Crossover
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Autore: UlquiorraSegundaEtapa    10/05/2020    3 recensioni
Dal capitolo 4:
"Il ragazzo dovette fare i conti con una verità che era stata ovvia per lui in passato, ma che ora cominciava ad apparirgli stranamente scomoda: tutti duellavano. Era come fumare, arrivi al liceo e tutti fumano. Ecco, alla loro età tutti duellavano. Erano la generazione dei duellanti. Alan si sentiva come un pesce fuor d'acqua. Peggio.
Si sentiva come un uomo che aveva fatto voto di castità ad Amsterdam"
La storia di Alan, dei suoi amici e della lotta con i suoi demoni, immaginari e reali. In un mondo dominato dal Duel Monsters, diventato sport nazionale, non c'è pace per chi vuole ritirarsi dalla scena. Il passato torna sempre a bussare alla porta, e quando lo fa non ammette rifiuti.
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 12: SI PARTE PER IL CAMPO ESTIVO

 

 

Alan si lavò la faccia nell’acqua gelida.

Era mattina presto, ma il cielo era chiaro e si stava bene. Si sciacquò il viso, per poi guardarsi allo specchio sopra al lavabo. I capelli erano arruffati; doveva tagliarli di nuovo. Gli occhi erano scavati e aveva i capillari in evidenza. Aveva dormito poco, o forse poteva dire che era sveglio da parecchio; entrambe le versioni andavano bene. Non riusciva mai a dormire prima dei viaggi, anche in occasione di quelli “stupidi”.

Aveva ricontrollato mille volte di aver messo tutto nella sua valigia da viaggio, e mille volte aveva pensato di star dimenticando qualcosa. Persino ora, mentre si asciugava la faccia con l’asciugamano blu che aveva appena in bagno, pensava di star tralasciando un dettaglio fondamentale. In realtà, non aveva dimenticato nulla di indispensabile per quella breve trasferta. A turbare così tanto il suo animo era il fatto di aver finalmente riconsegnato il deck ai ragazzi del Campo. Un patto era un patto: dopo aver vinto – con estrema difficoltà – il suo duello con Mera, Alan aveva ridato agli altri il deck, e stavolta Barney non avrebbe potuto tirarlo fuori dalla tasca o da un cappello. Ma proprio ora che si sarebbe dovuto finalmente rilassare, il suo animo soffriva per la mancanza di quel mazzo di carte. Lui non se ne rendeva conto, ma l’emozione di stringere nuovamente in mano uno strumento al quale era tanto abituato anni prima, aveva influito potentemente su di lui. Il suo cuore di duellante si stava ribellando con tutte le sue forze.

Ma Alan, incapace di ascoltarlo, e pensando solo al peso delle piastrine che aveva al collo, continuava a chiedersi se stesse dimenticando qualcosa.

Lo strombazzare di un clacson appena fuori la finestra lo richiamò all’ordine delle cose. – Merda! – esclamò, subito prima di saltare fuori dal bagno. Era ancora in pantaloncini. Si cambiò di corsa, mentre fuori continuavano a strombazzare.

- Arrivo, arrivo! – esclamò, e a quel punto non c’era più tempo per protestare. Si era cambiato, e ora indossava una maglietta bianca a mezze maniche. Sopra c’era una scritta in inchiostro blu che sembrava una pennellata:

 

CAMPO ESTIVO

DI

LILYCOVE CITY!

 

Alan corse fuori, la valigia in una mano e una giacca estiva nell’altra.

Fuori, sulla strada davanti casa sua, in una Subaru blu e il braccio abbronzato fuori dal finestrino, c’era Barney. Portava gli occhiali da sole e aveva la stessa maglia.

Se li calò con un dito.

- Salta a bordo, schiappa – lo esortò. – Si va a duellare.

 

- Non ci credo che non vuoi venire! – Serena era quasi sull’orlo delle lacrime. Suo fratello non aveva mai saltato un campo estivo, neanche uno da quando erano piccoli, prima come partecipante e poi come educatore. Ma ora, mentre lui le dava le spalle e stava infilando il proprio deck e altri oggetti personali in un borsone con il quale andava in palestra, sembrava proprio che quel giorno fosse arrivato.

Era come la fine di un’era.

- Scusami, sorellina – le disse, un po’ brusco – ma ho di meglio da fare ora che badare a qualche marmocchio.

Fece per uscire dalla sua camera, ma lei gli sbarrò il passo.

- Questo non sei tu, Lance – gli disse, guardandolo intensamente negli occhi. Un guizzo a lato della bocca del rosso, ma nulla più.

- Spostati, dai – la pregò.

- Dove stai andando?

- Non sono affari tuoi, Serena. – L’inflessione della sua voce era diventata dura, non conservava quasi nulla dell’abituale calore che aveva di solito. Serena ne fu quasi spaventata.

- Perché non vuoi dirmi cos’è successo tra te e Alan?? – Era disperata. Aveva notato che il cambiamento in suo fratello era cominciato da quella volta che Alan era stato ricoverato in ospedale dopo quel brutto colpo di sole. Ma ignorava cosa potesse essere successo tra di loro. E Lance non aveva voluto parlare, specialmente dopo il duello tra Alan e Mera. Non era proprio da lui comportarsi così.

- Se ci tieni tanto a saperlo, puoi chiederlo a lui visto che siete così amici – le rispose lui, e poi la scostò, non troppo delicatamente. – Devo andare.

Serena lo guardò andare via impotente. Poi lo vide fermarsi sulla soglia, come per un ripensamento, e nel suo cuore si accese una flebile speranza. Ma durò poco, perché lui si voltò e le disse: - Io lo sconfiggerò, Serena.

- Cosa?

Lui la guardò con i suoi occhi penetranti. – Lo batterò, è chiaro?

Poi aprì la porta, travolgendo per poco Winona, che stava per suonare al campanello.

- Oh, Lance, stavo giusto venendo a chiamar… - Si interruppe quando lui le passò accanto, senza nemmeno degnarla di uno sguardo. Salì in macchina e partì spedito.

- Ma che diavolo – borbottò la ragazza dai capelli lilla, poi si introdusse in casa dopo aver mormorato un “permesso”. Indossava anche lei la maglietta bianca del campo di Lilycove.

- Che gli è preso a tuo fratello? – domandò, indicando col pollice la porta aperta.

Serena ricadde a sedere sul letto dell’altro, abbattuta.

- Vorrei tanto saperlo anch’io…

 

- “Si va a duellare” – Alan fece il verso a Barney. – Difficilmente ne ho conosciuti di più coglioni di te.

Il sorriso del biondo gli illuminò il volto quasi quanto il sole che si rifletteva sul parabrezza. – Lo so, per questo siamo amici.

Alan dovette concordare. Poi si diede una rapida occhiata intorno, c’era qualcosa che non gli tornava.

- Ma… questa macchina è nuova?

- Eggià – annuì l’altro, senza staccare gli occhi dalla strada.

- Come puoi permetterti tutta questa roba??

Risatina. – Non chiedere.

Arrivarono ad un semaforo. – Sì, questo è il nuovo modello della Subaru, la Subaru SW.

- SW? – Alan non l’aveva mai sentita.

- Oh sì. È super innovativa, ti faccio vedere: qui c’ha le frecce…

- Come tutte le auto, Barney.

Il biondo sogghignò, poi fece ruotare la levetta delle frecce, che si spostò a destra del volante. – E qua le marce!

Alan, le braccia incrociate sul petto, si piegò in avanti, gli occhi che ora si riempivano di meraviglia. – Spettacolo… - mormorò. Barney annuiva soddisfatto.

