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Autore: DrarryStylinson    14/05/2020    1 recensioni
Stiles è frutto di un esperimento genetico mal riuscito: metà uomo e metà lupo. Quando l’animale prende il sopravvento, la rabbia e l’istinto di far del male al prossimo sono impossibili da controllare. Solo un altro come lui potrebbe avere le capacità per fronteggiarlo.
Derek, rimasto solo al mondo e con un conto in sospeso con Stiles, si offre volontario per diventare anch’egli un mezzo lupo per poter così catturarlo.
Quando però la verità viene a galla entrambi dovranno rivalutare le loro posizioni in questa sorta di guerra.
Sterek!AU
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3
 

Mi svegliai al mattino con una fame, be’, da lupi! Uscii dalla stanza infilandomi una canottiera e tenendo la tuta del pigiama. Salii le scale con i piedi scalzi diretto al piano superiore dove c’era la mensa. Il contatto dei piedi nudi con il pavimento fresco era una sensazione galvanizzante. Sospirai superando l’ultimo gradino. Già da diversi metri avevo cominciato a sentire l’odore di cibo.
Arrivai davanti alla porta e spinsi il pulsante per aprirla. La sala da pranzo era gremita di gente. Non sapevo precisamente quante persone lavorassero in quell’edificio. Ero a conoscenza del fatto che fosse un’azienda che guadagnava miliardi di dollari l’anno. Era un palazzo di diciotto piani con alloggi, docce e mensa e solo in quella stanza, alle 7.40 del mattino, potevo contare quasi una trentina di individui. Alcuni di loro mi fissarono quando presi un vassoio e cominciai a riempirlo di cibo: uova, bacon, salsicce, pancake, un paio di sandwich al burro d’arachidi. Tutto condito da una tazza di cappuccino e da un bel bicchiere di succo d’arancia. Mi soffermai a fissare la frutta e decisi di prendere anche una banana. Colsi dalla ciotola una bustina di ketchup e, soddisfatto, mi andai a sedere. Dopotutto, la colazione era il pasto più importante della giornata!
Ora più della metà delle persone mi stava guardando, compresi il cuoco e una signora che spingeva un carrello per le pulizie e sparecchiava i tavoli.
Diedi un’occhiata al mio vassoio strabordante di cibo e iniziai a mangiare con le mani, non curandomi dei loro sguardi insistenti e indiscreti. Sapevo che tanto nessuno mi avrebbe rivolto la parola, avevano troppa paura di me e forse non ne erano neanche autorizzati.
La signora con il carrello si avvicinò e mise sul mio tavolo delle posate pulite. La fissai con un sopracciglio sollevato. “Sarai anche un animale adesso, ma non perdere la tua parte umana” disse per poi allontanarsi. Annusai il suo profumo di prodotti chimici e serenità. Presi forchetta e coltello e mi decisi a mangiare come una persona normale.
Quando ritornai nella stanza percepii l’odore di Scott. Il ragazzo era stato in camera mia e aveva poggiato sul mio letto l’oggetto che avevo richiesto: il pupazzo koala. Senza che neanche me ne accorgessi mi ero avvicinato al letto e lo avevo preso tra le mani. Notai immediatamente le mie unghie trasformarsi in artigli.
Avvicinai il peluche al viso e ci premetti contro il naso sperando di rilevare il vero odore di Stiles, quello che aveva quando era umano. Annusai la polvere e un sentore di naftalina. Forse era stato rinchiuso in un armadio per qualche anno, per quello non percepivo nulla. Inspirai profondamente, affondando il naso nel pelo finto, e riuscii a sentire anche l’odore dei medicinali. Nessun segnale chimico che mi dicesse quale fosse la sua fragranza quando non era scosso da tutta la gamma di emozioni negative che un uomo possa mai provare nel corso della propria vita.
Seccato, ma con ancora un’idea in testa, feci schioccare la lingua contro il palato. Quel peluche era la mia esca per attirare il giovane mannaro: non avrebbe resistito alla tentazione di riavere con sé qualcosa appartenuto alla sua infanzia. Molto presto Stiles si sarebbe rifatto vivo, d’altronde gli avevo impedito di portarsi via gli oggetti che stava tentando di rubare dall’erboristeria.
In più ero sicuro di averlo incuriosito: ero un suo simile; l’unico della sua specie. Avrebbe tentato di rimettersi in contatto con me anche solo per sfogarsi in un combattimento alla pari. Dopotutto, quel sentore di speranza che il suo corpo aveva esalato non l’avevo certo immaginato.


