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Autore: Isabelle_Mavis    19/05/2020    1 recensioni
-Significa che sono tuo, per sempre- disse Embry, guardandomi dritto negli occhi.
Fu come se una mano invisibile stesse grattando contro il fondo della mia anima.
-Mio, per sempre- ripetei, come in trance.
Embry annuì, distogliendo lo sguardo e indirizzandolo verso il cielo. Si ritrovò a dover stringere un po' gli occhi, a causa del sole.
-Potrei essere qualsiasi cosa per te. Qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno-
La stessa mano invisibile di prima ora si era spostata verso lo stomaco, afferrandolo e attorcigliandolo.
Embry tornò a guardarmi, questa volta con le sopracciglia aggrottate, come se dovesse faticare per trovare le parole giuste per esprimersi.
-Un fratello, un protettore, un amico...-
La mano viaggiò verso il cuore, stritolandolo.
Embry si chinò verso di me, il suo viso a un soffio dal mio.
-... Un'amante- mi sussurrò.
La mano salì ancora e si fermò una volta arrivata alle corde vocali, che strappò senza esitazione.
Aprii leggermente la bocca per parlare, ma non avevo niente da dire. Gli occhi di Embry si erano mangiati tutte le mie parole. Due pozzi scuri che ardevano di quella stessa fiamma che animava tutti i lupi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Embry Call, Jacob Black, Nuovo personaggio, Quileute | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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Il giorno dopo lo passai a crogiolarmi tra il desiderio di chiamare Embry e il timore delle conseguenze che avrebbe significato farlo sul serio. Ci eravamo lasciati in un modo troppo brusco perché potessi pensare che le cose tra noi andassero bene. Sentivo che non era così.
Così, quando arrivò sera e mio padre ci avvisò che avremmo cenato dai Black, mi sentii sollevata. Sicuramente Jacob avrebbe potuto aiutarmi a capire quale fosse la cosa giusta da fare.

Quando arrivammo dai Black scoprimmo che c'era anche Charlie. Ci disse che Bella era già lì dal pomeriggio, e infatti comparve poco dopo. Mano nella mano con Jacob. Quando si resero conto del mio sguardo allucinato si separarono, in imbarazzo. Billy ci invitò ad accomodarci, vantandosi della sua ricetta segreta. Finimmo per mangiare in giardino, dal momento che sarebbe stato impossibile farci entrare tutti nel piccolo tavolo della cucina di casa Black.
Io, Jake, Bella e Seth c'eravamo appostati vicini, per parlare lontani dai discorsi sul baseball dei nostri genitori. Avevamo cercato di coinvolgere anche Leah, ma non voleva saperne. Era già un miracolo che avesse accettato di venire. Passò tutta la serata al cellulare. Seth, invece, era una Pasqua, come ogni volta che aveva l'occasione di stare con Jake, il suo idolo. Per quanto mi riguarda, cercai di godermi la serata, per quanto possibile. C'era un pensiero che continuava a tormentarmi.
Approfittai del momento in cui Seth prese a fare domande a raffica a Bella, per poter parlare con Jake. 
-Eravate carini, prima, mano nella mano- gli dissi, ammiccando, -non perdi tempo, eh?-
-Oh, piantala- si lamentò, per poi guardarmi male, -tu, piuttosto. Che diavolo combini con Embry?-
Abbassai la forchetta con gli spaghetti, improvvisamente avevo perso l'appetito. 
-Hai parlato con lui?- 
Jacob sbuffò -certo che abbiamo parlato, è il mio migliore amico- 
Misi il broncio -e io e Quil cosa siamo? Fate madrine?- 
Jake alzò gli occhi al cielo -hai capito cosa intendo- 
Mio malgrado, annuì. Era logico che avessero parlato, mi sarei sorpresa del contrario semmai. 
-Spara- gli feci, posando definitivamente il piatto sulle gambe. Non avrei più mangiato. 
Jake sospirò, gettando un'occhiata a Bella prima di parlare, come se volesse accertarsi che lei non sparisse mentre lui era impegnato. 
-Senti, parlartene sarebbe vietato, in teoria- 
Credevo di sapere di cosa stesse parlando. Tra noi c'era un patto implicito che ci imponeva di non parlare di certe cose. Ne valeva della nostra amicizia. Era stato deciso di tacito accordo all'età di dodici anni, quando ci affacciammo alla pubertà. Fino a quel momento tra noi non c'erano mai state troppe differenze. I ragazzi non c'erano mai andati piano con me durante le zuffe solo perché ero una femmina, e io avevo imparato presto ad adattarmi. Al contrario, io mi divertivo a batterli nella corsa, essendo più alta di loro e avendo, di conseguenza, le gambe più lunghe. Bei tempi. Le cose erano cambiate nel giro di qualche anno. I nostri corpi erano cambiati. Erano diventati tutti più alti di me, facendomi sembrare uno strano folletto in confronto a loro. La voce di Quil era diventata sempre più bassa e profonda, le guance rotonde di Jacob erano state sostituite da tratti più marcati, e le ginocchia di Embry non erano più tanto nodose. Io, invece, che avevo sempre avuto un fisico minuto, ero diventata più morbida. Era cambiato, con il tempo, anche il modo di vedere il sesso opposto. Per questo motivo avevamo deciso che era meglio evitare di parlare tutti insieme di alcune cose. Loro avrebbero parlato delle loro questioni maschili senza di me, così come io non avrei mai aperto bocca sulle mie, di questioni. Non credo ci sia il bisogno di scendere troppo nei dettagli. 
Quello che non mi tornava, però, era perché Jacob avesse tirato in ballo quel patto proprio in quel momento. Non comprendeva certo le cotte, di quello si poteva parlare. 
-Jake, non capisco- iniziai, -perché non puoi parlarne?- 
Jacob si grattò un sopracciglio, sembrava combattuto. Alla fine mi guardò. 
-Embry ci ha chiesto di non dirtelo. Sì, insomma, a me e a Quil. Ma sai com'è Quil, qualche battuta fuori luogo ogni tanto gli scappava- 
In effetti, Quil era solito fare allusioni di ogni tipo, alle quali non avevo mai dato troppo peso però.
Abbassai lo sguardo.
-Quindi è vero- affermai. Jacob non rispose, perché non era una domanda. 
-Senti, perché non parli direttamente con lui?- propose dopo un po', -sono sicuro che chiarirete, come sempre-
Mi chiesi se ci fosse davvero qualcosa da chiarire, ma tutto sommato la sua idea non mi sembrava malvagia.
-Hai ragione. Grazie, Jake- gli sorrisi.
Jacob ricambiò, alzando le spalle.
-Sono qui per questo- si vantò.
Gli diedi un pizzicotto.