- Se poi faccio così – proseguì, e stavolta la levetta si fermò al centro, sopra il volante – prende tutte le frequenze!

- AM, FM…? – Alan le stava contando sulle dita.

- CQC, certo – annuì soddisfatto.

- Bestiale. E com’è messa a sistemi di sicurezza?

- Te lo mostro al prossimo semaforo. – Ripartirono non appena scattò il verde. Arrivati al nuovo semaforo, in coda con altre due auto, Barney afferrò il volante. Alan non capì cosa volesse fare fino a che lui non disse: - Metti che fai un incidente grave…

L’intero impianto del volante si spostò di lato. – Sposti il piantone e ti salvi la vita!

Alan era a bocca aperta e con gli occhi grandi come bocce. – Guarda che i giapponesi sono avanti – e fece un gesto con la mano, come se avesse appena dato un pugno e si fosse fatto male.

- I giapponesi ne sanno a pacchi. Be’, dopotutto l’hanno inventato loro il Duel Monsters.

Alan ridacchiò. – Vero.

Ripartiti, Barney gli fece un cenno con la testa. – Comunque, telefona a Shaun, che dobbiamo andarlo a prendere e quello non è mai pronto se no.

Alan tirò fuori il cellulare e represse uno sbadiglio.

Cercò il numero di Shaun in rubrica, e premette il tasto. Attese qualche secondo, finché qualcuno non rispose.

- Ehi Shaun, siamo n…

Barney sentì Alan arrestarsi. Spostò rapidamente lo sguardo dalla strada a lui, e poi di nuovo alla strada. Inarcò un sopracciglio; Alan sembrava contrariato. Alla fine, il moro chiuse la telefonata.

- Che… ti ha detto? – Barney aveva stranamente paura a chiederlo.

Alan guardava il cellulare come se fosse un oggetto alieno, la bocca contratta in una smorfia. – Ansimava – disse alla fine.

Barney lo guardò per un attimo. – Eh?

Alan continuava a fissare il cellulare, ed era tornato alla rubrica ora. – Non ho capito se fosse un maniaco, o sua sorella.

- O magari un maniaco con sua sorella – suggerì il biondo.

Alan lo guardò, sgranando gli occhi. – E se… il maniaco con sua sorella fosse proprio lui?

Indicò il telefono. – Cioè, era il suo numero dopotutto!

In quel momento, alla radio partì Sweet Home Alabama, di quella band di cui nessuno aveva mai imparato a pronunciare il nome. – Meglio se lo richiami – suggerì Barney.

- Ma io ho paura. – Alan era seriamente inquietato.

- Metti in vivavoce – gli disse il biondo. Poi abbozzò un sorrisino: - Se ci sono dei gemiti, voglio sentirli anch’io.

Indicò la presa per il cellulare. Alan lo infilò lì e compose il numero, per poi metterlo in vivavoce. Gli squilli riempirono l’abitacolo.

- Allora? Che fa, non risponde? – Barney cominciava a farsi ansioso.

- Eh no, se sta scopando con sua sorella no che non risponde!! – e Alan aveva ancora quella scena in mente.

Poi qualcuno rispose. I due non fecero in tempo a fare un verso che sentirono rumori di botte e urla.

- Oh, ci va giù pesante il ragazzo – disse Barney.

- No, io credo che sia una cosa seria – e Alan era seriamente preoccupato. – Shaun? Shaun, ci senti?

- Chi cazzo è quello là?! – sentirono urlare una voce, che forò i loro timpani. – Da dove ha parlato??

Alan chiuse d’impulso la conversazione. I due si guardarono ancora.

- Senti, forse è meglio se non chiamiamo più e ci facciamo trovare direttamente sotto casa sua – propose.

- Potrebbe essere una buona idea – concordò il biondo.

Imboccarono la strada per la via di Shaun, dopo che Barney ebbe passato due minuti buoni a strombazzare un tipo che gli ostruiva la strada, e dopo una curva a S nella quale Alan ringraziò di non aver ancora fatto colazione.

Alla fine, arrivarono in un complesso residenziale che sembrava uno dei quartieri malfamati di Scampia. Si guardarono intorno.

- E ora che facciamo? – domandò il moro.

- Facile, lo chiamiamo a voce. Come facevano gli strilloni per vendere i giornali.

Alan non era molto convinto, ma si sporse comunque verso il finestrino. Prima che Barney potesse avvisarlo, lui si mise a urlare il nome dell’altro.

- SHAUN?! SH-

- MA SEI SCEMO?! – Barney aveva le orecchie che gli fischiavano. – Gridi in macchina senza abbassare il finestrino? Così diventiamo sordi!

Alan fece un gesto col dito che voleva indicare tutto l’abitacolo. – Ma non è insonorizzata?

Barney lo guardò con una faccia da triglia. – Sì, ma da dentro per fuori, non da dentro per dentro!

Alan fece una smorfia. – Finché compri il modello base. Altro che innovazione.

E smontò direttamente. – Modello base – gli fece il verso Barney, smontando a sua volta. Si misero a gridare per il viale, finché una delle finestre non si aprì e ne uscì fuori l’altro ragazzo, con i capelli che non avevano mai conosciuto il pettine e gli occhiali da vista calati per sbilenco.

- Oh ma che urlate? Qua la gente mi conosce, poi mi viene a chiedere che amici ho! – protestò. – E scusate, non potete urlare un po’ più piano?

I due lo guardarono a metà tra l’interrogativo e il seccato. – Scusa, non abitavi di là? – gli domandò il biondo, indicando col pollice oltre la sua spalla la palazzina lì di fianco.

- Se vieni di qua abito di qua, se vieni di là abito di là. – I due non sapevano come replicare. Alan lo esortò: - Dai, vieni giù o rischiamo di far tardi.

- Finisco il competitivo in Mortal Kombat X e scendo – e dopo quell’avviso, il ragazzo si ritirò chiudendo di nuovo le persiane. I due si scambiarono uno sguardo confuso.

- Competitivo in Mortal Kombat X a quest’ora del mattino? – fece Alan. – A mezzogiorno che facciamo, World Championship di Duel Monsters con un deck di mostri normali?

Barney fece spallucce. – Io ho giocato solo a Mortal Kombat Armaggedon.

E così dicendo rientrarono entrambi in macchina, tenendo stavolta i finestrini abbassati per non soffocare.

 

Serena fissava pensierosa il paesaggio che le scorreva accanto senza guardarlo davvero. Alla radio, Wynona aveva messo su la musica pop che tanto le piaceva.

- Non pensarci – le disse, e lei si riebbe.

- Come?

Sbatté un paio di volte le palpebre.

Wynona le lanciò un colpo d’occhio e poi torno a concentrarsi sulla strada.

- Qualunque cosa sia presa a tuo fratello, gli passerà. È inutile che ti preoccupi.

Serena si tenne il volto con una mano. – Non è da lui comportarsi così – sospirò. E poi aggiunse: - Non riesco a fare a meno di pensare che dipenda tutto da Alan.

Wynona le rivolse uno sguardo, più lungo di quello precedente, e poi tornò a guardare la strada.

- Perché lo pensi?

- Perché tutto è cambiato quando loro due si sono parlati – sputò fuori la bionda, sistemandosi meglio sul sedile. – Qualunque cosa gli abbia detto… ha turbato Lance più di quanto abbia fatto persino la morte del nonno.

Serena si ricordava bene quel giorno. Entrambi erano molto legati al nonno, perché era quello che aveva insegnato loro come giocare a Duel Monsters. Ma Lance, anche per il tipo di deck che poi aveva scelto di adottare, ci era legato in una maniera più profonda di quanto lo fosse Serena. Perso suo nonno, ci aveva messo del tempo a riprendersi.

