 
-Dov'è Jake?- domandai, riconoscendone il timbro ma non vedendolo da nessuna parte. 
-Qui sotto- rispose lui stesso, uscendo da sotto la macchina.
Si alzò, stiracchiandosi. Aveva i capelli legati. 
-Bell'acconciatura, Raperonzolo- lo presi in giro. 
Lui mi guardò con un sopracciglio alzato. 
-Sempre meglio della tua- 
Quando intuii le sue intenzioni era già troppo tardi. Mi bloccò con un braccio, mentre con l'altro strofinò le nocche sulla mia testa. I miei tentativi di fuga erano vani contro la sua forza. Certo che fare il meccanico ripagava bene. 
-Jake, no!- esclamai.
-Jake, sì!- mi fece eco Quil -così impara a mettere in discussione le mie abilità con le ragazze-
Jacob mi lasciò andare ridendo. Lo vidi dare il cinque a Quil.
Mi sedetti sopra uno dei tanti sgabelli presenti nel garage. Iniziai a sciogliere la treccia per farne una più ordinata. 
-Grazie per l'aiuto- borbottai, in direzione di Embry. Fece spallucce. -Non c'è di che-
Non ero offesa, faceva tutto parte del gioco. Certo, stare loro dietro risultava sempre più difficile, dal momento che ero l'unica ragazza del gruppo, ma non mi dispiaceva. Eravamo amici da una vita, neanche me lo ricordavo un mondo senza di loro. La mia memoria non andava così indietro. Leah mi chiedeva spesso, quando ancora non si era trasformata in un limone acido, se sentissi la mancanza di qualche amicizia al femminile. La risposta era stata sempre la stessa. Come potevo sentire la mancanza di qualcosa di cui non sentivo la minima necessità? Era come chiedere a un pinguino se sentisse il bisogno delle rocce del Grand Canyon. No, decisamente no. Due realtà diverse, due habitat diversi. A quel punto mia sorella alzava sempre gli occhi al cielo, dicendo che ero proprio un maschiaccio. Eppure non mi consideravo tale. Non che uscissi pazza per trucchi e vestiti, ma di certo non partecipavo alle gare di rutti dei ragazzi. Tanto per dire. In effetti, però, per mia sorella, con i suoi lunghi capelli lucenti, non dovevo sembrare il massimo della femminilità. Secondo lei non avrei trovato un ragazzo finché avessi avuto Jacob, Embry e Quil che mi "ronzavano intorno". Se avere un ragazzo significava soffrire come stava soffrendo Leah, tanto di guadagnato. Non mi interessava rimanere scottata in quel modo. Avevo i miei amici, e mi bastava. 
Improvvisamente mi venne in mente una cosa. 
-Allora, Embry, chi devi conquistare?- buttai lì. 
Avevo finito di farmi la treccia, così alzai lo sguardo. 
-Cosa?- quasi balbettò Embry.
-Quil ti stava dando consigli, no? Dai, chi è la fortunata? Giuro che non glielo dirò- promisi, facendomi una croce sul cuore.
-No, immagino di no- concordò Embry, un po' imbarazzato.
Quil e Jacob, che fino a quel momento si erano azzuffati come al solito, si misero sull'attenti, curiosi. Anch'io lo guardai in attesa. Si alzò, infilando le mani in tasca. 
-Nessuno, sul serio, Quil stava solo scherzando- 
-Già, proprio così- fece Quil, ammiccando nella mia direzione.
Si guadagnò un ceffone sulla nuca da Jacob.
-Non ti impicciare tu- lo rimproverò -se Embry dice che non gli piace nessuno, allora non gli piace nessuno-
Quil trattenne una risata -Certo, come no-
Altro ceffone. 
Quil si lamentò, massaggiandosi la nuca. Poi il suo viso si illuminò, come se avesse avuto un'illuminazione. 
-E tu, Jacob, che fai tanto l'avvocato del diavolo? Anche a te non piace nessuno?-
Non colsi l'allusione, ma dall'espressione imbarazzata di Jacob doveva aver fatto centro. 
-Non so di cosa tu stia parlando- cercò di difendersi Jake, prendendo una bottiglietta d'acqua in mezzo a tutti quegli attrezzi. 
-Ah, no?- continuò Quil, con un sorrisone. Anche Embry sorrideva, ora. 
-Bella Swan non ti dice niente, allora?-
Jacob per poco non si strozzò. Devo ammettere che feci fatica a trattenere le risate. Embry e Quil, invece, non si fecero scrupoli. 