***

La mattina dopo mi svegliai presto, perciò mi preparai con calma. Per tutto il tempo mi ripetei mentalmente il piano che avevo ideato per parlare con Embry. Avevamo storia insieme alla prima ora, perciò avrei approfittato del fatto che fossimo seduti vicini per chiedergli di saltare la seconda ora, di solito occupata da matematica per me e biologia per lui. Non una grande perdita per entrambi, insomma. Se si fosse mostrato reticente, lo avrei costretto. Poi, saremmo andati sulle scale anti incendio, quelle sud perché erano meno frequentante, e, finalmente, avremmo parlato. Quella era la parte più difficile. Sapevo quanto fosse riservato e timido Embry, perciò avrei dovuto usare le parole giuste per dirgli che... per dirgli che la nostra amicizia, per me, veniva prima di tutto il resto. Anche prima dei nostri stessi sentimenti. Perché, anche se non l'avrei mai ammesso, mi ero ritrovata a pensare spesso, in quei due giorni, a come sarebbe stato se... se...
-Will, sei pronta?- sentii la voce di Seth chiamarmi, fuori dalla porta del bagno.
Mi riscossi, finendo di sistemarmi i capelli nella solita treccia. Quel giorno avevo più ciuffi ribelli del solito, che mi incorniciavano il viso in modo sbarazzino. Il problema di avere un taglio scalato. Mi guardai allo specchio, decidendo che quello era il meglio che potessi fare. Non mi ero truccata, come sempre. Arrossii al pensiero di dovermi fare più carina per... No, fuori discussione. Prima che potessi avere strane idee, uscii dal bagno.
Trovai mio fratello già pronto, che mi aspettava per andare a scuola.
-Finalmente, lumaca- commentò, entrando nel bagno per lavarsi i denti. Doveva aver già fatto colazione. Gli dedicai un'occhiata di fuoco, prima di andare in camera a recuperare la zaino.
Una volta scesa al piano di sotto, trovai mio padre e Leah intenti a fare colazione. Mia madre, invece, era già uscita.
-'Giorno-
-Buongiorno, Willy. Vuoi del caffè?- mi chiese mio padre.
Feci una smorfia per il modo in cui mi aveva chiamata: nessuno, tranne lui, usava più quel nomignolo da quando aveva 10 anni.
-No, grazie- risposi. Ero già abbastanza agitata.
-Possiamo andare?- domandò Leah, alzandosi e sistemando le stoviglie sporche nel lavabo della cucina.
-Sì!- rispose mio fratello, saltando gli ultimi due gradini della scala.
-Ma sei sempre così euforico, tu?- chiesi all'indirizzo di Seth. 
Lui quasi mi accecò con il suo sorriso.
-Sento che oggi sarà una bella giornata!-
Sperai che avesse ragione.

***

Embry quel giorno non venne a scuola, e tanti saluti al mio piano studiato nei minimi dettagli.
All'inizio avevo pensato che avesse saltato la prima ora, per evitarmi, così l'avevo aspettato fuori dall'aula di letteratura, dove sapevo che sarebbe stato. E invece non si presentò. Fu allora che mi venne il dubbio che potesse non essere presente a scuola. Ebbi la conferma durante la pausa pranzo, dal momento che il posto da lui solitamente occupato era vuoto. Chiesi a Quil e Jacob se sapessero qualcosa, ma anche loro erano sorpresi. Ciononostante, non toccammo più l'argomento: non era poi così strano che qualcuno di noi mancasse a scuola, ogni tanto. Quando arrivò il momento di tornare in classe, Quil ci chiese se ci saremmo visti quel pomeriggio. Jacob, arrossendo, rispose che doveva lavorare alle moto con Bella. Io, invece, dissi di dover studiare. Quil sbuffò, ma non si lamentò. Non era vero che dovevo studiare, avevo già fatto in anticipo tutti i compiti, portandomi avanti. Tuttavia, avevo altri progetti per quel pomeriggio.