 

 


Roteai gli occhi e guardai, con disappunto, il mio nuovo veicolo: un motorino del 2060 che sembrava aver percorso fin troppi chilometri. Sarei andato più veloce a piedi che con quel catorcio.
“Non posso spendere migliaia di dollari ogni qual volta deciderete di azzuffarvi in città” si giustificò Argent.
Lo fissai di traverso, sollevando il labbro in una smorfia.
“Ho anche dovuto pagare per la vetrina che ha distrutto e per la macchina che ha ammaccato nella fuga” aggiunse lanciandomi le chiavi. Le afferrai al volo e, con il koala sottobraccio, mi misi in sella. Fortunatamente la vettura andava senza difficoltà. Non indossai il casco e, già che ci facevo caso, Chris non me lo aveva neppure dato.
Stetti in giro un paio d’ore. Avevo infilato il peluche tra le gambe e mi guardavo attorno cercando di captare qualche suono o profumo particolare. Il giorno in cui avevo incontrato il primo licantropo avevo fatto caso al battito del suo cuore: era più potente e più veloce di quello di un comune umano. Non avrebbe dovuto essere difficile distinguerlo dagli altri, soprattutto se lo associavo a quel puzzo di cane bagnato che aveva addosso.
Passai per le vie del centro. La vetrina del negozio di erboristeria era stata riparata e c’era una coda di circa dodici persone all’esterno. Dubitavo che fosse sempre così. Quel negozio era la notizia del momento.
Inchiodai con il motorino quando vidi un’ombra sul tetto dell’edificio: era Stiles. Feci diventare i miei occhi azzurri per far scattare alcune abilità, riuscii infatti a vedere il mezzo lupo grazie ai rilevatori termici. Sgasai e accelerai, mentre lo vedevo saltare da un tetto all’altro, facendo anche un paio di capriole. Buffone.
Mi fermai alla fine della via e scesi dalla moto, afferrai il peluche e lo sollevai in aria sopra la mia testa. Guardai Stiles fermarsi sul cornicione di un palazzo e lo vidi fissarmi a sua volta con sorpresa. Il battito del suo cuore si fece più agitato, cominciò a galoppargli nel petto. Mise un piede oltre il bordo del palazzo a tre piani e si lasciò cadere giù. Atterrò con grazia sul marciapiede facendo spaventare le poche persone che aveva attorno e che iniziarono a fuggire strillando.
“Dove l’hai preso?” chiese a bassa voce, sapendo che l’avrei udito comunque.
Sogghignai e feci scattare gli artigli in una mano portandoli alla gola dell’animale di pezza.
Stiles, allarmato, fece un passo avanti e trattenne rumorosamente il respiro.
“Ora tu mi seguirai fino alla Stilinski Corporation ed in cambio il non squarterò il tuo animaletto” dissi minacciosamente.
“Davvero ti fidi di loro?” urlò di rimando.
Sollevai le spalle. “Sto ottenendo esattamente quello che voglio” ribattei afferrando la testa del pupazzo, pronto a staccargliela. Lo vidi asciugarsi rabbiosamente una lacrima solitaria sfuggita ai suoi occhi e provai un po’ di pena per lui: era così disperatamente solo da riuscire a trovare conforto addirittura da un giocattolo?
“Ti hanno creato solo per catturare me. Cosa credi che ti succederà dopo che io sarò morto?” mi chiese.
“Chi dice che saranno così clementi da ucciderti?” replicai malefico. “Ti tortureranno fino a farti sputare le viscere e io sarò in prima linea ad assistere e a ridere” provocai con gusto.
Udii il suo ringhio mal trattenuto. Mi guardai attorno sentendo molte auto avvicinarsi a noi. Da diverse curve vidi svoltare le auto della polizia a sirene spente. Era bastato quel secondo di distrazione e il licantropo mi aveva raggiunto. Teneva le mani sollevate a mezz’aria e non era trasformato.
“Non farlo” supplicò.
“Perché no? Hai già ucciso la mia famiglia, questo è solo un dannato pupazzo” ringhiai affondando gli artigli di pochi millimetri nel collo del koala. Un paio di cuciture saltarono.
Stiles scosse la testa con forza come per scacciare via quell’immagine che gli avevo messo in testa.
