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Autore: zorrorosso    22/05/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13

Fécamp


Il povero animale venne venduto, le sue sorti lasciate ad un mercante di passaggio. 

 

Gli altri due caricarono e divisero i bagagli di Porthos. 

Aramis gli concesse il suo cavallo, mentre lui alternò la camminata insieme ai suoi compari, tra i due animali sopravvissuti, abbandonando alla taverna, sia il cavallo che l’ardore del galoppo della la sera prima.

 

Non erano intimoriti, non erano spaventati da quello che era appena successo, come avrebbero potuto essere stati dopo un attacco di briganti, ma da quel punto in poi rimasero, per la maggior parte, cauti e calcolatori.

 

Fortunatamente, l’unica cosa da fare era seguire le sponde della Senna: finchè seguivano il corso dell’acqua, Caudebec sarebbe arrivata, così Fécamp. 

 

Ora che tutti i cavalli erano carichi del peso di passeggeri e bagagli, ora che due degli uomini erano feriti, fermarsi a Fécamp e procedere in barca non era più la pigra comodità di un gruppo di nobili dai tanti privilegi, ma era diventata una necessità.

 

Raggiungere il porto non fu difficile, bastava soltanto seguirne i marinai, l’odore del legno e del sale e delle alghe, il molo calmo della sera, alcuni pescherecci ritornavano da una lunga giornata, mentre altri, lanterne ancora accese, attraccavano le barche, pronti a ripartire per la pesca notturna.

 

Ai colori purpurei del tramonto, i ciottoli brillavano, bagnati dagli schizzi delle onde, gli uomini e la ragazza presentarono i lasciapassare al proprietario della nave che aveva deciso di intraprendere quel viaggio.

 

Il navigante chiese un pedaggio per ogniuno di loro ed usarono il denaro procurato il giorno prima. 

 

Constance consegnò il resto del dovuto senza neppure contare due volte. 

Avevano certo notato come tutto questo ricordava loro di Caronte e del passaggio nell’oltretomba. Alla sera, era come essere ingoiati tra le assi di quella barca, trattenuti nel suo ventre. 

 

Onde, che D’Artagnan riteneva affatto calme, scossero il pavimento instabile come se fossero sul dorso di un animale gigantesco.

 

L’acqua del mare sotto di loro, fece di poco scivolare tutti quei mobili che non erano fissi al pavimento. Era una sensazione indescrivibile, quella di una superficie apparentemente immobile eppure così viva e comandata dalle onde del mare. Una casa senza fondamenta, eternamente sul dorso di un animale irrequieto.

 

Il vascello viveva nell’acqua di Nettuno, ma da lui fuggiva galleggiando, sempre con il rischio di essere sopravvalso dalle onde. Eppure si nutriva dell’aria che lo spostava, corde e legni si lamentavano al vento e all’acqua. Marinai esperti lo domavano e facevano di lui il trasporto necessario, la loro vita, il loro sostentamento e la loro dimora. Era un essere inanimato eppure così vivo sotto le braccia esperte dell’uomo. 

 

Forse era quello che i moschettieri intendevano, parlando del suo drago?

Poteva un uomo esperto, come un esperto marinaio domare e cavalcare quella strana creatura?

 

D’Artagnan notava l’orizzonte piegarsi, la testa girare e le sue orecchie percepire quei suoni otturati. Il suo stomaco avrebbe sicuramente rifiutato qualsiasi cibo o bevanda, se ci fosse stata l’offerta.

 

Notando i volti sbiancati, gli uomini della nave spedirono i loro passeggeri immediatamente sotto coperta e li convinsero a non risalire per qualche tempo.

 

Cercarono più volte di camminare per tutta la lunghezza della barca, in modo da non notare le onde, i naviganti chiesero loro di farsi gli occhi le gambe, abituarsi in fretta al loro viaggio in mare. 

 

Per quanto il vascello non fosse abbastanza grande, D’Artagnan si annoiò in fretta di quell’esercizio. 

 

La sua camminata veloce arrivava di stiva in stiva con quelle che a lui sembravano solo un paio di falcate. Constance prese uno dei letti che riuscì a trovare e lo guardò passare di fronte ai suoi occhi stanchi per un paio di volte, ma alla terza, colta da noia e stanchezza, era già assopita in un sonno profondo.

 

La fatica era comprensibile, avevano cavalcato per un giorno e due notti, ma la curiosità del ragazzo superava qualsiasi sforzo, lo alimentava costantemente di nuova energia: dormire in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri.

 

Percorse un’altra volta l’intero sottocoperta, fino a che si rese conto che gli altri avevano smesso di camminare già da tempo.

 

Li trovò illuminati alla luce di una delle loro lanterne, mentre giocavano a carte.

Avevano bisogno di un quarto giocatore e, senza neanche chiedere cosa stesse facendo ancora in piedi, gli fecero cenno di sedersi con lui.

 

In un primo momento ci fu solo silenzio. 