***

Stavo facendo avanti e indietro nella mia stanza da quella che mi sembrava un'eternità, con il telefono di casa in mano. Come al solito, ero combattuta. Alla fine, però, mi decisi a fare quel maledetto numero, accostando il telefono all'orecchio.
Primo squillo. 
Continuai a camminare, era un ottimo modo per far andare via un po' di tensione. 
Secondo squillo. 
Se ricordavo bene, a quell'ora sua madre avrebbe dovuto essere a lavoro. 
Terzo squillo. 
Mi torturai una pellicina del pollice.
Quarto squillo.
Probabilmente non avrebbe risposto. Mi sedetti sul bordo del letto con un sospiro.
Quinto squillo. 
Silenzio. 
-Pronto?- 
Saltai in piedi di colpo, come se avessi avuto una molla sulle gambe. 
-Embry!- 
Presi una boccata d'aria, sollevata. Non mi ero neanche resa conto di star trattenendo il fiato. Il cuore mi batteva così forte che sentivo il sangue pulsare sulle tempie. 
-Oh, Will, sei tu- disse lui, con un tono strano, confuso. 
Mi sentii un po' delusa. Aspettava la telefonata di  qualcun altro? Strinsi la mano libera a pugno. 
-Sì. Oggi non c'eri a scuola, perciò ti ho chiamato per...-
-Lo so perché mi hai chiamato- mi interruppe, con un sospiro.
Sembrava respirare a fatica. 
-Ah, sì?- chiesi, insicura. C'era qualcosa che non andava. 
-Non ti devo preoccupare per l'altro giorno, intesi? Dimentica quello che ci siamo detti, è acqua passata ormai- rantolò. Sentii il rumore di qualcosa che cadeva, rompendosi. 
-Embry, cos'è stato?- 
Embry, dall'altro capo del telefono, si lasciò scappare un gemito. 
-Niente, ho rotto per sbaglio uno dei vasi di mia madre- borbottò. 
Fermai la corsa nella mia stanza, aggrottando le sopracciglia. 
-Per sbaglio... Embry, stai bene?- 
-Certo, ho solo un po' di febbre- rispose in fretta, con il respiro affannoso. 
-Allora è per questo che non sei venuto a scuola- dedussi, sentendomi in pace con me stessa perché non mi stava evitando, ma anche tremendamente in colpa per non aver pensato di più a lui. 
Embry non rispose, non c'era bisogno. Sentii qualcosa cigolare e poi il fruscio delle coperte. Doveva essersi messo a letto. 
-Vuoi che venga da te? Finché non ritorna tua madre da lavoro- proposi, arrossendo.
Ringrazia il cielo che non potesse vedermi. Mi sentii ridicola. Ero già stata molte altre volte a casa di Embry, ovviamente. Quando eravamo piccoli gli facevo compagnia mentre sua madre non c'era. Lo chiedeva sempre a me, forse perché si vergognava a farlo con Quil e Jacob. Ricordai con una stretta al cuore di tutte le volte in cui avevamo giocato agli indiani, costruendoci una tenda con le lenzuola, nella sua stanza. Ce ne stavamo lì, a raccontarci vecchie leggende. A Embry piacevano i miti dei Quileute, mi ascoltava  per ore con gli occhi sgranati dallo stupore. Mi ero sempre chiesta se fosse perché si sentiva un po' escluso, essendo l'unico del gruppo a provenire da un'altra tribù. Sua madre, infatti, era originaria dei Makah, come mia cugina Emily. Si era trasferita a La Push quando era incinta di Embry, non specificando nulla sul perché o su chi fosse il padre del bambino. Questo aveva causato un po' di scompiglio tra i membri della tribù, che passavo il tempo a fare ipotesi. C'era chi sosteneva che fosse scappata di casa, chi invece pensava che si fosse trasferita perché il padre del bambino era uno del posto. Queste cose io le scoprii molto tempo dopo, quando ormai Tiffany Call si era già ambientata nella tribù, trovando lavoro al negozio di souvenir sulla spiaggia. Ero troppo piccola per capire certe cose, per me Embry era un bambino come tutti gli altri. Simpatico, un po' timido forse. Fare amicizia con lui era stato naturale come respirare, e valeva lo stesso anche per Quil e Jacob. Il nostro era un legame che andava oltre certe convenzioni. Per questo motivo ero sicura che avremmo superato anche quel piccolo "inconveniente". 
-No, Will, è meglio se non vieni, potrei mischiarti  qualcosa- 
-Sicuro? Guarda che ho gli anticorpi, io. Sono fatta praticamente di ferro- cercai di ironizzare. 
-Sì, sono sicuro. In ogni caso, mia madre dovrebbe tornare a momenti- 
Sospirai, delusa. Nonostante l'imbarazzo, mi sarebbe piaciuto vedere Embry. Lui dovette capirlo, perché cercò di risollevarmi.
-Vedrai che domani tornerò di nuovo a scuola, e poi sì che sarà difficile liberarti di me- 
Mi ritrovai a sorridere, ma era un sorriso incerto. Sentivo di nuovo quella sensazione di smarrimento. Restammo in silenzio per un po', ognuno ascoltando il respiro dell'altro. Quello di Embry era più veloce del mio. 
-Grazie per aver telefonato- disse lui alla fine, la voce ridotta a un sussurro. 
-Era il minimo- feci notare io.
Sentivo lo stomaco sotto sopra, un brutto presentimento che gravava su di noi. 
-Allora ci vediamo domani- 
La testa aveva iniziato a girarmi, fui costretta a sedermi all'angolo del letto. 
-Sì, a domani- mormorai, poco convinta. 
Restammo ancora un po' in silenzio, e quasi temetti che Embry si fosse addormentato, esausto a causa della febbre.
Poi invece lo sentii sospirare. 
-Ciao, Will- 
-Ciao, Embry-  
Ma lui aveva già attaccato. 

***

Il giorno dopo Embry non si presentò a scuola, e neanche quello dopo ancora. Così per tutta la settimana.
Ogni volta che chiamavo mi rispondeva la madre di Embry, che mi ripeteva sempre la solita cosa: la febbre è ancora alta, ma con le medicine si abbasserà presto, non preoccuparti. Avevo anche proposto agli altri di andare a trovarlo, ma avevano bocciato la mia idea. Secondo loro era solo la solita influenza che girava in quel periodo ogni anno; il mio brutto presentimento, invece, non aveva smesso di farsi sentire. Forse però avevano ragione loro e io ero solo un po' paranoica. 
Tuttavia, non mi arresi, decidendo di giocare un'altra carta, l'ultima che mi era rimasta: mia madre. 