- Ricordo che Lance fece una promessa…

Guardò la strada che si estendeva davanti a loro, mentre piano piano lasciavano la città e si immettevano per la super strada.

- Promise al nonno che sarebbe diventato un campione di Duel Monsters – proseguì, giocando con una ciocca di capelli. – E che avrebbe onorato la sua memoria.

La ragazza dai capelli lilla fece un sorriso. – Una cosa molto bella – osservò.

- Certo… - Ma Serena era cupa. – Solo che ora mi chiedo cosa volesse dire davvero…

 

- Chiedo scusa, ma perché dovrei stare io dietro?

La domanda di Alan era alquanto legittima. Shaun, appena montato in macchina, si mise la cintura e disse: - Sto male nelle curve.

- Finché giochi a Mortal Kombat a quest’ora per forza che stai male nelle curve! – osservò Barney, piccato. – Non fanno altro che squartarsi a vicenda!

- Quello che fanno i nostri mostri tutti i giorni, solo con meno budella – gli rispose Shaun, e tirò fuori dal suo zaino una bottiglietta d’acqua frizzante.

- Bevi acqua frizzante? – Intanto Barney aveva fatto manovra.

Il moro rischiò quasi di strozzarsi con l’acqua per la brusca sterzata del biondo. Si pulì col dorso della mano e rimise l’acqua a posto.

- Finché posso scegliere tra l’acqua normale e quella coi DLC perché dovrei bere quella normale? – gli chiese.

Alan guardò fuori dal finestrino come sperando che qualcuno gli rispondesse.

Dopo che anche loro si furono immessi lungo la super strada, Barney dichiarò con un sorriso: - Be’ dai, tra un paio d’ore saremo a Lilycove!

- Che bello – convenne Shaun, e poi indicò un punto a destra col dito. – Puoi fermarti là? Devo fare pipì.

Barney e Alan si scambiarono uno sguardo, dopodiché il biondo fece un risolino nervoso. – Vuoi scherzare, vero? Siamo appena partiti.

Il moro lo guardò in modo quasi trasognato, come se non fosse veramente lì. – Sì, ma a me scappa.

- Potevi farla a casa tua – gli fece notare Alan, sporgendosi tra i due sedili.

- Prima non mi scappava – si difese l’altro.

Barney cercò di essere ragionevole. – Va be’ dai, alla prossima stazione di servizio che incontriamo…

- Ti faccio il pieno – finì per lui Shaun, anche se era sicuro che non fosse quello che voleva dire l’altro. – Se ti dico che mi scappa, mi scappa.

- Non puoi reggere? – gli domandò Alan.

- Tu non hai idea. – Shaun si sporse verso di lui. – La mia vescica rompe le leggi della logica. Piscio ogni mattina appena sveglio. Se per caso vedo un corso d’acqua ho l’improvviso impulso di correre in bagno. Una volta mia sorella ha osato bere davanti a me…

Si strinse nelle spalle. – Non è finita bene – concluse.

Barney, che era leggermente inquietato, se ne uscì con: - Sì, ma se fai così ci tocca fermarci ogni mezzo chilometro, e arriviamo dopodomani. Non possiamo!

E sbatté le mani sul volante, rafforzando la presa. Shaun, dopo qualche attimo di silenzio, asserì: - Benissimo.

Alan e Barney sorrisero, rinfrancati.

Poi l’altro afferrò la zip dei bermuda e dichiarò: - Ti piscio in macchina!

 

Intanto, Lance era arrivato a Saffron City.

Odiava il modo in cui si era congedato da sua sorella, tuttavia, per quanto brutale potesse suonare, aveva altro di che preoccuparsi ora. Serena non era più una bambina, avrebbe capito. Dal canto suo, il viaggio in macchina che aveva affrontato fin lì, quasi due ore, non lo aveva aiutato a schiarirsi le idee come pensava.

Anzi, se possibile aveva ancora più domande.

Seguì il navigatore fino ad arrivare presso la zona residenziale. Là, in mezzo ai vari edifici, svettava l’imponente profilo della Devon. A guardarlo, faceva una certa impressione, con i suoi sessanta e passa piani tutti in vetro che brillavano incandescenti alla luce del sole.

Dovette districarsi un po’ tra sensi vietati e zone a traffico limitato, sbagliò strada un paio di volte perché il navigatore non considerava le zone dove non poteva andare, e alla fine parcheggiò in una viuzza laterale. Mise i soldi nella macchinetta e ottenne un biglietto per due ore. Contava che bastassero.

S’incamminò a piedi. La città si era svegliata da poco, e il profumo del pane e delle brioche appena sfornate gli ricordò che non aveva fatto colazione, era partito di getto. Si sedette a un bar e ordinò un caffè d’orzo e una brioche vuota. Scoprì di non avere molta fame. Pagato il conto, si diresse alla volta della Devon.

Il suo appuntamento era alle nove, e secondo il suo orologio digitale aveva cinque minuti per presentarsi in orario. Nonostante non fosse un impiegato che doveva timbrare il cartellino, avvertì comunque una certa tensione. Arrivato nella piazza che precedeva la Devon, che cominciava a riflettere i raggi del sole sulle sue vetrate, Lance vide Gary Oak che lo aspettava fuori dall’edificio, intento a soffocare uno sbadiglio con una mano mentre con l’altra teneva il cellulare, scorrendo il suo Instagram.

Lance aveva deciso che Gary non gli piaceva. Era più giovane di lui, e aveva l’aria di quello che alle medie doveva essere il bullo della classe, solo in versione più figa. Aveva i capelli ricoperti di gel e indossava una polo blu a mezze maniche. Quando lo vide, la sua espressione mutò in un sorrisino soddisfatto.

- Ma guarda, addirittura con qualche minuto d’anticipo – constatò sul suo telefono.

Lance salì le gradinate. – Sono partito presto per non incontrare traffico – rispose.

Gary rimise in tasca il cellulare. – Scusa per l’orario, neanch’io sono abituato. Ma non dipende da me.

Lance alzò gli occhi al profilo del grattacielo. – Cos’è, vuoi dirmi che tu lavori qui?

Gary scoprì i denti. – Non esattamente. Non sono un impiegato, se è quello che intendi. Ma ho firmato un contratto con la Devon.

- Per cui sei comunque un loro impiegato – constatò il rosso.

Il sorriso di Gary si smorzò, per poi riaccendersi subito dopo.

- Seguimi.

Lo condusse dentro attraverso le porte automatiche. Lance osservò l’atrio con la fontana senza fare commenti, limitandosi a chiedersi che bisogno ci fosse di avere una fontana lì dentro. Gary pigiò sull’ascensore, e quando furono entrati prenotò la corsa per il quarantesimo piano.

L’ascensore salì con una velocità quasi vertiginosa. A Lance parve che avessero percorso quella tratta in una manciata di secondi. Quando le porte si aprirono, Lance si trovò di fronte a uno spettacolo ben diverso da quello che si sarebbe aspettato: era all’entrata di un’enorme palestra, con macchinari di qualunque tipo, e scaloni laterali sia a destra che a sinistra che ospitavano numerosi attrezzi per il corpo libero e conducevano alla zona cardio, costruita sullo stesso piano ma nella parte alta. La zona davanti a lui era divisa in tre ali: a sinistra c’erano le macchine da cross fit e pesi di diversa misura, con tanto di bilancieri e ketter bell. Al centro c’erano diverse macchine per il potenziamento di gambe e braccia, come la leg press o la vertical traction. A destra, invece, c’erano le panche per i crunch, una macchina easy chin dip e altre attrezzature.