-Bella Swan? La figlia di Charlie?- domandai, sbalordita. Embry annuì -Proprio lei-
-Ma non ha già il ragazzo?- 
L'avevo conosciuta qualche mese prima, durante una delle solite serate all'insegna del baseball e delle patatine fritte. Charlie ed Harry, mio padre, erano molto amici. Insieme a Billy formavano un trio vincente. Bella, da quel che sapevo, si era trasferita a Forks da neanche un anno, scegliendo di vivere con Charlie per non pesare a sua madre. C'avevo parlato poco, non era un tipo di molte parole, ma non mi era sembrata male. 
-Già- rispose Jacob -sta con Edward Cullen-
Ahia. Come ogni volta che veniva nominato un Cullen, seguivano smorfie e commenti a mezza voce poco lusinghieri. Non avevo mai capito perché, ma non erano molto ben voluti qui alla riserva. Una faida tra clan, qualcosa del genere. Roba antica, sicuramente. I Quileute erano famosi per l'importanza che davano alle storie, perciò non mi era mai meravigliata dell'astio ancora nutrito per i Cullen. 
-Ma fa lo stesso, è solo un'amica- disse Jacob, spezzando quel silenzio imbarazzante che si era creato. Ma ormai nessuno aveva più voglia di scherzare. 
-Okay, basta- intervenne io, alzando le mani in segno di pace -ne ho abbastanza di questo confessionale di cotte segrete. Vi va di fare un salto al negozio?-
Embry si strinse nelle spalle -Ci sto-
-Anch'io- si unì Jacob -lavorare mi mette fame-
Avrei voluto rispondere che lui aveva sempre fame, indipendentemente da quello che faceva, ma Quil mi si piazzò vicino, guardandomi furbo.
-Tanto lo sappiamo che in realtà è tutta una scusa per non parlare della tua, di cotta-
Alzai gli occhi al cielo -Oh no, mi avete scoperta-
Quil rise, infilandosi la giacca. Eppure, mi sentii i suoi occhi addosso, indagatori. Di sfuggita, vidi Jacob ed Embry scambiarsi uno sguardo d'intesa, complice. Tana per Willow.
***
-Quindi ti sei addormentata durante la lezione di Thompson- ripeté Jacob per l'ennesima volta, sgranocchiando delle patatine. Eravamo arrivati al negozio a piedi, dal momento che nessuno di noi aveva ancora né la patente né i mezzi, e durante il tragitto era uscito fuori ciò che era accaduto quella mattina a scuola. In quel momento ce ne stavamo appoggiati al muretto fuori dal negozio. 
-Non è da te, secchiona- 
Feci una smorfia. Ero considerata la secchiona del gruppo, solo perché ero più brava di tutti loro messi insieme. Non che ci volesse molto, sia chiaro. In realtà non mi ero mai considerata un tipo studioso, anzi, al solo pensiero di passare ore intere sui libri mi veniva il mal di testa. Ero più una che faceva quello che andava fatto. Massimi risultati con sforzi minimi, più o meno. E poi, ero molto motivata, a differenza dei miei amici. Anche se cercavo di non pensarci troppo, la borsa di studio per il college era allettante. 
-Avreste dovuto vederla- disse Embry, sghignazzando- aveva anche un po' di bava- 
Lo spinsi con la spalla -Ma piantala-
In risposta, mi tirò la treccia. Era una cosa che faceva dai tempi dell'asilo, quando di trecce ne facevo due anziché una. Non tirava mai forte, era solo un modo per stuzzicarmi. Lo trovavo familiare quanto un abbraccio. 
-Quante storie per una volta che non devo essere io a coprire te- mi lamentai, prendendo una pattina dal pacchetto, prima che finissero. 
-È la terza volta, in realtà- precisò Embry. 
-Fa lo stesso- risposi.
Feci una smorfia di disgusto. Odiavo la paprika. 
-Bleah. Ma come fate a mangiare questa roba?- 
Quil, che fino a quel momento non aveva fatto altro che ingozzarsi, si sentì chiamato in causa. 
-Siamo adolescenti in pieno sviluppo- rispose, come se fosse ovvio. 
Lo guardai scettica.
-Anche io sono un'adolescente- 
Quil mi guardò con sufficienza.
-Ma tu sei una femmina, non è la stessa cosa- 
Stavo per ribattere a tono, quando Embry si mosse a disagio, mettendosi le mani nelle tasche. 
-Oh, no- gemette. 
Lo guardi preoccupata -Cosa?- 
Fece segno di guardare alle mie spalle. Sentii Jacob sbuffare -Eccoli che arrivano-
Mi girai, e strinsi i pugni quando li vidi. 