Era venerdì, e stavo cenando con la mia famiglia.
Mio padre e Seth stavano parlando di baseball, mia madre cercava di coinvolgere anche me e Leah, ma mia sorella era taciturna come al solito. 
Stavo rigirando i fagiolini nel mio piatto da un po', quando decisi di parlare.
-Mamma, sei libera domani?- chiesi, sperando che il mio tono fosse sembrato tranquillo e non agitato.
Mia madre mi guardò, evidentemente sollevata del fatto che almeno una delle sue due figlie avesse deciso di aprire bocca.
-Domani mattina io e tuo padre andiamo dai Fuller, ma poi sono libera, perché?-
Continuai a torturare i miei fagiolini, facendo spallucce.
-Mi chiedevo se potessi andare dai Call. È passata una settimana ed Embry ancora non migliora-
Mia madre masticò lentamente, la ruga tra le sopracciglia che si accentuava sempre di più.
-Una settimana, dici? Ma non era solo un'influenza?- mi chiese, dopo aver bevuto un sorso d'acqua.
Io annuì con convinzione, felice che finalmente qualcuno desse retta ai miei dubbi.
-Era quello che sembrava, ma ogni volta che chiamo Tiffany mi dice che la febbre continua a salire. Ormai ha superato i 40 gradi-
Fu come se avessi detto una parolina magica. Mio padre si fermò a metà frase, improvvisamente concentrato più sulla nostra conversazione che su quella con Seth. Anche mio fratello ci guardò, curioso. Probabilmente stava cercando di capire cosa potessi aver detto di così strano da attirare l'attenzione di papà.
Cercavo di capirlo anche io. 
-Ho detto a Tiffany di portare Embry in ospedale per una visita più accurata, ma ha detto che non le sembrava il caso- continuai, scrutando le espressioni imperscrutabili dei miei genitori.
Mia madre si pulì gli angoli della bocca con il tovagliolo, incrociando per un secondo lo sguardo di mio padre. 
-Hai fatto bene a dirglielo, ma non c'è bisogno di preoccuparsi tanto. Se può farti stare meglio, però, domani andrò a controllare, va bene?- mi disse, sorridendomi.
Annuii, ricambiando il sorriso.
Mi sentivo sollevata, tuttavia quello sgradevole nodo allo stomaco non si decideva ad andare via.
La cena proseguì tranquilla, senza toccare più l'argomento. Una volta finito, aiutai mia madre a lavare i piatti, dal momento che era il mio turno, poi salii in camera mia.
Non sapendo cosa fare, decisi di continuare la lettura dei libri assegnati dal mio professore di letteratura, che aveva deciso di farci fare un test a tema Shakespeare. Giusto qualche giorno prima avevo finito Il mercante di Venezia, il prossimo da leggere sarebbe stato Sogno di una notte di mezza estate. Non ero mai stata una grande lettrice, non ne avevo la pazienza, tuttavia cercavo sempre di impegnarmi. Perciò, mi sedetti sul letto, con la schiena appoggiata al muro e le gambe incrociate. Provai a concentrarmi e non pensare a niente che non fosse Sogno di una notte di mezza estate, per non essere costretta a leggere più volte la stessa riga.
La storia mi piaceva molto, sebbene fosse surreale. Innamorarsi di colpo non lo consideravo possibile. Certo, in quel caso si trattava di magia, ma molte persone nella vita vera credevano al famoso colpo di fulmine. L'amore vero non si presentava di colpo, secondo me, ma era il frutto del tempo. Probabilmente, però, le mie erano solo congetture. Avrei capito tutto al momento giusto, quando mi fossi innamorata sul serio di qualcuno. Con un sospiro, continuai la lettura, curiosa di scoprire come continuava l'avventura di quei quattro amanti sfortunati. 
Quando risollevai lo sguardo dal libro, notai con stupore che erano già passate un paio di ore. Tuttavia, non ero ancora neanche a metà e il test sarebbe stato la prossima settimana. Avrei dovuto mettere il turbo, per leggere anche Romeo e Giulietta e Amleto, ma decisi di farlo in altro momento. Gli occhi mi bruciavano leggermente e avevo la gola secca.
Decisi di scendere al piano di sotto per bere un bicchiere d'acqua e sgranchirmi un po' le gambe prima di andare a dormire. Ero sugli ultimi scalini, quando sentii le voci dei miei genitori.
Avevano fatto il nome di Embry.
Mi fermai di colpo, cercando subito dopo di farmi piccola contro il muro. Non sembravano essersi resi conto di me, perciò mi lasciai scappare un sospirò di sollievo prima di affilare l'udito. 
-...è impossibile- stava dicendo mio padre, in un tono che mi sorprese.
Sembrava serio e allarmato allo stesso tempo. Non lo avevo mai sentito così. 
-È improbabile, non impossibile. Inoltre, questo spiegherebbe il motivo per il quale Tiffany si sia trasferita qui sedici anni fa, abbandonando la sua tribù- rispose mia madre, più tranquilla. 
Ma di che diavolo stavano parlando? 
-Sue, se fosse vero... insomma, immagina lo scandalo se si scoprisse che...- 
-Harry, non possiamo rischiare. Devi avvisare Sam- 
Ci fu un attimo di silenzio, poi un sospiro. 
-Sì, hai ragione. Lo chiamo subito- 
Mio padre si diresse verso l'ingresso, probabilmente per recuperare il cellulare dalla tasca della sua giacca, appesa all'appendiabiti. 
Cercai di fare marcia indietro velocemente e senza fare rumore. Origliare la chiamata con Sam, per quanto mi sembrasse allettante, era troppo rischioso. Se i miei genitori avessero scoperto che stavo ascoltando la loro conversazione, sarebbero di certo stati più guardinghi in futuro. E io, invece, mi ero ormai promossa a nuova Sherlock Holmes. Così, ritornai in camera mia, a rimuginare su quanto avevo ascoltato. Ogni cosa mi puzzava terribilmente: le loro espressioni durante la cena, il fatto che avessero tirato in ballo Sam e la questione sul trasferimento di Tiffany, lo scandalo di cui parlavano. Non trovavo un minimo collegamento, o almeno non uno con una briciola di senso. 
Per un momento pensai di essere diventata paranoica. Magari stavo cercando di proiettare la mia tensione su questa faccenda per sentirmi meglio. Eppure... 
Con un sospiro, decisi di andare a dormire, credendo che fosse la cosa migliore. Avevo dimenticato di non avere tregua neanche nella mia testa. 