 

Tirarono le carte senza parlare, giocarono i loro mazzi, vincendo e perdendo con l’indifferenza di chi non ha una posta in gioco. Alternando le squadre, il ragazzo rese presto conto di come, chiunque fosse il suo compagno, lo trattenesse con uno sguardo veloce, una strizzata d’occhio o un codice segreto nel quale gli rivelava quale carta avrebbe dovuto giocare. Il vincitore, sorrideva, il perdente alzava le spalle.

 

 Dettagli quasi impercettibili, eppure così chiari una volta notati.

 

Terminata e vinta quell’ultima partita, Porthos non mischiò più il mazzo e lo lasciò sul tavolo, alzando e stirando, le braccia, raggiungendo il soffitto con le dita, involontariamente, con fare quasi maestoso.

 

“Per quale ragione vorreste diventare moschettiere?” - chiese dopo un lungo respiro.

 

“Fare onore alle sorti di mio padre! ...E ritrovare quell’arnese...”- rispose D’Artagnan.

 

Porthos fece un cenno ad Aramis, anche lui, come Athos, aveva capito subito di cosa stavano parlando.

 

“E voi? Per quanto tempo siete stati arruolati nei moschettieri?” 

 

“Di noi, io fui il primo, Aramis l’ultimo, da poco meno di un lustro”- disse Porthos.

 

“Quali ragioni vi portarono alle vostre schiere?”- chiese di nuovo D’Artagnan.

 

I tre incrociarono i loro sguardi con il sorriso di coloro che avevano passato insieme altri duelli ed altre battaglie, in un tempo lontano.

 

“La mia famiglia era troppo povera per sfamare un’altra bocca. Quasi non ricordo il volto dei miei fratelli minori. Baroni, certo, ma non avevamo terre. I miei padri conobbero la guerra e così fu per me. Non appena la possibilità si presentò la colsi al volo, sempre al fronte, sempre in battaglia. Quasi figlio della polvere da sparo. Tamburino al principio, per un fronte e un’altro, fino a che non incontrai il Capitano de Treville e mi arruolai nella guardia reale. Tuttavia non mi voltai più indietro.”- disse Porthos.

 

Il silenzio e la calma della nave, cullarono gli uomini nei loro ricordi del passato, quasi senza accorgersene, Athos cominciò a parlare.

 

“Al contrario! La mia famiglia era sufficientemente ricca e potente da poter permettere sia a me che ai miei fratelli dimora e terre in egual misura. Prima di essere educato all’arte della guerra, fui educato alla diplomazia della pace e l’importanza di alleanze potenti e durature. Oltretutto il mio casato era in buone alleanze con il Duca D’Orleans. I miei avi e i miei padri hanno sempre bilanciato con maestria i rapporti tra il sovrano e i suoi presunti eredi. Per lo meno, prima di Richelieu. Governare su quelle terre sembrava, nella mia infanzia, un fatto certo. Come tutti i nobili di quei tempi, come succedeva ai rampolli di successo a Corte, avrei ereditato le tenute, avrei trovato moglie, avrei servito il nostro re. Proprio allo stesso modo di molti altri nobili al servizio della famiglia reale... Fino a che una notte...”- disse, nel completo silenzio e stupore di tutti gli altri.

 

L’uomo prese fiato, le sue parole guadagnarono confidenza. Nessun bicchiere e nessuna bottiglia nei paraggi, niente lo tratteneva.

 

“Ricevemmo notizia di uno di questi nobili, un marchese, il suo erede fu ucciso e rapinato! Un attentato nel pieno della notte! Spodestato, non più difeso, ma mandato in esilio! La sua famiglia perse tutto da un giorno all’altro: la sua futura sposa impazzita e morta di dolore! Era un uomo buono, alleanze che i miei stessi avi ritenevano tra le migliori, eppure tutto rovinato da un giorno all’altro!”

 

Aramis sembrava prestare ancora più attenzione, tirò un lungo e involontario sospiro, lo osservò a bocca aperta, occhi sbarrati dallo stupore, senza parlare.

 

“I vostri padri non devono averla presa bene se eravate nei favori della gente sbagliata...”- commentò Porthos.

 

“Bastava così poco: oggi dalla parte di Giove anzichè Giunone... Domani chissà! Dopo quella rapina fui raccomandato subito a Parigi, come esempio di fedeltà al regno. Allora dalla parte di Giunone: Maria de’Medici.”- Athos continuò il suo discorso e, al nome della Regina Madre, Aramis annuì.

 

Anche se il giovane non aveva ancora detto nulla, Athos guardò Aramis come se in quel momento avesse aperto bocca e parlato in favore della sovrana in esilio. Puntò in alto, come per specificare una cosa più importante.

 

“Badate! Ci volle poco, un attimo, per essere dalla parte sbagliata! Io non sono e né mai voterò a Giove, Giunone, Apollo, Richelieu, la Regina Anna e neppure quella pazza della Regina Margot!”- disse Athos rivolto ad Aramis, rimasto completamente senza parole.

 

D’Artagnan sorrise e Porthos applaudì orgoglioso a quelle parole.

 

“Haha come il monte a cui nessuna donna è concesso di entrare, così nessuna regina prenderà il posto della Dea bionda! La Francia! Giusto! Bravo! Fate fede al vostro nome di battaglia!” 