Il ragazzo era leggermente disorientato. – Non capisco, perché mi hai portato qui?

Gary avanzò con le mani in tasca, dirigendosi verso gli scaloni laterali senza dire una parola. Lance lo seguì. La palestra era deserta, ma il Muzak diffondeva musica da allenamento, e di sopra si sentiva il rumore di una macchina in funzione. Quando furono saliti, Lance vide che una delle cyclette era occupata da un ragazzo dagli insoliti capelli blu e grondante di sudore. Indossava un completo nero traspirante da palestra, e aveva un asciugamano attorno al collo mentre pedalava come un ossesso.

Gary si rivolse a lui. – Ecco qua Lance, come mi hai chiesto.

Lance non capiva. Quel tipo aveva richiesto la sua presenza?

Il ragazzo doveva avere più o meno la sua età, e gli sorrise non appena i loro sguardi si incrociarono; aveva gli occhi ambrati.

- Oh, il famoso Lance, che piacere – disse, smettendo di pedalare e smontando dalla cyclette. Si tamponò il viso con l’asciugamano e si tirò all’indietro i capelli impregnati di sudore.

- Perdona il mio aspetto un po’ sfatto, non sono abituato a ricevere ospiti a queste ore, ma ho detto a Gary di farti venire il prima possibile. – Gli tese una mano; portava dei guanti da palestra senza dita.

Lance ricambiò la stretta senza farsi troppi problemi. – Con chi ho il piacere di parlare? – domandò, senza addolcire la propria espressione.

L’altro continuava a sorridere, ma quel sorriso non trasmetteva nulla di allegro, neanche un po’. – Zachary Devon – si presentò. Lance venne come fulminato sul posto. L’altro lo notò subito.

- Dalla tua reazione, deduco che tu abbia sentito parlare di me.

Il rosso annuì. – Erede della Devon Spa, laurea in economia ad Harvard con distinzione di lode in soli undici mesi e detentore del record di vittorie in rappresentanza della Devon: cento cinquantuno vittorie e zero sconfitte.

Lo ripeté come se lo sapesse a memoria. Zachary sorrise soddisfatto. – Non si può dire che tu non abbia fatto i compiti.

Afferrò la sua borraccia, contenente una qualche bevanda energetica, e tracannò un lungo sorso. Quand’ebbe finito, si ripulì col dorso del braccio.

- Seguitemi – li esortò, e li condusse nuovamente verso l’ascensore. Stavolta salirono al cinquantesimo piano, dove c’era l’ala relax. Disse loro di accomodarsi sulle poltroncine, e di attenderlo. Un quarto d’ora dopo, che passò in un silenzio alquanto sentito da parte di Lance, Zachary riapparve docciato, pulito e profumato, e vestito in maniche di camicia. – Immagino tu ti stia chiedendo perché ti ho fatto venire qui, Lance – gli disse, mentre si arrotolava i polsini.

Il rosso lo seguì con lo sguardo. – Mi sembra il minimo.

Zachary sprofondò nella sua poltrona ad acqua, emettendo un sospiro sollevato. Aveva un buon profumo ora, balsamo o qualche altra roba iper costosa dall’Egitto, sicuro.

- Salterò i convenevoli, dal momento che mi sembri una persona franca – dichiarò. – Vorrei proporti un contratto con la Devon.

Lance strabuzzò gli occhi. – Perché?

- Perché ho sentito dire che sei un duellante niente male, e io odio quando il potenziale rimane inutilizzato.

Si aggiustò anche il colletto della camicia, e poi affondò le mani nei braccioli della poltrona. – Da quanto so sei un medico tirocinante; professione lodevole, ma ben misera per sbarcare il lunario.

Lance aguzzò lo sguardo.

- Ha indagato su di me?

- Ovviamente – rispose pronto l’altro. – Mi piace sapere con chi ho a che fare.

Lance avvertì una fitta di fastidio per essere stato praticamente spiato. – Che bisogno avrebbe uno come Zachary Devon del mio aiuto?

L’altro sorrise, e la cosa mise alquanto a disagio il rosso.

- Non ragionare in termini di aiuto, Lance, ma in termini di appalto – gli suggerì.

- Appalto?

- Dimmi una cosa: chi possiede l’atto di proprietà del vostro amato Parco dei Duelli?

Lance si irrigidì come se fosse stato trafitto dallo sguardo di Medusa. Dunque si ritornava sempre e comunque a battere lì, eh? Ci mise un attimo a fare due più due, e smise anche di dargli del lei: - Tu… - sibilò – hai mandato tu il Pinguino.

Zachary alzò le mani. – Colpevole.

Poi tornò composto e il suo sguardo si fece serio. – Io sono molto interessato a quella fetta di terreno che chiamate Parco dei Duelli. E se non viene fuori un atto di proprietà, temo proprio che qui ci troviamo di fronte ad un caso di abusivismo edilizio.

- Cosa?! – Lance balzò in piedi. – Mi stai minacciando?

Zachary si alzò a sua volta, lisciandosi la camicia. – Non io – precisò. – Ma gli USA. Questa è la legge, Lance. Tuttavia, comprendo l’importanza affettiva che ha per voi quel lotto di terreno.

Il suo tono si addolcì un po’. – Non vi trascinerei mai in tribunale, puoi starne certo.

- No, ovvio che no – gli rispose aspro – non dopo che hai mandato più e più volte un malavitoso a chiederci il pizzo!

- Cobblepot? – Zachary sembrò quasi cadere dalle nuvole, poi fece un risolino. – Oh, lui è solo la punta dell’iceberg. Se l’avessi voluto, i miei avvocati vi avrebbero già fatti a pezzi.

Si afferrò le mani. – Il fatto è… che io credo che quel contratto esista eccome. Solo, non in forma cartacea.

Lance sbiancò. – Bingo! – Zachary puntò il dito su di lui.

- È come immaginavo. L’atto di proprietà consiste in un lascito testamentario a una persona. E quella persona scommetto che sei tu, Lance.

Il rosso strinse i denti, una goccia di sudore che gli attraversò il volto e si insinuò nella camicia. – Già – ammise – e con questo?

Zachary lo guardò con un sorriso che non lasciava trasparire nulla. Lance trovava incredibile il fatto che quell’uomo fosse illeggibile. Era come un libro scritto in una lingua che non conosceva.

Alla fine disse: - Come ho detto, sono molto interessato al vostro piccolo lotto…

- Perché? – lo interruppe bruscamente l’altro. Un guizzo delle sopracciglia di Zachary gli fece capire che non aveva gradito né l’interruzione né la domanda.

- Motivi personali – rispose semplicemente. – Quel che conta è che sto per farti un’offerta. Mi sembri una persona ragionevole, perciò vorrei contrattare con te.

- Contrattare?

Zachary andò alla sua scrivania e tirò fuori un libretto degli assegni. Prese la sua penna da scrivania e scarabocchiò qualcosa sopra al foglietto, poi lo strappò e lo porse a Lance. Il rosso sbiancò nel vedere la cifra scritta sopra, in un’elegante calligrafia ondulata.

- Co-cos’è questo? – mormorò.

- La cifra che ti offro per la cessione del vostro Parco – spiegò il ragazzo dai capelli blu. Attese pazientemente la risposta dell’altro.

Dopo quelli che sembrarono attimi interminabili, Lance riacquistò la compostezza. E fu con calma glaciale che strappò in due l’assegno.

FRRRRRR!

Gary Oak balzò in piedi. – Ma che stai facendo?!