Quella notte sognai un nuovo lupo. 
Lo avevo trovato seguendo i suoi lamenti, che erano come un richiamo per me nel silenzio del bosco. Sentivo di dover aiutarlo.
Era grande quanto gli altri, forse un po' più magro e con il pelo più lungo, di un grigio scuro macchiato di nero qua e là. Non si era minimamente reso conto di me, impegnato com'era a dimenarsi. Sembrava che stesse lottando contro se stesso. Non riusciva a stare fermo, finendo per cadere ogni volta che cercava di rialzarsi barcollante.
I latrati continuavano e io sentivo il bisogno di avvicinarmi per aiutarlo. Era un bisogno fisico ed emotivo, che mi fece piegare su me stessa, impotente. Mi accovacciai contro un albero, stringendo le ginocchia tra le braccia. Cosa avrei mai potuto fare per farlo stare meglio? Non sapevo neanche quale fosse il problema. Non era mai capitato prima che uno dei lupi stesse male. Sembravano sempre perfettamente a loro agio tra di loro e con se stessi. Anche quelli nuovi, man mano che si univano al lupo nero. Era giusto così, essendo animali. Quel lupo, invece, sembrava avere movenze... umane.
Mi chiesi cosa gli fosse successo. Per un momento pensai di chiamare aiuto, poi mi ricordai che era solo un sogno, non avrebbe avuto senso. 
Un sogno... 
Mi si bloccò il respiro. 
Ricordavo sempre i miei sogni una volta sveglia, ma non mi era mai capitato di essere consapevole di star sognando. Poteva essere in qualche modo collegato all'arrivo del nuovo lupo e al suo comportamento fuori dal normale? 
Improvvisamente, sentii un ululato levarsi nel bosco, non molto lontano. Mentre io riuscii addirittura a riconoscerlo, il lupo grigio non diede alcun segno di aver sentito qualcosa. 
Vedere il lupo nero che prendeva forma nell'oscurità, dalla quale emergeva tra gli alberi, non mi sorprese per nulla. Sapevo sarebbe arrivato.
Lo vidi avvicinarsi lentamente al lupo grigio, con le zanne in bella mostra. Più che in posizione d'attacco, sembrava sulla difensiva. Solo quando furono a un metro di distanza il lupo grigio sembrò notare la sua presenza. Cercò di reggersi sulle zampe, per darsi un contegno, ringhiando contro all'altro lupo. Lo vedeva come una minaccia, era chiaro. Tuttavia, il lupo nero continuava a mostrarsi calmo, sicuro di sé. Prese a ringhiare piano, ergendosi fiero. Il lupo grigio sembrò non apprezzare il gesto, scattando e cercando di azzannarlo come meglio poteva. Tuttavia i due finirono per rotolare per terra.
Dal momento che stavo meglio, cercai di alzarmi in piedi, tenendo ugualmente una mano sulla corteccia dell'albero per sicurezza. Non smisi di guardare neanche per un istante, temendo che potessero farsi male. Nonostante le loro zanne sembrassero affilate e letali, non vidi sangue. Il nuovo arrivato era troppo scoordinato per essere davvero pericoloso, mentre il lupo nero non sembrava voler ferire il compagno, ma solo ammansirlo. Ci riuscì in poco tempo, bloccandoli al suolo con una zampa e ringhiandogli contro. Il lupo grigio cercò un'ultima volta di ribellarsi, poi si calmò, guaendo. I loro sguardi si incrociarono e fui sicura di aver assistito a qualcosa di unico, magico e primitivo.
Il branco aveva appena acquisito un nuovo membro.