“D’accordo” acconsentii lasciando cadere l’animale per terra. “Staccherò la tua di testa”. Mi accorsi a malapena che Stiles non aveva alcuna intenzione di difendersi quando, improvvisamente e contro la mia volontà, mi immobilizzai. Gli artigli vicinissimi alla sua gola e i canini che mi crescevano.
La polizia, attorno a noi, si armò di pistole e fucili e ci intimò di non muoverci. Be’, decisamente io non mi stavo muovendo. Ma che stava succedendo?
“Cosa mi hai fatto?” chiesi a fatica.
“Non sono io. Sono loro” rispose tranquillamente.
“Loro chi?” sbavai senza avere il controllo sul mio corpo.
Stiles si mise davanti a me e i suoi occhi castani fissarono i miei, ritornati di nuovo verdi e naturali, poi fece un accenno di sorriso e io percepii ancora quel vago sentore di speranza.
“Credevi davvero che ti avrebbero fatto scorrazzare libero senza poter controllarti?” domandò toccando i miei artigli con la punta dell’indice. “Sei proprio ingenuo” aggiunse quasi intenerito continuando a studiare il mio viso come se stesse cercando qualcosa.
Gemetti e mi sforzai di muovermi mentre le forze dell’ordine ci intimavano di alzare le mani, altrimenti sarebbero stati costretti ad aprire il fuoco.
“Cos’è? Dimmelo!” ordinai mentre la bava mi bagnava il mento.
“È un dispositivo nel tuo collo. Si chiama AconiRAL” rispose. “Rileva la tua posizione e controlla i tuoi movimenti” spiegò con calma per niente intimorito. Tre poliziotti tentarono di avvicinarsi ma lui fece brillare gli occhi di giallo per solo mezzo secondo che quelli ci rinunciarono.
“Stronzate” rantolai evitando i suoi occhi che continuavano a scrutarmi.
Lo vidi inalare il mio odore pregno di frustrazione. “Non sono io quello paralizzato in mezzo alla strada” replicò con sarcasmo. “Fossi in te mi arrabbierei. Ora sei una preda facile, potrei ucciderti” mi fece notare.
Abbassai gli occhi per guardarlo in faccia, ma non mi sembrava che avesse intenzione di farmi del male. Il battito del cuore era regolare e non emanava nessun tipo di odore particolare che mi facesse pensare che fosse una minaccia. Per dire la verità, aveva l’aria di uno che non sarebbe riuscito a far del male neanche ad una mosca.
“Ce l’avevo anche io, sai?” conversò come se ci trovassimo in una situazione normalissima. “Un amico me l’ha rimosso. Fossi in te non proverei a toglierlo da solo. È un dispositivo molto delicato e, se solo sbagli qualcosa, quello si autodistrugge spargendo aconito nel tuo organismo e causando così la tua morte” disse quasi divertito. “Già, la persona per la quale lavori ha messo un’arma mortale nel tuo corpo. Carino, vero?”. Se stesse tentando di farmi arrabbiare ci stava riuscendo perfettamente.
Respirai affannosamente e ascoltai il battito del suo cuore: era regolare. Stava dicendo la verità o forse era davvero molto bravo a mentire. Ma, d'altronde, quale altro motivo poteva esserci? Io ero paralizzato lì come un idiota.
“Avete ancora cinque secondi, poi apriremo il fuoco” disse il capo della polizia.
Stiles si abbassò per prendere il suo peluche poi corse via. Degli spari mi trapanarono l’udito e un proiettile si conficcò nella mia coscia. Alcuni agenti risalirono in macchina e partirono all’inseguimento di Stiles.
Inaspettatamente, crollai in ginocchio. Mi fissai le mani e mossi le dita. La paralisi era scomparsa. Faticosamente mi rimisi in piedi mentre sentivo il mio corpo sforzarsi per rigettare il proiettile e cominciare così la guarigione.
“LUPO-02, ritorna immediatamente dal tuo padrone” mi ordinò lo stesso di prima. Diedi un’occhiata alla sua stella puntata sul petto.
“Io non ho nessun padrone” risposi zoppicando verso il motorino. Chris Argent me l’avrebbe pagata cara. Per quale diavolo di motivo aveva messo un dispositivo del genere nel mio corpo? E perché ero dovuto venirlo a sapere da Stiles anziché da lui?
Il proiettile venne espulso dalla mia gamba e la ferita, con lentezza, cominciò a guarire.