Lance lasciò cadere i riccioli di carta. Zachary lo fissò con un sorrisino, come se se lo aspettasse.

- Il Parco dei Duelli non è in vendita – disse con fermezza. – E ho sbagliato a venire qui.

Fece per andarsene, ma Zachary lo richiamò. – Sei davvero sicuro di volertene andare così, Lance?

Il rosso tese la mano verso la maniglia, senza però toccarla. Si volse e socchiuse gli occhi. – Che intendi?

Zachary si appoggiò alla scrivania. – Hai il mio rispetto, se devo essere sincero. Uno che straccia un assegno del genere con una certa disinvoltura lo merita senz’altro.

Lance fece per aprire bocca, ma lui lo fermò con un gesto della mano. – Tuttavia, dubito che tu riesca a immaginare le possibilità che sono in grado di offrirti.

- Non mi interessa affatto.

- Oh davvero? – Zachary non sembrava convinto. La sua aria di superiorità cominciava a dare sui nervi a Lance. Strinse i pugni.

- Stammi bene a sentire – gli disse, avanzando con fare minaccioso nuovamente verso di lui – non mi importa assolutamente di chi tu sia. Che tu sia Zachary Devon, o qualsiasi altro ragazzino montato…

Si fermò vicino a lui. – Non cederò il Parco e non mi farò comprare. Quel posto rappresenta un’isola felice, e non solo per me, ma per tutti noi.

E con un gesto, andò ad abbracciare immaginariamente tutti i ragazzi, compresa sua sorella, che passavano i pomeriggi e le serate lì, in quella piccola radura lontana dalla civiltà, dal rumore e dall’inquietudine.

- E non sarai tu, né nessun altro, a portarcela via – concluse. Come unico risultato, il sorriso di Zachary non fece altro che allargarsi.

- La tua dedizione è ammirevole, Lance – commentò. Si scostò dalla scrivania e si rimise eretto; era poco più basso del rosso.

- Ma forse non hai capito – e il suo tono si fece più deciso. – Io non ti sto dando la possibilità di scegliere. Io voglio quel parco.

Il fuoco si accese negli occhi dell’altro ragazzo.

- Dovrai passare sul mio cadavere, per averlo.

Zachary scoprì i denti. – Spero di non dover ricorrere a tanto – e a quelle parole Lance non poté impedire a un brivido di attraversarlo.

- A dire il vero – disse l’altro – stavo pensando ad un altro modo, molto meno violento, per risolvere la nostra questione.

I due si compresero senza bisogno di parole.

Parlavano entrambi la stessa lingua, del resto.

Quella dei duellanti.

 

Era pomeriggio inoltrato, quando Alan, Barney e Shaun arrivarono finalmente a Lylicove City, una graziosa cittadina sul mare.

Il viaggio era stato orribile.

Dopo la brusca frenata per impedire che Shaun la mollasse nell’auto, Barney era ripartito sgasando perché l’altro aveva fatto cadere qualche goccia sulle scarpe, e la macchina era nuova. Recuperato uno Shaun in procinto d’infarto per la corsa, avevano lasciato la superstrada per immergersi nel verde delle campagne.

Speravano di godersi una tratta più tranquilla, immersi nel verde, anche perché subito dopo Shaun aveva vomitato una colazione alquanto pesante.

Be’, del resto l’aveva detto che stava male nelle curve.

Sfortunatamente, il vomito non era stata la cosa peggiore della tratta, perché su una sterrata strada di campagna, dove il navigatore li aveva fatti finire, Barney aveva investito un’intera famiglia di ricci selvatici. E nel fare retro per controllare se se ne fosse salvato qualcuno, aveva investito anche l’ultimo.

Così, l’ultima tratta se l’erano fatta in cupo silenzio, e quando erano finalmente arrivati a Lilycove volevano solo farsi una doccia e scendere. Alan cominciava addirittura a soffrire un po’ di cinetosi.

- Dov’è che dobbiamo andare di preciso? – chiese Barney, che stava trafficando col navigatore.

Alan diede un colpetto al sedile. – Hai tu l’indirizzo, Shaun.

- Ah giusto. – Il moro si infilò le mani in uno dei calzini e ne tirò fuori un foglietto spiegazzato. Alan non aveva nemmeno più la forza per essere allibito. Barney, invece, gli chiese: - Lo tieni in un calzino?

- Nelle mutande pizzicava – si giustificò lui.

Lesse sul foglio. – Skylab, Via Washington, 24.

Alan ridacchiò. – Skylab, Via Washington? – Il nome lo faceva ridere per qualche motivo. Forse gli ricordava quello di un vecchio sketch dov’era assolutamente fuori luogo.

- E il proprietario chi sarebbe? Mr. Jones?

 

Mr. Jones era un nero dalla pettinatura afro e gli occhiali da sole.

Li accolse con il calore e l’entusiasmo di chi deve assolutamente vendere la propria merce al mercato di Abu Dabi.

- Benvenuti duellanti! – esclamò. – E grazie per aver scelto il mio Skylab per soggiornare!

Strinse loro le mani con forza.

- Ma porca… - mormorò Alan.

L’albergo aveva diversi piani, e sembrava fin troppo di lusso perché potessero permetterselo, ma a quanto pare era così. Si trovava su una collinetta, rialzato rispetto alla cittadina sotto di loro, e da lì si poteva ammirare il mare. Tutto intorno c’erano boschetti e percorsi che portavano sulle montagne. Era una zona veramente caratteristica.

Le porte a scorrimento dell’albergo si aprirono e ne uscirono, trafelate, Winona e Serena.

- Alla buon’ora – commentò la ragazza dai capelli lilla.

- Cominciavamo a pensare che vi foste persi – disse Serena. Indossavano entrambe le magliette del campo estivo. Da dentro veniva un vociare confusionario di voci di bambini.

Alan cominciò a scaricare le valigie dal bagagliaio della macchina di Barney. – Abbiamo avuto un viaggio… interessante – e non volle aggiungere altro.

- Siamo gli ultimi? – domandò il biondo.

- Direi – gli rispose Winona a braccia conserte – noi siamo arrivati ore fa.

I due ragazzi guardarono Shaun, che era davanti al telefono. Rialzò lo sguardo e domandò: - Cosa?

- Stai condividendo meme sul gruppo? – insinuò Alan.

- No – e mise via il cellulare. Subito dopo, quelli di Alan e Barney squillarono. Lo guardarono con un forte istinto omicida. Il moro cominciò a fischiettare.

 

- Voglio morire – dichiarò Barney, una volta entrati nell’albergo. Mr. Jones nel frattempo si era volatilizzato.

- Non mi sento più le gambe – gli venne dietro Alan. Stavano arrancando con le valigie verso l’ascensore; così tante ore di macchina li avevano provati. Barney aveva lasciato l’auto nel parcheggio dell’hotel, e ora volevano solo mettersi a letto, nonostante il sole non fosse ancora tramontato.

Shaun, intanto, era sparito chissà dove.

- Alan. – Quella voce lo richiamò da in fondo alle scale. Serena lo fissava, e non sembrava molto contenta.

- Serena – fece lui, abbastanza sorpreso – qualcosa non va?

- Dopo cena – e non aggiunse altro, voltandosi e lasciando il corridoio con i capelli che le svolazzavano dietro. Alan e Barney si guardavano interrogativi.

- Ho fatto qualcosa di male, dici? – chiese il moro.

- A me sembrava quasi un invito a… - e le sopracciglia del biondo furono più che eloquenti.

- Oh… OH!

Le porte dell’ascensore si chiusero. Dopo un altro attimo di attenta riflessione, Alan disse: - Penso sia per colpa di Lance, invece.