***

Il giorno dopo mi svegliai più tardi del solito, non avendo scuola. Feci colazione con calma e mi vestii ancora più lentamente.
Avevo trovato un bigliettino di Leah in cui mi avvisava di essere uscita a comprare il necessario per il pranzo, dato che toccava a lei cucinare. I miei genitori, invece, erano andati dai Fuller, i nostri zii, e Seth lì aveva accompagnati. Probabilmente aveva sfruttato l'occasione per vedere nostro cugino Brady, di tredici anni. Sarebbe piaciuto anche a me passare un po' di tempo con lui, sicuramente era cresciuto ancora. Tuttavia, non avevo chiesto a mia madre di svegliarmi e io avevo scordato di attivare la sveglia, perciò avrei passato il resto della mattinata da sola in casa a studiare.
Contro ogni previsione pessimistica, il mio sonno agitato di quella notte non aveva influito sulle mie capacità intellettive, tant'è che riuscii a finire tutti i compiti in un paio di ore. Così optai di continuare il libro per scuola, almeno l'avrei finito in giornata e avrei potuto leggere anche gli altri, giusto in tempo per il test. Ma, appena dopo aver letto la prima battuta di dialogo, mi resi conto che il mio livello di concentrazione era diminuito drasticamente. Evidentemente non era destino che io studiarsi per quel test. Chiusi il libro, giurando a me stessa che l'avrei riaperto nel pomeriggio, anche a costo di farmi legare alla sedia da Seth. Per quanto avessi cercato di non pensarci, mi tornò alla memoria il sogno di quella notte. Dovevo avere una fervida immaginazione, per creare certe cose. Mi chiesi se fosse normale ricordarsi così bene i sogni e, soprattutto, se si potesse essere consapevoli di trovarsi in un sogno. Mi chiesi anche per quanto tempo sarebbe andata avanti questa storia. Avrei continuato a vedere lupi mentre dormivo per il resto della mia vita oppure prima o poi sarebbero semplicemente andati via? Inoltre, perché il branco diventava sempre più numeroso? Non ero un'esperta, ma non mi sembrava normale.
Senza neanche avere il tempo di realizzare quello che stavo facendo, mi ritrovai ad accendere il computer che stava in camera di mia sorella. Non le avevo chiesto il permesso, ma dal momento che non c'era non avrebbe potuto arrabbiarsi. Avrei eliminato tutte le prove del mio passaggio prima del suo rientro.
Mi pentii ben presto della mia decisione. Internet era un mondo pieno di informazioni, era difficile distinguere quelle vere da quelle false. Tanto per non aver rischiato un rimprovero da parte di Leah per niente, visita un paio di siti, per capirci di più. Nonostante alcune discordanze, tutti dicevano che il lupo era il simbolo della libertà dalla società, l'istinto che aveva la meglio sulla ragione. C'erano anche molte altre interpretazioni che dipendevano dal colore, dal comportamento, dalla grandezza e dal numero dei lupi. Quello nero rappresentava un pericolo in agguato, quelli grigi un periodo particolarmente privo di stimoli, il fatto che fossero enormi simboleggiava le paure da affrontare, mentre il branco era indice di inadeguatezza nella società.
Sbuffai, cercando il significato dell'ultimo fattore ricorrente nei miei sogni: il bosco. A quanto dicevano, stava a indicare il passaggio da una fase all'altra della vita.
Con mio sommo disappunto, le mie ricerche si erano rivelate un buco nell'acqua. Sebbene l'avessi sempre saputo, in realtà un po' avevo sperato che potessi finalmente dare un senso a tutte le stranezze che da un anno si accumulavano nella mia vita.
Quasi caddi giù dalla sedia quando sentii la porta d'ingresso aprirsi. Spensi velocemente il computer e uscii dalla stanza di mia sorella, giusto in tempo per ritrovarmela a meno di un metro di distanza. Mi scappò un gridolino di spavento, e subito mi portai una mano al petto. Il cuore mi batteva davvero forte.
-Leah, che ci fai qui?- chiesi, cercando di regolarizzare il respiro.
Mia sorella mi guardò con un sopracciglio alzato, incrociando le braccia sotto al seno.
-Questo dovrei chiederlo io a te, non ti pare? Che ci facevi in camera mia?-
Infilai le mani nelle tasche posteriori dei jeans, alzando le spalle.
-Cercavo un libro di scuola, ma non ce l'hai, ricordavo male. Tu invece hai comprato tutto?- cercai di cambiare argomento.
Stranamente, funzionò. Leah sospirò.
-Mi dai una mano in cucina?- 
Annuii, contenta di poter fare qualcosa. Avevo bisogno di distrarmi. 
Finimmo per preparare una versione meno raffinata del cedar plank salmon, cucinando il salmone sulla piastra con vino e spezie e non sul legno, come da ricetta. 