 

 


Entrai alla Stilinski Corporation e tirai un ruggito per far capire che ero arrivato. Ma se veramente quell’aggeggio serviva da localizzatore di certo Argent lo sapeva benissimo che ero lì.
“Derek, vuoi rompere tutti i vetri?” domandò il dottor Boyd tappandosi le orecchie. Era vestito normalmente. Non aveva nessun camice, segno che se ne stava andando a casa.
“Dov’è Argent?” domandai avvicinandomi. In quel momento le porte dell’ascensore si aprirono e vidi Chris. Lo raggiunsi e lui sollevò la mano per impedirmi di parlare.
“Indicare nome e numero del piano”.
“Christopher Argent. Sette” disse il dottore.
“Christopher Argent. Settimo piano. Laboratori. Accesso consentito”.
Mi guardò apertamente, come per sfidarmi a chiedergli qualcosa. Ansimavo e ogni volta che buttavo fuori l’aria udivo un rantolo scaturire dalla mia gola. Le porte si riaprirono e Chris si incamminò. Lo seguii fino ai laboratori. Entrammo in una stanza dov’erano già presenti Lydia e Scott, entrambi senza camice. Smisero di parlare appena ci videro.
Ascoltai i loro cuori spaventati e Scott cominciò ad emanare preoccupazione. Mi scrutava come se avessi origliato la loro conversazione, ma ero talmente preso dalla rabbia verso Chris che non avevo nemmeno percepito la loro presenza fino a quando eravamo entrati nella stanza.
Il dottor Argent si piazzò davanti ad un computer e girò il monitor per farmi vedere. Schiacciò qualche pulsante sulla tastiera e sullo schermo comparve un oggetto a me sconosciuto.
“AconiRAL” disse semplicemente. “Sta per Aconito Rilevatore Automatico Licantropi” spiegò il significato dell’acronimo come se fosse sufficiente, come se credesse veramente che mi sarebbe bastato quel chiarimento per farmi sbollire l’incazzatura. “Il governo ha preteso che sia tu che Stiles ne aveste uno”.
“Questo non giustifica il motivo per il quale tu non me l’abbia detto. E nemmeno il fatto che mi sia ritrovato paralizzato davanti a lui” sbottai stringendo lo schienale di una sedia con le mani e modificandolo con la forza.
“Lo stavi per uccidere” si alterò e, per la prima volta, lo vidi arrabbiarsi.
“Toglimelo immediatamente!” ordinai avvicinandomi con la super velocità e prendendolo per la gola, lo sollevai da terra con una mano sola.
“Tu portamelo qui e io te lo rimuovo” negoziò parlando a fatica. “Ora mettimi giù” sibilò autoritario.
Obbedii e lo guardai massaggiarsi la gola e sistemarsi la camicia prima di uscire dalla stanza lasciandosi dietro la puzza di panico e preoccupazione. Mi voltai verso le altre due persone presenti, le quali abbassarono lo sguardo.
“Scott” chiamai. Il giovane tirocinante riprese a guardarmi con timore. “Ho bisogno che tu mi faccia avere una lavagna in camera mia”.
Lui annuì forsennatamente. “Subito” mormorò andando via.
Fissai ancora il monitor del computer che mi restituiva l’immagine dell’AconiRAL: un cilindro lungo quasi sei centimetri e con una circonferenza di otto millimetri. Stiles mi aveva detto di non provare ad estrarlo da solo, altrimenti sarebbe scattato il meccanismo che avrebbe attivato lo spargimento del veleno nel mio corpo. Mi sedetti sulla sedia rovinata dalle impronte delle mie dita, digitai la parola “Aconito” su internet cercando di informarmi sulla pericolosità di quella pianta.
“Bastano sei milligrammi per uccidere un uomo” venne in aiuto Lydia.
Guardai la dottoressa Martin con sospetto.
“È conosciuta anche come Strozzalupo ed una delle vostre poche debolezze” spiegò.
“Ce l’aveva anche Stiles, vero?” le chiesi sfiorandomi il collo con la punta delle dita e percependo il dispositivo sotto di esse.
“Non sappiamo come abbia fatto a toglierselo. Bisogna incidere la pelle in un determinato modo e rimuoverlo con precisione chirurgica. Un solo movimento errato e sei morto, in più la vostra pelle guarisce in fretta e l’incisione si chiude in pochi secondi” mormorò torturandosi una ciocca di capelli rossi. Il suo odore di shampoo all’aloe era svanito del tutto lasciando spazio all’agitazione.
Non le dissi che Stiles mi aveva rivelato che era stato aiutato da un amico per rimuovere l’AconiRAL. In testa mi frullavano migliaia di pensieri. Ringraziai la dottoressa Martin e tornai in ascensore. Quando arrivò sei persone uscirono e mi ritrovai solo al suo interno.
“Derek Hale. Quattordici” dissi prima che la voce cominciasse a rompere.
“Derek Hale. Quattordicesimo piano. Alloggi. Accesso consentito”