Erano Sam e i suoi "seguaci", Jared e Paul. Camminavano vicini, con passo sincronizzato, come se fossero tre menti in un corpo solo. Emanavano un'aria di sicurezza a dir poco fastidiosa. Li trovavo insopportabili. I miei amici la pensavano come me. Secondo loro erano degli sbruffoni che cercavano sempre di mettersi in mostra. Quel giorno, tanto per cambiare, stavano sfoggiando i loro muscoli. Come se il freddo invernale non li scalfisse neanche, indossavano tutti e tre delle maglie a mezze maniche sopra ai jeans strappati. 
E quel che era peggio, era che stessero venendo dritti verso il negozio. 
Mi voltai di nuovo verso i miei amici. 
-Andiamo via- li pregai. 
Jacob socchiuse gli occhi, fissandoli intensamente -Neanche per sogno. C'eravamo prima noi qui- 
-Giusto, fratello. Non me ne vado solo perché sono arrivati loro- lo appoggiò Quil, accartocciando il pacchetto di patatine e buttandolo in un cestino dei rifiuti lì vicino. 
-Embry?- lo chiamai, sperando che almeno lui mi desse retta.
Invece scosse la testa, guardandomi a malapena. Sbuffai. Odiavo quando dovevano comportarsi da duri a tutti i costi. 
Stavo prendendo in considerazione l'idea di andarmene da sola, quando una voce mi bloccò letteralmente sul posto. 
-Ciao, Willow- 
Lanciai un'occhiata di fuoco ai miei amici, che neanche notarono, prima di voltarmi. Sam mi sorrideva con educazione. Avrei tanto voluto tirargli un pugno su quel bel faccino abbronzato. 
-Ciao, Sam- sputai, sperando che il disprezzo che provavo per lui gli arrivasse con la stessa potenza di uno schiaffo.
Aveva una bella faccia tosta a parlarmi dopo tutto quello che era successo. Aveva spezzato il cuore di Leah, trasformandola nella ragazza acida che rispondeva male a chiunque. Non potevo biasimarla, non sapevo cosa avrei fatto o come mi sarei comportata al suo posto. Lei e Sam erano stati insieme tre anni, era praticamente uno di famiglia. O almeno, io lo consideravo come un fratello maggiore. Stavano così bene insieme che pensavo che avrebbero frequentato lo stesso college e che, forse, con il tempo, si sarebbero anche sposati. Ma poi Sam aveva rovinato tutto. Era sparito per un paio di settimane, facendo quasi impazzire Leah. Quando ritornò non era più lo stesso. Lo notai appena lo vidi. C'era qualcosa di diverso nel suo sguardo. Una consapevolezza nuova, un segreto oscuro. Doveva averlo notato anche mia sorella, perché cercò di lasciargli il suo spazio, credendo che sarebbe stato lui a fare il primo passo per risolvere la soluzione. Ma più il tempo passava, più le cose tra loro peggioravano. E poi, il colpo finale. La lasciò così, di punto in bianco, senza neanche una spiegazione. Leah era distrutta, ma il suo dolore era ancora nulla in confronto a quello che seguì. Come scoprimmo in seguito, Sam aveva lasciato Leah per Emily, nostra cugina. Da quel momento Leah aveva eretto un muro di indifferenza e acidità intorno a sé, come per proteggersi. Mi ero sempre considerata una pacifista, ma se c'era qualcuno che potevo dire di odiare, era proprio Sam Uley.
Guardavo Leah e sentivo la terra tremarmi sotto i piedi. Mia sorella era sempre stata il mio più grande pilastro, ciò che feriva lei feriva anche me. 
Guardavo Sam e sentivo la rabbia ribollirmi nelle vene, come fuoco liquido. Non lo avrei mai perdonato. 
Sam ebbe un attimo di esitazione, prima di fare un cenno di saluto ai miei amici dietro di me. Notai che il suo sguardo si era soffermato un po' troppo su Jacob, guardandolo come se si aspettasse qualcosa da lui. O come se volesse accertarsi che stesse bene. Che cosa ridicola.
Jared e Paul, dietro di lui, erano impassibili. Aspettarono che Sam proseguisse verso il negozio, per seguirlo.
-Esibizionisti, ecco cosa sono. Si comportano come se la riserva fosse loro. Palloni gonfiati- sbuffò Quil, guardandoli storto.
Jacob stava per ribattere qualcosa, quando sentimmo un grugnito quasi animalesco. Ci girammo tutti a guardare. Evidentemente, Quil era stato poco discreto, come al solito. Maledissi la sua lingua lunga.
Paul Lahote se ne stava lì, poco lontano da noi, tremando dalla testa ai piedi. Fece marcia indietro e ritornò da noi. Puntava Quil, guardandolo come se fosse un sacco da boxe. 
-Che hai detto, moccioso?- sbottò. 