-Facciamo anche l'insalata, che dici?- propose Leah. 
-Sì, certo- le rispose, con un sorriso. Se un anno prima avrei trovato normale passare del tempo con mia sorella in quel modo tranquillo, ora mi sembrava strano. Era piacevole vederla senza il solito broncio. Certo, non poteva ancora considerarsi l'emblema della felicità, ma ci stava lavorando. Apprezzavo i suoi sforzi, sperai che le cose potessero tornare alla normalità, prima o poi. Quando sentimmo la porta di casa aprirsi, seguita dal chiacchiericcio del resto della famiglia, io e Leah avevamo praticamente finito di cucinare. 
-Che buon profumo- commentò Seth, entrando in cucina, -mi piace il salmone!- 
Leah alzò gli occhi al cielo. 
-Dimmi qualcosa che non ti piace, Seth- 
Mio fratello sembrò pensarci su, ma non fece in tempo a rispondere perché entrarono anche Harry e Sue, che ci salutarono. 
-Ho due figlie magnifiche- commentò papà, sbirciando il salmone. 
Seth borbottò un "grazie", mia madre invece rise, iniziando ad apparecchiare. 
-Come stanno gli zii?- chiese Leah, a nessuno in particolare. La sua domanda mi sorprese: quel giorno stava dando il meglio di sé. Forse c'era davvero speranza. 
-Benone, direi- rispose mamma, passando i bicchieri a Seth affinché li sistemasse sulla tavola. Mio fratello sembrò ricordarsi improvvisamente di qualcosa che gli fece brillare gli occhi. 
-Avanti, papà, diglielo- 
Leah socchiuse gli occhi. 
-Dirci cosa?- 
Vidi mia madre sorridere di nascosto, mentre papà prendeva un bel respiro. 
-Zio John ha cambiato macchina, sapete? Quella che aveva prima era vecchia, senza contare il problema alla frizione. Gli ho dato un'occhiata, però, e non è niente male- disse, scrutando le nostre espressioni. Probabilmente sperava che a questo punto avessimo capito, ma non era così.
-E allora?- insistette Leah.
-Ho parlato con zio John, dice che potrebbe vendermela per una sciocchezza. Ha solo bisogno di una bella visita dal meccanico e una passata di vernice. Non è un gioiellino, certo, ma ho pensato che come prima macchina potesse andare bene per voi due-
Fissai mio padre, con la bocca spalancata. Non credevo alle mie orecchie. Sorrisi come un'ebete. Leah, invece, prima di farsi strane idee, guardò Harry con sospetto. 
-Che vuoi dire?- 
-Voglio dire che è arrivata ora che voi ragazze siate più autonome. Tu avrai finalmente la tua macchina, e anche Willy potrebbe iniziare a fare pratica- 
Quasi strozzai mio padre, tanto lo avevo stretto forte in un abbraccio. 
-Grazie!-
Anche mia sorella sorrise all'indirizzo di Harry, ringraziandolo. 
Non vedevo l'ora di dirlo ai ragazzi: avevo addirittura battuto sul tempo Jacob! Da non crederci. 
Mi separai da mio padre solo quando sentii Sue schiarirsi la voce, per attirare la nostra attenzione. 
-Almeno ora non dovrete chiedere passaggi ai vostri amici. Vero, Willow?- 
Non capii a cosa si stesse riferendo, così la guardai confusa.
-La moto- mormorò Seth, passandomi accanto per sistemare anche i piatti sulla tavola. 
Io arrossii, guardando mia madre colpevole. Quella volta che mi aveva beccata con il casco di Quil in mano non aveva detto niente di che, tranne la solita predica. A quanto pareva, invece, nella decisione di prendere una macchina c'era anche il suo zampino. Bhe, tanto di guadagnato. Improvvisamente, però, mi ricordai una cosa di vitale importanza. 
-Mamma, alla fine sei passata dai Call?- 
Sue mi guardò di sfuggita. 
-Oh, sì, te l'avrei detto a momenti-
Infilai le mani in tasca, non sapendo dove altro metterle. 
-E...?-
Sue portò in tavola l'insalata. 
-E, come ti avevo detto, non c'era bisogno di preoccuparsi tanto. Tiffany ha detto che Embry sta molto meglio- 
La guardai confusa, corrugando le sopracciglia.
-Non l'hai visto di persona?- 
Mia madre si prese del tempo per rispondere, con la scusa di star affettando un limone. 
-No, era già uscito quando siamo arrivati noi- 
Fu come ricevere un pugno allo stomaco. Dopo giorni passati a preoccuparmi per lui e a telefonare praticamente ogni giorno, era tranquillamente uscito senza farmi sapere niente. Non che dovesse rendermi conto di ogni suo spostamento, ma avrei gradito quanto meno anche solo un messaggio in cui mi diceva di stare meglio. 
-Oh, capisco- fu tutto quello che riuscii a dire. Come la sera prima, vidi i miei genitori scambiarsi un'occhiata. 
-Forza, ragazzi, andiamo a lavarci le mani, così possiamo mangiare- disse mio padre, spingendoci gentilmente fuori dalla cucina. 
-Sì, ho una fame da lupi!- affermò Seth, fiondandosi in bagno. Mentre lo seguivo, percepii più di uno sguardo posarsi su di me. 