Misi la mano in tasca e tirai fuori dalla giacca di pelle bucata sulle spalle la foto di Stiles. Lo osservai, stretto nella sua felpa rossa. La nascosi appena arrivai al piano. Entrai in camera e la lavagna che avevo appena chiesto a Scott era già lì: era trasparente e appoggiata ad un cavalletto con le ruote. La spinsi di fianco alla scrivania dove trovai tre pennarelli cancellabili: uno bianco, uno nero e uno rosso. Presi quello nero e, in alto a sinistra, scrissi un’unica data: 3 agosto 2091.
Raccolsi un fascicolo dalla scrivania e lo rilessi da capo. Ricominciai a studiare tutto quello che Stiles aveva fatto dal giorno della fuga. Scrissi le date degli incidenti che aveva causato, delle persone che aveva ferito. Aveva fatto deragliare un treno; seguito uno scuolabus squarciandogli le ruote e causando un tamponamento a catena; era andato in un McDonald’s e aveva fatto razzia di panini spaventando a morte i dipendenti e i clienti. Quest’ultima non era proprio una cosa da lupo cattivo…
Una volta che finii di scrivere mi ritrovai a contemplare la lavagna. Avevo segnato tutte le apparizioni che Stiles aveva fatto a Beacon Hills in ordine cronologico a partire da quel famoso 3 agosto 2091 in cui uccise quattro persone. Da allora non c’erano stati più morti ma molti feriti (alcuni anche gravi). Notai che nell’ultimo anno, oltre a farsi vedere meno in giro, le sue vittime presentavano solo qualche graffio, come se fosse diventato più docile. L’unica persona che aveva ferito gravemente era il proprietario di un minimarket che lo aveva attaccato mentre cercava di derubarlo. Era stato dieci giorni in prognosi riservata.
Morsicai il tappo del pennarello nel tentativo di concentrarmi, di trovare uno schema logico in quegli attacchi.
3 agosto 2091: uccide quattro persone, tra cui suo padre, per quasi un anno terrorizza la città, poi dal 2092 fino ad adesso commette solo furti e rapina i negozi ferendo qualcuno di tanto in tanto come fosse un gioco. Un anno è un assassino e l’anno dopo un semplice criminale da due soldi.
Il tappo si spezzò tra i miei denti. Sputai i resti della plastica per terra e mi sedetti davanti al computer cercando le fasi lunari dell’anno 2091. Argent aveva detto che durante la notte della sua fuga la luna era piena. La notte in cui causò l’incidente io ero sdraiato sull’asfalto e fissavo la luna tonda e luminosa mentre la mia famiglia, dentro la macchina, bruciava.
Digitai le altre date e scoprii che tutte le sue aggressioni, dal 2091 al 2092 avvennero con la luna piena o uno o due giorni prima. Poi, da maggio 2092 fino ad oggi ogni sua apparizione avveniva sempre due settimane prima del plenilunio.
Appoggiai i gomiti alla scrivania e presi la testa tra le mani. Soffocai un ringhio e osservai il fascicolo aperto sotto i miei occhi. Lo sfogliai con calma con una mano mentre tenevo la testa appoggiata sull’altra.
7 aprile 2090, il giorno in cui Stiles era diventato il primo umano geneticamente modificato della storia. Aveva neanche 15 anni e si era ritrovato a fronteggiare un potere molto più grande di lui. Per più di due anni lo avevano bombardato e drogato con ogni tipo di medicina, per poi chiuderlo in un’incubatrice per tre anni. Da bambino, con una sentenza di morte già dichiarata a causa del morbo di Batten, era diventato un essere sovrannaturale quasi invincibile.
Continuavo a non capire, però. Del 7 aprile 2090 aveva passato più di un anno qui dentro e poi, improvvisamente, il 3 agosto 2091 aveva dato di matto e ammazzato suo padre a sangue freddo e, non contento, si era diretto su una tangenziale qualunque e fatto cappottare l’auto di mia madre, uccidendo lei, le mie due sorelle e per poco anche me.
Dovevo avere accesso agli archivi. Era successo qualcosa, quella notte. Una persona normale non perde la testa da un giorno all’altro. Qualcosa lo aveva turbato. Non solo turbato, lo aveva sconvolto talmente tanto da perdere il controllo sul lupo. Poi, la luna piena aveva contribuito a farlo diventare più aggressivo e assetato di sangue. Sete che aveva placato diventando un assassino.
Dovevo sapere cos’era accaduto e l’unica persona che mi sembrava degna di fiducia era Scott. Certo, fiutavo la sua paura ma aveva qualcosa di rassicurante.
Infilai le mani nelle tasche della giacca di pelle, che non avevo ancora tolto, e aggrottai le sopracciglia. Da una parte c’era la fotografia di Stiles ma l’altra era vuota. Avevo perso il cellulare.
“Impossibile” sussurrai tra me e me. Non lo avevo perso: Stiles me lo aveva rubato.


 

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