 

“E voi?”- disse poi, rivolto all’ultimo moschettiere.

 

“Il mio padrino...”- Aramis si interruppe in una lunga pausa dove solo il silenzio, le assi della nave e la fiamma della candela, esprimevano di più di quanto potesse fare la voce del giovane. Tragedie, storie ed avventure riemersero nella sua memoria, corsero di fronte ai suoi occhi per essere catturate finalmente dal suo lungo sospiro, ma nulla scaturì dalle sue labbra.

 

Per quanto sperasse quel discorso concluso con una semplice risposta, l’attenzione di tutti era ora, e ancora, puntata su di lui.

 

“D’Artagnan, voi siete stato folgorato dalle vostre idee in Guascogna, voi Porthos, avete deciso per il vostro destino nella vostra infanzia. Voi Athos, avete fatto una scelta tra gli Dèi. Siete stati fortunati. Che ne fu di colui a cui fu concessa solo un’unica strada?”- chiese lui.

 

Altro silenzio lo costrinse a parlare ancora.

 

“Giunta l'ora e stabilito il giorno...  Non mi presentai. La mia famiglia mi ripudiò, il mio padrino in Normandia aiutò il mio passaggio al seminario: da lì, il fronte fu il mio dovere.”

 

I due moschettieri risero.

 

“Avete lasciato la vostra sposa all’altare per farvi prete?!”- chiese D’Artagnan con meraviglia.

 

“Era un matrimonio senza amore! Con una persona sconosciuta!”- ribatté il giovane, stringendo i pugni, i suoi compagni non avevano affatto preso il suo discorso seriamente.

 

“Avreste almeno potuto prendere la dote prima di scappare!” -gli ricordò Porthos.

 

“Alla vostra età non mi curavo affatto di questi affari! Credete davvero così tanto nell'amore da rinunciare al vostro destino?”- gli chiese Athos.

 

“Prendete me ad esempio! Ingannato e avvelenato dalla donna che amavo! Prendete D’Artagnan! Accusato ingiustamente di un furto che non ha mai commesso!”- spiegò lui, ma Aramis scosse la testa.

 

“Nel dono dell’amore, gli Dèi ci donano il coraggio...”

 

Aramis portò il piede al bordo della sedia, un ginocchio avvolto dalle sue stesse braccia, guardò verso l’alto, quasi come se, al posto delle assi della nave, potesse vedere un cielo coperto di stelle.

 

***

 

Londra appariva oscurata dall’ombra del catrame usato per trattare il legno dei ponti, le fondamenta delle case, i pavimenti delle barche. 

 

Catrame invecchiato, catrame nuovo, lucido e appiccicoso, strati su strati, per impedire alla ruggine e alle intemperie di rovinare qualsiasi cosa ci fosse stato sotto. Tuttavia, quelle mani su mani di pece nera, rendeva tutto quanto spesso, oscuro e irriconoscibile. 

 

La città ne sembrava completamente ricoperta. Le case ne erano verniciate, i ponti, il metallo delle catene tutto si perdeva in quel preparato oleoso.

 

L’aria era pesante ed umida, il calore di un alba incerta era a malapena percettibile.

 

Il Tamigi scorreva piatto e lento ai remi delle barche, alle vele delle navi, che rallentavano e attraccavano ai vari moli della Whair, Cole, Southwark, il capitano del peschereccio conosceva i loro nomi in dettaglio e sapeva dove fermarsi, ma agli occhi di D’Artagnan tutti quanti gli sembravano solo altri arroccamenti di edifici in legno e altrettanta pece.

 

All’orizzonte, oltre il catrame, oltre il legno, oltre le case dei fitti quartieri, le strade strette, forse si apriva di nuovo il verde della campagna, appena visibile. Un orizzonte piatto e bianco, non troppo diverso da quello che ricordava aver lasciato entrando a Parigi, tuttavia ora così lontano. 

 

Da lì una cappa di nubi cariche si rompeva e scrosciava al suono dei tuoni e alla vista dei fulmini.

 

“Residenza del Duca di Buckingham?!”

 

Il capitano dell’imbarcazione rise.

 

“Non vorrete di certo attraccare a Howland!”

 

I tre non avevano abbastanza risorse per fare quella richiesta, Constance li osservò con impazienza. D’Artagnan scrutava all’orizzonte, in cerca di qualche cosa almeno vagamente familiare.

 

“Temple Bar?”- Chiese Athos, come se non fosse stata la prima volta in quella città.

 

“Mai al mondo! Ma se ci tenete ad essere lasciati all’altra sponda del Ponte di Londra, vi accontenterò!”- disse il navigante, stringendogli la mano.

 

Come se il catrame non fosse stato abbastanza, la vista del Temple Bar era uno spettacolo agghiacciante. 

 

Teste dei prigionieri condannati alla Torre di Londra bollite, impalate e ricoperte di pece davano il benvenuto ai vascelli che entravano in città.

 

Un monito per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, avevano scatenato le ire del sovrano o i suoi Lords più fidati.

  
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