***

-Pronto?- 
-Salve, signora Call- 
Alla fine non avevo resistito. Era passato un giorno da quando mia madre mi aveva detto che Embry era guarito, e lui non si era ancora fatto sentire. Imperdonabile. 
-Willow, cara, che piacere sentirti- 
Sorrisi, giocando con l'elastico della treccia.
-È un piacere anche per me, signora Call. Per caso Embry è in casa?- chiesi, senza tanti giri di parole. Dopo averla chiamata ogni giorno per una settimana non c'era tempo per i formalismi. 
-No, è uscito poco fa con i ragazzi. Tu non li raggiungi?- chiese Tiffany. Il suo tono era conciliante, ma non bastò per farmi stare meglio. 
-Sì, certo, volevo solo ricordare a Embry di portarmi un libro per scuola- inventai al momento. 
-Non mi pare avesse un libro con sé quando è uscito, si sarà sicuramente scordato- disse Tiffany. Verso le ultime parole la sua voce si era fatta lontana e poi di nuovo vicina, come se avesse spostato il telefono da un orecchio all'altro. 
-Non fa niente, signora Call, me lo porterà domani a scuola- 
La sentii sospirare. 
-Ultimamente Embry è così sbadato. Penso abbia qualcosa per la testa. A te ha detto qualcosa?- volle sapere lei. 
Mi strappai una pellicina dal pollice. 
-No, niente. Ma vedrà che gli passa- cercai di rassicurarla. Non avevo usato un tono troppo convinto, però. 
-Lo spero. Senti, puoi passare da casa, se vuoi. Così prendi il libro che ti serve e anche la giacca di Embry- propose lei, assumendo un tono di predica subito dopo, -è uscito senza, come se non avesse avuto la febbre per una settimana- 
Mi aveva messa con le spalle al muro, se avessi rifiutato avrebbe capito che il libro in realtà era solo una scusa. 
-Certo, buona idea. A dopo, signora Call- 
-A dopo, Willow-
Attaccai la telefonata, sospirando. Non era nei miei programmi uscire. E poi, non avevo la minima idea di dove fossero i ragazzi. 
Composi un altro numero al telefono, sperando che Jake avesse parlato con suo padre prima di uscire. Billy rispose al terzo squillo. 
-Pronto?-
-Ciao, Billy, sono Will- 
Avevo sempre avuto molta confidenza con lui, sicuramente più che con la madre di Embry o quella di Quil. Era stato lui a insegnarmi ad andare in bici. Ricordo quando era morta sua moglie Sarah, a causa di un incidente d'auto. Al funerale aveva cercato di essere forte per i suoi figli, ma una volta a casa l'avevo visto piangere di nascosto, consolato da mio padre. Volevo molto bene a Billy, lo consideravo uno di famiglia. 
-Oh, Will, a cosa devo questa chiamata?- chiese, con toni allegro. 
-Mi chiedevo se sapessi dov'è andato Jake, magari te l'ha detto prima di uscire- 
Sentii il rumore delle ruote della sedia a rotelle, probabilmente aveva cambiato stanza. 
-Sì, è proprio davanti a me- rispose lui. 
-Non è uscito?- domandai in modo retorico, percependo l'amaro in bocca. 
-No, te lo passo?- 
-Certo, grazie- 
Billy chiamò Jake, avvisandolo che ero io e passandogli il telefono. 
-Hey, Will- mi salutò. 
-Jake, non sei uscito con gli altri?- chiesi velocemente, senza perdere tempo. Avevo un brutto presentimento. 
-No, perché?- fece lui, perplesso. 
-Ho chiamato a casa di Embry, per vedere come stava, e sua madre ha detto che era già uscito con voi. Forse si è confusa ed era solo Quil-
Sperai che fosse così, ma la mia teoria ebbe vita breve. 
-No, posso garantirti che non era Quil- disse, il ton oche si faceva sempre più cupo.
-Come fai a saperlo?- 
Jake, dall'altro capo del telefono, sospirò. Lo immaginai passarsi una mano sul viso, in modo stanco. 
-Probabilmente ti arrabbierai, ma a questo punto non ha senso nascondertelo-
Mi si chiuse lo stomaco. 
-Nascondermi cosa, Jake?- mormorai. Nonostante fosse stato poco più che un sussurro, ero sicura che Jacob avesse sentito ugualmente. 
-Io e Quil siamo andati a casa sua, in questi giorni- 
-Cosa?!- sbottai, urtando il bordo della mia scrivania. 
-Sapevamo che ti saresti arrabbiata, per questo abbiamo deciso di non dirtelo- 
-Ogni volta che proponevo a te e a Quil di andare a trovare Embry mi rispondevate che non c'era bisogno di preoccuparsi tanto- gli ricordai, furiosa. 
-Sì, ecco, in realtà pensavamo che ci fosse dell'altro- cercò di spiegare Jacob, -avevamo il sospetto che la febbre fosse solo una scusa per stare un po' da solo- 
Alzai un sopracciglio, ma era inutile dal momento che Jacob non poteva vedermi. 
-Sua madre diceva che la febbre c'era ed era pure alta- gli feci notare. 
Jacob sbuffò. 
-Esistono tanti modi per far finta di avere la febbre, Will- mi disse, come se stesse parlando a un bambina. 
-Ma non è questo il punto, c'è di peggio- 
Di nuovo, il mio stomaco fece una capriola. 
-Cosa può esserci di peggio di due amici bugiardi e traditori?- chiesi acida. Jacob sembrò non notare la mia provocazione. 
-Ogni volta non c'era nessuno a casa, Will- 
Sbuffai, scocciata. 
-Questo non significa niente. Probabilmente Tiffany era a lavoro ed Embry era a letto a dormire, con la febbre- ipotizzai, sottolineando l'ultima parola. 
Sentii Jacob borbottare qualcosa di incomprensibile. 
-Ti dico che Embry non era in casa. Ascolta, una volta l'abbiamo anche visto mente usciva dalla finestra di nascosto, ma non abbiamo fatto in tempo a raggiungerlo che era già sparito- 
Okay, questo era strano, molto strano. Per la prima volta dall'inizio di quella conversazione assurda, rimasi senza parole. 
-Ieri però l'abbiamo beccato- continuò Jake, totalmente preso dal racconto, -e gli abbiamo chiesto di parlare, di spiegarci la situazione, ma lui non ne voleva sapere. Sembrava terrorizzato, Will. Gli abbiamo detto che la sua era una reazione un po' eccessiva, che presto tu e lui avreste risolto e che tutto sarebbe tornato come prima- 
Avevo la bocca secca, dovetti ingoiare a vuoto. 
-E lui?- chiesi, anche se non era sicura di voler sentire la risposta. 
-Ha dato di matto. Ha detto che non è come crediamo noi, che è più sicuro per tutti se ci sta lontano. Ha continuato a farneticare su cose assurde, tutto quello che diceva non aveva il minimo senso. A quel punto io e Quil ci siamo preoccupati sul serio-
-E poi?-
-E poi niente, è scappato via, letteralmente- concluse Jake, con un sospiro.
Quello che mi aveva appena raccontato non aveva una spiegazione razionale e logica. Non riuscivo a crederci. Cos'era successo davvero a Embry? Perché era così spaventato? Mille domande lottavano tra di loro nella mia testa, tanto che mi pulsarono violentemente le tempie.
Tuttavia, una domanda tra le tante attirò la mia attenzione.
-Jake...- lo chiamai, esitante.
-Sì?-
Presi un bel respiro, cercando il coraggio per esprimere a voce i miei timori.
-Ma se non è uscito con voi, allora con chi è ora Embry?-
Per un bel po' non sentii nessuna risposta da parte di Jacob. Nella mia stanza regnava il silenzio, inquietante e perfido. Alla fine, Jake parlò.
-Non lo so, Will. Non lo so-

   
 
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