- Che c’entra ora il nostro incazzoso amico?

Alan non rispose. Fissava la propria immagine nel vetro. Era fiacco, sudato e stanco; avrebbe voluto buttarsi a letto, ma decise che si sarebbe fatto una doccia e poi sarebbe sceso a cenare. Doveva risolvere la questione con Serena il prima possibile; quella ragazza era adorabile, e odiava farla star male. Ed era molto sicuro che c’entrasse il fatto che Lance non si vedeva lì in giro da nessuna parte.

Quando l’ascensore si aprì e si ritrovarono al terzo piano, Alan disse: - Allora ci vediamo a cena, Barney.

Il biondo parve disorientato. – Cosa? Ma… non stiamo in camera insieme?

Alan mostrò la propria chiave, alla quale era appesa una pesante palla di rame con il numero 308. – No. Tu hai la 306, a quanto pare.

E si avviò verso la sua stanza, salutandolo con la mano.

- Aspetta… ma se Alan è nella 308… chi c’è con me??

Corse subito alla sua stanza. Non appena aprì, sentì tirare lo sciacquone e vide la porta del bagno spalancarsi.

- Bene, bene. – Shaun, in mutande e con un asciugamano davanti alla faccia, sembrava alquanto compiaciuto. – Indovina chi si farà una run su Pokemon Spada “only Croagunk” questa sera con me?

- NOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!

 

Alan aveva preso una singola.

Non era stato un problema, gli animatori erano dispari, e lui era abbastanza maturo da non destare troppe preoccupazioni se avesse dormito da solo. Voleva bene a Barney, ma aveva bisogno di stare da solo. Perché la sera era sempre il momento più difficile, quel momento in cui le ombre si allungano e il sole non riesce più a tenerle a bada.

Quel momento in cui i demoni vengono fuori.

La sua stanza era molto minimale, un letto all’angolo, una scrivania piccola e in legno consumato, sotto ad uno specchio a parete. C’era il bagno con doccia e sanitari, nulla di più che un minuscolo spazio ricavato in una già piccola camera, con una luce che sapeva di ospedale.

Ora capiva perché avevano potuto permettersi quel posto là; sembrava super stiloso visto da fuori, ma ero uno specchietto per le allodole. Era come uno di quei cartonati con dietro niente che si vedevano sui set dei vecchi film western.

Nell’armadio aperto c’era una piccola cassaforte, dove Alan ripose il portafoglio e chiuse a chiave, non perché temesse di essere veramente derubato. Era più un gesto… simbolico, diciamo.

Mi dispiace, amico mio, pensò.

Nel suo portafoglio c’era quella carta, l’immancabile Drago da Richiamo; l’unica carta che aveva conservato, perché era la sua. La portava sempre con sé, in una bustina plastificata per non farla rovinare. L’aveva protetta dal tempo, e dal destino riservato al resto del suo deck. Quel pensiero gli faceva salire emozioni contrastanti dalla bocca dello stomaco. Provava rabbia e disgusto nei confronti di sé stesso, ma anche amara accettazione e un distorto senso di pace.

Aveva vinto, l’aveva spuntata. Aveva rinunciato per la seconda volta al Duel Monsters, e stavolta definitivamente. Aveva vinto in maniera legittima e firmato quel contratto, anche se non c’era nessun foglio di carta ad attestarlo. C’erano però dei testimoni, diversi testimoni. Aveva battuto Mera, e dio se non era stato il duello più difficile della sua vita; e tutt’ora sentiva di aver vinto per pura fortuna, non per abilità.

Mera aveva seriamente rischiato di batterlo.

E lui aveva seriamente rischiato di dover confessare.

Ma ci sono segreti che non possono essere confessati, cose che bisogna portarsi dentro, di cui bisogna accettare il peso. L’eredità di Lucius era una di quelle cose. E anche se sapeva che quella minuscola cassaforte non avrebbe bloccato i suoi pensieri, che quelle quattro mura in cui avrebbe dormito da solo per qualche giorno non sarebbero bastate a impedire ai fantasmi di uscire, preferiva affrontare tutto questo da solo.

C’era una porta finestra che dava sul balcone, così vi si affacciò. Il panorama, che dava sulla città sottostante, era bellissimo. Il lungomare cominciava a risplendere delle luci dei lampioni. La gente passeggiava e andava a fare aperitivo. Dall’altra parte, le montagne guardavano nella sua direzione, i profili neri dove il sole era già scomparso, e le chiome degli alberi si confondevano diventando macchie scure contro il cielo notturno.

Il mondo, in quel momento là, sembrava perfetto.

Una leggera brezza gli scompigliò i capelli. Per la seconda volta quel giorno ricordò a sé stesso che doveva tagliarli.

Gli affiorò l’ombra di un sorriso. Quante cose doveva ancora fare.

 

La sala mensa era straripante di marmocchi.

Alan ne aveva contati almeno un centinaio, e altri ancora dovevano arrivare.

- Non so se riuscirò a resistere – confessò, più a sé stesso che a Winona, che in quel momento si era avvicinata. La ragazza dai capelli lilla gli rispose con una risatina.

- È il tuo primo campo?

- In tutti i sensi – gli rispose l’altro. – Non ho mai partecipato a cose del genere.

- Troppo impegnato a vincere campionati già da piccolo?

Nonostante l’avesse detto in modo ironico, Alan si irrigidì. Winona se ne accorse subito. Stava per dirgli qualcosa, ma in quel momento arrivarono gli altri educatori, capeggiati da Serena. Lei e Alan si scambiarono una strana occhiata; il moro si sentiva sempre più a disagio.

Con lei c’erano delle facce nuove.

- Ragazzi, voglio presentarvi dei miei amici che si sono offerti per fare da educatori per il campo estivo – spiegò la sorella di Lance, introducendoli con un gesto della mano. C’era un ragazzo dai capelli neri legati in una coda e gli occhi marroni, che tese la mano con un mezzo sorriso: - Sono Shun Kazami – si presentò, tendendo la mano ad Alan.

- Io sono Marucho Marukura – disse un ragazzino biondo dai capelli a caschetto, gli occhi azzurri e due spessi occhiali dalla montatura rossa. Sembrava strano che avesse la loro età o giù di lì.

Mio dio, ha un nome impronunciabile…, pensò Shaun mentre ricambiava la stretta.

- Io sono Gardenia! – fece allegra una ragazza dai capelli arancioni con delle mesh nere e la frangia, alta e magra.

Carissima, pensò Barney, che doveva coordinare mente ed espressione facciale per mantenere la propria farsa.

- Non siete frequentatori del Parco, mi sembra – notò Alan. Fu Gardenia a rispondergli: - Oh, ogni tanto ci veniamo, ma abitiamo piuttosto distanti da dove si trova. E poi…

Shun la scavalcò. – Ci siamo offerti quando abbiamo saputo che si stava organizzando un campo estivo!

Strinse i pugni. Marucho sembrava eccitato quando lui: - Avere la possibilità di passare quattro giorni a batterci a Duel Monster è troppo eccitante!

Saltellava qua e là come una rana.

- C’è una cosa che mi domando – se ne uscì all’improvviso Barney. – Chi è che ha portato qua i marmocchi?

Improvvisamente alle loro spalle echeggiò una risata. – Bwahahah!!

Quando si voltarono, tutti sgranarono gli occhi. Davanti a loro c’erano Dan, Rob e… Mera!

- Pensavate davvero di liberarvi di noi? – fece la rossa.