Jared, che non si era reso conto di niente fino a quel momento, diede un colpetto a Sam. Sembrava allarmato. Vidi Sam annuire, poi il mio campo visivo venne occupato dalle spalle massicce di Paul. Ormai ci era praticamente addosso. 
Quil non si fece intimidire, spalleggiato da Jacob ed Embry. 
-Oltre che stupido sei anche sordo?- lo provocò. 
Paul a questo punto tremava così tanto da sobbalzare. Respirava anche a fatica, il suo fiato usciva tra i denti digrignati con un sibilo minaccioso. Alzò una mano stretta a pugno. A quel punto l'istinto prese il sopravvento sul mio corpo. Quil era stato un idiota a provocarlo volontariamente in quel modo, ma questo non significava che dovesse prenderle. 
Mi misi in mezzo, posando una mano sul petto di Paul, per spingerlo via. Sentivo il battito impazzito del suo cuore. La sua pelle era... bollente.
Tolsi la mano di scatto, come se mi fossi ustionata. 
-Lahote, ma che...-
Lo sguardo di Paul mi inchiodò. Era selvaggio, animale, non umano.
Per chissà quale motivo, però, si calmò quel tanto che bastava per permettere a Sam di intervenire. 
-Paul, calmati!- lo ammonì.
Lui e Jared lo afferrarono per le spalle. 
Sam ci guardò, severo.
-Andate via- 
Suonava più come un consiglio che come un ordine. Un avvertimento. 
Non ce lo facemmo ripetere due volte. Prendemmo le nostre cose in silenzio e mettemmo più distanza possibile tra noi e loro.
Qualcuno mi tirò la treccia. Ovviamente era Embry. 
-Stai bene?- 
Si stava sforzando di sorridere, ma si vedeva che era preoccupato. 
-Sì-
Poco più avanti, Quil non faceva altro che lamentarsi, dicendo che avrebbe potuto battere Paul anche a occhi chiusi. Non sembrava essersi reso conto di star parlando da solo. Jacob, al suo fianco, annuiva, ma aveva lo sguardo perso nel vuoto. Mi chiesi a cosa stesse pensando. Probabilmente anche lui aveva notato l'occhiata che gli aveva lanciato Sam.
Prima di girare l'angolo della strada mi voltai. Sam aveva ancora una mano sulla spalla di Paul, era di spalle perciò non potevo vedere la sua espressione. Jared, invece, stava gesticolando molto. Quando mi concentrai su Paul per poco non mi venne un colpo. Mi stava fissando. Non tremava più, si era calmato, e anche i suoi occhi erano tornati più normali, umani. Eppure... 
Distolsi lo sguardo per riportarlo dritto davanti a me. 
Forse la mancanza di sonno mi stava giocando brutti scherzi e mi ero immaginata tutto. 
-Sì, sto bene-
***
Ero in un bosco.
La pallida luce della luna illuminava delicatamente gli alberi. I miei occhi si abituarono velocemente a quell'oscurità.
Stranamente, ero tranquilla. Sapevo di essere in un sogno, lontana dalla realtà.
Mi guardai intorno e poi inizia a camminare. Mi muovevo in un modo così spontaneo e agile che per un momento mi chiesi se fossi davvero io. Evitai buche, rami, cespugli, radici. Sembravo essere un tutt'uno con la natura che mi circondava.
Non sapevo dove stessi andando, ma i miei piedi mi condussero in una piccola radura, come se avessero volontà propria. All'inizio mi sembrava vuota, poi riconobbi le sagome di tre enormi lupi. Uno nero, uno marrone e uno grigio. Se ne stavano seduti lì, senza fare niente. Di solito erano molto più attivi.
Non mi feci domande sul loro strano comportamento. Pensai, piuttosto, che magari sarebbe stata la volta buona per guardarli più da vicino. Così, senza rifletterci troppo, mi avvicinai. Mi fermai solo quando potei vederli più nitidamente. Erano davvero bellissimi, maestosi, eleganti nel loro modo di essere selvaggi. Eppure, rimasi un po' delusa dalla loro immobilità. Decisi di tornare indietro, pensando che magari li avevo solo colti nel momento sbagliato, quello del pisolino. 
Poi, però, uno dei lupi iniziò ad agitarsi, annusando freneticamente il terreno, scavandolo con gli artigli. Stava cercando qualcosa. Probabilmente la scia olfattiva di una preda. Lo guardai interessata.
Improvvisamente alzò la testa, drizzando le orecchie. Si voltò verso di me, trapassandomi con lo sguardo. Se prima non l'avevo riconosciuto, in quel momento ne fui certa.
Era il lupo grigio.
E stava venendo verso di me.


   
 
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