Alan iniziò improvvisamente a sudare. I miei peggiori incubi tutti assieme, pensò. Si sentiva circondato: da una parte c’era Serena, che probabilmente lo odiava per le tensioni con Lance; e ora, dall’altra, era spuntata Mera, con la quale non aveva più parlato dopo il loro duello.

Poi c’erano Rob, il barista tatuato del Parco, e Dan, il vecchio che aveva l’aria da galeotto e che si sedeva sempre a bere.

- Ci siamo offerti volontari per portare noi i marmocchi – spiegò Dan, la voce arrocchita dal fumo.

- Del resto uno solo di noi non sarebbe bastato – spiegò Rob.

- Ma… e che ne è del Parco? – chiese Winona, che a quanto pare era sorpresa quanto gli altri. Mera le rispose: - Non preoccuparti. I ragazzi sono rispettosi, non manderanno tutto a monte. E poi, ho lasciato Sapphire a fare la guardia.

Meno male…, pensarono all’unisono Alan e Barney. Almeno una se l’erano evitata; avevano entrambi i flashback del Vietnam quando si faceva il nome di Sapphire.

- Be’ allora, vogliamo sederci? – propose Rob. – Non so voi, ma io sto morendo di fame.

Si trovarono tutti d’accordo.

La parte più difficile fu convincere i bambini a sedersi. È veramente complicato avere a che fare con una torma di un centinaio di mocciosi da tenere d’occhio, specialmente mocciosi che andavano dalla prima alla terza media. Una delle età peggiori, almeno secondo Alan.

- Alan, tu com’eri alla loro età? – gli domandò Barney, quando finalmente si furono seduti a tavola. C’era un tavolo riservato apposta per gli educatori, mentre i bambini erano stati distribuiti in altre tavolate, dalle quali proveniva un baccano infernale. Alan era in mezzo a Barney e Winona, mentre davanti a loro c’erano i tre nuovi “acquisti” appena conosciuti. Mera si era seduta lontana dai due ragazzi, e aveva vicino Serena e Shaun. A capotavola c’erano Rob e Dan, che avevano già riempito di vino le proprie brocche e stavano brindando con le gote in fiamme.

- Mm – ci pensò il moro – ero un ragazzino abbastanza impertinente.

A quella confessione, Barney sgranò gli occhi. – Davvero?? Sai, non ti ci vedo proprio.

Alan fece un sorrisetto, prima di tracannare un lungo sorso d’acqua, e poi afferrare un pezzo di pane. – Sì, be’… diciamo che non vado proprio fiero del mio passato.

Winona gli lanciò un’occhiata, ma decise di non fare commenti.

Barney incrociò le braccia. – Mm… be’, io ero un bambino bellissimo – affermò, e a quel punto Gardenia davanti a loro sputò l’acqua che stava bevendo per il ridere.

- Cosa c’è? – domandò il biondo.

- Mi è piaciuto il tono in cui l’hai detto – ammise lei, candidamente. Barney arrossì leggermente: - Oh… grazie.

Alan gli diede un colpo di gomito e gli fece un sorriso furbo. – Potresti evitare di fare il marpione anche a tavola? – gli sussurrò.

Barney si mise un fazzoletto davanti la bocca. – Io non ho fatto niente – si schermì.

Tutti presero a ridere tra loro. Quasi tutti, almeno.

- Che hai, Serena? – domandò Mera, morsicando un pezzo di pane.

- Mm… nulla di che – la liquidò l’altra, anche se guardava il piatto vuoto come se in esso fosse contenuta la verità della vita. La rossa socchiuse i suoi occhi di bronzo: Dev’essere per via di Lance.

E dopo aver fatto quel pensiero, rivolse subito la propria attenzione ad Alan, che stava ridendo con Barney e Gardenia.

Qualunque sia il segreto che Alan si porta dentro… deve riguardare anche Lance, ormai.

L’aveva capito anche lei che c’era qualcosa che non andava, l’avevano capito tutti, a dire la verità. Ormai, il peso del segreto di Alan sembrava aleggiare su tutti loro. E più guardava le piastrine che il ragazzo portava al collo, più Mera non poteva fare a meno di chiedersi cos’avesse a che fare tutto quello con lui.

Poi le porte della cucina, che davano sulla sala da pranzo, si spalancarono, e ne uscì la cuoca Aloé: un’enorme donnone di colore con una fascia per capelli e il sorriso da mamma affettuosa, seguita da uno stormo di cuochi e cuoche. Trasportava un’enorme pentolone fumante pieno di riso, che fu adagiato su un carrello. Il personale passò poi a servirlo in mezzo ai tavoli, causando urli di gioia nei marmocchi.

- Ahhh, il risotto con le erbette! – commentò Barney non appena anche loro furono serviti. – È il mio piatto preferito.

- Ma non è una citazione ad Alex l’Ariete? – domandò Shaun.

- Ohh, andiamo – lo riprese bonario Alan – se spoileri gli rovini la caccia, stasera.

Aveva un sorrisetto furbo sul viso. – Quale caccia?? – si impose Shaun. – Stasera Pokemon Spada Only Croakung, SONO STATO CHIARO?!

- Amo la gioventù – commentò Rob. Dan, vicino a lui, scosse la testa ridacchiando, il bicchiere costantemente pieno di vino.

- Se ci penso che abbiamo avuto anche noi la loro età – fece il vecchio. Poi il suo occhio furbo colse qualcosa, un confabulare in uno dei tavoli vicino al loro.

E non aveva torto, il vecchio Dan, perché ad uno dei tavoli c’era un gruppo di marmocchi che stava pianificando qualcosa.

- Sei veramente sicuro di volerlo fare? – domandò Liam, un ragazzino mingherlino e di media altezza, dai capelli nero chiaro. Vicino a lui, verso dove si era sporto, sedeva un ragazzino suo coetaneo, dagli occhi vispi e i capelli castani con la riga di lato. – Voglio dare una lezione a quello sbruffone – mormorò, ingoiando poi una grossa forchettata di riso, salvo quasi strozzarsi e farsi venire le lacrime agli occhi perché era bollente.

- Ma se non riesci neanche a mangiare senza scottarti – lo riprese Mickey, che sedeva dall’altro lato della tavolata. Andava in prima media, era più basso degli altri due, che erano ragazzini di seconda, e aveva i capelli che sembravano un ciuffolo castano di prezzemolo sulla testa.

Accanto a lui sedeva un ragazzo magrolino, e talmente pallido che sembrava dover svenire da un momento all’altro. Aveva i capelli verdi e gli occhi chiari, e un inalatore poggiato sul tavolo accanto al piatto. – Non devi farlo per me, Nick! – lo stava pregando il ragazzino.

- Stai scherzando vero? – aveva replicato il bambino chiamato Nick, che aveva ancora le lacrime agli occhi e la faccia in fiamme. – Tuo cugino è un grandissimo stro…

- No Nick, ti sentiranno!! – aveva urlato spaventato Mickey.

- Puzzone, allora – aveva replicato stizzito, incrociando le braccia.

Tutti si misero a guardare nella stessa direzione. In fondo al tavolo c’era un ragazzino che se ne stava per i fatti suoi: anche lui aveva i capelli verdi, e sembrava più grande di loro, infatti andava in terza media. Aveva lo sguardo perso fuori dalla finestra, e non sembrava molto interessato al proprio piatto.

- Quel gradasso – fece rabbioso Nick – si dà tante arie, ma io dico che posso batterlo.

- No, Nick! – aveva ripreso allarmato a dirgli il ragazzino dai capelli verdi. – Mio cugino Vito è troppo forte per te. Non voglio che ti umili per causa mia.

Sembrava davvero preoccupato. Nick gli rispose con un risolino sprezzante: - Tranquillo, Lino. Se c’è qualcuno qui che finirà umiliato sarà lui.

E così dicendo guardo di nuovo in direzione del verde, che non si accorse di lui neanche stavolta.

 

La sera si era alzata una brezza leggera, ma anche leggermente fredda.

Serena si strinse nella propria giacca di jeans, mentre si dirigeva verso la terrazza. I bambini erano stati mandati nelle loro camere, in quanto stanchi per il viaggio, e anche lei cominciava a sentire la stanchezza affossarla.

Quasi quasi me ne vado a letto…, le venne da pensare. Sono troppo stanca adesso per poter avere un confronto con…

- Serena?

La voce alle sue spalle la fece sussultare. Si volse e vide Alan che le veniva incontro. Si scurì in volto; qualunque cosa avesse pensato di dirgli, le morì sulle labbra. Il ragazzo l’aveva colta alla sprovvista; pensava che sarebbe toccato a lei braccarlo, che avrebbe provato lui a evitare l’incontro. E invece era lì, e l’aveva addirittura chiamata per nome. Aveva le mani in tasca, e non sembrava patire per nulla il freddo. Il vento creava delle onde sulla maglietta che indossava.

- Non sei scappato – osservò la ragazza, stringendosi nelle spalle, e un po’ pentendosi per quella sua asprezza. Alan fece una smorfia.

- Pare che l’acidità stia diventando una caratteristica di famiglia – le rispose a tono. Lei si indispettì, e tagliò corto: - Che cos’ha Lance? Dimmelo.

Alan distolse lo sguardo. Al di sotto di loro, il boschetto si muoveva a ritmo del vento, e le scure chiome accarezzavano il profilo della terrazza, come sollevandosi a sbirciare ed ascoltare la loro conversazione.

- Se potessi lo farei – le rispose alla fine. – Ma è qualcosa di cui preferisco non parlare.

- Però ha cambiato Lance! – osservò lei. – Se ha avuto questo effetto su di lui, io devo sapere cos’è.

- No – replicò pacatamente il ragazzo. – Lance non…

Abbassò lo sguardo. Lance non sta soffrendo per il mio segreto, in realtà… Lance non riesce ad accettare il fatto che non potrò riscattare la memoria di suo nonno.

Tornò a guardare la ragazza. E se lo sapesse anche lei, come reagirebbe? Non ha la stessa indole di Lance, ma non posso far soffrire così anche lei…

Strinse i pugni, e una fitta di dolore lo attraversò alla punta dello stomaco. Quante diavolo di vite ho rovinato??

Fece per dire qualcos’altro, quando qualcosa catturò la sua attenzione. – Serena, guarda!

- Non cambiare discorso – protestò lei, le braccia incrociate.

- No, no, guarda. Sul serio!

Stava indicando oltre l’inferriata, verso il boschetto. Serena decise di sporsi e guardare in quella direzione, e sussultò. C’erano delle luci nel bosco, che procedevano in fila, quasi trotterellando. Erano luci di cellulare, in mano ad alcuni dei bambini del campo. Erano in sei, e si dirigevano nel folto del bosco.

- Ma dove diavolo vanno? – protestò Serena, e fece per urlare. Alan la bloccò tempestivamente. – Non urlare! Altrimenti ce li perdiamo.

La ragazza lo guardò, scettica. – Che vuoi dire?

Alan sorrise, e l’altra non poté fare a meno di detestare un po’ quel sorriso in quel momento.

- Non sei mai stata bambina? – le domandò. – Se urli a un bambino di fare qualcosa, lui farà esattamente l’opposto. Se adesso fai sapere loro che li abbiamo sgamati, e gli urli di tornare qui, non lo faranno mai. Anzi, scapperanno e dovremo mobilitare tutti.

- Allora cosa proponi? Di urlare loro di non tornare qui e sperare che ci caschino?

- No, chi mai sarebbe così idiota da fare una cosa simile? – protestò Alan, offeso, e Serena arrossì un pochino.

Poi lui la tirò per una manica della giacca. – E ora che vuoi fare?? – protestò lei, mentre il ragazzo la trascinava nella sua direzione.

- Tu che dici? – le chiese, voltandosi e mostrandole uno strano sorriso. – Li seguiamo.

 

ANGOLO DELL’AUTORE

 

Hola, popolo di EFP!

Non mi sono ancora ritirato, eh no! Basta lasciare cose in sospeso, non importa quanto tempo ci vorrà. Se anche dovessi finire con un lettore, questa serie si finisce. Ebbene gente, come state? Io sono qui per voi, e mi siete mancati. Nuovo capitolo, nuovo arco narrativo. E anche ultimo, per questa prima stagione. Ci avviciniamo sempre di più al finale, ma abbiamo messo parecchia carne al fuoco.

Abbiamo il campo estivo, dove i nostri amici vorrebbero rilassarsi e godersi una breve vacanza; ma puoi davvero rilassarti con un esercito di marmocchi al seguito? La risposta l’avete già da voi.

Poi abbiamo la side story di Lance, che sta combinando un bel casino, a quanto pare, mischiandosi con gente non proprio raccomandabile. Zachary Devon è tornato in scena, e ha iniziato a tirare i fili che ci porteranno al finale di stagione e alla prossima. Lance accetterà davvero di cedere il Parco? E come andrà il loro duello?

Ci sono un sacco di domande che devono ancora trovare risposta, e non è detto che non dovremo aspettare. Intanto spero vi siate goduti questo capitolo, visto tutto il tempo che avete atteso. Ho voluto giocare un po’ con lo sketch della “Subaru Baracca” di Aldo, Giovanni e Giacomo, ma immagino che fosse impossibile non notarlo. Non mi resta che parlare un po’ dei personaggi che ho introdotto, e poi lasciarvi – non voglio dilungarmi troppo – in attesa del prossimo capitolo.

Non faccio promesse, ho tesi, esami e roba da gestire, ma ce la metto tutta. Sto cercando di regolarizzarmi con la scrittura.

Perciò via, vediamo un po’ chi abbiamo qui. Le new entry Shun e Marucho sono personaggi di “Bakugan”, anime che io ho amato alla follia, almeno per le prime stagioni.

Gardenia e Aloé vengono direttamente dall’universo Pokemon, dal quale provengono la maggior parte dei personaggi di questa fan fiction. Gardenia è la capopalestra di Evopoli in Diamante, Perla e Platino, mentre Aloé è la capopalestra di Zefiropoli in Bianco e Nero, giochi che sto recuperando solo ora e che sto amando alla follia. Anche Lino e Vito provengono dall’universo Pokemon: Lino è uno dei rivali nei giochi di terza generazione Rubino, Zaffiro e Smeraldo. Vito è un fantallenatore, ed è il quinto membro della famiglia Vinci, dagli stessi giochi. I due non sono realmente imparentati, è un legame che ho creato io appositamente per la fic.

Nick, Mickey e Liam sono invece duellanti che si possono affrontare in Duel Links, esattamente come Zachary.

Mr. Jones, che ha fatto un cameo per la gag, è un personaggio di “Rage of the Dragons”, dall’universo SNK.

Bene, detto questo, ci vediamo al prossimo capitolo!!

 

Nel prossimo capitolo: “Il prodigio”

 

Nick sfida Vito per difendere il suo amico Lino. Ma il ragazzo è un vero e proprio prodigio del Duel Monster; ciò che gli manca è l’umiltà. Alan, rivedendo il sé stesso del passato, decide di farsi avanti.

 

Ciao ciao da UlquiorraSegundaEtapa!!

 

 

 

  
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